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Dichiarazione di Marcella ZAPPATERRA

Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Provincia Ferrara (Partito: PD)  - Consigliere Provincia Ferrara (Lista di elezione: PD) 


 

Il mio discorso per le Celebrazioni del 65° anniversario della Liberazione e della Resistenza

  • (25 aprile 2010) - fonte: Blog di Marcella Zappaterra - inserita il 27 aprile 2010 da 3651
    Questo il discorso che ho fatto nella giornata di ieri per la Celebrazione del 65° anno della Liberazione e della Resistenza:

    Autorità civili, militari, religiose, rappresentanti delle associazioni partigiane e combattenti, cittadini, la data del 25 aprile è importante, non è una ricorrenza cui ci si possa avvicinare in modo rituale e ripetitivo, e sono onorata di portare a tutti voi il saluto delle Istituzioni ferraresi.
    Oggi ricordiamo un avvenimento dal significato preciso, storico e politico: la vittoria della Resistenza sulla dittatura e la fine dell’occupazione straniera.
    I fatti che si susseguirono dalla firma dell’armistizio e dal crollo dell’8 settembre 1943, fino ai gloriosi momenti conclusivi della liberazione delle nostre città e della nostra terra, ci parlano di una straordinaria prova di riscatto civile degli italiani e sono le fondamenta della nostra Repubblica.
    Per questo occorre continuare nello sforzo di farli conoscere correttamente, e di renderli patrimonio comune di tutti gli italiani.
    Una reale condivisione e un comune sentire storico sui fatti e sul valore della Resistenza si possono raggiungere - io penso - solo rappresentando la Resistenza nella sua interezza, nell’insieme delle sue componenti, nella ricchezza delle adesioni e partecipazioni che ne garantirono il successo.
    Per questo è necessaria una lettura dei fatti politici ed umani che la sostanziarono che, nel necessario spirito di verità e al di fuori di ogni retorica, restituisca ad ognuno di noi una ricostruzione storica corretta.
    In molti si sono riferiti negli ultimi tempi alla necessità di smitizzare la Resistenza. Se questo significa rappresentarne anche i limiti, sono d’accordo.
    Ci sono stati! In particolare nei giorni successivi alla liberazione quando si consumarono vendette che spesso coinvolsero anche persone innocenti. Queste contraddizioni, purtroppo, sono il prezzo che ogni guerra ci ha riservato, in particolare quando queste avevano i tratti di una guerra civile.
    E, se le si riconosce (queste contraddizioni), non tolgono nulla al “mito della resistenza”…anzi, lo trasformano in quello che realmente è: storia vera.
    “Storia Vera” la cui oggettività rappresenta il limite invalicabile rispetto a qualsiasi forma di denigrazione o svalutazione di quel moto di riscossa e riscatto nazionale cui dobbiamo la riconquista dell’indipendenza, della dignità e della libertà del nostro Paese.
    E’ giusto ricordare oggi ogni singolo uomo caduto negli anni dell’ultimo conflitto mondiale, da qualunque parte avesse deciso di stare, o si fosse trovato.
    Ma ricordare e rendere onore ai Resistenti è un dovere supremo in questa giornata, e sappiamo di poterlo assolvere senza retorica, con coerente adesione alla verità storica.
    Purtroppo, la nostra storia non sembra rappresentare un patrimonio sul quale investire e sul quale costruire il futuro.
    Recenti riflessioni del Presidente Napolitano sollecitano tutti noi a cogliere l’evidente legame tra la Liberazione e i fatti che portarono all’Unità Nazionale, della quale stanno per ricorrere i 150 anni.
    Negli anni fra il 1943 e il 1945, il nostro Paese ha saputo rispondere con forza e reagire alla condizione in cui si trovava, recuperando il suo senso unitario di nazione. Non è un caso se in tanti identificano quegli anni in un “secondo Risorgimento”.
    Ricordiamo come, ad esempio, le forze comuniste partigiane si intitolarono a Garibaldi (e non a Stalin o Lenin…): la forza politica che rappresentò in modo più forte la spinta alla rivoluzione e alla rottura di quegli anni, si riferì alle nostre vicende nazionali, e non ad altro.
    La riconquista di un senso sicuro della patria, che animò tanti e di diverse opinioni politiche, è stata essenziale per la Resistenza.
    Scrive Natalia Ginzburg: “Le parole patria e Italia ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. Eravamo lì per difendere la patria, le strade e le piazze delle nostre città, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava”.
    Ma il legame – così immediatamente leggibile – tra questi due momenti storici è dato, purtroppo, anche da altro.
    Appare, infatti, evidente come entrambi si misurino con un grave deficit di conoscenza, che colpisce intere generazioni di italiani, che alimenta giudizi sommari, pregiudizi a volte volgari, e la pericolosa tendenza a sintesi approssimative, parziali, sbagliate.
    Il nostro Presidente della Repubblica, intervenendo nello scorso febbraio all’Accademia dei Lincei, ha parlato di una vera e propria crisi culturale, riferendosi alla “cultura” come all’insieme delle conoscenze che ci rende capaci di attribuire un senso a noi stessi e al mondo che ci circonda.
    Sollecitare, ad esempio, alla definitiva comprensione del fatto che Nord e Sud sono uniti, parti di un tutto, dovrebbe risuonare pleonastico.
    In realtà, sappiamo bene che simili sollecitazioni non sono affatto superflue.
    Troppi dei ragionamenti che le “classi dirigenti” e tutti coloro che a vario titolo “fanno opinione” ci sottopongono quotidianamente, animati da una insopprimibile ansia di “riforme” – in parte, ma solo in parte, condivisibile – sembrano sfuggire alla responsabilità che più di ogni altra dovrebbe essere agita: quella al recupero pieno di una cultura politica “nazionale” e “alta”, nutrita da conoscenza storica e giuridica, che possa essere “unitaria” in virtù dei principi e dei valori che si incarichi di sostenere, e non di accordi motivati da altro.
    Sarebbe auspicabile che il dibattito attuale sulle necessità di cambiamento del nostro sistema istituzionale e politico ritrovasse le idealità e le aspirazioni di quanti parteciparono alla Liberazione, e quelle ragioni che si tradussero nell’ essenziale quadro di riferimento per l’elaborazione della Carta Costituzionale.
    Gli “accordi” – o meglio, le nobili mediazioni – furono indispensabili anche ai Costituenti per portare ad unità l’esperienza della Resistenza, che fu anche – non dimentichiamolo - un conflitto aspro, portatore di lacerazioni e separazioni.
    Riuscirono benissimo a dare vita ad un ordinamento condiviso, e non lo fecero “cancellando” e rimuovendo dalle loro menti e dai loro pensieri le ragioni di quel conflitto, ma – al contrario – tenendole ben presenti, orientando le scelte a favore di certe opzioni ed escludendone altre.
    La complessità e la poliedricità della Resistenza, con tutte le sue molte anime, e le spinte istintive e persino “sentimentali” che risuonano nelle belle parole di Natalia Ginzburg, si sono date una sintesi non neutra.
    A quella sintesi venne data una forma impegnativa, la Costituzione.
    Piero Calamandrei, argutamente, parlò di una Costituzione “presbite”: se le si poteva attribuire qualche difetto, era nella messa a fuoco delle cose troppo vicine, mentre da lontano ci vedeva benissimo! La definì inattutata, e anche incompiuta, individuando nella Carta un progetto ancora da realizzare.
    La nostra è, infatti, una Costituzione aperta al futuro, una delle migliori esistenti.
    Lungimirante, mai “neutra”, mai “generica”.
    Se riforme si devono fare, che siano riforme che tengano conto di questo, e che tentino di riproporre la stessa energia intellettuale che i Costituenti seppero produrre.
    Non si pensi ad una riforma frutto di analisi parziali, di bisogni non correttamente contestualizzati. Non si improvvisi.
    E non si venga meno ad alcuni punti fermi, che tali devono restare.
    A partire dal significato del 25 aprile: non si tratta di una generica ricorrenza contro il totalitarismo.
    La Liberazione ha un senso storico e politico preciso, che la Costituzione ha in sé.
    La Costituzione è, infatti, prima di tutto antifascista, perché quello è stato il totalitarismo che la Resistenza ha combattuto e sconfitto.
    Dalla Liberazione si generarono scelte costituzionali precise, che definirono una precisa “qualità” della democrazia, autentica e non virtuale, inclusiva e non populista, pluralistica, mai conformista, laica, liberale, non autoritaria.
    Ma questa preziosa “qualità” è messa troppo spesso a rischio.
    Non è possibile non accorgersi di come esistano, e siano molto attivi, “ poteri” che cercano di condizionarla e modificarla – in maniera più o meno occulta , così come non è possibile non vedere quanto quella stessa qualità sia pesantemente limitata dalle sempre più numerose e gravi disuguaglianze che colpiscono le persone.
    Disuguaglianze che dividono anziché unire, che producono discriminazioni, che causano la negazione di diritti e di libertà fondamentali, costituzionalmente previsti.
    E non dimentichiamoci della sovranità popolare, sul cui esercizio diretto si fonda la democrazia repubblicana: eppure, sembra a volte che questa sia considerata una sorta di “incidente di percorso” nelle strategie delle forze politiche.
    E molti dei richiami all’esigenza di un nuovo momento costituente sono, purtroppo, assolutamente incoerenti con lo spirito della Costituzione,
    Una revisione efficace e utile della Costituzione non potrà, in alcun modo, non tener fede a quello spirito, e qualsiasi sua modifica dovrà necessariamente conservare la qualità specifica della democrazia ricercata dalla Resistenza e sancita dalla Costituzione.
    A partire dall’invalicabile vincolo all’unità nazionale che la Costituzione afferma.
    Vincolo che non rappresenta affatto una burocratica e, in effetti, superata, idea di centralismo amministrativo, ma che deve invece motivare un nuovo e condiviso impegno per realizzare una maggiore consapevolezza - anche storica - attorno al nostro essere “Nazione”.
    Fatto salvo questo contesto, ridisegnare il quadro istituzionale in senso federalista e autonomistico è possibile, soprattutto se tale disegno tende a sancire un rapporto più stretto e più efficace tra la società, la politica e le Istituzioni.
    Sarebbe invece inaccettabile qualsiasi riforma che annullasse l’equilibrio reale tra i poteri, che imponesse una sbagliata ed inutile ipertrofia dell’esecutivo, che non garantisse lo sviluppo libero ed equilibrato della società e della vita politica nell’unico modo in cui è possibile garantirlo: tenendolo fortemente incardinato alla legge e al bene comune!
    Care cittadine e cari cittadini,
    non accontentiamoci dell’omaggio formale alla prima parte della nostra Carta, pretendiamo che i principi in essa contenuti siano sempre realmente osservati ed applicati perché questa è l’unica condizione per mantenere uno stato di reale democrazia.
    In quei principi si possono riconoscere tutti gli italiani, anche quanti hanno giudizi diversi dai nostri sugli anni dal 1943 al 1945.
    La Carta costituzionale costituisce non solo la base del nostro vivere comune, ma rappresenta la garanzia per tutti di poter pensare ciò che si crede, di poter essere ciò che si desidera, di poter vivere liberamente.
    Il progetto ancora da realizzare di cui parlava Calamandrei è ancora valido e adeguato ai nostri tempi, ciò che negli anni ’50 e ’60 era mal inquadrato a causa della “presbiopia” adesso è perfettamente a fuoco.
    In questo spirito celebriamo oggi il 25 Aprile, la nostra Costituzione e le istituzioni repubblicane, a cui deve andare il rispetto effettivo e coerente di tutti gli italiani.

    Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva l’Italia.
    Marcella.

    Fonte: Blog di Marcella Zappaterra | vai alla pagina
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