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Dichiarazione di Pietro ICHINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

Il Processo Breve è un disegno di legge che può causare danni gravissimi all'amministrazione giudiziaria.

  • (03 dicembre 2009) - fonte: web site - pietroichino.it - inserita il 29 dicembre 2009 da 31

    Questo progetto è una delle manifestazioni più gravi, al tempo stesso, del vizio di conflitto di interesse nell'esercizio del potere legislativo e dell'antico errore di pretendere di perseguire l'efficienza amministrativa con un tratto di penna sulla Gazzetta Ufficiale.

    Resoconto sommario dell’intervento svolto il 3 dicembre 2009 nella seduta antimeridiana della Commissione Giustizia del Senato, in sede referente, sul disegno di legge Gasparri e altri n. 1880, “Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”

    Esprimo viva preoccupazione per i contenuti del disegno di legge in esame, che rischia di determinare conseguenze dannose di straordinaria gravità: conseguenze delle quali, a suo parere, i presentatori non possono non essersi resi conto. Ma prima ancora, egli osserva, appare desolante la decisione - sostanzialmente dichiarata in modo esplicito - di piegare una volta di più l’interesse pubblico alla difesa di un interesse personale del Presidente del Consiglio: quello di sottrarsi a uno o più procedimenti penali pendenti a suo carico. Mai il vizio derivante da un conflitto di interessi si è manifestato in modo più smaccato in un disegno di legge, che si presenta formalmente come atto di iniziativa parlamentare ma è con tutta evidenza ispirato dal Capo del Governo.

    Anche se poi si volessero prendere per buone le motivazioni addotte formalmente dai presentatori, la strategia di fondo con cui si intende affrontare il problema della lunghezza dei processi, al di là del contenuto puntuale delle singole disposizioni, riproduce, estremizzandolo, un errore storico radicato nella cultura politica del nostro Paese - forse più ancora in quella della vecchia sinistra che in quella della nuova destra -: quello di ritenere che un problema di efficienza amministrativa possa essere risolto con un tratto di penna sulla Gazzetta Ufficiale, come se l’inefficienza fosse sempre la conseguenza di un difetto della legislazione più e prima che di un difetto nel modo in cui essa viene applicata. Ciò di cui la nostra amministrazione giudiziaria, e più in generale le nostre amministrazioni pubbliche, hanno davvero bisogno, assai più e prima che di nuove leggi, è la maturazione di una cultura materiale che si esprima nell’impegno quotidiano a individuare e curare i mali del sistema.

    Nel caso di specie, però, la lettura delle norme proposte rivela non solo un peccato di velleitarismo di chi metta in campo termini ineccepibili sulla carta, senza preoccuparsi che nel contesto reale essi risultino effettivamente applicabili, bensì anche una colpevole e deliberata insensatezza. L’oratore ritiene che, essendosi i colleghi dell’opposizione già soffermati approfonditamente sui molteplici aspetti di incostituzionalità e sui gravissimi danni comportati dalle disposizioni di carattere processual penalistico, spetti a lui piuttosto porre in luce gli effetti perversi determinati dalle disposizioni dell’articolo 1 del disegno di legge sul terreno processual civilistico.

    Appare in primo luogo del tutto illogico e controproducente sollecitare i cittadini all’instaurazione di un nuovo procedimento, quello introdotto dall’”istanza di sollecitazione”, per ottenere l’accelerazione della definizione di un processo già pendente: in questo modo si moltiplicano i procedimenti e si ingolfano ulteriormente gli uffici giudiziari. Il disegno di legge si propone, poi, di introdurre un meccanismo automatico di attribuzione del risarcimento, che sarà dovuto dall’Erario, sia pure in misura ridotta, perfino alla parte che sia risultata soccombente nel processo principale, ma non con sentenza definitiva, e addirittura nel caso in cui la domanda sia “palesemente infondata”: è del tutto illogico, in un sistema oltretutto gravato da un enorme contenzioso pendente, sanzionare un presunto danno causato dal ritardo di un giudice nel rigettare una domanda la cui infondatezza o addirittura pretestuosità siano manifeste. Si tratta di un meccanismo che incentiva il contenzioso, aumentando il carico di lavoro dei tribunali e favorendo un circolo vizioso che renderà più frequente la violazione dei termini di ragionevolezza, nel processo civile non diversamente da quanto avverrà nel processo penale, dove gli imputati saranno incentivati all’esercizio di tattiche dilatorie nel tentativo di guadagnare l’estinzione del processo.

    L’oratore aggiunge, al riguardo, che il provvedimento in esame pone anche un problema del tutto irrisolto di copertura finanziaria, In un contesto in cui gli oneri per lo Stato determinati dal pagamento dell’equa riparazione prevista dalla cosiddetta “legge Pinto” sono cresciuti dal 2001 con andamento esponenziale, è facile prevedere che l’assurdo meccanismo predisposto dal disegno di legge ne determinerà un’ulteriore e tumultuosa crescita: un rischio a fronte del quale, egli osserva, il disegno di legge stesso non opera alcuna quantificazione e non prevede alcuna copertura.

    Ben diversi sono gli interventi, prima di tutto nel settore dell’organizzazione e delle metodologie del lavoro, che servirebbero per migliorare l’efficienza del sistema. A tale proposito il senatore Ichino fa riferimento alla sua lunga esperienza di avvocato del foro di Milano, una sede giudiziaria la cui efficienza è decisamente superiore alla media nazionale; ebbene nel 2006 il Presidente della Corte d’appello di Milano dovette, con grande rammarico, emanare una circolare in cui imponeva alle sezioni di tenere udienza in non più di quattro giorni lavorativi settimanali - mentre in precedenza erano utilizzati cinque giorni lavorativi ogni settimana - e di non protrarre le udienze oltre le ore 14: ciò esclusivamente a causa di carenze del personale amministrativo necessario per le udienze. Questa decisione ha determinato un ulteriore restringimento del collo di bottiglia dell’amministrazione della giustizia nel distretto di Milano, costituito già in precedenza dal giudizio d’appello. All’apertura di quest’anno giudiziario, il Presidente della Corte d’appello di Milano ha ricordato che basterebbe poter recuperare 10 unità di personale amministrativo per consentire di ripristinare la quinta giornata settimanale di udienza, con rilevantissimo beneficio per la rapidità dei procedimenti.

    Per attuare i necessari aggiustamenti organizzativi, a parità di spesa, basterebbe attribuire ai dirigenti poteri effettivi di organizzazione degli uffici e di allocazione razionale del personale; al tempo stesso sarebbe quanto mai utile l’introduzione di criteri di valutazione della produttività dei singoli magistrati e di incentivi efficaci mirati alla migliore organizzazione del loro lavoro: l’oratore cita, per esempio, i positivi risultati che si sono ottenuti a Torino, con il solo miglioramento dell’organizzazione del lavoro; e richiama i benefici effetti che deriverebbero dall’applicare compiutamente il metodo del benchmarking non solo tra uffici, ma anche tra magistrati operanti nello stesso ufficio. Egli ricorda, inoltre, in proposito gli studi teorici ed empirici che dimostrano i vantaggi della trattazione delle controversie “in sequenza” e non “in parallelo”. E conclude auspicando che i problemi della giustizia, come quelli di ogni altro comparto delle amministrazioni pubbliche, vengano affrontati con il solo intendimento del bene comune e senza secondi fini che inquinano qualsiasi iniziativa e minano alla radice la cultura delle regole, già troppo debole nel nostro Paese.

    Fonte: web site - pietroichino.it | vai alla pagina

    Argomenti: giustizia, potere, conflitto di interesse, processo breve, leggi ad personam | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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