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Dichiarazione di Ramon MANTOVANI
Un buon congresso
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(24 novembre 2010) - fonte: Blog Ramon Mantovani - inserita il 16 febbraio 2011 da 1488
Senza nasconderne i limiti e i problemi è opportuno sottolineare i passi avanti e i risultati positivi del Congresso della Federazione della Sinistra. 1) la Federazione è stata immaginata, proposta e discussa a lungo per reagire e rispondere a due problemi posti dalla sconfitta del 2008 e all’idea che per unire la sinistra si dovessero cancellare le identità e sciogliere le organizzazioni comuniste. I due problemi sono: la frammentazione e dispersione delle forze politiche della sinistra e la tendenziale subalternità al PD, sia nella versione governista sia in quella testimoniale, entrambe prodotte del bipolarismo. Alla fine è chiaro che la Federazione è un progetto strategico che si propone di unire la sinistra anticapitalista italiana. Non una generica sinistra senza principi e senza confini. Non l’unità comunista con la promozione di una dialettica a sinistra sulla base di discriminanti ideologiche. Per altro non chiare sul versante delle scelte politiche, a cominciare dal rapporto col PD e con la questione del governo. E’ stato molto faticoso in questi due anni superare le spontanee e/o maliziose interpretazioni e proposte di una Federazione come partito unico dei comunisti con l’aggiunta di qualche indipendente, che avrebbero prodotto nuove divisioni e una forza politica tanto capace di esibire una identità astratta e sempre meno attrattiva, quanto incerta e moderata nelle scelte politiche. Il compito della Federazione è chiaro. Costruire, nel vivo delle lotte, un programma di fase per l’uscita a sinistra dalla crisi capitalistica e su questa base partecipare alle elezioni a tutti i livelli. Sono due compiti, collegati intimamente fra loro, che necessitano dell’unità di tutte le donne e gli uomini che pensano che la critica del capitalismo, e del modello sociale conseguente, sia la base indispensabile per rapportarsi con le lotte e per costruire un programma autonomo ed indipendente dal centrosinistra, per sua natura ambiguo o addirittura apologetico nei confronti del mercato e del liberismo. L’unità si deve fare, quindi, sul punto fondamentale di cui necessita la lotta di classe ed ogni movimento di trasformazione, senza che nessuno, collettivamente o individualmente, debba rinunciare ad un grammo della propria cultura politica e soprattutto delle proprie pratiche. Senza egemonismi (che sono sempre stati il contrario dell’egemonia) e senza riduzioni ad uno o semplificazioni che, come insegna l’esperienza, hanno sempre e solo prodotto nuove divisioni. In altre parole la Federazione vuole essere il luogo politico dell’unità dei partiti, delle associazioni e comitati, delle persone che decidono di fare quelle due cose insieme in modo democratico e che continueranno ad avere le proprie differenze culturali, di pratiche politiche e di organizzazione per fare tutto il resto. Ovviamente questo è difficile da capire e digerire per chi pensa che un partito, comunista o meno, debba solo elaborare programmi e liste elettorali e partecipare al “gioco politico” nelle relazioni fra partiti nelle istituzioni. Come è difficile da capire per chi, impegnato in lotte e attività sociali, pensa che la rappresentanza delle stesse possa essere risolta al momento delle elezioni con la scelta di una lista, o peggio ancora di un leader, rifiutando o accettando il ricatto del bipolarismo e del meno peggio con l’astensione o con il voto utile. Ma su questo punto documento e statuto della Federazione sono chiarissimi. Restano nel corpo militante e fra le persone di sinistra molte perplessità ed anche una notevole dose di confusione. Dovute al fatto che i mass media le poche volte che hanno parlato del nostro progetto lo hanno fatto occultando, per ignavia o per malizia fa lo stesso, la vera portata della proposta unitaria per descriverlo, invece, come orticello comunista privo di una proposta politica. Ed anche dovute al fatto, bisogna pur dirlo, che molti militanti sono totalmente disabituati a fare ragionamenti complessi di fronte a problemi complessi. Che non leggono e non studiano nemmeno i documenti politici per poi affidarsi alle semplificazioni dei mass media e/o per discutere sulla base di suggestioni e soprattutto di contrapposizioni astratte e demagogiche. Ma, lo ripeto, essendo chiaro il progetto della Federazione c’è la possibilità, con pazienza e perseveranza, di farlo vivere e crescere. Innanzitutto con il lavoro di allargamento della Federazione, sia a livello locale con collettivi e persone impegnate nelle lotte, sia a livello nazionale ribadendo la necessità di unire davvero tutta la sinistra anticapitalista. La Federazione vuole essere l’unità di tutta la sinistra anticapitalista. Attualmente non lo è affatto, anche se non è poco aver invertito la tendenza alla divisione e unito ciò che fino a ieri sembrava impossibile unire. Sul piano delle forze organizzate permangono profonde divisioni. Sul piano delle persone di sinistra senza partito permangono diffidenze, dubbi e soprattutto contrarietà dovute alle pratiche autoreferenziali, elettoraliste e istituzionaliste dei partiti, Rifondazione compresa. Da una parte alcune formazioni, come Sinistra Critica, PCL ed altri, e dall’altra SEL hanno proposte politiche contrapposte e, lo dico brutalmente, totalmente subalterne al bipolarismo. Da una parte l’idea che la ripetizione ossessiva di slogan radicali e di anatemi ideologici (spesso scagliati contro chi è più vicino) e la fuga dal problema di contribuire o meno alla cacciata di Berlusconi con il sistema elettorale esistente, possa costituire la base per l’accumulazione di forze sufficienti per cambiare qualcosa di concreto. Dall’altra l’idea che cavalcando (con successo) proprio uno degli aspetti più deleteri (e distruttivi di tutte le culture critiche della sinistra) del bipolarismo si possa ottenere una ristrutturazione del centrosinistra che apra le porte ad una svolta di sinistra reale nel paese. Non è necessario ripetere per l’ennesima volta quanto queste idee siano illusorie e quanto siano corrispondenti esattamente al disegno sulla base del quale è fondato il bipolarismo. Ridurre alla testimonianza impolitica le istanze radicali o trasformarle in “speranze”, tanto suggestive in campagna elettorale quanto irrealizzabili in un governo, comunque dominato dai poteri economici e dal vaticano. Non sono differenze sostanziali di contenuto, come la contrarietà alla legge trenta, il ritiro dall’Afghanistan, l’opposizione alle politiche economiche dell’UE ecc a motivare una divisione che persiste. Sono scelte ideologiche e di linea politica che impediscono l’unità. Indulgere all’infinito in discussioni circa il novecento e il nuovismo o fare la gara a chi è più comunista o più radicale è insensato, oltre che inutile. La Federazione deve rispettare i progetti altrui, pretendere il rispetto per il proprio, e soprattutto deve continuare a ribadire, con ostinazione, che permanendo i progetti e le linee diverse, sui contenuti di lotta si può e si deve combattere insieme. E che anche il confronto, su progetti e linee diverse, si può e si deve fare a partire dal riconoscimento della centralità dei contenuti che uniscono. Proprio per misurare l’efficacia dei progetti e delle linee rispetto al rafforzamento delle lotte e al raggiungimento di obiettivi concreti per milioni di italiani. Alla manifestazione del 16 ottobre c’era la sinistra reale di questo paese. I contenuti della piattaforma della FIOM (ben ribaditi nell’intervento di Landini al congresso) per la Federazione possono essere sposati integralmente e possono essere la base per discutere con SEL come con Sinistra Critica e il PCL sul come farli diventare obiettivi concreti, oggi e subito. E’ il modo concreto per rispondere a quella domanda di rappresentanza politica che è salita dalla manifestazione. Mentre citarli strumentalmente per scagliarli contro altri, che pure li condividono, per farli diventare un espediente retorico e demagogico al servizio di proposte politiche che, essendo interne alle logiche bipolari, li riducono a slogan impotenti o a sogni irrealizzabili è il contrario. Per il banale motivo che alla fine, o la piazza e i suoi contenuti saranno in grado di dare una spinta all’unità a livello politico della sinistra o le diverse opzioni della sinistra mortificheranno e divideranno la piazza e il movimento di lotta. E non avrà molta importanza ciò che dicono i sondaggi o diranno gli stessi voti elettorali se la sinistra politica che dice di condividere quei contenuti sarà divisa in tre pezzi in lotta fra di loro. Perciò è giustissimo che la Federazione, ben sapendo le differenze di progetto e di linea che esistono con altri, continui a sfidarli su questo terreno della discussione. 2) sebbene non si possa dire di possedere un programma di fase, complesso e articolato, capace di unificare i fronti di lotta e di accumulare le forze per passare dalla resistenza ad una controffensiva del mondo del lavoro e dei movimenti progressisti, il congresso ha chiarito a definito alcune linee di fondo sulla base delle quali costruire un tale programma. E su queste basi ha approvato e sancito una proposta politica chiara ed inequivocabile. C’è nel documento e c’è stata nel dibattito l’idea che alla finanziarizzazione e al mercato senza regole liberista sia necessario assegnare al mondo del lavoro il ruolo di fulcro dell’unità di tutte le lotte. Come è già stato evidente nella manifestazione della FIOM del 16 ottobre. La Federazione ha chiaramente l’idea della costruzione di tale unità sulla base di una alleanza strategica dei movimenti ambientalisti e dei diritti civili con quello dei lavoratori, degli studenti, dei precari e degli immigrati. La Federazione propone cose precise per l’oggi. Sulla base di scelte di fondo che in politica economica sono totalmente controcorrente rispetto agli indirizzi dell’Unione Europea, a cominciare dalla riproposizione dell’intervento pubblico in economia e dalla subordinazione dei bilanci e delle politiche monetarie rispetto ai diritti sociali. Che in politica estera sono contrapposte a guerre e spese militari sostenute da tutti i partiti socialisti, socialdemocratici, e in Italia del PD. Che sulle politiche sociali e dei diritti sono all’opposto dei “patti sociali” di confindustria e alla subalternità al vaticano. E’ su queste basi, e non su altre, che è stata approvata la proposta di dare vita ad una alleanza democratica in difesa dei principi costituzionali, per battere Berlusconi, senza fare un impossibile accordo di governo. Al di la di sfumature, di suggestioni, di ovvie differenze culturali e perfino di propensioni ben visibili sulla stampa e in diverse dichiarazioni e discorsi, questo è quanto è stato deciso ed approvato. Con il dissenso dei compagni di Falce e Martello sul versante di sinistra e con quello del documento di una parte di Rifondazione (primo firmatario Bonadonna) sul versante di destra. Questa proposta politica è stata accettata e difesa, nei loro discorsi, da Salvi, da Patta, da Diliberto, oltre che da Ferrero. Con toni e sfumature diverse? Ovviamente si. Ma senza che sia stata proposta alcuna alternativa. Per altro, voglio dire esplicitamente che io sono d’accordo con Diliberto quando dice che se si fa un accordo senza entrare al governo questo non comporta che il confronto con il PD e con gli altri partiti di centrosinistra, a cominciare da SEL, debba escludere temi sociali e concreti che riguardano milioni di persone. Non fosse altro che è proprio sulla base di quei temi sociali, e non su anatemi astratti, che si misura la distanza e la stessa impossibilità di fare un governo insieme. Come non esclude che si facciano anche proposte e accordi minimi su temi specifici. Esattamente come bisogna sempre fare in qualsiasi istituzione con qualsiasi governo. Infine è chiara l’idea che l’obiettivo di superare il bipolarismo sia prioritario, come è chiara la contrarietà a qualsiasi uscita dalla crisi del centrodestra sulla base di governi tecnici o simili. Questi indirizzi programmatici di fondo e la proposta politica dell’alleanza democratica senza accordo di governo sono la linea politica della Federazione per navigare nella complessa situazione della crisi economica, della offensiva liberista e padronale e della crisi latente del governo Berlusconi. Questa è la linea politica sulla base della quale confrontarsi a tutto campo con chiunque, con il massimo di apertura e di duttilità tattica. 3) la vita della Federazione è stata contraddistinta, fino a qui, da una inevitabile logica pattizia fra le forze che hanno partecipato alla sua fondazione. È inutile menare scandalo per questo. Senza quella logica pattizia non ci sarebbe nessuna unità con basi solide per resistere a qualsiasi novità sulla scena politica. Non ci sarebbe la forza organizzata minima per sorreggere e sviluppare nessuna linea politica. La permanenza di divisioni (anche elettorali) avrebbe provocato la definitiva e più che giustificata delusione di altre decine di migliaia di militanti e il totale disorientamento dei potenziali elettori. Lo statuto approvato definisce con chiarezza che il futuro della Federazione sta nelle mani degli iscritti e delle iscritte. Il principio di una testa un voto è inequivocabile. Come lo è quello delle maggioranze qualificate al fine di evitare che chiunque possa sopraffare gli altri. Soprattutto al fine di impedire che coalizioni improvvisate di correnti possano snaturare la Federazione e cambiare la linea sulla base di cordate e di manovre di corridoio. Ma qui comincia la vera sfida. E bisogna avere la consapevolezza che la sfida è persa in partenza se si usa la demagogia e il basismo. A nulla vale il principio di una testa un voto se poi dobbiamo fare il prossimo congresso con una decina di documenti politici in guerra fra loro. A nulla vale il principio delle maggioranze qualificate se provoca solo mediazioni al ribasso. A nulla vale la Federazione con compiti ben precisi sui quali cercare permanentemente l’unità se poi si portano nella federazione discussioni su compiti e contenuti propri dei partiti che la compongono ed estranei a quelli della Federazione. Ma queste cose attengono alla maturità e alla qualità dei gruppi dirigenti e dei militanti. Attengono perfino all’onestà intellettuale con la quale si discute e al principio di lealtà verso chi la pensa diversamente. Non c’è norma statutaria e non c’è declamazione di principio che possano magicamente infondere qualità e buon senso in chi non legge, non studia, non ascolta, e pensa che qualsiasi mezzuccio o manovretta di corridoio sia un mezzo lecito, giustificato dal fine di imporre ciò che vuole agli altri. La democrazia funziona non solo se si vota continuamente su tutto. Funziona se quando si vota i votanti sanno cosa votano sulla base di una conoscenza approfondita e non sulla base di opzioni presentate demagogicamente, che contano proprio sulla ignoranza diffusa e sulle suggestioni da quattro soldi. Funziona se dopo aver votato qualcosa chi è in disaccordo non tenta di impedirne la realizzazione o non tenta ad ogni riunione, su qualsiasi tema sia convocata, di riprodurre sempre la stessa discussione. Funziona se dopo una decisione chi si è dichiarato d’accordo votandola non fa subito un bell’articolo che la contraddice. Magari al fine di marcare la differenza necessaria a giustificare l’esistenza della propria corrente o, peggio ancora, al fine di ritagliarsi uno spazio politico personale fittizio da usare per rivendicare un posticino negli organismi e nelle liste. E potrei continuare. Queste cose affliggono tutti a sinistra. Non esistono scorciatoie leaderistiche e basiste che possano risolvere questi problemi. Al contrario sia il leaderismo sia il basismo alimentano passività, ignoranza e superficialità all’ennesima potenza. Solo la fatica di una lotta culturale e ideologica attiva e permanente, con l’obiettivo di curare la malattia e salvare il malato, può sortire degli effetti positivi. Solo valorizzando le pratiche sociali e culturali ricche, alla lunga, si possono superare le discussioni astratte che sono il terreno privilegiato per le cordate e i personalismi di tutti i tipi. 4) sebbene sia chiaro che la Federazione non è l’unità dei comunisti, tanto che al congresso tutti gli emendamenti che insistevano sul tema sono stati giustamente dichiarati inammissibili, il tema esiste ed è bene discuterne. E’ evidente che proprio nel momento nel quale il PRC e il PDCI condividono lo stesso progetto di unità della sinistra anticapitalista e la stessa proposta politica è necessario affrontare seriamente il tema. Non lo era prima sia perché avrebbe sostituito e fagocitato il progetto dell’unità della sinistra anticapitalista e perché avrebbe subordinato la scelta della linea politica ad una immatura unificazione organizzativa dei due partiti. Oggi il tema dell’unità comunista è da affrontare seriamente. Dico oggi ma è evidente che in caso di elezioni anticipate sarebbe idiota metterlo al centro delle nostre attenzioni. Resta da vedere se si vuole affrontare sulla base di una suggestione e come se le differenze culturali, di concezione politica ed organizzativa del partito, fossero all’improvviso sparite. La demagogia dell’unità, per ricevere applausi, scagliata contro altri implicitamente accusati di non volere l’unità, non produce unità. Bensì diffidenze e nuove divisioni. Nessuna persona dotata di buon senso pensa che due, tre, quattro o cinque partiti comunisti siano meglio di uno. Non fosse altro che per il banale motivo che il numero e l’attività complessiva dei militanti si riducono proporzionalmente al proliferare di sigle e di partiti. Fermo restando tutto ciò bisogna sapere che le differenze e le divisioni esistono. E che possono perfino aumentare con la demagogia e con le semplificazioni. Se, per esempio, Rifondazione dicesse una cosa banale e apparentemente di buon senso come “chi è uscito dal partito ritorni, le nostre porte sono aperte e non chiediamo nessuna autocritica” provocherebbe solo un solco più profondo con gli altri e anche nuove divisioni al proprio stesso interno. Se di unità c’è bisogno e se di unità è opportuno parlare bisogna farlo seriamente e con i piedi piantati per terra. L’unità dei comunisti è innanzitutto un tema ideologico, politico e culturale. Non un tema organizzativo per unificare due o più gruppi dirigenti. L’unità dei comunisti non è un tema sostitutivo dell’unità della sinistra anticapitalista. Ci sono due terreni precisi sui quali fondare la discussione sull’unità dei comunisti. Il primo è quello delle pratiche sociali condivise, è lo stare nelle lotte e nel radicamento sociale insieme, senza egemonismi e stupide competizioni, è quello sul quale avviare con i soggetti sociali l’elaborazione di obiettivi di lotta. Il secondo è quello dell’analisi del capitale e della formazione sociale plasmata dal capitalismo di questa fase storica. È quello della difesa della propria storia dal revisionismo imperante e, al tempo stesso, della critica della propria storia. È quello della critica di un modello organizzativo e di una concezione del partito verticistico, intriso di predominio maschile e di istituzionalismo. Senza che questa critica dia luogo a sette o, peggio ancora, a leaderismi e basismi che di democratico non hanno nulla. Insomma, come si vede i problemi sono seri. E a nulla vale ignorarli unificando due o più partiti per poi tornare a dividersi, in modo lacerante, alla prima occasione nella quale i problemi che si credevano superati si ripresentano violentemente. Comunque non è questa la sede per approfondire questo tema. Penso che il prossimo congresso del PRC debba offrire una proposta e una discussione a tutte le comuniste e a tutti i comunisti di questo paese. Una proposta e una discussione capaci di far scoprire a molti e a molte di essere comunisti. E di far scoprire a molte e a molti che si ritengono comunisti di non esserlo sul serio. Ma questa è un’altra storia… ramon mantovani
Fonte: Blog Ramon Mantovani | vai alla pagina » Segnala errori / abusi