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Dichiarazione di Giuliano AMATO


 

«Ci siamo fermati, questa festa può ridarci slancio» - INTERVISTA

  • (17 marzo 2011) - fonte: Giorno/Resto/Nazione - Francesco Ghidetti - inserita il 17 marzo 2011 da 31

    «Il significato attuale del Risorgimento? La capacità di costruirsi un futuro che molti ritenevano improbabile»

    Ci siamo. Oggi l`Italia, con qualche asprezza polemica, festeggia i 150 anni dell`Unità d`Italia. Impossibile elencare tutte le cerimonie. Moltissime le istituzioni aperte per un momento di festa ma anche di riflessione. Che cerchiamo di analizzare assieme a Giuliano Amato, già presidente del Consiglio, più volte ministro, ora presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni.

    Presidente Amato, che Italia è quella che si appresta a celebrare i 150 anni dell`unita del Paese?

    «E' un`Italia che ha fatto enormi progressi rispetto ad allora, basti dire che il suo reddito pro capite è aumentato di tredici volte contro una media europea di dieci, e che tuttavia si è fermata negli ultimi decenni, sembra aver perso quella spinta verso il futuro che tanto l`aiutò a crescere in stagioni passate e che, anche per questo, continua ad essere divisa e in parte incompiuta».

    In che cosa lo spirito è diverso rispetto alle celebrazioni per il centenario?

    «Le celebrazioni del centenario avvennero proprio al culmine di quel `miracolo` economico, che portò al nostro ingresso fra i grandi del mondo. C`era più ottimismo allora, i figli si aspettavano un futuro migliore di quello dei loro padri e molti effettivamente lo ebbero. Oggi le attese sono diverse».

    A che punto è l`organizzazione che dovrà celebrare i 150 anni?

    «Per la parte che compete alle istituzioni centrali è ormai in dirittura d'arrivo. Ma il bello della vicenda è che non dipende da un'unica organizzazione, miriadi di comuni, di scuole, di associazioni, di cori e di bande organizzano i loro eventi e le loro manifestazioni celebrative.
    E` l`Italia, non lo Stato, che ha già cominciato a ricordare e a festeggiare se stessa».

    Come si fa a gestire un evento di tale importanza - anche, o forse soprattutto, simbolicamente con alle spalle una crisi economica e politica così drammatica e destinata forse a durare ancora molto a lungo?

    «I soldi pubblici impegnati nelle celebrazioni sono assai pochi. C`è sobrietà e c`è comunque il prevalente concorso di risorse private, a partire da quelle delle fondazioni di origine bancaria, molto presenti nelle manifestazioni organizzate localmente. E al di là dei soldi, l`occasione è invece più che adatta per riflettere, non solo e non tanto sul passato, quanto sul presente e sul futuro».

    In che misura i tagli alle risorse per i 150 anni sono stati determinati dalla presenza nel Governo di un partito freddo sull`avvenimento come la Lega?

    «No, credo che i tagli subiti dalla cultura, frutto di una politica restrittiva che ha investito tutti i settori allo stesso modo e con le stesse percentuali di riduzione, abbia ragioni diverse».

    Si ha l`impressione che il fecondo lavoro intrapreso dal presidente Ciampi sul recupero di un orgoglio nazionale che poggiasse su solide basi culturali si sia affievolito. E` solo un`impressione o c`è qualcosa di concreto? Che cosa percepisce Lei nella pubblica opinione?

    «No, quando leggo un libro come quello di Aldo Cazzullo, `Viva l`Italia`, quando vedo l`accoglienza che Bergamo ha riservato al Presidente Napolitano penso proprio che il grande lavoro del Presidente Ciampi non sia andato disperso. E che le tendenze contrarie di oggi siano quelle di ieri, minoritarie come ieri».

    In occasione del centenario della morte di Garibaldi - Lei ben ricorderà il 1982 - Craxi, di cui è stato fra i più stretti collaboratori, e Spadolini riuscirono a far passare l`idea che i nostri eroi del Risorgimento non fossero icone dequalificate e polverose, ma qualcosa di assai vivo e adatto ai tempi (tempi di ottimismo). Perché oggi risulta difficile pensare a un'operazione del genere.

    «A me non risulta difficile. Parlo molto di frequente ai giovani di questi personaggi e quando metto in luce che non erano vecchi come sembrano nei monumenti, ma erano giovani come loro, ma, a differenza di loro, protagonisti del loro tempo, sono interessatissimi. E vogliono capire perché per loro non è così».

    Celebrare i 150 anni dell`Unità è difficile, sia per il clima politico che per quello culturale in senso lato. Non legare però che a questo abbia contribuito anche il mondo accademico, riducendo progressivamente le cattedre di Storia del Risorgimento a vantaggio delle più indistinte cattedre di Storia Contemporanea? Il processo iniziò non più di vent`anni fa con alcuni articoli di insigni stuidosi in cui si insisteva sulla necessità di fare del Risorgimento un capitolo della storia italiana deli ultimi due secoli.

    «Non ho informazioni aggiornate su ciò che è successo nelle Facoltà di Lettere. Quello che è certo è che lo studio del Novecento, in sé assolutamente meritorio e necessario, ha finito per giocare contro lo studio del Risorgimento. Ciò è accaduto anche e forse in primo luogo nei licei».

    La presenza massiccia del leghismo a Nord è evidente e ormai attentamente studiata anche dalla scienza politica nonché dalla storiografia più attenta al `presente come storia`. Non egualmente accade per il Meridione dove, al di là degli aspetti più o meno folcloristici, si stanno affermando movimenti autonomisti o neo-borbonici di non trascurabile entità. Lei come valuta queste nuove forme di aggregazione politica?

    «E vero che un libro, `I terroni`, ha venduto pare più di duecentomila copie. Ma mi fermerei lì».

    Dopo l`orgoglio seguì l`agiografia, quindi la dimenticanza, mentre ora si rischia il revisionismo. Qual è il Risorgimento più vicino al modo di pensare del presidente Amato?

    «Quello che ne mette in evidenza la capacità non tanto di usare il passato, quanto di costruire un futuro che molti ritenevano improbabile. E di avvalersi delle situazioni più difficili, per uscirne con passi avanti verso l`unificazione».

    La domanda è banale, ma ineliminabile: fatta l`Italia sono stati fatti gli Italiani?

    «D`Azeglio non disse mai questa frase. E quindi non la dico neanch`io».

    Fonte: Giorno/Resto/Nazione - Francesco Ghidetti | vai alla pagina

    Argomenti: storiografia italiana, 150° anniversario dell’unità d’Italia | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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