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Dichiarazione di Paola Severino

Alla data della dichiarazione:  Ministro  Giustizia


 

«Contro il partito degli sfascisti» - INTERVISTA

  • (06 agosto 2012) - fonte: Il Foglio - Salvatore Merlo - inserita il 07 agosto 2012 da 31

    «Ingroia? Condivisi la sua idea».

    «II Quirinale? Non è intercettabile. I giornalisti? Non tutto il pattume è di interesse pubblico. Le intercettazioni? La legge è pronta. L'agenda Monti? Serve anche nel 2013».

    «I magistrati non dovrebbero allegare ai fascicoli tutte le intercettazioni che evidentemente non hanno alcuna rilevanza. E i giornalisti dovrebbero sapere che non tutto il pattume è una notizia di pubblico interesse. Il magistrato migliore lavora nel silenzio e nella riservatezza operosa».

    Paola Severino aggrotta la fronte, si fa ripetere la domanda un paio di volte, poi ci riflette, prende un altro sorso di tè, e, mentre il cronista osserva il ritratto di Giorgio Napolitano che domina alle spalle della scrivania che forse fu di Palmiro Togliatti, il ministro risponde: «Io non ho avuto la percezione che le polemiche, anche molto aspre, intorno al Quirinale e alle intercettazioni della procura di Palermo fossero un attacco rivolto contro il governo tecnico».

    «E anche se fosse, mi sembra che altri siano i parametri sui quali normalmente il paese giudica questo governo. Su di noi influisce il contesto della crisi economica, l'altalena dello spread che è storia di questi giorni, noi siamo valutati in base alla nostra capacità di portare a compimento le riforme e di mettere in sicurezza il paese».

    Ed è come se il ministro volesse dire che la politica si muove e si agita con i suoi schemi e il suo linguaggio ("spesso un linguaggio aspro, di forte contrapposizione verbale", dice Severino quando le si citano un paio di dichiarazioni di Antonio Di Pietro), ma i meccanismi di un tempo, in quest'era di eccezione e di crisi, non funzionano più: il destino si compie altrove, quello dell'Italia come quello di Monti. Eppure tutte le forze intellettuali, giornalistiche e dunque politiche che in Italia hanno interesse a impedire anche la sola ipotesi che nel 2013 il governo Monti possa continuare sotto qualsiasi forma sono le stesse che hanno aggredito Loris D'Ambrosio e Napolitano utilizzando la storia dell'intercettazione con l'ex ministro Nicola Mancino.

    «Quello del dopo è il grande nodo da sciogliere. All'estero si chiedono, e ci chiedono, se ci siamo posti il problema di cosa succederà nel 2013. Mi sono state rivolte molte domande preoccupate nelle occasioni in cui ho frequentato le istituzioni internazionali, sia al Fondo monetario sia alla Banca mondiale. Diciamo che, dopo aver espresso apprezzamento per le riforme e gli interventi del governo, tutti volevano sapere una sola cosa: che accadrà in Italia quando Monti lascerà Palazzo Chigi? Sarete capaci di continuare su questa strada? Ecco, a mio avviso, è questo il grande tema, sotto il profilo economico, della tenuta delle riforme, della capacità del paese di proseguire su una strada di maggiore efficienza. L'Italia ha recuperato credibilità internazionale, ed è su questa strada che dovrà proseguire anche dopo e senza di noi. E infatti credo nell'importanza della riforma elettorale, un nuovo sistema che possa far emergere una maggioranza forte, legittimata e credibile».

    «Il lavoro che abbiamo iniziato va continuato, ma per riuscirci la politica dovrà essere capace di uscire rinnovata da questa parentesi tecnocratica: la legge elettorale è un passaggio cruciale, irrinunciabile».

    Lei ha intenzione di restare in politica?

    «Tornerò a fare l'avvocato e il professore. Le due cose che mi piacciono di più».

    Dunque non vede un nesso tra l'attacco al Quirinale, di cui ha scritto molto tra gli altri anche Eugenio Scalfari, e la capacità di tenuta del governo; malgrado il Guardasigilli sembra intuire, o forse temere, delle "resistenze" intorno alla riproposizione dell'agenda Monti, con o senza Monti a Palazzo Chigi, anche nel 2013. Le si chiede allora se in effetti c'è stato un attacco al Quirinale, le si chiede se è lecito intercettare il capo dello stato, come è stato fatto, seppure indirettamente, dai pm di Palermo. La risposta è chiara:

    «Le garanzie del capo dello stato sono coperte dalla Costituzione. Il presidente della Repubblica non è penalmente responsabile nell'esercizio delle sue funzioni fatto salvo che per alto tradimento e attentato alla Costituzione, e questo comporta il corollario della sua non intercettabilità. Le ragioni sono ovvie: attraverso i telefoni del Quirinale passano informazioni e segreti che fanno capo esclusivamente ai vertici dello stato, questioni della massima delicatezza come la diplomazia internazionale o le informazioni di intelligence. Per questo il livello di tutela delle garanzie del capo dello stato è doverosa e motivata dalle sue funzioni, ogni polemica al riguardo è certamente inopportuna. Vorrei in ogni caso chiarire che qui si è trattato, per espressa affermazione della procura di Palermo, di intercettazione indiretta. E vorrei anche aggiungere che, anche se si andasse all'udienza filtro, si dovrebbero adottare tutte le cautele idonee ad assicurare il mantenimento del segreto sui contenuti».

    Il pm palermitano Di Matteo ha rivelato che nei faldoni della procura sono state trascritte, ma non allegate agli atti pubblici, delle telefonate in cui è stata registrata la viva voce del presidente. Il magistrato ha dichiarato, testualmente: "Non sono state giudicate rilevanti. Ma potrebbero essere utilizzate in altri procedimenti". Non è un linguaggio quantomeno allusivo e forse intimidatorio nei confronti del Quirinale intercettato?

    «Non ho alcun elemento per ritenerlo. E' bene chiarire, perché non sorgano equivoci, che la legge consente l'utilizzo delle intercettazioni acquisite in uno specifico procedimento anche in un altro procedimento».

    E' una norma che andrebbe riformata? C'è chi lo pensa. C'è chi pensa che vada interpretata in termini restrittivi. Il ministro inforca gli occhiali, apre un fascicolo e tira fuori un articolo di giornale.

    «Leggo che Nello Nappi del Csm - magistrato eletto nelle liste di Area (la corrente di sinistra delle toghe) - colloca l'utilizzabilità delle intercettazioni solo nell'ambito del procedimento in cui questi ascolti sono stati disposti. Si tratta di un problema interpretativo, o di normativa futura».

    E lei pensa di intervenire, di modificare le regole?

    «Sulla legge che riguarda le garanzie del capo dello stato deciderà la Corte costituzionale. Potrebbe fornire una interpretazione della legge, così come ha chiesto l'Avvocatura dello stato, chiarendo che quelle intercettazioni vadano immediatamente distrutte, oppure ritenere che la normativa debba essere integrata.
    Se dovesse farlo, procederemmo subito nel senso indicato dalla Corte. Altra cosa è la normativa ordinaria in tema di intercettazioni, che prescinde dalla speciale condizione del capo dello stato e che è contenuta nel codice di procedura penale, cui hanno ritenuto di doversi riferire i magistrati di Palermo. Altra cosa ancora è un disegno di legge pendente e approvato solo in parte dal Parlamento durante il precedente governo. E' fermo da un po' di tempo ed è stato nuovamente calendarizzato.
    Ecco, su questo disegno di legge si potrebbe intervenire con una riforma generale dell'istituto, tenendo presente che vi è anche da sciogliere il nodo di una doppia votazione conforme da parte dei due rami del Parlamento su alcuni punti del provvedimento, cosa che potrebbe configurare una sorta di giudicato non modificabile».

    La deontologia dei pm e dei cronisti. La riforma, dunque, si può fare.

    «Io penso anche che nel frattempo potrebbe essere importante l'applicazione attenta delle norme e delle garanzie che esistono. Occorre incentivare una forma di autodisciplina del magistrato e del giornalista. Ci sono dei contenuti di intercettazioni pubblicate che vanno forse poco al di là del pettegolezzo».

    La deontologia non è, di per sé, vincolante, ministro.

    «La deontologia è una dote che prescinde dalla legge. Pensi agli avvocati. Sono legati al vincolo di riservatezza, ma a volte - a volte - l'avvocato diventa la fonte del giornalista. Una autoregolamentazione forte vorrebbe che questo non accadesse».

    Veramente sono i magistrati che per lo più passano le notizie ai giornalisti.

    «Veramente non sapremo mai chi sia stato, perché mi risulta che quasi mai si accerti l'identità dell'autore della rivelazione e io infatti ho detto, non a caso, che 'a volte' possono essere gli avvocati. Ecco, tutto questo non costituisce sempre un illecito penale, ma è deontologicamente riprovevole. Un avvocato, come un magistrato, deve coltivare la riservatezza anche dove la legge non gliela impone. Il magistrato si dovrebbe anche porre il problema di non allegare ai fascicoli tutte le intercettazioni che evidentemente non hanno alcuna rilevanza. Il filtro dunque deve essere normativo, ma un filtro a maglie più strette può essere quello deontologico. Il modello di magistrato migliore è quello che lavora nel riserbo, in silenzio e operosamente. L'ho detto a proposito di Falcone e Borsellino e l'ho ripetuto di recente a proposito di Loris D'Ambrosio. Tutto ciò riguarda ovviamente anche i giornalisti. Devono selezionare ciò che è di pubblico interesse da ciò che non lo è. Non tutto il pattume è di interesse pubblico».

    Cosa garantisce che le intercettazioni di Napolitano non vengano, in un futuro prossimo, rivelate al pubblico malgrado non siano state ritenute rilevanti in questa ultima specifica indagine? Adesso sono chiuse in un cassetto della procura.

    «Non si deve permettere che il contenuto di quelle telefonate esca fuori dall'udienza, se ci sarà un'udienza, o dall'indagine. Mi pare che il valore della norma costituzionale che assicura le garanzie del capo dello stato sia così forte da imporre che comunque si attivino dei meccanismi di tutela particolare tali che il contenuto di quelle telefonate non sia in alcun modo conoscibile da altri soggetti che non siano tenuti al mantenimento del segreto. La presidenza della Repubblica ha correttamente sollevato un conflitto di attribuzioni presso la Corte costituzionale. Il problema ruota intorno alle garanzie del capo dello stato: è stato indirettamente intercettato ma le sue garanzie sono tali da rendere inapplicabili per lui le norme comuni? Io ho la mia opinione, ma adesso dobbiamo tutti attendere la Corte costituzionale che chiarirà, anche per il futuro, la più corretta interpretazione delle norme».

    Il procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi, in una recente intervista, ha offerto un'interpretazione delle norme intorno alla distruzione immediata delle intercettazioni telefoniche ritenute non rilevanti.

    «Il sistema del procuratore Salvi, applicato a Catania attraverso una circolare, si discosta molto da quella applicata a Palermo. Loro distruggono subito le intercettazioni inutilizzabili o irrilevanti, mentre a Palermo il procuratore ha ribadito che anche le intercettazioni considerate non rilevanti debbano essere sottoposte all'articolo 271 del codice penale e dunque distrutte solo dopo un'udienza alla quale partecipano i difensori. Se lei mi chiede quale interpretazione preferisco, nella mia qualità di ministro della Giustizia non posso rispondere per il doveroso rispetto al ruolo della Corte. Mi sento solo di poter dire questo: qualunque sia l'interpretazione, ovvero sia che si prediliga la distruzione immediata e automatica delle intercettazioni, sia che la distruzione venga disposta solo dopo un'udienza, a mio avviso quella che deve essere tutelata è la figura istituzionale del capo dello stato. Quelle intercettazioni non possono in nessun caso diventare pubbliche».

    "I giudici non indaghino su se stessi". Spesso vengono pubblicate sui quotidiani intercettazioni ancora coperte da segreto in chiara violazione della legge, ma non esistono molti casi in Italia in cui un'indagine per fuga di notizie abbia individuato i responsabili. Lo ha detto anche lei prima. Il paradosso è che a indagare sulle fughe di notizie sia lo stesso ufficio da cui sono fuoriscite le informazioni riservate. Luciano Violante ha proposto che sia un'altra circoscrizione giudiziaria a indagare sui colleghi.

    «Gli avvocati non presentano più nemmeno le denunce per la violazione del segreto. C'è una sfiducia radicata negli esiti sempre negativi di queste indagini. Dunque deve essere fatto tutto quello che può rendere efficaci, penetranti ed effettive le indagini. Compresa anche la misura di fissare in una diversa sede giudiziaria la competenza territoriale per la valutazione dei fatti. Quella di Violante mi sembra una proposta sensata».

    Allora farete una legge?

    «Non lo escludo, ma ne parlo oggi per la prima volta. Ci rifletterò».

    Come giudica il fatto che un magistrato il quale ha aperto un'indagine tanto mastodontica e tanto delicata come quella sulla trattativa stato-mafia decida, dopo aver chiesto un clamoroso rinvio a giudizio anche a carico di ex ministri, di lasciare la sua procura per un incarico internazionale in Guatemala? E come giudica il fatto che, dopo aver deciso di lasciare quest'indagine forse destinata al fallimento, il pm si congedi dall'Italia rilasciando un'ultima intervista in cui getta nel mucchio la cortina fumogena della "ragione di stato", come se l'azione penale dipendesse da lui, come se fosse una cosa sua?

    «A maggio di quest'anno, cioè prima dell'inizio delle polemiche sulle intercettazioni, il dottor Antonio Ingroia è venuto a parlarmi della ipotesi di accettare un incarico dell'Onu. Io condivisi questa sua idea, gli consigliai di andare in Guatemala. Io credo molto nella lotta transnazionale alla criminalità organizzata, e in quell'occasione ero appena tornata da una conferenza dell'Onu proprio su questo argomento. Quanto alla ragione di stato evocata dal dottor Ingroia, vorrei dire due cose. In Italia c'è l'obbligatorietà dell'azione penale. Quindi, in nessun caso, dal punto di vista processuale, un'indagine può terminare senza che sia arrivata a un accertamento. Ma posso anche aggiungere che, come ha detto il presidente Monti, la ragione di stato può essere solo la ragione della verità. Lo stato ha un solo interesse: che la verità sia accertata comunque. Mi permetto di aggiungere che anche il cittadino, come l'imputato, ha lo stesso interesse. C'è infatti una differenza tra l'ipotesi accusatoria e la sentenza».

    Nell'ambiente giudiziario le viene riconosciuto il merito di aver creato un clima più sereno rispetto al passato tra il suo ministero e la magistratura.

    «Preferisco il confronto allo scontro. E poi credo, da avvocato, di avere un modo di ragionare che mi aiuta a comprendere meglio quello dei magistrati. Malgrado i buoni rapporti, tuttavia alcune cose andrebbero fatte con piglio decisionista. C'è in Italia, a nostro avviso, un problema di regole che tuttavia forse non riguardano solo le intercettazioni ma anche il ruolo del Csm e la sua capacità di far valere l'azione disciplinare. Il procuratore generale di Caltanissetta, il 19 luglio scorso, giorno della commemorazione della strage di Via d'Amelio, si è così rivolto in una lettera pubblica al defunto Paolo Borsellino:
    "Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite — per usare le tue parole — emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi".

    Sembra di capire insomma che il procuratore generale "profuma", mentre le altre istituzioni "puzzano". Quel giorno a Palermo erano presenti le più alte cariche dello stato, compreso il presidente della Repubblica; ed è a loro che il procuratore generale di Caltanissetta, massimo rappresentante istituzionale della circoscrizione giudiziaria, si è rivolto. Al ministro Severino si chiede se, fatta salva la libertà di espressione, lei non crede si ponga, nello specifico caso, una questione di opportunità legata anche al rilevantissimo ruolo istituzionale ricoperto da quel magistrato nella sua circoscrizione giudiziaria. A tale proposito il Csm ha aperto un fascicolo.

    «In qualità di titolare, insieme al procuratore generale della Cassazione, dell'azione disciplinare sui magistrati non mi sembra corretto, in alcun caso, rispondere a questo tipo di domande».

    Ma una sua idea, il ministro, pare di capire, ce l'ha già. Tra amnistia e barbarie preventive, Marco Pannella e i Radicali chiedono l'amnistia, le carceri scoppiano e i suicidi sono all'ordine del giorno, lei stessa lunedì scorso ha visitato a sorpresa Regina Coeli dopo il suicidio di un giovane detenuto. I suoi interventi hanno posto le basi per una parziale riduzione della popolazione carceria, composta per lo più da detenuti in attesa di giudizio. Pannella chiede un'amnistia che ragioni di diritto (la certezza della pena) e ragioni di opportunità politica in assoluto ritengono invece impraticabile. Lei si è rimessa, su questo argomento, alla volontà del Parlamento.

    «Io ho evidenziato semplicemente che questo provvedimento non spetta al governo e richiede un'ampia maggioranza parlamentare; ho anche aggiunto che mi sarei impegnata a fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per affrontare il sovraffollamento carcerario. Il mio primo pensiero è stato di emanare un decreto di emergenza, denominato 'salva carceri'. E i primi risultati cominciano a vedersi, i numeri mi danno conforto: a dicembre dello scorso anno, quando è stato varato il decreto, i detenuti erano più di 68 mila, mentre adesso oscillano tra i 66 mila e i 65 mila e cinquecento. Sono calati nell'arco di sei mesi».

    La sua norma ha eliminato quel sistematico abuso della carcerazione preventiva che ha fatto sì, per anni, che il carcere fosse utilizzato come una specie di tornello. Il suo intervento ha stabilito che per principio generale gli arrestati siano messi subito ai domiciliari, in subordine in camera di sicurezza (per non più di quarantotto ore), e comunque mai in carcere. Si tratta di norme di garanzia elementari che, negli ultimi anni, malgrado tante riforme siano state spesso annunciate negli ultimi decenni, nessuno aveva messo in atto. Perché fino a oggi non era mai stato possibile?

    «Un ministro tecnico avverte di meno il tema del consenso e deve privilegiare le soluzioni di efficienza, per questo ho ritenuto di dover resistere alle critiche di chi paventava pericoli che poi non si sono rivelati fondati. Ma questo è un progetto sul quale il governo deve continuare. C'è un altro progetto di legge purtroppo fermo alla Camera ma che spero potrà essere discusso a settembre, riguarda le misure alternative al carcere. Credo che il carcere debba essere l'extrema ratio, l'ultima spiaggia, alla quale si deve ricorrere quando ogni altro mezzo alternativo non è sufficiente per affrontare il problema della prevenzione e della repressione. Il mio progetto prevede pene alternative come la 'messa in prova', un istituto molto applicato in altri paesi, ma prevede anche l'arresto domiciliare come pena principale accanto alla detenzione. Come pena cioè da applicare direttamente con la sentenza. Credo che questi due istituti possano completare il quadro della deflazione carceraria attraverso misure strutturali».

    Per l'edilizia carceraria non ci sono soldi?

    «Si tratta di spenderli bene. Le do dei numeri di grande soddisfazione. Abbiamo un piano straordinario ereditato dal precedente governo che abbiamo un po' rivisto. Prevede la realizzazione di 11.573 nuovi posti detentivi con una spesa di 486 milioni di euro rispetto ai 9.150 posti del piano orginario che comportavano una spesa di 675 milioni. Creiamo più posti, con un risparmio di circa 200 milioni di euro tra nuove carceri e nuovi padiglioni in vecchie carceri. Con le risorse ordinarie abbiamo già realizzato 3.150 nuovi posti detentivi regolamentari. Abbiamo la previsione di consegna di altri 1.677 posti entro la fine dell'anno. E' dal mix di tutte queste varie misure che può arrivare la soluzione del problema, non da una sola misura: allungamento del periodo entro cui ci si può avvalere dei domiciliari, misure alternative e nuovi posti in carcere. Da questo insieme può derivare un fenomeno deflattivo consistente».

    Fonte: Il Foglio - Salvatore Merlo | vai alla pagina

    Argomenti: giustizia, intercettazioni, repressione, magistratura, borsellino, magistrati, radicali, carcere, riforma giustizia, presidente Napolitano, ministro della Giustizia, deontologia, giornalisti, amnistia, Csm, detenuti, governo tecnico, governo Monti, Mafia e Politica, procura di Palermo | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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