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Dichiarazione di Ignazio Roberto Maria MARINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

«Le linee guida sui trapianti del Veneto sono incivili e sbagliate sotto il profilo medico. Con quelle regole non avrei salvato molte giovani vite» - INTERVISTA

  • (08 giugno 2010) - fonte: l'Unità - Luca Landò - inserita il 08 giugno 2010 da 31

    È molto semplice: se negli Stati Uniti ci fosse stata una direttiva come quella della Regione Veneto non avrei potuto salvare la vita a molte persone». Va subito al sodo Ignazio Marino, senatore Pd e presidente della commissione Sanità del Senato ma soprattutto chirurgo di fama grazie a una vita passata oltreoceano nei migliori centri al mondo per il trapianto di fegato. «In quel documento ci sono passaggi allarmanti o, quanto meno bizzarri perché totalmente privi di senso».

    Ad esempio?

    «Il fatto che non si possa sottoporre a trapianto d’organo chi ha tentato di recente un suicidio: è il punto 6 delle controindicazioni assolute. Proprio così: assolute. O una persona con quoziente intellettivo inferiore a 50: è il punto 3. Sa cosa vuol dire? Che pazienti del genere non dovrebbero nemmeno essere messi in lista, scartati a priori».

    Perché lo hanno fatto?

    «La spiegazione più semplice è che hanno commesso un errore; la più inquietante, ma temo la più vera, è che in Italia siamo tornati a un clima di discriminazione, lo stesso che provai sulla mia pelle una decina di anni fa».

    Si spieghi meglio.

    «Il 17 luglio 2001, prima volta in Italia, feci un trapianto di rene su di un paziente sieropositivo. Mi beccai una censura dal ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, e venne proibito a tutti i centri di trapianto di effettuare simili interventi. Fu un atteggiamento grave due volte. Il primo perché non si tenne conto di uno studio in cui si mostrava che, almeno in America, la stragrande maggioranza dei chirurghi era favorevole ai trapianti in pazienti sieropositivi. La seconda che si introduceva una discriminazione nei confronti di un gruppo di pazienti».

    E questo perché?

    «Alla base di questi atteggiamenti c’è sempre un elemento di razionalità. Un organo è un bene prezioso, impagabile: quindi si fa di tutto perché venga trapiantato in un paziente che abbia la possibilità di beneficiare al meglio di quel dono, di vivere bene e a lungo. Il punto è che questi criteri devono obbedire a valutazioni mediche non ideologiche».

    Facciamo un esempio.

    «Se una persona ha un tumore primario al fegato è giusto intervenire con un trapianto perché così si rimuove la causa del suo male. Se il tumore primario è invece nell’intestino e nel fegato sono comparse metastasi, il trapianto epatico è inutile perché il fisico è compromesso e, soprattutto, non ho rimosso la causa del tumore».

    Torniamo alle linee guida della Regione Veneto.

    «Il principio di base, come ho detto, è condivisibile. Quello che va rifiutato, con nettezza, è quanto indicato nell’allegato A dove nell’elenco delle controindicazioni assolute compaiono delle situazioni in cui si interviene normalmente».

    Lei lo ha fatto?

    «Certo. Quand’ero negli Stati Uniti ho salvato la vita a molti giovani che avevano tentato il suicidio ingerendo grandi quantità di farmaci che provocano necrosi epatica, cioé la morte delle cellule del fegato. In questi casi il paziente va in coma irreversibile e muore poco dopo: l’unica soluzione è il trapianto di fegato, proprio quello che le linee guida della Regione Veneto vorrebbero negare con l’espressione “recenti tentativi di suicidio”. È un controsenso: un giovane viene in ospedale in quelle condizioni proprio perché ha tentato il suicidio.
    E tu che fai: anziché salvargli la vita agiti il foglio della Regione Veneto davanti agli occhi dei suoi genitori? Non solo, ma tutti i pazienti che ho operato non hanno più ritentato il suicidio: se la paura è quella di “sprecare” un organo, diciamo che i dati parlano chiaro.
    Chi ha avuto un trapianto capisce in pieno il valore della vita».

    Torniamo all’altra controindicazione, quella del quoziente intellettivo inferiore a 50.

    «Anche qui hanno confuso una controindicazione relativa con una controindicazione assoluta. Nei centri che ho diretto il quoziente intellettivo era un fattore da prendere in considerazione ma solo per decidere come intervenire, come operare. Ho ancora davanti agli occhi un paziente, maggiorenne, affetto da sindrome di Down: aveva paura di tutto, quando vedeva la siringa per il prelievo del sangue andava nel panico. Con l’aiuto degli psicologi e della madre siamo riusciti a operarlo e a salvarlo. Certo, sarebbe stato più facile scartarlo, dire “no grazie, lei è nella lista vietata”. Ma è questo quello che deve fare un medico?».

    La Regione Veneto però ha fatto marcia indietro e ha emesso un circolare interpretativa che, di fatto, invita i medici a considerare questi casi, non più come vietati, ma come situazioni da valutare con attenzione.

    «I medici sanno benissimo come interpretare le parole: la circolare interpretativa è un passo avanti ma non basta. Bisogna che le linee guida vengano rifatte daccapo. Anche per un altro motivo».

    Quale?

    «Le linee guida sono uscite nel marzo 2009 ma il caso è esploso solo dopo un articolo molto critico apparso sull’American Journal of Transplantation, la più importante rivista scientifica nel settore dei trapianti. Gli stranieri non vanno per il sottile: ciò che accade in Veneto accade in Italia. Quel documento ha gettato una brutta ombra su tutto il Paese. Prima ce ne liberiamo, meglio è».

    Fonte: l'Unità - Luca Landò | vai alla pagina

    Argomenti: discriminazione, sanità, salute, regione veneto, medici, trapianto, leggi vergogna | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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