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Dichiarazione di Pier Luigi BERSANI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

«Al Paese non serve un commissariamento, ma un nuovo governo» - INTERVISTA

  • (09 agosto 2011) - fonte: l’Unità - Francesco Cundari - inserita il 09 agosto 2011 da 31

    «Un esecutivo di personalità credibili e battaglia per correggere le iniquità della manovra».

    Dire che siamo stati commissariati è dire poco, la verità è che abbiamo perso la nostra sovranità nazionale».
    Di fronte alle perentorie richieste di Germania e Francia, la prima considerazione di Pier Luigi Bersani è espressa nel linguaggio che ha fatto la fortuna dei suoi imitatori (e un po’ anche la sua), ma il tono colloquiale non ne attenua la durezza: «Abbiamo perso la sovranità, mica noccioline». Il segretario del Pd, che sta tornando a Roma per essere presente in Parlamento per l’audizione del ministro dell’Economia, non intende però fare buon viso a cattivo gioco. «Se il premier si lascia commissariare - scandisce - noi non intendiamo essere commissariati». Ma «il problema più pressante non è nemmeno questo».

    E qual è?

    «Il problema è che la faccia di chi dovrebbe presentare le dure ricette prescritte dal commissario è quella di Silvio Berlusconi. Si tratterà di misure drammatiche e bisognerà spiegarle al Paese. Qualcuno pensa forse che l’Italia possa ascoltare questo discorso da Berlusconi? Ma soprattutto, qualcuno pensa forse che Berlusconi, un discorso simile, sarebbe in grado anche solo di pronunciarlo?».

    Il Pd cosa propone?

    «Per prima cosa, aspettiamo di sapere cosa propone Tremonti. Non ci si venga a chiedere cosa proponiamo noi, prima di sapere cosa propone lui. Dopodiché, una volta chiarito cosa intende fare il governo, è naturale che noi abbiamo le nostre idee, su cui stiamo già lavorando».

    Per esempio?

    «Primo, i tagli devono incidere il meno possibile su chi ha le tasche già vuote e ha bisogno di consumare. Secondo, sull’evasione fiscale stavolta non si può scherzare, le misure ci sono e le conosciamo, si tratta solo di volerlo. Terzo, non si possono lasciare fuori dalla manovra grandi ricchezze e rendita, e non con misure una tantum, ma con misure strutturali. Quarto, una decina di liberalizzazioni fatte sul serio e due linee di politica industriale. Ma, ripeto, temo che con questo governo siano tutte parole al vento».

    Sta dicendo che le dimissioni di Berlusconi sono una pregiudiziale?

    «Sto dicendo che la permanenza di Berlusconi rischia di bruciare mese dopo mese gli sforzi che nel frattempo mettiamo in campo, il che naturalmente non significa che noi non faremo comunque la nostra parte, le nostre proposte e tutto quello che sarà necessario per salvare il Paese. Ma ci sia consentito di dire che questo resta il problema dirimente, non solo agli occhi del mondo, ma anche agli occhi degli italiani, e in particolare di quelli che lo hanno votato, che si sono sentiti raccontare tante dolci favole e che ora non sono disposti ad ascoltare discorsi diversi. Un tema che mi pare largamente sottovalutato».

    Come se ne esce?

    «Prima diciamo come ci siamo entrati. Perché non stava mica scritto da nessuna parte che dovesse finire così. È vero, c’è la crisi mondiale, e dentro questa crisi c’è la crisi europea, ma con tutto questo non era scontato che fosse l’Italia, con i suoi fondamentali, a finire in prima linea».

    Cos’è successo?

    «È successo che nel 2008, nemmeno tre anni fa, avevamo lasciato un Paese con un debito al 104 per cento e un avanzo primario sopra il 3, con tutte le condizioni per tenere ragionevolmente la barra dei conti e stimolare un po’ di crescita. Non c’era nessuna ragione per cui dovessimo finire qui».

    Tutta colpa di Berlusconi?

    «Non solo. La verità è che ora paghiamo il conto micidiale di un populismo e di una personalizzazione della politica così estrema da precipitarci in una condizione di rigidità assoluta. Poi c’è qualcuno che per paradosso dice che c’è il 25 luglio, evocano l’ordine del giorno Grandi con cui fu deposto Mussolini… ma la verità è che qui non c’è nemmeno un Gran Consiglio, nella destra non è rimasto in piedi nessun simulacro di soggetto collettivo che possa far argine a questa deriva. Il contesto ideale per la politica economica dissennata di questi anni, fondata sul principio del non disturbare chi ha i soldi. Ed ecco il risultato».

    Un quadro a tinte fosche.

    «È la storia di questi anni. E sia chiaro che questa verità il Pd la ripeterà tutti i giorni, come Catone, per i prossimi anni. E ricordando pure che questi meccanismi in Italia hanno trovato troppa condiscendenza in classi dirigenti estese, che non potevano non essere consapevoli dei mali che stavano arrivando».

    Sul Corriere della sera, Alberto Alesina sostiene che il problema è proprio la mancanza di leadership, anche nell’opposizione, e se la prende con la politica nel suo complesso, questa «mediocre leadership che la storia condannerà come non all’altezza». Cosa risponde?

    Rispondo che da parte di tanti commentatori, e in particolare di tanti economisti liberisti, certi improvvisi revirement meriterebbero prima qualche riga di autocritica. Perlomeno quando si parla della crisi economica, che in tanti hanno negato fino all’ultimo. Pertanto, ci sia anche consentito di dubitare delle ricette di una scuola che ha portato tali frutti. E in proposito vorrei anche dire che quando misuriamo la differenza tra noi e il resto del mondo, non c’è solo quella tra Berlusconi e la Merkel».

    A cosa si riferisce?

    «Mi riferisco al fatto che le Monde di qualche giorno fa dedicava tutta la prima pagina all’Italia, concludendo in modo inequivocabile, come tutti i giornali del mondo, che il primo problema si chiama Silvio Berlusconi. Dunque, tra le grandi differenze tra noi e gli altri paesi d’Europa, metterei pure la distanza tra il nostro dibattito pubblico e il loro».

    Anche il dibattito interno al Pd su come reagire alla crisi è piuttosto vario.

    «Anche noi come partito siamo di fronte a un passaggio decisivo, che segna una fase, e dobbiamo esserne consapevoli. Dobbiamo dire chiaramente che siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità, da partito nazionale, ma senza perdere contatto con le condizioni e gli interessi dei ceti popolari, nella convinzione che solo con l’equità salveremo questo Paese».

    Le pare che non tutti abbiano mostrato questa consapevolezza?

    «Dico solo che a volte bisognerebbe evitare certi dibattiti riduttivi, certe classifiche tipo vuoi più bene alla mamma o al papà, consideri più importante salvare l’Italia o mandare via Berlusconi? La verità è che le due cose si tengono».

    La soluzione è il voto?

    «Certo non si può andare avanti così fino al 2013, meglio allora fare come la Spagna e votare. Ma è chiaro che di fronte all’emergenza occorre essere pronti a soluzioni di emergenza, compreso un governo composto di personalità che possano garantire la credibilità che il mondo ci chiede».

    L’accuseranno di allinearsi ai poteri forti contro la politica.

    «Al contrario. Propongo un atto di generosità della politica, condizione per poter ingaggiare il massimo numero di forze, politiche, sociali e intellettuali, per una riscossa del Paese. Un risultato che certo non può essere raggiunto attraverso una sospensione o un’espulsione della politica».

    Quale che sia il governo, le direttive che vengono dall’Europa non sembrano lasciare molti spazi.Cosa farebbe il Pd se fosse al governo?

    «Andiamo in Europa e diciamo che ci facciamo carico dei vincoli, ma la ricetta ce la scriviamo da soli».

    Fonte: l’Unità - Francesco Cundari | vai alla pagina

    Argomenti: liberalizzazioni, politica estera, tagli, europa, voto anticipato, pd, Berlusconi Silvio, politica economica, crisi economica, politica industriale, populismo, Merkel | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (1)

  • Inserito il 09 agosto 2011 da 18670
    Ecco un'altra OTTIMA OCCASIONE PERDUTA...per TACERE!!! La sinistra sotto schiaffo La sagra degli errori ha coinvolto tutti. Non c'è dubbio che il governo poteva affrontare la crisi con decisione e tempestività maggiori. L'ha tirata per le lunghe, nell'illusione che la situazione potesse assestarsi per conto proprio, senza lacrime e sangue. Ma lo stesso appunto può essere rivolto all'Europa dei burocrati la cui lentezza era emersa anche in occasione della crisi greca. La Bce è intervenuta quando non ne poteva più fare a meno. E gli analisti economici, gli esperti che distribuiscono sermoni, hanno dimostrato, negli ultimi tre anni, di non aver capito neppure dove si trovi il bandolo della matassa. La Germania del cancelliere Merkel lascia intendere la propria riluttanza a soccorrere il Sud dell'Europa, imitando l'atteggiamento che la Lega di Bossi mostra nei confronti del Sud d'Italia. L'egoismo sconsiglia a chi è più ricco di accollarsi i debiti di chi è in difficoltà. Il quadro complessivo testimonia la superficialità con la quale quasi dieci anni fa è stata varata la moneta unica. I cosiddetti euroscettici (una categoria di dubbiosi bollata d'infamia) avvertivano il pericolo di costruire l'Unione del continente soltanto sulla moneta, senza un quadro politico chiaro e condiviso. E questo aiuta a spiegare perché l'Italia sia oggi sotto tutela, con un governo a sovranità limitata, costretto a ubbidire (come ha scritto l'ex commissario Ue, Mario Monti, indicato come possibile capo di un governo tecnico che potrebbe prendere il posto di quello attuale) al «podestà forestiero». Monti sostiene che Berlusconi e Tremonti sono stati costretti a subire le decisioni prese da «un governo tecnico sovrannazionale» con «sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York». È del tutto opinabile che la stessa sorte non sarebbe toccata a un qualunque altro esecutivo, e che non toccherebbe a chiunque dovesse succedere a Berlusconi. Le opposizioni di sinistra (non il Terzo Polo, che ha preso le distanze da Bersani e Di Pietro) gongolano denunciando lo «schiaffo» subìto dall'Italia. E fingono di non accorgersi che la richiesta dei «tutori» di accelerare le riforme conduce nella direzione opposta a quella che è stata (fin dai tempi del consociativismo, e anche prima) la loro politica e quella dei sindacati. Per riguadagnare «dignità» e «credibilità» (gli slogan della propaganda antiberlusconiana), l'Italia dovrà adeguarsi alle regole dell'Occidente, tagliando il welfare, riformando il mercato del lavoro, alzando l'età pensionabile, liberalizzando tutte le regole e riducendo la presenza dello stato. Cioè (per dirla in termini brutali) adottando le ricette opposte a quelle della sinistra militante. http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1729498&codiciTestate=1&titolo=Il%20governo%20sotto%20tutela%20La%20sinistra%20sotto%20schiaffo

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