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Dichiarazione di Clemente MASTELLA
«Vi racconto io il mercato dei deputati» - INTERVISTA
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(11 dicembre 2010) - fonte: Il Giornale - Stefano Zurlo - inserita il 13 dicembre 2010 da 31
«I partiti sono strutture prive o quasi di democrazia e le correnti non esistono più».Di calciomercato se ne intende: «Mi chiamavano il Moggi della sinistra». Clemente Mastella assiste allo shopping parlamentare dalla sua casa di Ceppaloni. «Io faccio l’europarlamentare, eletto con il Pdl, al momento della conta sarò nell’atmosfera rarefatta che si respira a Strasburgo, dunque non sono esposto a tentazioni e nemmeno posso essere al centro di trattative. Certo che lo spettacolo è impressionante».
Lei ha una discreta esperienza in materia.
«Io mi prestavo ad operazioni politiche».
Il verbo prestarsi è un tantino equivoco.
«Nessun equivoco».
E che cosa, allora?
«Nella Prima Repubblica il peone aveva una sua dignità».
Oggi?
«Oggi il peone non c'è più».
E chi c'è al suo posto?
«C’è il clandestino o, se vuole usare un’immagine più poetica, il naufrago».
Scusi, Scilipoti e Razzi sarebbero clandestini?
«Certo. Saltano su una zattera, prendono il largo, vagano alla ricerca di un approdo. Poveretti, li compatisco».
Veramente, a Razzi avrebbero offerto il pagamento del mutuo in caso di cambio di casacca. E lei lo definirebbe naufrago?
«Mah, io questa storia del mutuo me la spiego in un altro modo».
Quale?
«Razzi passa con la maggioranza. Giusto?».
Prosegua con la sua analisi merceologica.
«In questo modo fa un favore a Berlusconi, ma fa anche un triplo favore a se stesso».
Addirittura?
«Se la maggioranza tiene e non si va al voto, Razzi prende i suoi quindicimila euro di stipendio per altri due anni e rotti. Provi a moltiplicare quindicimila per dodici; ottiene 180mila euro. Che diventano 360mila nell’arco di due anni.
Circa 400mila euro, euro più euro meno, per il resto della legislatura».E così il mutuo è pagato.
«Ovvio. Se il governo cade, invece, addio stipendio».
E addio mutuo.
«Non solo. Razzi perderebbe anche la pensione, che oggi matura dopo cinque anni».
Che cosa manca ancora al suo elenco?
«La rielezione. È chiaro che un parlamentare tratta il suo futuro, si garantisce la sedia o comunque un posto buono nelle liste di domani».
Insomma, la fiducia vale oro?
«La fiducia, oggi come oggi, è un’assicurazione sulla vita.
I partiti sono strutture prive o quasi di democrazia e le correnti non esistono più. Dunque, chi è marginale, chi sta sul bordo- e molti dei parlamentari coinvolti nel calciomercato stanno sul bordo – ha una sola chance».La zattera?
«La zattera. Ma non s’illudano. Anche i barconi dei parlamentari, come quelli degli extracomunitari, sono destinati a capovolgersi nel mare infestato dagli squali. Su dieci ne sbarca uno, due, se vogliamo essere ottimisti».
Gli altri?
«Gli altri si devono rassegnare ad essere inghiottiti nell’anonimato da cui provengono. E dovranno ripartire senza stipendio e senza pensione».
Nella Prima Repubblica?
«Era diverso. Il peone faceva il peone per una vita, ma aveva una sua dignità. Aveva in mano un’arma formidabile, la preferenza, e poteva passare da una corrente all’altra».
Ma sempre all’interno dello stesso partito?
«Certo, erano rari, rarissimi, i passaggi da un partito all’altro. Oggi i parlamentari-naufraghi vanno da una riva all’altra: da sinistra a destra… ».
Ci mancherebbe, è la destra a Palazzo Chigi.
«Sì, ma la crisi è più ampia. Si va anche da destra a sinistra. Da destra a sinistra e poi ancora a destra e poi non si sa più neanche dove, purché il piede tocchi terra. La crisi, la crisi del bipolarismo, è generale e non riguarda solo il centrosinistra alle prese con le defezioni alla vigilia della fiducia».
Lei «comprava» voti ai tempi gloriosi della Dc?
«Ma no, gliel’ho detto, al massimo c’era il pendolarismo fra le correnti. E poi il verbo comprare a me non piace».
Ma se la paragonavano a Moggi?
«Quell’immagine è venuta dopo, nel '98, quando sotto la regia di Cossiga, il nostro De Gaulle, abbiamo inventato l’Udr. Ce ne siamo andati dal Ccd. Poi, complice la divisione, da noi non prevista, fra Bertinotti e Cossutta, abbiamo finito col sostenere il governo D’Alema dopo aver votato la sfiducia a Prodi».
Allora Prodi cadde per un voto.
Colpa della Pivetti. Che rimase a casa ad allattare il figlioletto».
Poi la Pivetti passò con voi, al tempo dell’Udeur, con la e fra la d e la r. Altra trattativa?
«Ma no, io non potevo offrire nulla. O quasi».
Quasi?
«Le ho offerto la presidenza del partito. Un minipartito, eravamo in pochi».
Eravate o era?
«Sì, lo so, c’è un uso incredibile del pluralis maiestatis».
Francesco Pionati dell’Adc alla Camera parlava al plurale, ma era solo.
«Ognuno sventola il pluralis come meglio gli pare. Noi dell’Udeur eravamo quattro o cinque. E io offrii alla Pivetti la presidenza e a Pisicchio, che si era confidato con me e mi aveva espresso il suo disagio di diniano inquieto, il posto di capogruppo. Questo potevo dare».
Alla luce del sole. In privato?
« Non ho mai offerto nulla. Quando ho lasciato il Ccd addirittura ci ho rimesso».
Poveretto.
«Mi dimisi doverosamente da vicepresidente della Camera e dovetti lasciare l’appartamento che mi spettava, un bonus extra, una segreteria con sei persone. Quella fu un’operazione politica».
Ieri la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla compravendita.
«Io non ho mai assistito a violazioni del codice».
Chi vincerà: Berlusconi o Fini?
«Per me Berlusconi sul filo di lana. E, in questo caso, sarà interessante vedere come gestirà il successo».
E se dovesse spuntarla il leader di Fli, cosa accadrà al Cavaliere?
«Superman non può perdere. Può solo morire».
Fonte: Il Giornale - Stefano Zurlo | vai alla pagina » Segnala errori / abusi