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Dichiarazione di Andrea BOSSI

Alla data della dichiarazione: Consigliere  Consiglio Comunale Casalpusterlengo (LO) (Lista di elezione: LISTA CIVICA) 


 

L'Italia sono anch'io, le ragioni di una mozione oltre le strumentalizzazioni del centrodestra

  • (12 dicembre 2011) - fonte: Facebook, note di Andrea Bossi - inserita il 09 aprile 2013 da 20747
    Il rinnovato spirito di opposizione leghista sta incominciando a farsi notare anche nella nostra Casalpusterlengo. Il pressapochismo e l’opportunismo degli esponenti del carroccio non è stato intaccato da più di due anni di governo della città: la responsabilità amministrativa e lo sguardo lungo e complessivo, che dovrebbero essere propri di chi si sente investito dell’onere di curare il bene della propria città, ancora una volta vengono messi in secondo piano per lasciare spazio ai soliti slogan diretti alla pancia. Ultimo episodio è la polemica montata ad arte dalla Lega cittadina in merito alla mozione da me presentata nell’ultimo consiglio comunale a nome del gruppo di Casale Democratica, inerente al recente dibattito sul diritto alla cittadinanza. Un argomento di stringente attualità, la cui importanza ci è stata ricordata nelle scorse settimane pure dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sulle pagine dei quotidiani locali ha avuto risalto solamente la presa di posizione del centro destra che non ha esitato a bollare come inopportuna la problematica discussa, attaccando il Partito Democratico di occuparsi, in questi tempi di crisi, di questioni marginali. Un uscita scorretta che testimonia chiaramente tutto il populismo che alberga tra le fila di molti leghisti. Innanzitutto è importante fare un po’ di ordine per poter uscire dalla palude dei luoghi comuni. La mozione sul diritto alla cittadinanza e il diritto di voto, proviene dalla società civile, è una campagna (L’Italia sono anch’io) supportata da diverse associazioni (tra cui l’Acli, l’Arci, la Caritas Italaina, Libera di don Ciotti, la CGIL, Emmaus Italia…e tante altre) che stanno cercando di risvegliare l’attenzione anche grazie all’appoggio delle amministrazioni locali. In un epoca storica dominata dalla crescente sfiducia nei confronti dei partiti e della politica in generale non sono ammissibili arroccamenti. Oggi, con la crisi dei soggetti di rappresentanza collettiva e con la crescita di realtà sociali sempre più eterogenee, non è più auspicabile un terreno della politica battuto solamente dalle tradizionali compagini partitiche. Negli anni si sono venuti a formare nuovi soggetti, espressione dell’articolazione del vivere democratico, dotati di credibilità e competenze talvolta superiori a quelle degli stessi partiti. Differentemente da quanto sostenuto dalla Lega, dal Pdl e pure da Fli nel corso del consiglio comunale, ritengo che non sia una debolezza l’apertura della politica alle istanze e ai movimenti della società civile. Non è assolutamente una perdita di autonomia ma è un gesto di attenzione, di sensibilità e di promozione di un nuovo dibattito civico basato sull’interazione e sulla compensazione delle risorse attive nel panorama civico. Torniamo al cuore della mozione. Essa parte da un incontrovertibile dato di fatto: la popolazione di origine straniera ha ormai superato i 5 milioni di persone e rappresenta una componente fondamentale della società italiana, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo economico, sociale e civile del nostro Paese. Sono circa un milione i minori figli di migranti, per la gran parte nati in Italia, che frequentano le nostre scuole e che solo al compimento del 18° anno possono chiedere l’ottenimento della cittadinanza italiana, pur non essendo migranti e, molto spesso, non avendo mai conosciuto il paese di provenienza dei propri genitori. Tuttavia persistono oggi per i migranti forti limitazioni che danno luogo a disuguaglianze, ingiustizie, disparità di trattamento, discriminazioni che impediscono l’attuazione del principio costituzionale di uguaglianza. Tutto ciò ci deve spingere a riflettere sulla doverosa necessità di riformare la nostra legge sulla cittadinanza e quella sull’elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative degli extracomunitari. Il problema migratorio non può essere svilito ad una semplice questione di ordine pubblico, come gli interventi dei consiglieri leghisti hanno cercato di fare. Quest’approccio denota una caratteristica propria di una buona parte della destra italiana contemporanea: la volontà di restringere la cerchia della socievolezza. Laddove al benessere e ai diritti concorrono nuovi soggetti, si reputa più conveniente rifugiarsi tra la cerchia ristretta dei simili. Si riduce la scala della socializzazione circoscrivendo così l’ambito della governance. Una seria riflessione su tematiche di respiro nazionale come quella in merito alla cittadinanza non possono lasciare indifferenti gli amministratori locali, che sono chiamati in prima persona ad interfacciarsi proprio con problematiche che riguardano da vicino l’immigrazione. se veramente poi crediamo alla creazione dal basso di movimenti di opinione capaci di condizionare le scelte della classe dirigente di questo paese, non possiamo allontanare dal dibattito delle nostre assemblee cittadine tutte quelle tematiche che non ricadono nella stringente sfera della amministrazione. Poiché l’imprinting culturale e politico che orienterà le decisioni degli amministratori ha necessariamente delle ricadute sullo spirito e sul clima di una città. Il dibattito che intendevo proporre aveva un respiro necessariamente più ampio e, sul piano operativo (oltre all’adesione alla campagna L’Italia sono anch’io), impegnava la giunta ad una semplice campagna informativa per mettere al corrente i diciottenni stranieri residenti nel comune di quali dovessero essere le procedure da seguire per richiedere la cittadinanza italiana. Un’attività molto semplice, che però non rientra nelle corde del centrodestra che ha preferito gettare fumo negli occhi della cittadinanza parlando di un PD che preferisce ciarlare di cose poco importanti. Forse, se avessero un briciolo di onestà intellettuale potrebbero riconoscere che, le ultime battaglie cittadine, hanno sempre visto il gruppo di Casale Democratica in prima fila, altrettanto non si può dire della Lega e del Pdl: - dove erano i nostri buoni paladini quando, nell’inverno del 2009, noi raccoglievamo firme e cercavamo di opporci con i mezzi a nostra disposizione contro la chiusura del punto di primo intervento di Casale? Perché durante tutta la vicenda sono apparsi alquanto silenziosi e lenti nell’agire? - Perché alle nostre continue sollecitazioni in merito ai rincari eccessivi dei servizi sociali e scolastici, supportate anche da incontri da noi promossi insieme ai cittadini destinatari di quelle prestazioni, non abbiamo mai ottenuto aperture al dialogo e al confronto? In tempi di crisi non è forse anche questo un tema importante? - Perché sul caso Elcon siamo stati a lungo accusati di allarmismo ingiustificato salvo poi vedere confermati i nostri timori dalla realtà dei fatti e dalla mobilitazione cittadina? Questo non era un passaggio determinante per il futuro di Casale? - Perché i difensori del patrimonio pubblico oggi vogliono vendere l’unico ramo produttore di utili quale è la farmacia comunale e mantengono in stato di degrado e di ampia svalutazione cespiti come la vecchia casa di riposo? Quali particolari interessi/progetti frenano i duri e puri leghisti dal denunciare lo svilimento del patrimonio pubblico come facevano qualche anno fa? Perché non si sono mai resi disponibili ad aprire un confronto sulla gestione dei beni pubblici alienabili? - Perché il tavolo di studio delle dinamiche occupazionali da me proposto a luglio e che aveva riscosso l'impegno del comune ad indire, dopo le vacanze estive, la sua istituzione, non è mai stato radunato? Doveva essere un tavolo di studio e di proposta positiva per il nostro territorio; una “commissione” che doveva avere come primo obiettivo la cura e l'attenzione verso i 60 dipendenti Pantaeco. A questo tavolo, oltre a noi consiglieri dovevano partecipare la provincia, i sindacati, le associazioni di categoria nonché i tecnici dell’ufficio ecologia, perché, nella mia idea di studio delle dinamiche occupazionali al fine di elaborare proposte amministrative propositive, non si potevano sottovalutare le incombenze di sostenibilità ambientale. Sono state indette due riunioni dei capigruppo camuffate da tavolo tecnico ma non c’è stata alcuna costituzione formale della squadra che avrebbe dovuto studiare il mercato del lavoro del lodigiano, non ci sono stati contatti con i sindacati e le associazioni di categoria, non c’è stato alcun incontro tra il consiglio comunale e le rappresentanze dei lavoratori. In tempi di crisi per il lavoro cosa hanno fatto allora i supporter del buongoverno? Forse è ora che la smettessero di sparare in aria slogan tanto strampalati quanto ingenerosi e piuttosto che giocare ad una campagna elettorale perenne si decidessero a governare non più solo con i numeri ma anche con le idee. La mozione sulla cittadinanza e l’elettorato agli stranieri, a mio avviso, a pieno diritto a comparire all’interno del dibattito politico cittadino. Forse gli allergici al confronto preferiscono metodologie meno partecipate. Sinceramente diffido da chi dice di prediligere il lavoro nell’ombra, è solo un modo gentile e artificioso per nascondere alla luce del sole il proprio e vero volto. Credo che l’integrazione oggi non possa voler dire assimilazione al nostro modello culturale, posto che ne esista uno, univoco e compatto (a tal proposito le difese della lega circa l’italianità esclusiva mi sembrano un enorme paradosso). La richiesta di assimilazione è iniqua perché comporta che il costo dell'adattamento sia pagato esclusivamente dai migranti, in termini di libertà del loro stile di vita. Poiché la società democratica è intrinsecamente pluralista e riconosce a ciascuno il diritto di libertà di pensiero, religione, associazione e stili di vita, la richiesta di uniformarsi ai nostri usi e costumi per niente uniformi è insieme contraddittoria e discriminatoria. In una prospettiva di giustizia e di equità è decisivo l’aspetto psicologico che genera il riconoscimento istituzionale di diritti. Essi rendono lo straniero partecipe della comunità nella quale vive, lo fanno sentire parte integrante del tessuto sociale e non più solo ospite temporaneo, lo incentivano a tessere relazioni di dialogo e di confronto. Per concludere trovo pienamente condivisibili le parole della professoressa Anna Elisabetta Galeotti: “Trattare con eguale dignità e rispetto gli appartenenti alle minoranze culturali comporta evitare doppi standard, il che implica ripensare e riaggiustare tanti comportamenti istituzionali foggiati esclusivamente sulla tradizione maggioritaria nostrana e pertanto escludenti chi in essa non si riconosce. Questo è un processo complicato che deve dar luogo a negoziazioni e accomodamenti invece che a prese di posizione ideologiche in nome dell'identità. L'identità, sia detto per inciso, è politicamente rilevante solo in quanto fattore di esclusione o di trattamenti impari. Per il resto, sta agli individui decidere quanto e come dell'identità culturale ricevuta mantenere o modificare. Il tutto, si sottolinea, entro i confini del principio del danno a terzi. […] Ciò che è importante sottolineare è che, avendo le istituzioni assolto i propri obblighi di giustizia nei confronti dei gruppi da integrare, è ragionevole ed equo rivolgere ai vari gruppi la richiesta di reciprocità e lealtà alla società democratica.” Andrea Bossi Consigliere Comunale Casale Democratica
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