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Fiat. «Restare qui si può. Ma per nuovi rapporti con il sindacato Fiat rimuova il nodo Melfi» - INTERVISTA
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(27 agosto 2010) - fonte: Avvenire - Eugenio Fatigante - inserita il 27 agosto 2010 da 31
Non c’è dubbio che per le relazioni industriali oggi in Italia servano «grandi cambiamenti», ma per partire bene, Fiat deve rimuovere lo 'stallo' di Melfi. Il governo, da parte sua, deve dire «una parola definitiva» sull’industria dell’auto, se la ritiene strategica o no. Davanti al discorso di Marchionne, il 40enne Matteo Colaninno si pone nel doppio ruolo di responsabile per l’industria del Pd e di vicepresidente di Piaggio.Marchionne dice che «la scelta straordinaria è restare in Italia». Condivide?
Condivido la sua richiesta di garanzie per poter gestire gli impianti in modo affidabile. Ma vorrei che nel mio Paese non fosse straordinario rimanere. Auspico che gli imprenditori possano convincersi che l’Italia può restare un centro importante. Come lo è per Piaggio.
Partiamo dall’antefatto. Lei avrebbe licenziato i tre operai di Melfi?
Se fosse realmente sabotaggio, avrei preso una misura severa. Ma nel momento in cui un tribunale emette una sentenza, questa va applicata senza se e senza ma. Quando noi imprenditori parliamo del valore del capitale umano, lo dobbiamo fare fino in fondo. Questo è imprescindibile e non può essere messo sul piatto della bilancia soppesandolo rispetto agli investimenti da fare in Italia.
Chiaro. Marchionne sottolinea però che questo Paese non ha voglia di cambiare.
Non c’è dubbio che il passaggio di testimone del traino produttivo dall’Occidente all’Oriente impone grandi cambiamenti, anche per le relazioni industriali, piano al quale guardano gli investitori esteri. La logica conseguenza è che bisogna creare un clima migliore per queste relazioni. Per questo, viste le premesse e la cornice del discorso di Rimini, mi sarei aspettato un superamento della fase più acuta a Melfi. Ho comunque apprezzato l’adesione all’invito del presidente Napolitano.
Ma cos’ha in mente la Fiat?
Questo non lo so. Ma più che altro vorrei sapere cos’ha in mente il governo. Perché il dato di partenza è che, nelle politiche della grande industria automobilistica, dopo la crisi sono scesi in campo gli Stati. Negli Usa Obama ha ritenuto giusto spendere i soldi dei contribuenti per questo. Anche Sarkozy in Francia, davanti a una Renault che aveva portato fuori 2 milioni di auto prodotte. In Italia il governo è assente, non sappiamo se ritenga strategico o no sostenere la grande industria. E senza questa premessa, la via obbligata per chi fa impresa è cercare livelli elevati di produttività del lavoro, rimuovendo ogni ostacolo.
Marchionne pare puntare a questo. Ha rifiutato la proroga degli incentivi.
Ma ciò non toglie che si debba esigere una strategia dal governo. Mentre l’unica che si intravede è quella 'di Pontida', cioè l’atteggiamento sbagliato e anti-storico della Lega che spara sulla grande azienda pensando con ciò di aiutare i Piccoli. Senza capire che la crisi rischia di pesare molto proprio su di loro. Oggi chi sta meglio è chi è riuscito a bilanciare una permanenza in Italia con presenze dirette nei Paesi che più crescono.
Si dice che Torino voglia superare il contratto nazionale dei metalmeccanici.
Non serve questo. Il contratto nazionale mantiene una valenza importante, nell’ambito dei diritti. Ma è chiaro che, in un mercato in cui è ormai impossibile programmare linearmente la produzione, vadano potenziati i contratti di secondo livello. In Piaggio, a esempio, quest’anno i lavoratori italiani hanno beneficiato anche dei livelli di produttività più alti tenuti in Vietnam e in India perché avevamo un parametro che legava a questa voce parte del premio di produzione. Sull’esigenza di un’organizzazione del lavoro più dinamica Marchionne ha ragione.
Il governo deve dire «una parola definitiva sull’industria dell’auto, se la ritiene strategica»
Fonte: Avvenire - Eugenio Fatigante | vai alla pagina » Segnala errori / abusi