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Dichiarazione di Leonardo RAITO

Alla data della dichiarazione: Assessore Provincia Rovigo (Partito: PD) 


 

In Afghanistan siamo in guerra

  • (02 gennaio 2011) - fonte: nota stampa - inserita il 06 gennaio 2011 da 812
    Piangendo Matteo Miotto, il povero alpino vicentino caduto in Afghanistan, abbiamo il dovere di interrogarci sul ruolo del nostro esercito nel delicato scenario asiatico e di capire fino in fondo, con senso di responsabilità, la delicatezza della nostra missione. Per troppi anni ci è stata somministrata l’immagine di soldati che andavano nei villaggi a portare cibo e fiori alle popolazioni, ci è stato detto che i nostri ragazzi erano in missione di pace. Si è voluto distorcere una realtà ben diversa, forse nel tentativo di addolcire la pillola a un’opinione pubblica di un paese sostanzialmente pacifista, poco avvezzo alle guerre, per convinzione o ideologia. Invece in Afghanistan si combatte una guerra sanguinosa. Basta non essere sprovveduti e documentarsi, senza bisogno di ricorrere necessariamente a wikileaks. Dopo l’11 settembre l’allora presidente americano George Bush fu risoluto nel puntare l’indice contro lo stato talebano, protettore dei terroristi. In una ipotetica guerra contro il male assoluto, si creò, forse sull’onda dell’emozione generata dal crollo delle torri gemelle, una coalizione internazionale cui anche l’Italia del Berlusconi2 decise di partecipare. Fu l’ultimo barlume del multilateralismo “bushano”. La guerra globale al terrorismo, difficile da combattere in modo convenzionale, per via del fatto che il nemico è un nemico non convenzionale, con tutti i problemi derivanti da un conflitto asimmetrico, si arricchì poi di nuovi fronti. L’Afghanistan però non è ancora stato stabilizzato, nonostante il tentativo di una forzata esportazione della democrazia, concretatosi, neanche troppo, nel governo Karzai. Oggi il nostro contingente, impegnato in settori delicati del fronte, vede ancora morire giovani corsi dietro una speranza. Nel paese regna l’instabilità: capi locali a capo di milizie irregolari controllano i traffici legali e meno legali, come quello d’oppio, prodotto d’esportazione doc per il paese asiatico. La lezione sovietica della fallita invasione, non è stata colta a pieno. Oggi le istituzioni statali afgane sono troppo in difficoltà per permetterci di ritirare la coalizione, le frontiere col Pakistan sono ancora confini porosi dove possono passare merci e terroristi. Per di più, dopo 8 anni di faticose operazioni, non è ancora stato catturato il padrone di Al Qaeda, quel Bin Laden che continua a minacciare l’occidente. L’Europa ha pagato due attentati sanguinosi come Madrid e Londra, mentre Al Qaeda, che ha cambiato la sua struttura da struttura a rete a struttura ramificata di reti, non smette di attentare alla sicurezza dei diversi paesi moderati, colpendo trasporti, turismo, economia, luoghi di culto. In sostanza, credo che non sarà con la guerra afgana che si vincerà la sfida al terrorismo. Però un paese come l’Italia non può permettersi di vivere in modo ipocrita il ruolo dei nostri soldati. Smettiamola di pensare che in Asia si facciano opere umanitarie: il nostro esercito è un ingranaggio di una guerra sanguinosa, che purtroppo ci costerà ancora sacrifici pesanti in termini di vite umane. Basta esserne consapevoli, e smettere di chiedersi perché. Intanto ricordiamo Matteo, e ricordiamo tutti i ragazzi che hanno perso la vita facendo il proprio lavoro. Non perdiamo però l’ennesima occasione di crescere come paese.
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