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Dichiarazione di Antonio POLITO


 

Ormai il Pdl è un amalgama mal riuscito.

  • (17 novembre 2009) - fonte: Il Riformista - inserita il 17 novembre 2009 da 31

    Del Pdl, oggi come oggi, si potrebbe dire ciò che D’Alema disse del Pd: è un amalgama mal riuscito. Ciò che va in scena, giorno dopo giorno, lite dopo lite, summit dopo summit, non è infatti più e soltanto il duello tra due personalità, che giocano ormai chiaramente partite diverse e opposte sul loro futuro. No. Dietro Berlusconi e Fini ci sono due mondi che si guardano in cagnesco, che hanno culture politiche diverse e non lo nascondo nemmeno più, e che hanno smesso perfino di vedere l’interesse comune, concentrandosi sul proprio. Mutatis mutandis, la situazione che c’era nel Pd prima delle primarie.

    Abbiamo scritto mutatis mutandis. E non a caso. Le differenze tra le crisi dei due partiti nati per mettere fine a tutte le crisi restano rilevanti. Due su tutte: Berlusconi gode ancora di un massiccio consenso popolare;
    e il Vinavil del potere protegge il centrodestra dall’autolesionismo più di quanto non sia mai riuscito a fare con il centrosinistra. Però anche le similitudini cominciano a essere interessanti.

    Per esempio: è significativo che in entrambi i due partitoni a soffrire di più sia il socio minore della fusione. Non stiamo dicendo che Fini è come Rutelli, o che sta per uscire dal Pdl (anche se c’è un deputato molto vicino al premier, Giorgio Stracquadanio, che lo dice apertamente). Però è evidente che il punto di rottura della fusione si è manifestato nella stessa saldatura in entrambi i poli. E quanto all’ipotesi che Fini lasci il Pdl, oggi fantascientifica, lo sarebbe molto di meno se Berlusconi seguisse i consigli dei suoi falchi e andasse alle elezioni a marzo, come è ancora possibile che faccia.

    Siccome il premier potrebbe impostare la sua campagna elettorale soltanto come un regolamento di conti con chi gli lega le mani sulla giustizia, è difficile che Fini abbia altra alternativa che non sia ritirarsi o combattere. E se decidesse di combattere, sarebbe inevitabilmente fuori dal Pdl.

    Del resto l’ha detto lui, chiaro e tondo, all’Annunziata: «Il voto anticipato sarebbe il fallimento del Pdl». Basta ascoltarlo con attenzione: vuol dire che dopo non ci sarebbe più il Pdl. Del resto, la materia del contendere è ormai esplosiva. Da qualche giorno il Riformista chiede a Berlusconi perché non parla, perché non mette la sua ragione politica sul tavolo del conflitto, e la spiega agli italiani.

    In molti articoli dei giornali di ieri ci è arrivata la risposta, soffiata dallo staff del premier ai giornalisti. Prendiamo quella indicata da Marco Galluzzo sul Corriere. Berlusconi non parla perché
    1) «sarebbe scorretto dire in pubblico cose di cui è convinto, che Fini sta giocando un ruolo politico e non istituzionale, che sembra votato più a danneggiare che ad aiutare l’alleato»;
    2) «sarebbe scorretto denunciare pubblicamente che il co-fondatore del Pdl deve dire chiaramente da che parte sta»;
    3) «sarebbe scorretto evocare scenari (che pure vengono abbozzati) traumatici, che passerebbero anche per un ritorno alle urne, magari tramite un percorso parlamentare in cui si provoca un incidente pilotato dentro il Pdl».

    Ecco perché Berlusconi non parla. Perché non può parlare. Perché se parla si sfascia per sempre il Pdl. E quando in un partito il leader non può più parlare di politica, vuole dire che le cose in quel partito stanno alla frutta. Modello Veltroni-D’Alema, tanto per capirci.

    Nel caso del Pdl, le cose sono complicate da quattro fattori.
    1) Nello scontro c’è un terzo incomodo, la Lega, ormai più vicina a Berlusconi di quanto lo sia Fini, e il gioco di sponda di Bossi rischia di accelerare la frattura;
    2) la posta in gioco per il premier è elevatissima, la più elevata che lui conosca, il rischio di una condanna penale, roba sulla quale lui non può transigere;
    3) Berlusconi è nervoso di suo, il divorzio con Veronica potrebbe costringerlo a un accertamento patrimoniale potenzialmente più distruttivo del processo Mills;
    4) il Pdl è al governo e la lite continua paralizza l’azione dell’esecutivo quando più ce ne sarebbe bisogno, ora che la recessione sta finendo e arriva il momento delle scelte economiche e sociali.

    Ci sono dunque tutte le condizioni perché la legislatura deflagri insieme al Pdl. Il casus belli potrebbe essere quell’avviso di garanzia dalla Sicilia che è ormai diventato l’incubo del premier, e contro il quale non ci sarebbe processo breve che tenga.

    I fedelissimi di Silvio già indicano la data delle elezioni: il 27 e 28 marzo. Solo un soprassalto di prudenza del Cav, uomo che sul tavolo della politica si gioca troppe cose e troppi interessi per rischiare l’azzardo, potrebbe fermare il treno che si è messo in moto; ed è su questo che scommette Fini. Ma comincia in queste ore un Vietnam parlamentare che squadernerà in Parlamento tutti i motivi dello scontro, dal biotestamento alla cittadinanza alla giustizia, e basta un incidente qualsiasi perché la santabarbara prenda fuoco.

    Fonte: Il Riformista | vai alla pagina

    Argomenti: Berlusconi, pdl, Fini Gianfranco, elezioni anticipate, crisi politica | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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