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Dichiarazione di Paolo CIRINO POMICINO


 

«B. muore e il veleno è Santanchè» - INTERVISTA

  • (25 maggio 2011) - fonte: l'Espresso - Marco Damilano - inserita il 28 maggio 2011 da 31

    «Non ha mai capito niente di politica. E' ambiziosa, ma è pura plastica senza contenuto. Ha plagiato il Cavaliere, stanco e invecchiato: quasi una circonvenzione di incapace. E presto lo tradirà». Parla Paolo Cirino Pomicino: uno che la conosce molto bene.

    Onorevole Paolo Cirino Pomicino, lo ammetta: tutta colpa sua? «Sì, lo confesso. Sono io il colpevole dell'ascesa di Daniela Garnero Santanchè. Fui io a presentarla a Silvio Berlusconi nel Duemila. Attraccammo alla Certosa, Silvio indossava un kaftano bianco, Daniela era emozionata». Attraverso la carriera della Crudelia del Pdl, l'ex ministro, uno dei potenti della Prima Repubblica, ripercorre vent'anni di berlusconismo. Miseria senza nobiltà.

    Quando conobbe la Santanchè?

    «Nel 1988, ero ministro della Funzione pubblica. Lei era fascista fino all'inverosimile, non lo nascondeva».

    E lei invece aveva fama di tombeur de femmes...

    «Una fama usurpata, ma quella volta respinsi ogni provocazione. Anche perché non era rivolta a me, ma a un ministro».

    D'accordo: ma allora perché era così amico della Santanchè?

    «Ho sempre avuto attenzione per le pecorelle smarrite...».

    A quale ovile voleva portarla?

    «La mia megalomania mi spingeva a pensare che le avrei insegnato cos'è la politica vera. E invece scoprii quasi subito che Daniela era puro marketing, il prodotto non c'era. Una volta la chiamai ladra di cognomi perché usava quello dell'ex marito. Mi rispose: "Santanchè non è un cognome, è un brand"».

    Aveva già le idee chiare. Altri segnali di ambizione?

    «Nel '95 mi assillò perché partecipassi alla giuria di una gara culinaria da lei presieduta. Mi fecero assaggiare pietanze immangiabili, finché me ne portarono una disgustosa ed esclamai: "Fa schifo!". Mi arrivò un pugno, era lei: "Zitto, è il mio piatto, devi farmi vincere". Vinse, infatti. E poiché presiedeva la giuria fece consegnare il premio al compagno Canio Mazzaro. Lui, il mio più caro amico, commentò: "La tua amica non conosce vergogna..."».

    Girare con Pomicino in quegli anni, però, era un atto di coraggio...

    «Daniela diceva che i suoi referenti politici erano Andreotti e Cirino Pomicino, uno sotto processo per mafia, l'altro per corruzione. Ma lo faceva per acquistare credito. Stare con me le consentiva di entrare in politica. Nel '99 fu eletta consigliera provinciale a Milano. E poi la presentai a Berlusconi. Con Silvio magnificai le sue qualità: la tenacia, l'ambizione che in quel momento non era ancora sfrenata, la rapidità di intelligenza che può diventare una circostanza aggravante...».

    Un anno dopo, infatti, diventò deputato, in quota An.

    «E lì cominciarono scene indimenticabili. Un giorno mi si presentò la seguente visione: Daniela scosciata intenta a farsi fare una pedicure, dietro di lei un professore di storia con un libro in mano che le raccontava le guerre di indipendenza. Il poveretto era stato assunto per farle ripetizioni di storia, nonostante la Santanchè vantasse una laurea in scienze politiche».

    E lei, invece, su quale materie doveva esibirsi?

    «Ero il ghost writer, scrivevo i discorsi. Una fatica allucinante! Le avevo suggerito di entrare in commissione Bilancio».

    Voleva continuare a dettare legge tramite la sua amica?

    «Io dettavo una sola cosa, i suoi discorsi. Lei li scriveva e poi li rileggeva ad alta voce in casa, costringendo la mia compagna a cronometrarla per restare nei tempi della Camera. Una volta Publio Fiori in aula la elogiò sarcasticamente:
    "Ottimo intervento, onorevole Pomicino"».

    Lei invece era fuori dal Parlamento. Chissà la frustrazione!

    «Assolutamente no perché intanto ero diventato Geronimo. I rapporti si guastarono quando tornai in Parlamento. Frequentando uomini di potere si era convinta di essere una delle donne più influenti d'Italia. Mi disse che avrebbe potuto scatenarmi contro i poteri dello Stato. Il 9 aprile 2007, mentre entravo in sala operatoria per il trapianto di cuore, rivelò a una persona vicina di sperare che io non mi risvegliassi più. Mai sentito un politico augurare la morte a un collega».

    Come si spiegò questo odio?

    «Nascondeva una preoccupazione: morto io non avrei più potuto rivelare le cose che sapevo della sua vita privata».

    A cosa si riferisce?

    «Non dico nulla. Sono un gentiluomo napoletano: della sua vita privata non parlerei e non parlerò».

    Senza di lei, però, la Santanchè ha spiccato il volo.

    «E' il segno della decadenza della politica. E' riuscita a plagiare un Berlusconi sempre più stanco e invecchiato, quasi una circonvenzione di incapace. Daniela, più di tutti, è al servizio del Cavaliere. E servendolo lo indirizza».

    Eppure fu lei a dire: Berlusconi è ossessionato da me, ma io non gliela dò.

    «Quando la ascoltai scoppiai a ridere. Mi venne in mente la scena di "Natale a casa Cupiello" quando Eduardo chiede al figlio Lucariello se ha visto le scarpe di zio Pasquale. "E che mi vendevo le scarpe di zì Pasquale?", risponde Lucariello. E Eduardo, sconsolato: "Pascà, Lucariello si è venduto e' scarpe". La vecchia excusatio non petita».

    Le manovre più evidenti di Daniela?

    «E' lei che organizza il Consiglio di guerra di cui fanno parte Verdini, La Russa e qualche giornalista. E' lei che ha consigliato a Berlusconi la rottura con Fini che odia perché le tolse la guida delle donne di An. Ed è sempre lei la causa dei problemi di Moratti: la linea aggressiva e insultante del Pdl porta il suo nome».

    Fino a che punto può arrivare?

    «Fino all'implosione del Pdl. Questo Pdl santanchizzato, plasticato e aggressivo, finirà per scoppiare. E' il veleno con cui sta morendo Berlusconi».

    Il berlusconismo può finire a Milano?

    «Non c'è un automatismo tra un'eventuale sconfitta e la caduta, la coda del berlusconismo può essere molto lunga. Il Pdl è dilaniato tra gli ex socialisti come Tremonti che non si riconosce più in Berlusconi, ex dc a disagio come Scajola e Formigoni. E poi ci sono persone serie come Quagliariello: ma non basta essere seri se non si ha il coraggio della serietà».

    Cosa dovrebbero fare i dissidenti?

    «I moderati del Pdl possono evitare l'implosione se qualcuno riesce a convincere Berlusconi a passare la mano al governo. Altrimenti faremo tutti la fine di Sansone e i filistei, in un Paese con un debito del 120 per cento del Pil e sempre più marginale sul piano internazionale».

    E la sua ex amica che fine farà?

    «A tempo debito sarà la prima a condannare Berlusconi e le sue scorribande con Lele Mora e Emilio Fede».

    Se la Seconda Repubblica è da buttare non sarà colpa vostra? Non si sente un cattivo maestro?

    «Al contrario. Ottimi maestri e pessimi allievi. Nel caso di Daniela, però, riconosco il mio fallimento».

    Fonte: l'Espresso - Marco Damilano | vai alla pagina

    Argomenti: Donne, corruzione, seconda repubblica, pdl, an, debito pubblico, milano, Corruzione dei politici della II repubblica, Pil, La Russa, fascisti, deputato, Santanchè Daniela, crisi politica, /argomento/3242, moratti, donne e politica, Verdini, crisi di governo, crisi nel centrodestra | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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