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Dichiarazione di Giulia BONGIORNO

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FLI)  - Pres. commissione Giustizia Camera


 

Paletti per la prescrizione o c’è il timore che il sistema non regga.

  • (09 novembre 2009) - fonte: Corriere della Sera - inserita il 09 novembre 2009 da 31

    Caro Direttore,
    l’imperativo categorico del legislatore, la sfi­da con la quale si misura quotidianamente, è coniugare lo sforzo per raggiungere gli obietti­vi con la consapevolezza che esiste una realtà oggettiva dalla quale non si può prescindere. E proprio quando ci si accinge a valutare nuove leggi dirette a ridurre i tempi della prescrizio­ne, o più in generale a porre un limite alla dura­ta dei processi, è importante calare l’astratta previsione legislativa nella concreta realtà quo­tidiana.

    Innanzitutto, sgombriamo il campo da un equivoco: coloro che ritengono la prescrizione «scandalosa di per sé» dimenticano che un cit­tadino non può essere perseguito in eterno; l’esistenza di questo istituto deve quindi essere salvaguardata. Il cittadino ha il diritto di sapere che esiste un termine oltre il quale lo Stato non può più avanzare la propria pretesa punitiva e ha il diritto di conoscere il proprio destino en­tro un certo lasso di tempo. Lo Stato, dal canto suo, ha il dovere di celebrare i processi in tem­pi ragionevoli: la lunghezza danneggia gli im­putati, che rimangono impelagati per anni in vicende giudiziarie, sospinti da un rinvio all’al­tro, e danneggia la collettività — soprattutto chi è vittima dei reati —, che attende invano una sentenza. Pensiamo a quanti si costituisco­no parte civile in un processo per avere ricono­sciuta giustizia e che invecchiano, a volte muo­iono, in attesa di quel riconoscimento. La Corte europea dei diritti dell’uomo ci ha reiteratamen­te bacchettato su questi temi.

    Fatta questa premessa, va detto che, se in Ita­lia il sistema fosse in grado di far fronte alle esi­genze dei cittadini, una legge diretta a limitare i tempi dei processi non avrebbe molte contro­indicazioni. Certo, sarebbe necessario modula­re i termini tenendo conto che le variabili della durata dei processi sono molte: il numero degli imputati e la complessità della materia, per ci­tarne solo due. Sarebbe ad esempio erroneo equiparare un processo per diffamazione a un maxiprocesso per gravi reati, ma con una serie di scrupolosi accorgimenti quei limiti tempora­li potrebbero tradursi in un ottimo incentivo al­l’autorità giudiziaria perché sia più sollecita e meglio organizzata. Tuttavia, se è vero — come è vero — che la giustizia oggi è al collasso e povera di risorse, le possibili soluzioni tecniche da sole non ba­stano. Ecco perché dobbiamo porci un interro­gativo: una riduzione dei tempi di prescrizione dei reati, o l’indicazione di nuovi limiti entro i quali i processi devono essere celebrati, quali conseguenze concrete può avere se prima non si mette il sistema in condizione di celebrare i processi in tempi brevi, compatibili con le reclamate riduzioni di prescrizione?

    In definiti­va, non possiamo non considerare che il siste­ma giudiziario è paralizzato — e non certo per colpa di questo governo —, e che i Tribunali sono afflitti da enormi carichi di arretrati. Chi si confronta con la giustizia sa perfetta­mente che alcune disfunzioni potrebbero esse­re corrette con una miglior organizzazione e più impegno da parte dei protagonisti — in pri­mo luogo magistrati e avvocati —, ma sa anche che la maggior parte dei problemi deriva da ca­renze strutturali e di risorse. Ed è a queste che bisogna innanzitutto porre rimedio, senza tra­scurare la necessità di aggiornare la disciplina del codice di procedura penale.

    In definitiva, nel maneggiare lo strumento della prescrizione si deve tener conto che non è ordinando sic et simpliciter di ridurre i tempi dei processi che si trasforma un ordinamento arrugginito in una macchina ben oliata ed effi­ciente: esiste insomma il fondato timore che, introducendo una soluzione che il sistema non è in grado di sostenere, si porrebbe una pietra tombale sopra una serie di vicende processuali che magari proprio adesso stanno, con enorme ritardo, volgendo al termine.

    E allora, come spiegheremmo alle vittime dei reati in attesa di giustizia che, vista la lentezza del sistema, si è deciso che il tempo per ottenere le sentenze — quelle sentenze che aspettano da anni — è sca­duto?

    Naturalmente questa soluzione porterebbe gravi conseguenze anche sul piano della lotta alla criminalità, perché un ordinamento nel quale non vengono emesse condanne offrireb­be un formidabile incentivo al crimine. Ecco perché è necessario che le misure per realizzare il condivisibile obiettivo della riduzione dei tempi dei processi siano accompagnate, se non addirittura precedute, da una serie di interven­ti concreti volti a mettere il sistema in condizio­ne di celebrare i processi stessi.

    Fonte: Corriere della Sera | vai alla pagina

    Argomenti: giustizia, processo penale, processi, reati | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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