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«I tedeschi vogliono imporre le regole, è un sopruso» - INTERVISTA
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(07 agosto 2012) - fonte: La Stampa - Jacopo Iacoboni - inserita il 08 agosto 2012 da 31
«Avviano la terza guerra mondiale con la finanza, non con le armi. Non conoscono il Trattato di Maastricht: le politiche di bilancio sono dei singoli stati, e la Bce non può comprare debito. Non è questione di sentimenti anti-tedeschi, anzi. E’ la Germania che dà l’idea di voler avviare una terza guerra mondiale, non con le armi ma con la finanza».Da un po’ il professor Antonio Martino, uno dei fondatori di Forza Italia, certo una delle sue anime davvero liberali (e spesso controcorrente), è di nuovo la mente economica più ascoltata nel centrodestra italiano.
Monti, l’Italia, la Germania, che sta succedendo?
«Vede, io ammiro le grandi qualità di quel popolo e so benissimo che un’Europa senza la Germania non è concepibile. Ma è come se avessero avviato la terza guerra mondiale, non con le armi ma con la finanza, e avessero intenzione di far precipitare l’intera Europa in un baratro. E guardi non lo dico solo io, lo dice Joschka Fischer. Cos’è, antitedesco anche lui?».
Ha ragione Monti quando dice: «La possibilità che cresca un sentimento antitedesco è fondata»?
«Le frizioni tra i due paesi dipendono dal fatto che non è mai stato chiarito bene che il Trattato di Maastricht non impone ai membri dell’Eurozona di sopportare le decisioni di bilancio di altri paesi. Nel Trattato si parla poi di una Bce indipendente, e si fa anche divieto esplicito alla Banca europea di acquistare titoli del debito dei singoli paesi. Questa scelta, giusta, aveva una motivazione precisa: evitare la monetarizzazione del debito, e stabilire che le decisioni di bilancio sono esclusiva dei singoli stati».
C'è un altro esempio?
«Accade qualcosa di simile negli Stati Uniti: né la Fed, né il governo federale, possono interferire con scelte di bilancio dei singoli stati. Per dire, in Texas non esiste l’imposta statale sul reddito, la California invece è tartassata, e infatti se la passa male».
Non contribuiscono ad alimentare un sentimento antitedesco anche le frasi del Cavaliere sulla Merkel, o le prese in giro dei comici sulle caratteristiche fisiche della Cancelliera?
«Non credo. Ci sono caratteristiche antropologiche diverse, ne ha scritto anche Ida Magli rilevando che nell’Unione non si è dato vita a qualcosa di sovranazionale anche dal punto di vista del carattere. Ma conta di più questa malintesa accezione di Maastricht: i tedeschi non hanno motivo di temere di dover pagare gli errori di bilancio di altri stati. Se conoscessero Maastricht, non sarebbero in questa situazione di nevrosi».
Qual è il centro del problema?
«Berlino vuole imporre delle regole determinate da loro, ma è un sopruso. E’ il motivo per cui io il Fiscal Compact non l’ho votato, e non ho votato neanche a suo tempo Tremonti».
Quali misure potrebbero favorire una maggiore comprensione tra i due Paesi?
«Io non auspico di uscire dall’euro, segnalo tra parentesi che al seminario di Villa Gernetto, che ho organizzato per Berlusconi, ho invitato anche il mio vecchio professore e amico di Chicago Bob Mundell, considerato uno dei padri dell’euro. Auspico però un’Europa dove ci sia una policy competition - non una competition policy - una vera concorrenza tra le politiche di bilancio dei vari stati; dal confronto tra ricette diverse emergerebbe qual è la migliore. C’è già uno stato, la Svizzera, che fa così, ed è l’unico che abbia un debito sceso dal 50 al di sotto del 30 per cento. Non si può pensare di applicare vestiti della stessa taglia a corporature diverse. Quando si è fatta l’Europa, a Messina e poi a Roma nel ’60, ministro degli Esteri era mio padre: ma allora c’era una Germania vogliosa di contribuire a qualcosa di comune, indebolita dalla Guerra, consapevole dei propri errori. Oggi il gigante è cresciuto troppo, e altri sono diventati troppo piccoli».
Fonte: La Stampa - Jacopo Iacoboni | vai alla pagina » Segnala errori / abusi