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Dichiarazione di Tiziano TREU

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

La Germania è un modello innanzitutto sociale

  • (10 settembre 2010) - fonte: PdSenato - inserita il 09 ottobre 2010 da 861

    Il modello economico tedesco che sembrava demodè rispetto a quello anglosassone è tornato in auge come indicano diversi voci nel dibattito d inizio autunno da quella di Draghi a quella di Bonanni. Non si tratta di copiare modelli; è inutile che Tremonti ce lo ricordi. Ma è utile riflettere sulle ragioni del successo tedesco per trarne se possibile indicazioni per la nostra ripresa.

    La crisi ha mostrato la fragilità non solo finanziaria del liberismo inglese e dello stesso esperimento blairiano che pure aveva esercitato tanto fascino anche da noi mentre la Germania con la sua economia sociale di mercato è il paese europeo che sta reagendo meglio. I suoi buoni risultati mostrano che è possibile uscire dalla crisi e indicano alcuni punti di forza per affrontare anche da noi quella fase due della ripresa di cui tanto si parla e poco ragiona.

    E' vero come sostiene Di Vico (sul Cornere del 5 settembre) che la nostra economia presenta maggiori affinita con quella tedesca che con quella britannica. Anche noi siamo un paese a vocazione industriale (sia pure con aziende troppo piccole) abbiamo buone capacità di export, una forte base di risparmio delle famiglie e una minore volatilità del sistema finanziario. Ma questo non basta. E infatti le nostre performance economiche sono ben lontane non da oggi da quelle tedesche.
    In realtà il modello della Germania non è solo economico ma anche sociale. Per questo esso si caratterizza come una economia "sociale" di mercato.

    Il valore della partecipazione, radicato nella, tradizione tedesca permea sia l'azione sociale sia quella economica. In economia motiva la spinta delle parti verso obiettivi comuni primo fra tutti la competitivita del sistema. Le conseguenze si vedono nella politica economica e industriale. Le grandi scelte risultano da un confronto positivo fra istituzioni e imprese e che individua gli obiettivi prioritari su cui far convergere le risorse pubbiche e private. Non occorre copiare le forme del modello tedesco. Ma anche a noi occorre una simile capacità di scelta se non vogliamo continuare a sprecare le scarse risorse in mille rivoli ma impostare una politica industriale efficace.

    Quella che ci indica il presidente Napolitano e che sollecitano sempre con maggiore insistenza anche gli imprenditori.

    La politica industriale che serve non è dirigistica, ma partecipata come nel sistema tedesco. Questo era il metodo del progetto industria 2015 lanciato nel 2008 da1 governo Prodi e poi insabbiato dall'esecutivo attuale. Perchè non riprovarci insieme. Maggioranza e opposizione? Sarebbe un buon segnale per il paese.

    Il valore della partecipazione ispira anche le politiche sociali tedesche. La Germania ha meno diseguaglianze e più mobilità sociale di noi. Ha saputo riformare il suo welfare anche i costi nei punti troppo generosi.

    Ha ridimensionato le spese di assistenza e ha rafforzato le politiche attive del lavoro della formazione e della ricerca. Per questo la Gerniania non ha i nostri tragici livelli di disoccupazione giovanile.

    La logica della partecipazione orienta infine i rapporti di lavoro nelle imprese tedesche e non si identifica con la cogestione come si crede da noi. Il suo contenuto più importante e l'impegno comune delle parti per migliorare la competitività delle imprese e per condividerne i risultati nei bene e nel male. Il legame tra salari e produttività ha contribuito a far ottenere ai lavoratori tedeschi retribuzioni più alte delle nostre.
    La consapevolezza di obiettivi comuni ha permesso ai sindacati tedeschi non certo arrendevoli nel pretendere la loro parte nei periodi di crescita, di concordare sacrifici nei momenti di crisi.

    La forma della cogestione non è trasferibile in Italia e non è presente nella proposte in esame al Senato anche a mia firma. Ma è applicabile la sostanza della partecipazione nelle impresa.

    Questo è l'insegnamento che si dovrebbe trarre anche dal caso di Pomigliano. La provocazione di Marchionne raccolta dalla Federmeccanica con la disdetta del contratto nazionale pone l'urgenza di migliorare la competitività delle aziende. Ora questa provocazione va colta con una applicazione collaborativa dell'accordo e con una revisione del contratto nazionale concordato.

    Altrimenti la sfida sarà persa e con essa investimenti e posti di lavoro. Su questo tutti devono riflettere sia l'azienda sia i sindacati comprese CGIL e FIOM. I sindacati pretendano di essere coinvolti nelle vicende aziendali e di partecipare ai risultati come hanno fatto quelli tedeschi e statunitensi dell'auto.

    Pomigliano è una sfida. Ma il modello da seguire e quello di una gestione partecipata e affidabile dei rapporti di lavoro un modello gia praticato da molte aziende italiane che non hanno la cogestione ma curano rapporti partecipativi e di fiducia con i lavoratori e con i sindacati compresa la CGIL. Per cogliere questi orientamenti occorre una vera conversione verso quei valori di partecipazione e di coesione sociale diffusi nel sistema tedesco, ma ancora lontani dalla nostra pratica.

    Questo è un obiettivo ambizioso che richiede una mobilitazione durevole della società civile e politica.
    Ma qualche primo passo si può fare subito con iniziative condivise dalle forze politiche e sociali. Una politica industriale innovativa e relazioni di lavoro più affidabili e partecipate nell'impresa sono due elementi fondamentali per la ripresa. Anche questo è stato autorevolmente ricordato nel dibattito di questi giorni: speriamo che serva.

    Fonte: PdSenato | vai alla pagina

    Argomenti: sistema tedesco, Cgil, pomigliano d'arco, coesione sociale, Fiom, relazioni industriali, Marchionne | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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