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Dichiarazione di Vittorio Grilli

Alla data della dichiarazione:  Ministro  Economia


 

«Vendite da 15-20 miliardi l'anno. Ecco il piano per ridurre il debito» - INTERVISTA

  • (15 luglio 2012) - fonte: Corriere della Sera - Ferruccio de Bortoli - inserita il 16 luglio 2012 da 31

    Il primo successore di Monti al ministero dell'Economia, economista, milanese, bocconiano, è già stato direttore generale del Tesoro con Tremonti.

    Una personalità quest'ultima agli antipodi rispetto all'attuale premier. Vero?

    «Il rapporto personale con Giulio non è cambiato, quello gerarchico era molto diverso, prima io ero parte dell'amministrazione dello Stato, oggi sono membro di un governo che fa della collegialità un punto di forza, lo dimostra se non altro la durata dei consigli dei ministri, ma va subito detta una cosa fondamentale».

    Quale?

    «La legittimazione di questo governo è nella persona del presidente del Consiglio; la mia, di conseguenza, ne è una derivata».

    Sì, d'accordo, ma il comitato di coordinamento costituito a Palazzo Chigi con Passera e Visco non lo vede come un limite ai suoi poteri?

    «Assolutamente no».

    E la presenza del Governatore della Banca d'Italia in un organismo governativo non rappresenta un'anomalia?

    «Non credo, non riduce minimamente il suo livello di autonomia».

    Allora diciamo che con un governo politico la cosa non sarebbe avvenuta.

    «Forse sì».

    All'indomani della bocciatura di Moody's, che ha ridotto di due gradini la valutazione del debito italiano (da A3 a Baa2), la delusione per il voto ritenuto ingiusto non scalfisce in Grilli la soddisfazione per l'andamento delle aste dei titoli pubblici con rendimenti in calo?

    «Una grande differenza rispetto a poco meno di un anno fa».

    Io non mi farei, ministro, grandi illusioni, lo spread è sceso di poco dai massimi di novembre (575).

    «Sì, ma la curva dei rendimenti dei nostri titoli è completamente diversa. Prima, quelli a breve erano superiori a quelli a lungo termine, segno che per l'Italia l'accesso ai mercati si stava chiudendo. Oggi accade il contrario. I tassi a breve sono più bassi di quelli a lunga. Ancora troppo elevati, però».

    Così alti da far salire il servizio del nostro debito pubblico al 5,8 per cento del Pil, qualcosa come 85 miliardi di interessi all'anno.

    «I mercati non riconoscono ancora la bontà degli sforzi compiuti dal nostro Paese per mettere in ordine i conti, il pareggio di bilancio è a portata di mano, le riforme strutturali sono avviate. Nessun altro Paese ha fatto tanto, in così poco tempo».

    Lo spieghi alle agenzie di rating , ci ha provato?

    «Certo, anche se i rapporti sono diventati difficili, se non impossibili. Prima il confronto era più facile».

    Che cosa è accaduto nella vostra relazione con le agenzie di rating?

    «Prima della crisi dei subprime (i prestiti immobiliari senza garanzie, ndr) veniva data la tripla A, il voto massimo, anche a degli autentici pericoli pubblici, come gli special purpose vehicle, società fuori dai bilanci principali. Dopo lo scoppio della bolla, le procedure si sono ingessate. Le agenzie di rating, che sono aziende private in potenziale conflitto d'interesse con i propri clienti, esponenti di una cultura solo americana, si sono mosse sempre in ritardo, finendo per ampliare gli effetti dei fenomeni, anziché anticiparli. E il dialogo si è interrotto. Oggi ci avvertono quando tutto è deciso, non accettano spiegazioni».

    E i governi appaiono impotenti, devono sempre subire?

    «In un'economia di mercato è assolutamente normale che vi sia una valutazione dei crediti privati, un voto di affidabilità su un debitore, può essere discutibile che ciò possa essere richiesto anche per uno Stato. L'aspetto grave, che una democrazia non dovrebbe sottovalutare, è però un altro. Un giudizio privato, pur legittimo, rientra poi automaticamente nelle procedure, di natura pubblica, di un ente regolatore che difende gli interessi di tutti. Il vero nodo è questo».

    A cinque anni dallo scoppio della bolla dei subprime, qual è la sua personale valutazione, qual è stato il più grande errore commesso?

    «La velocità della globalizzazione ci ha colto di sorpresa e nessuno di noi pensava che l'attività di supervisione dei governi fosse così lenta e miope, a volte persino inconsapevolmente complice delle patologie dei mercati».

    Lei pensa che la scelta della banca universale, senza la separazione dell'attività di investimento da quella commerciale, sia la causa principale?

    «Il modello andrebbe cambiato. Dovremmo avere l'onestà di dirlo. Guardi, una volta le banche d'affari erano boutique e tutti conoscevano tutti. Oggi sono istituzioni estremamente complesse con migliaia di persone dove la cultura super tecnocratica dei prodotti finanziari domina su tutti».

    Sono tornati gli investitori esteri, nonostante tutto, sui nostri titoli?

    «È presto per dirlo».

    Quant'è attualmente la quota del nostro debito pubblico in mano straniera?

    «Grosso modo il 40 per cento».

    Teme l'agosto sui mercati?

    «L'agosto è sempre un mese difficile perché i mercati sono più sottili e volatili».

    Lo scudo anti-spread riuscirà nell'intento di convincere gli investitori ad accettare un premio al rischio più basso, quello fisiologico secondo il Governatore della Banca d'Italia dovrebbe essere intorno a quota 200?

    «Condivido l'analisi di Visco, dopo il summit di Bruxelles e l'ultimo Eurogruppo è in corso un intenso lavoro tecnico per dare corpo definitivo a questo strumento, ma molto dipenderà dalla volontà politica di proseguire, a tappe forzate, lungo una maggiore unione politica e fiscale dando ai fondi Efsf (European Financial Stability Facility) e Esm (European Stability Mechanism) compiti precisi e dotazioni adeguate».

    Diciamo la verità, lo scudo non piace a tedeschi e olandesi e forse resterà sulla carta.

    «Io non credo. Sa perché è necessario a tutta l'Unione? Perché la moneta unica ha spento i tradizionali meccanismi macroeconomici di riequilibrio delle economie nazionali. Prima, una recessione spingeva la banca centrale a ridurre i tassi e a favorire il riequilibrio, consentendo a famiglie e imprese di indebitarsi a costi più bassi. Oggi questo non funziona. E quando la Bce taglia il costo del denaro, per noi non cambia nulla. Colpa dello spread troppo alto. Una volta, quando i flussi di capitale in uscita da un Paese erano eccessivi, i tassi di cambio si muovevano di conseguenza. La Svizzera ha fatto recentemente così, impedendo tra l'altro di apprezzare troppo il franco. La Germania, se avesse ancora il marco, lo avrebbe visto schizzare verso l'alto e si sarebbe preoccupata per le sue esportazioni. Come Berna. Oggi, con lo spread elevato, Berlino riceve addirittura un sussidio pagando tassi negativi. Ecco alcune ragioni che rendono lo scudo anti-spread importante per tutti».

    E l'ostacolo maggiore da superare qual è?

    «Dimostrare a tutti i partner che non vi è alcuna intenzione di monetizzare i disavanzi di bilancio. L'Italia ha quasi annullato il proprio deficit, mettendo poi il pareggio di bilancio in Costituzione. Si tratta di stabilizzare i mercati e dare più assicurazioni sulla liquidità e la stabilità dell'Eurozona nel suo complesso. Oggi sta avvenendo un sostanziale ritorno di sistemi finanziari operanti prevalentemente all'interno dei propri confini nazionali con danni per tutti».

    Sono molti i capitali in fuga dall'Italia e anche dall'euro?

    «Non mi risultano fenomeni apprezzabili».

    Io non sarei così sicuro. State trattando con la Svizzera per raggiungere un accordo sulla tassazione dei capitali italiani?
    «Il negoziato è avviato, esaminiamo le intese già raggiunte da Berna con tedeschi e inglesi. Sono ottimista».

    È allo studio una terapia antidebito?

    «Premetto subito che sarei felice di dare un colpo secco al nostro debito pubblico, oggi intorno al 123 per cento, e portarlo sotto quota 100, sarebbe bellissimo. Purtroppo, diciamo la verità, non ci sono più gli asset vendibili dello Stato e degli enti pubblici, come vent'anni fa. Vi è un patrimonio immobiliare di difficile valorizzazione, come insegnano le esperienze non felici di Scip 1 e Scip 2 (società create per vendere o cartolarizzare le proprietà degli enti, ndr), molte attività sparse a livello locale».

    Ma sulle privatizzazioni potreste avere più coraggio, no?

    «Giusto, alcuni passi significativi sono già stati compiuti, per esempio costituendo alcuni veicoli, come quello del Demanio o le due società di gestione del risparmio (Sgr) per gli immobili e le utilities locali della Cassa depositi e prestiti (Cdp), molto sarà fatto con il recente decreto sulla spending review e riducendo drasticamente le società municipali in house, ovvero con un solo cliente, l'ente fondatore, in modo da favorire l'apertura dei mercati ai privati».

    Ma, insomma, un possibile percorso di rientro del debito c'è o no?

    «Io non credo alle virtù di prestiti forzosi, la mia cultura liberale fa sì che certe soluzioni non mi convincano».

    E allora? Dovremo vivere all'infinito con un fardello così pesante sulla testa degli italiani?

    «La strada praticabile è quella di garantire, con un programma pluriennale, vendite di beni pubblici per 15-20 miliardi l'anno, pari all'1 per cento del Pil».

    Un po' poco, ministro.

    «No, tutt'altro, se lei pensa che già abbiamo un avanzo primario, cioè prima del pagamento degli interessi sul debito, del 5 per cento e calcoli una crescita nominale del 3 per cento, cioè tolta l'inflazione all'1, vorrebbe dire ridurlo del 20 per cento in 5 anni».

    Le tasse, specie sul lavoro, sono troppo elevate, ministro. I malumori sono giustificati.

    «Intanto le abbiamo ridotte».

    Scusi?

    «Sì, quello che si dimentica è che l'aumento dell'Iva al 23 per cento era già previsto per legge».

    È stato solo rinviato al luglio del 2013.

    «E cercheremo di creare le condizioni perché non aumenti del tutto. La spending review del ministro Giarda consente risparmi al di là delle cifre di cui si parla in questi giorni. Si possono ridurre ancora le agevolazioni fiscali e assistenziali, intervenire sui trasferimenti alle imprese, le ipotesi sono tante».

    E le imposte sul lavoro scenderanno mai in questo Paese?

    «Io me lo auguro e la lotta all'evasione fiscale dovrebbe creare le condizioni per renderlo possibile».

    Quanto pensate di incassare quest'anno dalla lotta all'evasione fiscale?

    «Più dei dieci miliardi previsti».

    Perché è così ottimista?

    «Perché l'Agenzia delle Entrate ha a disposizione nuovi strumenti. Ha, per esempio, una migliore accessibilità agli istituti di credito. Sono stati fotografati due milioni di immobili fantasma non accatastati. L'uso del contante è stato limitato».

    Ma la crisi farà inevitabilmente calare il gettito. Qual è la vostra previsione sull'andamento dell'economia, in vista dell' aggiornamento del Def, previsto a settembre? Quanto morde la recessione? Visco prevede un calo del 2 per cento, il Fondo monetario è più pessimista.

    «Io direi un po' meno del 2».

    Il ministero dell'Economia è anche azionista di peso di molte società. Una di queste, la Rai, ha da qualche giorno un nuovo vertice con la nomina di Anna Maria Tarantola. Ma la Rai verrà mai privatizzata?

    «L'obiettivo principale oggi è la qualità dei programmi, la trasparenza e l'efficienza della gestione, poi sarà forse possibile tracciare una linea di confine tra ciò che è servizio pubblico e ciò che è pura attività commerciale».

    Finmeccanica tra scandali e vertici in discussione.

    «Osserviamo da vicino, anche qui la trasparenza è indispensabile».

    La Cassa depositi e prestiti, secondo alcuni critici, si avvia ad essere una sorta di nuovo Iri, l'ente pubblico in vita dal '33 al 2002?

    «Lo escludo, la Cdp svolge, in un'economia profondamente cambiata, un ruolo insostituibile di motore della crescita, pubblico e privato, garantisce lo sviluppo e la tutela nazionale delle grandi reti, con le sue partecipazioni in Terna, Snam, Metroweb, ma anche in F2I, nel Fondo strategico e in quello per le piccole e medie imprese».

    Il governo durerà fino alla primavera del 2013. Ormai, le sorprese sembrano escluse. E dopo che farà?

    «Guardi, io non ci penso, la politica non fa per me. Sono orgoglioso di fare qualcosa per il mio Paese».

    Pagato meno di prima?

    «Sì, guadagno il 40 per cento rispetto a quand'ero direttore generale, ma non mi lamento, ci mancherebbe altro».

    Fonte: Corriere della Sera - Ferruccio de Bortoli | vai alla pagina

    Argomenti: economia, privatizzazioni, tasse, spesa pubblica, europa, Rai, debito pubblico, debito, dismissioni, patrimonio immobiliare, globalizzazione, FMI-Fondo Monetario Internazionale, Pil, Recessione economica, patrimonio pubblico, crisi economica, Bce, euro, governo Monti, spending review | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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