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Luigi de MAGISTRIS in data 03 dicembre 2010
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Giocondo TALAMONTI in data 01 dicembre 2010
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Paolo FERRERO in data 27 novembre 2010
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Cesare DAMIANO in data 27 novembre 2010
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Marco CAPPATO in data 27 novembre 2010
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Leonardo RAITO in data 25 novembre 2010
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Dario FRANCESCHINI in data 25 novembre 2010
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Paolo FERRERO in data 25 novembre 2010
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Nichi VENDOLA in data 23 novembre 2010
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Giovanni CHIODI in data 23 novembre 2010
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» Perché siamo contari al Ddl Gelmini sull'Università
Dario FRANCESCHINI in data 23 novembre 2010
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Cesare DAMIANO in data 23 novembre 2010
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Dario FRANCESCHINI in data 22 novembre 2010
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» FIAT:IL LINGOTTO CONVOCHI TUTTI I SINDACATI
Cesare DAMIANO in data 21 novembre 2010
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» «Basta potere di veto sui contratti. Il sindacato guardi alla Germania» - INTERVISTA
Pietro ICHINO in data 19 novembre 2010
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Paolo NEROZZI in data 19 novembre 2010
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Paolo FERRERO in data 19 novembre 2010
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Pier Luigi BERSANI in data 16 novembre 2010
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Cesare DAMIANO in data 16 novembre 2010
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Pietro ICHINO in data 15 novembre 2010
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Dichiarazione di Luigi de MAGISTRIS
Un nuovo 1968? Speriamo di sì…
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(03 dicembre 2010) - fonte: micromega-online - inserita il 04 dicembre 2010 da 31
Università e lavoro. Atenei e fabbriche. Rivive il 1968? Si, rivive nelle coscienze di oggi, quelle vigili e vive dei giovani che dimostrano consapevolezza dei loro diritti e che sanno capire quando essi sono minacciati. E che soprattutto non si arrendono, non cedono, non indietreggiano ma scelgono di combattere.E’ un 1968 in versione aggiornata, caratterizzato da nuovi strumenti di comunicazione come la Rete, per mezzo della quale ci si parla e ci si scambia informazioni, per mezzo della quale ci si convoca alla mobilitazione.
Il mondo dell’istruzione scende in piazza per protestare, i ricercatori e gli studenti salgono sui tetti delle facoltà universitarie ed occupano luoghi simbolo della storia e della cultura nazionale, Colosseo compreso, con un impatto mediatico strabiliante che rimbalza sui blog e sui siti.
I rettori e gli insegnanti affiancano questo movimento di opposizione saldando insieme, in un unico e comune sforzo di ribellione, generazioni diverse che rivestono ruoli diversi.
A macchia d’olio, la protesta si estende come un virus salvifico in tutto il Paese, riconsegnando la speranza che la società civile non sia morta sotto i colpi del bromuro di regime, della tv commerciale, del modello produci-consuma-crepa, del dominio dell’apparire/avere sull’essenza/essere, della dittatura del benessere privato sull’interesse pubblico, del liberismo senza regole che concepisce lo Stato sociale come una zavorra.
Insomma il berlusconismo non ha vinto totalmente, come è dimostrato da queste settimane di mobilitazione contro la riforma dell’istruzione firmata Gelmini.
Una riforma che è distillato puro del berlusconismo, che rappresenta una negazione della democrazia, che risponde ad un piano preciso neo-autoritario messo a punto da questo esecutivo. Un piano che ha due terreni di intervento principali: l’istruzione e il lavoro. Piegare questi due pilastri della democrazia significa controllare la democrazia stessa.
Le scuole e le università ridotte a serbatoi di giovani cervelli spenti e le fabbriche a spazi di contenimento di automi meccanici, centrando così l’obiettivo: rendere le coscienze controllabili e manovrabili.
Riforma Gelmini e piano Marchionne-Confindustria-parte dei sindacati sono speculari perché servono lo stesso fine del governo. Un piano tanto pericoloso quanto vecchio, a cui risponde per fortuna la protesta sociale e la disobbedienza civile, che l’esecutivo cerca di criminalizzare e soprattutto di provocare, magari per mezzo della militarizzazione degli spazi del dissenso come accaduto a Roma: il Palazzo blindato durante l’approvazione del ddl Gelmini, un dispiegamento di forze dell’ordine dislocate per tutta la città, ridotta a paesaggio spettrale. Roma città fantasma da golpe.
La tecnica è antica, nemmeno troppo raffinata. E’ andata in scena a Genova col G8 del 2001 ed è stata riproposta a L’Aquila nel post terremoto. Il piano è invece chiarissimo. Si tenta di affondare la formazione pubblica per salvaguardare quella privata, quindi trasformare un diritto di tutti in privilegio di pochi; rendere gli atenei degli incubatori di servizievoli esecutori senza capacità critiche, esponendoli ai cda delle grandi aziende affinchè vi attingano gli odierni precari di cui hanno bisogno e che poi destinano ad un futuro di schiavitù; depotenziare la ricerca tirando la cinghia degli investimenti, quando in piena crisi una democrazia moderna stornerebbe tutte le risorse in essa senza tentennamenti, perché unico terreno su cui costruire lo sviluppo stabile che arricchisce un paese intero.
Parallelamente, come nel ‘68, alle proteste degli studenti si accompagnano le manifestazioni dei lavoratori in difesa dell’occupazione e dei diritti, che si chiamano contratto nazionale, tempo indeterminato, concertazione, unità sindacale, referendum, salario proporzionato, sicurezza e salute. Ispirato da Tremonti, infatti, il ministro Sacconi sta attuando una contrazione della sfera dei diritti dell’occupazione, sterilizzando lo Statuto e svuotando la Costituzione. In ultimo con il collegato al lavoro, in cui spicca la restrizione dei tempi per ricorrere contro il licenziamento, in primis con la ‘partita Fiat’ su Pomigliano, giocata in realtà sulla pelle di tutti i lavoratori.
Pomigliano come modello del lavoro che sarà, o meglio del lavoro come vorrebbero che fosse, Pomigliano come modello da esportare su scala nazionale. Abrogare il contratto nazionale aprendo la strada alla giungla del contratto aziendale, con il lavoratore solo davanti al datore di impiego, quindi debole e ricattabile, disponibile anche a cedere sul fronte del diritto (pause, orari, malattia, sciopero).
Smantellando anche ogni difesa sindacale per mezzo della ingiusta pratica degli accordi separati che isolano quella rappresentanza dei lavoratori che invece resiste e vorrebbe fosse affidato a loro, con il referendum, l’ultima parola. E’ dunque un nuovo 1968? Speriamo di si. Se non lo fosse, ce ne sarebbe comunque bisogno, e allora dovremmo augurarcelo. Soltanto ritrovando l’unità tra sapere e lavoro, come diritti di tutti, soltanto con un asse fra fabbriche e atenei sarà possibile respingere questo tentativo distruttivo della democrazia.
E’ un dovere di noi tutti lottare per questo. Come in una bella canzone di De Andrè, infatti, "anche se voi vi crede assolti, siete lo stesso coinvolti".
Fonte: micromega-online | vai alla pagina » Segnala errori / abusi