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Dichiarazione di Antonio POLITO


 

Più che i partiti va convinto il Paese

  • (21 gennaio 2012) - fonte: Corriere della Sera - inserita il 21 gennaio 2012 da 31

    Sarà pur vero che «si poteva fare di più e meglio», come dice Bersani, o che «il governo tecnico non sta dando frutti», come dice Berlusconi; ma vien da chiedere ad entrambi perché più e meglio non sia stato fatto in questi quindici anni, e quali frutti i governi dell’uno e dell’altro abbiano dato in materia di crescita economica. Il maxi-decreto contiene certamente prudenze e rinvii. Per esempio: in materia di professioni e mestieri non si è eliminato nessun monopolio, al massimo si è allargato il numero dei monopolisti. Ma certamente appare come il primo tentativo organico di trasformare l’Italia da Paese in cui dettano legge i fornitori dei servizi, organizzati e ben collegati alla classe politica, a Paese in cui contano anche gli interessi dei fruitori dei servizi, che non hanno né sindacati né associazioni a proteggerli.

    Se questo tentativo riuscirà è tutto da vedere. A cominciare da ciò che accadrà in Parlamento quando queste misure, per avere il voto dei partiti, dovranno scendere a patti con i loro emendamenti. Ma a decidere davvero sarà l’atteggiamento del Paese: sosterrà il cambiamento? Si ribellerà? O starà alla finestra ad aspettare l’esito dello scontro tra il governo dei tecnici e le corporazioni? Dovunque in Europa cambiare è difficile. Il «buon professore» Monti, come lo chiama l’Economist, ha però un indubbio vantaggio. Un celebre aneddoto di Bruxelles racconta che, alla fine di un difficile vertice, il premier lussemburghese Juncker confessò ai giornalisti: «Il guaio è che tutti sappiamo quali riforme servono ai nostri Paesi, ma nessuno di noi sa come vincere le elezioni dopo averle fatte».

    Monti questo problema non ce l’ha, e non solo perché alle prossime elezioni dice che non ci sarà. Ma anche perché, almeno finora, gli elettori sembrano concordare sulla necessità delle riforme che sta facendo, anche quando non le gradiscono. Le categorie protestano, praticamente tutte; l’opinione pubblica, che non è mai la somma delle categorie, approva. Pur nel pieno di decine di mini- rivolte sociali (quella dei tassisti è al limite del codice penale), i sondaggi dicono ancora sì a Monti; ma ancor più dicono sì alle liberalizzazioni. Anzi: il partito che più è apparso frenarle, il Pdl, cala nei consensi; mentre il partito che più le invoca, il Pd, cresce. Sembra essersi creata una bolla di riformismo, se così si può dire, nell’opinione pubblica. Un tedesco direbbe che questo è il bello della frusta dei mercati, perché solo sotto minaccia di fallimento un Paese come l’Italia si dà il coraggio di cambiare.

    Un italiano potrebbe invece vederci la convenienza, la speranza cioè che le liberalizzazioni diano alle famiglie un risparmio se non equivalente quanto meno risarcitorio dell’aumento delle tasse e della riduzione delle pensioni. Anche perché in tempi di crisi come questi non ci sono molti altri modi di incrementare il reddito. Essendo una bolla, questo stato d’animo va però maneggiato con un’intelligenza che si dovrebbe definire «politica», se a praticarla non fosse un governo «tecnico». Innanzitutto perché l’esperimento non avviene in vitro, ma nella carne di un corpo sociale già sotto i ferri di una durissima recessione. Bisogna dunque ricordare sempre che se si mettono in crisi categorie, professioni e settori che già sono in crisi, senza produrre vantaggi economici evidenti, si commette un errore di arroganza intellettuale. Il secondo punto cruciale è l’equità.

    I «grandi» e i «pubblici» non devono ricevere un trattamento di favore rispetto ai «piccoli» e ai «privati». Anche per spuntare questa critica il governo ha deciso di avviare finalmente quella separazione proprietaria tra Eni e Snam rete gas che nessun governo politico ha mai avuto il fegato di fare. Ma è anche vero che la stessa cosa non è stata fatta per le Fs e la rete ferroviaria, rinviando ogni decisione a una mega-Authority che assomiglia sempre più a un ministero. C’è poi un’altra prova di equità da dare. Comincia lunedì la trattativa per la liberalizzazione del mercato del lavoro, che vale almeno quanto l’aumento del numero delle farmacie. In quella sede il governo deve dimostrare che i poteri forti non hanno diritti di precedenza nemmeno se si chiamano sindacati e Confindustria.

    Fonte: Corriere della Sera | vai alla pagina

    Argomenti: liberalizzazioni, partiti, riforme, governo Monti | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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