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Dichiarazione di William TAMI
Alla data della dichiarazione: Consigliere Consiglio Comunale Pavia di Udine (UD) (Gruppo: Lega)
Basta morti sul lavoro. " La Vita ha un valore che è inestimabile"
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(16 settembre 2010) - fonte: blog - inserita il 16 settembre 2010 da 13352
È possibile morire a nemmeno trent’anni semplicemente perché ci si è recati al lavoro come ogni giorno? È possibile salutare i genitori o la ragazza la mattina e, subito dopo il caffè coi colleghi, non fare più ritorno? È concepibile in un mondo ossessionato dalle misure di sicurezza, che obbliga a mettere il casco anche in bicicletta, rimanere vittima di un maledetto carico sospeso che sembrava aspettare proprio te? Sì, lo è. E lo è ogni giorno. Anche in un Paese “ricco” e “sviluppato” come il nostro. In Italia, considerando solo i dati ufficiali, la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005 è stata di 1328 morti ogni anno, più di 3.5 al giorno. Nel 2006, 1280 “morti bianche”, nel 2007 ben oltre i mille, e così via, fino ad oggi. Sono cifre da guerra, come afferma il sito "Caduti sul Lavoro" “una guerra combattuta giorno per giorno da gente costretta a lavorare per pochi soldi, senza difese, senza tutele”. Denuncia legittima, che però rischia di offuscare la potenza delle circostanze, l’incredibile sincronismo delle coincidenze, il perverso calcolo al minuto della cattiva sorte, e di perdere di credibilità quando vi si legge la presenza di uno dei maggiori partiti politici o le testimonianze di sindacati che, insieme ai partiti, non sembrano avere fatto in modo di cambiare la situazione. Purtroppo ci sono davvero situazioni in cui, per risparmiare sui costi, si taglia anche sulla sicurezza. Ma è anche la fatalità ad essere sempre in agguato, sempre pronta a ricordarci quanto sia fragile la nostra realtà, quanto non dovremmo dare nulla per scontato, o quanto non dovremmo prendercela per delle sciocchezze. La rabbia sale se si pensa come quelle persone che, secondo noi, non meriterebbero di stare al mondo un minuto di più (assassini, stupratori, criminali di vario tipo operanti più o meno nella “legalità”) facciano - magari a spese nostre - la “bella vita”, mentre un ragazzo che sta mettendo su famiglia, o un padre che già ce l’ha, debba fare una tale fine. Così, da un giorno all’altro. E quando la rabbia sale ci si pone delle domande sulla vita, su Dio, sulla politica, sulle regole, sull’enorme non-senso che all’improvviso diventa il gigantesco carosello su cui giriamo, giorno dopo giorno, alla continua ricerca di un minimo di equilibrio, o di un modo per tirare avanti dignitosamente. Domande, senza ovviamente la speranza di una risposta. Dio c’è? In ogni caso non risponde. E le Istituzioni? Più sorde del Creatore. Cosa fare allora, a parte rassegnarsi, o abbandonarsi alla follia? IO SON FIGLIO DI UNA VITTIMA SUL LAVORO, E SO COSA VUOL DIRE PERDERE COSì UN PADRE E NON LO AUGURO A NESSUNO.
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