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Dichiarazione di Enrico MORANDO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) 


 

Il nuovo decreto è un'imposta automatica?

  • (12 maggio 2011) - fonte: Il Riformista - Tommaso Labate - inserita il 12 maggio 2011 da 31

    Una cosa, intanto, è certa: in questo Decreto non c'è correzione dei conti pubblici, come fissati nel Documento di Economia e Finanza. Per il 2011 e il 2012, dunque, il livello di indebitamento (e di debito) resta quello definito con la manovra triennale (Decreto n. 78 del 2010). Una buona notizia, se si guarda alle pressioni del partito della spesa per manovre espansive in deficit.

    Ma le buone notizie si fermano qui. Il Decreto, infatti, è coerente col DEF (e il Programma Nazionale di Riforma che ne fa parte) anche nel senso che contiene una gran quantità di norme e normette, ma non intraprende alcuna riforma strutturale.

    In questo senso, è perfettamente vero che il Decreto è figlio legittimo del PNR: un documento di qualche pregio tecnico (al Ministero analisti di vaglia crescono), del tutto privo di "visione" (la rivoluzione liberale e la crescita sostenuta dalla liberazione degli "spiriti animali" sono mestamente sostituiti dal colbertismo e dalla difesa dell'italianissimo "capitalismo relazionale"), e con debole ambizione (in quasi tutti i campi, "programmiamo" di diventare, nel 2020, i peggiori tra i grandi dell'Euro).

    Se prima della Grande Recessione crescevamo meno degli altri Paesi dell'Area Euro. Se durante la stessa, siamo caduti di più. Se dopo abbiamo ripreso a camminare, ma più lentamente degli altri. Se il livello della disuguaglianza - per reddito e patrimoni - continua a crescere (OCSE 2011), e la mobilità sociale è ferma da tempo (ISTAT 2010). Se il debito pubblico è tornato al 120% del Prodotto, ben sopra quel 90% che costituisce - secondo l'esperienza storica - la soglia oltre la quale esso costituisce un serio ostacolo alla crescita... Se tutto questo è vero e noto, cosa dovrebbe contenere un Decreto "per lo sviluppo"? Ovvio: norme che favoriscono la crescita della produttività (del lavoro e dei fattori); che rendano più efficace e "universale" il nostro welfare, ancora troppo discriminante tra categoria e categoria, tra debole e debole; che aprano mercati chiusi, specie quelli di impatto "generale" come le grandi Reti energetiche, i servizi professionali, i servizi pubblici locali; che mantengano inalterata la pressione fiscale (attomo al 42,5% del PIL fmo al 2015), ma redistribuiscano il carico tra lavoro e imprese da una parte e rendite e patrimoni dall'altra; che superino il tragico dualismo del mercato del lavoro italiano.... Ecco, di tutto questo, nel Decreto, non c'è traccia. Con due eccezioni: una, positiva, il ritorno ad un forte credito d'imposta (automatico?) per gli investimenti in ricerca effettuati dalle imprese, in cooperazione con le Università; l'altra, negativa, la norma per la concessione novantennale del diritto di superficie sulle spiagge.

    La prima misura - introdotta a suo tempo dal Governo Prodi e prontamente "azzoppata", previa eliminazione dell'automatismo, da Tremonti e Berlusconi - è una componente essenziale di una strategia di sviluppo: le piccole e medie imprese italiane spesso non sono in grado, ciascuna per sè, di fare investimenti in ricerca, sia per migliorare il processo produttivo, sia per innovazioni di prodotto.
    Il credito d'imposta per quello che spendono - magari in unione con altre - per commesse di ricerca alle Università e ai centri pubblici può favorire il superamento del gap dimensionale. Ad una condizione: che l'imprenditore sia certo, assolutamente certo, che, fatto l'investimento, il credito arriva. Senza dover chiedere niente a nessuno, politico o funzionario pubblico che sia. Chiedo: quello previsto dal Decreto Sviluppo, è un credito d'imposta automatico? Se, come pare, la risposta è sì, è evidente che si pone un problema di corretta copertura finanziaria. Che può scontare l'esigenza di verifiche nel tempo. Ma non può essere rinviata a ... quando sarà necessario, per avvenuto esaurimento delle risorse appostate in Bilancio. Le quali a loro volta non possono costituire un "tetto di spesa", se l'impresa ha un diritto soggettivo al credito. Se invece quest'ultimo non è automatico, beh, allora il tutto si esaurirà nei pochi secondi del click day. Alla faccia della semplificazione...

    Sulle spiagge e le relative concessioni, invece, il Governo apre la fase della nuova governance economica europea con una scelta che si pone in aperta contraddizione con la prospettiva della costruzione di un vero e proprio mercato unico europeo. Molti hanno già detto e scritto dei seri rischi di danni e deturpazioni ambientali. Io voglio soffermarmi su altri due aspetti, relativi all'impatto economico della norma in questione.

    Il primo. Il demanio marittimo è patrimonio pubblico. Il patrimonio pubblico sta a garanzia del debito. Può dunque essere in parte alienato (non è il caso delle spiagge), fermi i vincoli storici, ambientali e culturali; in parte valorizzato e concesso in gestione a privati, in un contesto di regole certe, capaci di tutelare l'interesse pubblico (è il caso delle spiagge, come dell'etere). In uno stato che ha un debito pubblico come il nostro, però, deve valere un vincolo per le risorse rivenienti da interventi sul patrimonio pubblico: destinarle tutte a riduzione del debito. Nulla di tutto ciò è previsto, nel caso di specie. Sono quindi autorizzato a concludere che queste risorse finiranno dove è previsto che finiscano i 2,4 miliardi di Euro attesi dalla gara per le frequenze del digitale: a finanziare spesa corrente.

    Il secondo. Come si selezionano questi titolari del "diritto di superficie"? Sono i vecchi concessionari? In questo caso, consiglio a Tremonti di leggersi l'intervista a Flavio Briatore, gestore del Twiga di Marina di Pietrasanta: «Quattromila Euro di canone annuo versati allo Stato, tre milioni e 300 mila Euro di ricavi... un signore toscano a cui verso 210.182 Euro di subaffitto». Chiedo: le nuove disposizioni prevedono che i Briatore di turno paghino le future concessioni allo Stato, dopo essersi messi in gara tra loro per accedervi - fermo il diritto del vecchio gestore a vedersi riconoscere il corrispettivo per ammortamenti e avviamento - o consente agli equivalenti del "titolare" del bagno gestito da Briatore di lucrare rendite enormi, sfruttando il lavoro di altri e la sospetta generosità dello Stato?

    Le risposte verranno dalla lettura del Decreto. Intanto, un documento votato da (quasi) tutta l'Aula del Senato fornisce un indizio, là dove chiede una "norma transitoria di lungo periodo" per i gestori degli stabilimenti balneari.
    Novant'anni saranno sufficienti?

    Fonte: Il Riformista - Tommaso Labate | vai alla pagina

    Argomenti: discriminazione, ricchi e poveri, università, soldi pubblici, spiagge, debito pubblico, PMI, servizi pubblici, demanio, tutela ambiente, economia nazionale, pressione fiscale, credito d'imposta, Recessione economica, bilancio dello Stato, Def 2011, deficit pubblico, decreto sviluppo | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (1)

  • Inserito il 14 maggio 2011 da 31
    Dopo svariate proteste (trasversali), la concessione per la privatizzazione delle spiagge, inizialmente fissata in novant'anni, è stata 'ridotta' a vent'anni. Ciò non è bastato a fermare il dissenso da questa norma contenuta nel Decreto sviluppo già rinominato Decreto ammazza-spiagge. Di fatto numerosissimi enti, movimenti, associazioni, comitati e singoli cittadini, si oppongono a questa norma che intende vendere un bene pubblico.

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