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Dichiarazione di Leonardo RAITO
Una politica industriale miope
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(12 settembre 2012) - fonte: nota stampa - inserita il 12 settembre 2012 da 812
Le tristi vicende che in questi giorni fanno balzare agli onori della cronache le situazioni di grosse industrie quali Ilva e Alcoa pone sul tappeto una necessaria riflessione sulla qualità di una politica industriale, quella italiana, che negli ultimi trent’anni è stata a dir poco miope. La qualità della politica industriale si ottiene quando si riesce a costruire un sistema a elevata competitività che prevede, a fronte di investimenti da parte di imprenditori coraggiosi, che creano lavoro e benessere, l’importante ruolo di facilitatore che va rivestito dalla politica.Negli anni invece la politica, imprenditori e parti sociali hanno costruito un clima di competizione se non di aperto scontro sociale: lavoratori da una parte, industriali dall’altra e lo stato a fare da arbitro a una partita senza vincitori né vinti, con interventi tipici da cerchiobottismo all’italiana, che ha previsto, ad esempio, contributi statali a fondo perduto all’industria (privata), completamente slegati dagli obiettivi necessari a ottenere forme di sviluppo sostenibile e integrato con le trasformazioni imposte dalla globalizzazione.
In sostanza, lo stato, per salvaguardare l’occupazione, ha finanziato industrie morte e sepolte, con la logica tipica di un intervento statale improduttivo che ricorda il sistema delle partecipazioni statali (un carrozzone drammatico che ha prodotto effetti che stiamo pagando oggi).
Poli industriali sono stati creati in barba a ogni regola di rispetto ambientale, favorendo, in nome dell’occupazione, condizioni di lavoro insalubre (si pensi al caso dell’amianto, dei fumi nocivi e delle tante malattie professionali). Oggi poi, che il sistema globale impone l’attenzione per gli investimenti non italiani, emergono tutte le penalità e le controversie storiche di un paese che risulta poco appetibile per l’attività imprenditoriale: una tassazione folle, energia a costi insostenibili, costi del lavoro elevatissimi, infrastrutture scadenti, un sistema giustizia lento e inefficace, una burocrazia penalizzante, la corruzione come piaga storica, vincoli e paletti di ogni genere, banche sempre meno propense a sostenere iniziative imprenditoriali. Il tutto poi poggiante su delle normative non al passo con i tempi.
Tutto sommato, il quadro che ne emerge è poco ottimistico. Su questo poteva intervenire un governo tecnico e dovrà intervenire chi verrà dopo Monti. Un nuovo piano infrastrutturale, il supporto alla mobilità sostenibile, l’accessibilità a basso costo dell’energia, una nuova tassazione più ragionevole, l’abbattimento della burocrazia anche attraverso la riorganizzazione istituzionale, potrebbero essere ricette preziose per superare l’impasse.
Contro la corruzione, ad ogni livello, dovrà essere attuata una battaglia senza sosta. Ma non potrà essere dimenticato il mercato del lavoro, perché credo che un paese che crede nelle liberalizzazioni, possa essere sempre meno avvezzo a finanziare quell’ampio sistema di ammortizzatori sociali che allargano il debito pubblico. Si dovrà pensare allora a meccanismi in grado di favorire la mobilità professionale, con possibilità di aggiornamento e formazione continue, capaci di superare il tradizionale assistenzialismo. Un cambiamento epocale attende un paese in sofferenza anche per colpa delle sue contraddizioni. Non rendersene conto vuol dire correre incontro a morte certa. Non è quello che possiamo volere.
Fonte: nota stampa | vai alla pagina » Segnala errori / abusi