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Valter VELTRONI in data 24 agosto 2010
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«È come la crisi del ’94» - INTERVISTA
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(14 agosto 2010) - fonte: Avvenire - Gianni Santamaria - inserita il 14 agosto 2010 da 31
Pierluigi Castagnetti, esponente Pd e presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere della Camera, condivide l’opportunità di non votare in condizioni che «potrebbero perpetrarare la situazione di paralisi». Invita il Pdl ad accettare una soluzione alla Dini. E al suo partito indica l’intesa con il nascente centro. Modello?
La solidarietà nazionale di Aldo Moro.Come giudica l’intervento del Colle?
Dice al momento giusto ciò che ci si attendeva. Certo, la situazione è molto deteriorata, ma spero che l’appello sia accolto da chi avverte il dramma che stiamo attraversando. Non ci si rende conto che la crisi non ha solo evidenti ragioni politiche, ma si deve alla fine di un ciclo. I rischi sono grandi. Perciò il presidente vuole evocare negli interlocutori un senso di responsabilità adeguato.
Fine del bipolarismo?
Non so. So, però, che sta finendo la Seconda Repubblica. Nata dalle macerie di Tangentopoli, si chiude con quelle di una questione morale che si è manifestata in modo diverso, ma non meno grave. Allora la disaffezione dei cittadini si orientò alla piazza. Come appare dalle ultime elezioni, ora prevale la diserzione delle urne.
Il Pdl: Berlusconi o voto. Per Gasparri Napolitano non farà come Scalfaro.
Dovremmo, invece, ritrovare il senso di responsabilità repubblicana che si manifestò nel 1994. Ricordiamo come nacque il governo Dini. Anche allora Berlusconi voleva le urne. Invece il presidente difese il principio costituzionale della centralità del Parlamento. Berlusconi alla fine si convinse a non estraniarsi dalla gestione della transizione.
E oggi?
Mi appello agli spiriti più responsabili del Pdl. Non si tratta di fare un governo che metta Berlusconi in minoranza, raccogliendo tutto e il contrario di tutto. Non sarebbe giusto, perché ha avuto i consensi. Si tratta di gestire - coinvolgendo il Pdl - una fase che ripristini alcune condizioni per tornare alla governabilità e mettere le basi di una nuova stagione. Un governo del presidente.
Di Pietro dice: non è arbitro, gioca e a gamba tesa. Poi l’ex pm detta condizioni: tre mesi per riforma elettorale e poco altro.
No, il presidente fa l’arbitro. Per fortuna sono ancora saldi gli argini della Costituzione. Dove il Capo dello Stato è garante e si fa muovere solo da un principio inderogabile: l’interesse del Paese. La fase di transizione non deve per forza durare molto. Ma serve il tempo per condizioni minime sulla legge elettorale. Poi, è un mistero come e quando nascerà un’ipotetica Terza Repubblica.
Se si arrivasse alle urne?
Il Pd deve andarci in modo da porre le basi per uscire dalla crisi. È chiaro che, se nascerà il terzo polo, l’intesa sarà obbligata. A seguire, va ricercato insieme il candidato adatto. Potrebbe anche essere una stagione transitoria, come la solidarietà nazionale. Nel disegno di Moro servì a unire forze che mantenevano le diversità, ma si ritrovavano nell’esigenza riaprire una dialettica nel Paese. Situazione paragonabile a oggi.
Schifani si sente autorizzato, come Fini, a entrare in questioni politiche. E viene criticato da voi e da Fli.
Fa politica, l’ha sempre fatta. Ricordo quando i presidenti delle Camere non erano coinvolti direttamente nell’agone. Non avviene più da tempo ed è uno dei segni della degenerazione in atto.
Il deputato del Pd consiglia al Cavaliere di accettare una soluzione analoga a quella che portò all’incarico a Dini: «Allora non si chiamò fuori»
Fonte: Avvenire - Gianni Santamaria | vai alla pagina » Segnala errori / abusi