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Dichiarazione di Antonio POLITO


 

La frontiera italiana

  • (01 marzo 2011) - fonte: Corriere della Sera - inserita il 02 marzo 2011 da 31

    In poche settimane l'Italia ha cambiato la sua collocazione geopolitica, ma non sembra ancora rendersene conto. Le rivoluzioni in corso nel Maghreb hanno rimesso il Mediterraneo al centro della storia del mondo e l'Italia, che lo voglia o no, è al centro del Mediterraneo. La posizione geografica in politica conta. Non a caso uno dei periodi di maggior stabilità e prosperità della nostra storia è coinciso con il lungo dopoguerra, quando il ruolo di confine orientale dell'Occidente ha reso l'Italia un Paese importante sullo scacchiere internazionale: l'avamposto della Nato a Est.

    La caduta del Muro di Berlino ci ha dissolto come frontiera orientale della democrazia e della libertà, ma ora la Storia torna a battere alle nostre porte. Lampedusa non è soltanto la disgraziata isola dove si illuminano ogni sera i nostri incubi di invasioni barbariche. È anche il luogo simbolo della nuova frontiera dell'Occidente che siamo chiamati a rappresentare: la frontiera meridionale. Siamo l'unica media potenza europea letteralmente a un tiro di schioppo dall'Algeria, dalla Tunisia, dalla Libia (non a caso Italo Balbo la chiamava la «quarta sponda») e anche dall'Egitto. Ciò che faremo, ciò che diremo sarà rilevante per gli sviluppi futuri di queste rivoluzioni, delle quali niente del poco che sappiamo è in grado di dirci oggi che piega prenderanno.

    Il rivolgimento in corso è così straordinario che perfino la questione palestinese sembra marginalizzata e comunque è stata clamorosamente assente in questa originalissima arab street che ha fatto fuori i tiranni. Siamo diventati così importanti che Obama ha perfino sentito il bisogno di telefonare a Berlusconi.

    Non sembra che il nostro dibattito pubblico sia però consapevole di questa nuova grande occasione. Sul piano politico, il governo è tutto preso a far dimenticare il più presto possibile l'eccesso di baciamaneria al dittatore libico e l'opposizione è tutta presa a non farlo dimenticare mai. Entrambi combattono una battaglia di retroguardia, regolano conti del passato.

    Ci sarebbe invece da prendere alcune decisioni. Intanto come apparire amici di chi farà fuori Gheddafi, dopo essere stati così tanto amici di Gheddafi. Qualche ostilità dobbiamo metterla infatti in conto, ma non è affatto impossibile - come ha scritto Angelo Panebianco su questo giornale il 27 febbraio - far coincidere finalmente il giusto e l'utile. Ma una politica che persegua l'interesse nazionale richiede un respiro anche più vasto. Per esempio uno sguardo alla Tunisia, dove l'influenza francese esce notevolmente acciaccata dalla caduta di Ben Ali.

    Per esempio una riconsiderazione della nostra rete diplomatica, non particolarmente acuta nell'avvertire il rombo dello tsunami in arrivo, e della nostra rete consolare, strangolata dalle ristrettezze di bilancio.

    Per esempio il lancio di un canale tv in lingua italiana dedicato a questi Paesi, che forse conta più di dieci anni di politica estera per conquistare i cuori e le menti di un popolo vicino.

    Ma ancor di più si tratta di rispondere alla domanda chiave che questo rivolgimento storico ci pone: sarà un bene, o è solo l'ennesimo mostro uscito dal videogame della globalizzazione? E, soprattutto, come indirizzarlo verso la democrazia? Conviene che l'Europa l'abbracci, come propone chi già vede il Maghreb nell'Unione Europea, o conviene metterlo prima alla prova? Va aiutato con soldi, armi e tecnologia, come abbiamo fatto con le dittature precedenti, o va legato con immigrazione, commerci e cultura?

    L'Italia ha la possibilità di guidare questo dibattito in Europa. Se però è in grado di farlo prima di tutto a casa sua. Queste settimane sono state sconfortanti: un balbettio imbarazzato del governo, analisi abborracciate e sostanzialmente al buio, scarse informazioni: ci sono volute un paio di uscite del capo dello Stato per dare all'Europa l'idea che eravamo anche noi della partita.

    L'unica cosa che sembra interessarci della caduta del Muro del Maghreb è il numero esatto di immigrati che arriveranno sulle nostre coste, e si sente in giro un insopportabile tanfo di nostalgia per i vecchi regimi, brutti sì, ma così utili a evitarci rogne.

    Sarebbe invece il caso, una volta tanto, di resuscitare il Parlamento per la funzione cui è destinato: una sessione straordinaria, con relazione del governo, per discutere che fare dell'Italia in questo nuovo scenario internazionale e per costruire uno straccio di politica estera comune sulla sponda sud del Mediterraneo. Non ci sarebbe modo migliore che parlare del nostro futuro anche per ricordare degnamente il nostro passato: il 150° dell'Unità d'Italia, ma anche il centenario dell'invasione coloniale di Tripolitania e Cirenaica.

    Fonte: Corriere della Sera | vai alla pagina

    Argomenti: politica estera, UE, europa, globalizzazione, Libia, mediterraneo, immigrazione; lampedusa, tunisia, Gheddafi, futuro, Nord Africa | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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