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Dichiarazione di Ramon MANTOVANI


 

Lacrimogeni e lacrime di coccodrillo

  • (18 dicembre 2010) - fonte: Blog Ramon Mantovani - inserita il 16 febbraio 2011 da 1488
    Il 14 dicembre è stato una data cruciale. Un vero incrocio dove si sono incontrate diverse cose nello stesso momento. Come in un appuntamento in parte cercato e in parte casuale. Solo in circostanze simili possono avvenire certe cose. Intanto vediamo cosa si è incontrato e scontrato per le vie di Roma. Da un lato un movimento studentesco, con rappresentanze di operai della FIOM e dei comitati di lotta territoriali. Dall’altro il potere nel giorno del voto che avrebbe potuto vedere la defenestrazione del governo Berlusconi. Da un lato i mass media dentro il palazzo e alla manifestazione e dall’altro l’opinione pubblica curiosa di vedere come sarebbe andata a finire dentro il palazzo e disinformata sulla manifestazione. Fin qui quasi nulla di nuovo. Se parliamo di “cosa” c’era all’appuntamento di Roma. Ma vediamo bene “chi” c’era all’appuntamento. Il movimento studentesco (che comprende anche una intera generazione di ricercatori precarizzati e neodisoccupati) è ben diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto. Figuriamoci da quello degli anni 70. È un movimento figlio della precarietà, che ha capito che la precarietà è un dato strutturale e fondante il modello sociale vigente e non un “sacrificio” parziale, momentaneo e necessario a rilanciare un modello includente. È un movimento che deve difendere sull’ultima trincea ciò che resta della scuola pubblica. Che sa che sull’ultima trincea si vince o si muore. Per due motivi: il primo è che già molto è stato perso nel tempo in cui i diversi governi, a cominciare dal centrosinistra con Berlinguer ministro, hanno a spizzichi e bocconi eroso non solo cose secondarie ma il cuore stesso della natura pubblica dell’istruzione e il principio dell’indipendenza della ricerca culturale dal mero mercato e dagli interessi immediati del sistema delle imprese capitalistiche. Il secondo è la consapevolezza che non sono le “necessità di bilancio” ad ispirare la “riforma” Gelmini, bensì il disegno preciso di rendere coerente il sistema formativo con il mercato del lavoro deregolamentato e con il modello Marchionne delle relazioni sindacali e dei rapporti di forza sociali. Questa è l’ultima trincea perché dietro non ce n’è un’altra da cui condurre la stessa battaglia. In altre parole c’è la consapevolezza che siamo ad un passaggio di civiltà. Dalla società dei diritti (esigibili e/o teorici) alla società del mercato e degli individui subordinati al comando del mercato e perciò competitivi fra loro. Ovviamente questa consapevolezza, come in qualsiasi movimento, ha diversi gradi di approssimazione alla vera e propria coscienza. Si presenta come “intuizione”. È spesso mediata e filtrata da “categorie” analitiche diverse tra loro. E’ anche distorta, ma ci ritorneremo, da un rapporto bastardo con la “politica” e con la rappresentazione che i mass media danno del problema. Ma c’è. Come si può vedere in un nuovo tipo di unità fra gli studenti e gli operai. Nei collegamenti solidali con tante lotte ambientali e sociali. Perché la trincea, rappresentata dal contratto nazionale e dalla difesa dei diritti costituzionali in fabbrica, su cui combatte la FIOM è anch’essa un’ultima trincea, oltre la quale tutto sarà diverso e peggiore di prima, ma soprattutto diverso. Perché il territorio abitato da comunità che difendono il diritto alla salute è anch’esso un’ultima trincea. O è a disposizione di speculazioni e operazioni “imprenditoriali” nocive, legali o illegali fa esattamente lo stesso, senza l’impaccio dei diritti dei cittadini che lo abitano, o è proprietà della comunità, che per viverlo e gestirlo deve scontrarsi con quelle stesse istituzioni, che invece di tutelarlo, come imporrebbe la costituzione, lo vogliono spogliare di qualsiasi vincolo comunitario per renderlo pienamente disponibile al mercato. Ripeto, illegale o legale fa lo stesso. L’unità fra tutti questi soggetti in una difesa consapevole dei diritti fondamentali sotto attacco non si può spiegare in altro modo. Ed è il dato saliente che rende possibile la lotta sull’ultima trincea. Gli stessi soggetti erano in piazza il 16 ottobre, insieme. In quella manifestazione c’era più tradizione dal punto di vista “antropologico” essendo prevalentemente composta da lavoratori e da militanti della sinistra. E il nemico non era a pochi metri dalla trincea. Era ancora lontano e sembrava diviso e, dopo tanto tempo, debole ed attaccabile. Fuor di metafora il governo traballava, la CGIL non aveva ancora compiuto certi passi concertativi e Marchionne non aveva ancora rincarato la dose a Mirafiori, la “riforma” Gelmini non era ancora certa. Il 14 dicembre la manifestazione era prevalentemente studentesca, e quindi visivamente diversa per simboli esibiti e per slogan, con una declinazione più chiara e radicale (io direi proprio più di sinistra nonostante le apparenze) degli stessi contenuti della precedente. Non solo per il soggetto studentesco generazionalmente più colpito direttamente sul proprio futuro (ed è importante proprio per la contesa di civiltà in corso), ma anche per le pessime “novità” degli ultimi due mesi. Chi c’era dall’altra parte? Un governo arrogante, blindato nella zona rossa, dedito all’acquisto dei voti necessari a sopravvivere. Solo il governo? Secondo me no. Bisogna guardare in faccia la realtà. Anche se mette in discussione più o meno antiche certezze. Soprattutto per evitare semplificazioni tali da indurre la più tossica falsa coscienza. E qui il discorso merita di essere, anche se sommariamente, approfondito. All’appuntamento del 14 c’è solo il solito Berlusconi cattivo che fa cose poco commendabili? Non sarà, per caso, che è l’intero parlamento e l’intero sistema politico a minacciare la trincea nella quale stanno studenti operai e cittadini in lotta? Io dico di si. E aggiungo che seppur dubbioso su molte altre cose su questa sono proprio convinto. La polizia, è stato detto da più parti, difendeva il parlamento, la “culla della democrazia”, non (o non solo) il governo. In fin dei conti, è stato detto da più parti, il governo ha vinto perché ha comprato dei voti ma adesso è debole e non ce la farà a governare, e forse, con questa cosa oscena, perderà anche consensi. (potrei continuare a elencare luoghi comuni di questo tipo, largamente diffusi). Come se fossimo non ad un passaggio di civiltà, bensì ad una qualsiasi dialettica bipolare, e come se il concetto di democrazia fosse invariabile rispetto alla natura delle decisioni che vengono prese da un parlamento. Come se non ci fosse relazione fra cosa si fa e come lo si fa. Come se non ci fosse conseguenza fra la fiducia al governo e la prossima approvazione della “riforma” Gelmini. Per chi ragiona così dovrebbero esserci molti sintomi e fatti da prendere in considerazione per provocare un serio ripensamento. Temo non ci sia l’onestà intellettuale sufficiente per farlo. Ma vediamo i sintomi e i fatti. All’accusa di aver comprato parlamentari i berlusconiani rispondono serafici: l’avete fatto anche voi, più volte, e in ogni caso dovete provarlo, altrimenti è solo il comportamento normale e costituzionale del deputato che è eletto senza vincolo di mandato. Hanno torto? Hanno ragione sia politicamente sia formalmente. Ciò cancella l’evidenza dei fatti? Certamente no, ma la riconduce alla normalità. Alla normalità del bipolarismo, aggiungo io. Il fatto che deputati eletti in un partito la cui bandiera è l’antiberlusconismo salvino Berlusconi è certamente un fatto estremo. Ma è solo la punta dell’iceberg. Perché la transumanza da uno schieramento all’altro di singoli e di partiti è diventata la normalità, guarda caso, esattamente da quando c’è il maggioritario. O no? Solo uno scemo decerebrato può dimenticare la Lega che esce dal governo per appoggiare un governo tecnico, con il corollario delle accuse a Berlusconi di essere un mafioso e la minaccia di “andare a cercare i fascisti a casa, uno per uno”. O dimenticare la mirabile traiettoria politica di Lamberto Dini. Ricordiamola perché è sintomatica. È un po lungo ripercorrerla, ma vale la pena, proprio perché è fantastica. Da direttore della Banca d’Italia a Ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi. Propone la controriforma pensionistica, si becca lo sciopero generale, il distacco della Lega dalla coalizione, la crisi di governo. E diventa Primo Ministro del governo tecnico che fa la controriforma pensionistica, con il consenso della CGIL, sostenuto da uno schieramento che va dalla Lega al PDS. Fonda prima una lista, con socialisti e Segni, entra nell’Ulivo e fonda il suo partito: Rinnovamento Italiano. Diventa Ministro degli Esteri e rimane tale in tutti e tre i governi di centrosinistra dal 96 al 2001. Confluisce nella Margherita e diventa vicepresidente del Senato. Nel 2006 diventa Presidente della Comm. Esteri del Senato. Il suo nome viene indicato come candidato unitario alla Presidenza della Repubblica. Dalla Margherita? No, macché, dalla “Casa delle Libertà”. Che dopo averlo descritto a suo tempo come un voltagabbana e un venduto improvvisamente lo vorrebbe Presidente della Repubblica. Nel 2007 è indicato fra i 45 costituenti del PD, ma prima della fondazione del PD esce e fonda un nuovo partito: I Liberaldemocratici. Alla fine del secondo governo Prodi, insieme ad altri tre che cambiano schieramento, fa cadere il governo non votando la fiducia. I Liberaldemocratici si federano al PdL e viene rieletto al Senato e subito dopo, con un ultimo scatto, abbandona i Liberaldemocratici che rompono il patto federativo e (ri)entra nel PdL. È stato comprato Dini? E se si quante volte? Domanda: questo zig zag si spiega con il fatto che sarebbe stato sempre ed opportunamente sul mercato? Non è che per caso si spiega meglio con la intercambiabilità di un certo personale politico nell’ambito di politiche simili, se non identiche, da parte di schieramenti che agiscono dentro i confini delle compatibilità del sistema? E che proprio perché simili sui contenuti dispiegano il massimo di scontro sulla contesa della postazione di governo, rubandosi perfino lo stesso personale a vicenda? Attenzione, perché chi non vuole vedere la transumanza da uno schieramento all’altro, mercanteggiata illegalmente o meno fa lo stesso, come un fenomeno strutturale del bipolarismo, finisce poi, con un salto mortale, per proporre come soluzione del problema una cosa magica: le preferenze. Ma come, dico io, la “nomina” dei parlamentari non doveva essere la garanzia di fedeltà al capo e al partito? E se c’è una forza misteriosa e superiore che provoca la transumanza il rimedio può essere che ognuno sia eletto con i propri consensi personali, indebolendo così i legami col capo e col partito? Non succederà, per caso, che per aumentare i voti del partito si “comprino” candidati che portano un valore aggiunto di preferenze, senza guardare per il sottile in quanto a moralità, principi etici e affidabilità delle persone? Che rimedio sarebbe questo? Insomma, come si vede il 14 gli studenti hanno giustamente, magari confusamente ma giustamente, individuato il sistema politico, il palazzo, come impermeabile alle loro istanze. All’appuntamento c’erano corpose minoranze sociali destinate all’esclusione e alla deprivazione di diritti e dall’altra un palazzo strutturalmente incapace di ascoltare. Se persino una vittoria parziale come l’archiviazione della “riforma” Gelmini, attraverso la caduta del governo Berlusconi, è affidata alla “vittoria” di Fini e del FLI che hanno votato e condividono la Gelmini, è evidente il grado di separazione ed incomunicabilità che separa il palazzo dalla società. Se siamo ad un passaggio di civiltà, reso più rapido e violento dalla crisi, e se il bipolarismo rende il palazzo, e la sua dialettica interna, strutturalmente incapaci di fermare il processo di esclusione sociale in corso, come mai non emerge con la dovuta forza il vero problema politico? Che è, con tutta evidenza, un problema democratico. Chi lo indica come problema preminente? Forse quelli che esaltano il bipolarismo e imputano al solo Berlusconi crimini che essi stessi hanno più volte commesso, anche se con più rispetto del galateo? Forse quelli che “spiegano” con predicozzi vergognosi ai “ragazzi” che non bisogna esagerare, che non bisogna fare cose che sottraggono consenso alla propria stessa causa, perché in “democrazia” quello che conta alla fine è il consenso (elettorale) e andare contro la “pubblica opinione” sfasciando vetrine è controproducente? Eh no! Così lo negano. Così lo nascondono. Bisognerà pur dire una verità. In queste condizioni proprio solo gli scontri, con tutti i loro eccessi, indicano l’esistenza di un problema democratico. E, come una cartina di tornasole, svelano i “misteri delle alchimie politiche” degne del piccolo chimico e denunciano le mille ipocrisie e omertà di chi, dal mondo della politica ufficiale, attraverso prediche e pensosi aggrottamenti di sopracciglia (la nonviolenza, la non violenza, dobbiamo capire, dobbiamo capire) dimostra solo di aver separato il proprio destino politico da quello degli esclusi. E per giunta vorrebbe che gli esclusi mantenessero comportamenti ed atteggiamenti coerenti non già con la gravità della situazione, bensì con il destino di un pezzo del palazzo. Per questo si sentono dire cose come: i ragazzi sono bravi (del resto vogliamo che votino per noi) ma i teppisti vanno condannati; non esistono teppisti, sono infiltrati, mandati da chi vuole oscurare le ragioni dei bravi ragazzi; e così via. Lo ripeto. Se all’appuntamento c’erano minoranze sociali che avvertono di essere e restare escluse nella società e un palazzo chiuso, blindato e sordo, c’è un problema democratico di prima grandezza, non la solita vicenda della politica spettacolo e la solita liturgia della manifestazione radicale ma composta. Facciamo finta, per capirlo meglio, che non fosse volato nessun petardo e che non ci fosse stato nessuno scontro. Di cosa si discuterebbe oggi sui mass media? Di cosa discuterebbero dentro il palazzo? Solo ed esclusivamente della vittoria (di Pirro o meno e più o meno scandalosa) di Berlusconi. Solo delle contromosse di Fini e di Casini. Solo delle probabili o meno elezioni anticipate. La manifestazione sarebbe stata, come sempre succede, relegata in trafiletti e comunque descritta come un’appendice dello scontro epico dentro il palazzo. Se non è vero mi si dica, mi si dimostri il contrario. Siccome invece è vero, allora bisogna riconoscere che solo attraverso il fatto eclatante degli scontri è emersa la gravità della situazione. E che se c’è qualcosa da condannare è il sistema nel suo complesso. Non chi ha fatto gli scontri. In particolare c’è un pezzo del sistema, che si è presentato all’appuntamento, diverso dal palazzo ma egualmente contrapposto agli esclusi. I mass media. Ho appena detto che “solo” gli scontri hanno dato conto della gravità della situazione. E cioè del problema democratico preminente. Perché non può esserci democrazia con l’esclusione sociale di una intera generazione. Ma ho messo travirgolette il “solo” perché i mass media, presi nel loro complesso, non informano, non spiegano, non descrivono i fenomeni sociali. E quando lo fanno, male, è solo per poi far dire a santoni, guru dell’economia che negli ultimi venti anni non hanno azzeccato una sola previsione, predicatori televisivi, pseudo opinionisti ed “esperti” di ogni tipo, che si, i “ragazzi” hanno ragione a lamentarsi, ma devono capire che il welfare è finito, è vecchio, è un lusso che non ci può più permettere. O, nella versione di centrosinistra, che i “ragazzi” hanno ragione a lamentarsi, ma è colpa del ministro Gelmini, che è incapace, e non dei diktat dell’Unione Europea, del sistema finanziario, delle banche, della dittatura del mercato, del Fondo Monetario Internazionale, dell’OCSE, del WTO. Secondo questa congerie di imbroglioni basterebbe regolamentare un po meglio la precarietà in modo che torni ad essere quella “flessibilità” indispensabile alle imprese per competere. Basterebbe non esagerare con i tagli al welfare, pur comprendendo la necessità di tagliare molto perché il bilancio…, la spesa pubblica…, gli sprechi…, i parametri dell’UE…, i patti di stabilità…, i patti sociali necessari…, e così via all’infinito. Tanto essendoci gli altri al governo un po di demagogia e di finte promesse si possono fare, ma sempre rassicurando i poteri forti, che non possono sentir dire che la precarietà va eliminata, che l’economia deve essere diretta secondo le esigenze della collettività, che i diritti non devono essere soppressi secondo le esigenze del mercato, che i parametri, i patti di stabilità, i bilanci, sono forche caudine che non vanno bene e che vanno rovesciate. Chi lo dice è estremista, comunista, demagogo, cattivo maestro, massimalista, visionario, velleitario. Bisogna essere realisti, concreti, avere una cultura di governo, e quindi prendere per oro colato i “pareri” delle agenzie di rating, le “indicazioni” del FMI, gli andamenti borsistici, gli articoli del Financial Times. Questa accozzaglia di ripetitori acritici di teorie economiche ridicole e falsificate dalla storia, di dilettanti che si danno le arie da statisti, di personaggi e personaggini alla perenne ricerca di un quarto d’ora di visibilità sulle agenzie di stampa o seduti in un salotto televisivo a ripetere banalità, non hanno alcuna cultura di governo, sono tutto meno che concreti e realisti. È da vent’anni che ripetono sempre la stessa litania. È da vent’anni che prevedono il secondo tempo della redistribuzione, della crescita per tutti, dell’inaugurazione di una nuova stagione per nuovi diritti. E intanto fanno finta di non vedere che il primo tempo è infinito, che la forbice fra ricchi e poveri è aumentata a dismisura, che il mercato e la sua stessa logica intrinseca erode, cancella, e distrugge diritti e coesione sociale. Se sono costretti a prenderne atto dicono che è colpa del governo in carica, mica del sistema economico, e la buttano in caciara. Ovviamente sono pronti in un batter d’occhio a condannare la violenza, e chiamare criminali, teppisti, delinquenti, infiltrati, i manifestanti che fanno gli scontri. Fanno tutti finta di non sapere che le ragioni di una manifestazione senza scontri scompaiono dai mass media. Un trafiletto e via. Fanno finta di non sapere che anche quando si parla di una manifestazione, magari imponente, invece che i manifestanti, in tv appaiono i leader che camminano in mezzo a grappoli umani di giornalisti (sic) che si contendono uno scampolo di frase, una parola da mettere nel tritacarne dei battibecchi della politica spettacolo. Possibile che nessuno dica la semplice verità che i mass media e i talk show sono massimamente responsabili del fatto che per “fare notizia” bisogna fare ogni volta cose sempre più eclatanti, scontri compresi? Possibile che non si veda anche qui un problema democratico enorme? E che si finga di indignarsi per le ovvie conseguenze di una simile situazione, in perenne peggioramento? Possibile che i predicatori televisivi strapagati per dire le loro “opinioni”, quasi sempre superficiali e banali, abbiano perfino la faccia tosta di fare prediche ai “ragazzi”, dicendogli di non fare “cazzate”, ben sapendo che senza quelle cazzate spariranno dai mass media? Certo che è possibile, perché solo il guru televisivo potrà così volgere il suo pensoso sguardo verso il basso e descrivere e denunciare le ingiustizie che affliggono una generazione. Una generazione che deve commuoversi ed entusiasmarsi quando sente il guru ma che non può parlare, farsi ascoltare, direttamente e per proprio conto. Una generazione, cioè, le cui sofferenze vengono usate come ingrediente dello spettacolo televisivo e mass mediatico, fanno crescere l’audience e quindi gli introiti pubblicitari e quindi i cachet dei predicatori. Che schifo! Quando, 12 anni fa, si suicidarono Sole e Baleno, i loro compagni anarchici chiesero che ai funerali non si presentassero televisioni e giornalisti. Che si evitasse la solita sarabanda. Che ci fosse un minimo di rispetto. Dovettero cacciare i giornalisti prendendoli a pedate. Sacrosante pedate! Il diritto di cronaca…, il diritto di cronaca…, e giù condanne per chi li aveva cacciati. Eppure pochi mesi prima la famiglia Agnelli aveva chiesto ed ottenuto che nessuna televisione o giornalista andasse alla cerimonia funebre per Giovanni Alberto Agnelli, morto di tumore a 33 anni. Li c’era il rispetto per la morte e per il dolore, li non c’era il diritto di cronaca. Basterebbe questo piccolo esempio per qualificare il sistema massmediatico italiano. In conclusione si può dire, e ripetere, che gli scontri del 14 sono il prodotto della gravità sociale e democratica della situazione, della impermeabilità del palazzo e della enorme mancanza di informazione. A questo è dovuto il consenso evidente della stragrande maggioranza dei manifestanti. A questo è dovuta l’incisività dell’evento e il suo potere comunicativo e politico. Il resto sono chiacchiere pseudo sociologiche, da salotto, quando non veri e propri imbrogli ipocriti. Ovviamente la lotta continua e continuerà. E dovrà trovare ogni giorno le forme consone al livello dei problemi e ai rapporti di forza. Credo che il movimento sia abbastanza maturo per sapere che gli scontri, più che giustificati il 14 per denunciare e rendere evidente la gravità della situazione, diverrebbero impedenti lo sviluppo della lotta se reiterati ad ogni occasione. Ma questo lo vedremo presto, credo. ramon mantovani
    Fonte: Blog Ramon Mantovani | vai alla pagina
    Argomenti: politica, sinistra, Governo Berlusconi, comunismo, gelmini, movimento studentesco, mantovani, ramon mantovani, manifestazione 14 dicembre, mass media, scontri di piazza | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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