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Dichiarazione di Pier Paolo BARETTA

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

“Macché rottamazioni, alle primarie voto Bersani e spiego perché”

  • (19 settembre 2012) - fonte: www.pierpaolobaretta.it - inserita il 19 settembre 2012 da 24893

    Voterò Bersani. Innanzitutto perché lo scopo di queste primarie è scegliere il candidato a Presidente del Consiglio e Bersani è, in questo contesto, la persona adatta.
    So bene ed apprezzo che importanti democrazie (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) abbiano, anche recentemente, portato al governo giovani, forze fresche ed intraprendenti e la Storia è piena di esempi di giovani condottieri. In Italia più che altrove, è urgente rinnovare le classi dirigenti (e non solo politiche!). Dunque, la giovane età non è un argomento contro Renzi, ma in verità, nemmeno a favore… “a prescindere”.

    La questione non è anagrafica, ma politica. Il nostro Paese è in recessione, immerso in una grandiosa crisi globale ed ha bisogno, proprio nei 5 anni di governo “politico” che ci attendono, di continuare a perseguire e consolidare (con maggior determinazione e respiro!) le scelte di politica economica, fiscale e sociale già impostate dai Riformisti e dal Pd. I drammatici errori del governo di centrodestra e la conseguente necessità di un governo di emergenza non hanno consentito di sperimentare appieno la nostra strategia.
    L’efficace, ancorché fastidioso slogan sulla totale rottamazione della attuale classe dirigente, va ben oltre le facce, ma è accompagnato da un esplicito azzeramento delle politiche, di tutte, senza distinzioni, come se centro destra e centro sinistra avessero le stesse responsabilità o compiuto gli stessi errori (si legga, in proposito, l’istruttivo e bel discorso di Clinton a favore di Obama).

    I limiti del Pd sono evidenti: di comunicazione, di indecisione, di gestione, e, ahimé, di non coesione interna. Sono limiti seri che vanno corretti e ben vengano gli stimoli, ma se guardiamo alle proposte di merito, sui tre famosi nodi, irrisolti, di questa fase: rigore, crescita ed equità, non è che – per ricordare un altro famoso toscano – “è tutto sbagliato, è tutto da rifare”. Non è un ragionamento consolatorio o giustificazionista, questo. Al contrario è un riferimento severo ai programmi ed alle quotidiane fatiche del lavoro politico, che, dopo le campagne elettorali, si misura, con le risorse da trovare, gli equilibri da rompere, le mediazioni da costruire.

    La mancata considerazione di ciò, in nome di una semplificatoria efficacia mediatica, può apparire come una qualità del comunicatore che si propone come “nuovo”, ma è un grave limite per il politico che si appresta a governare.

    Le dinamiche del consenso hanno le loro regole, ma gli statisti (questo deve essere, sia pure con la necessaria tolleranza, il nostro metro di misura) debbono saperle sovvertire. Una delle novità che qualifica una moderna politica, rispettosa del cittadino informato, deve consistere nel far emergere la realtà, oltre al sogno.

    La quasi cocciuta distinzione che Bersani fa da tempo, tra “prima l’Italia e poi il resto” e la rinuncia a mettere il proprio nome sulla scheda elettorale, sacrificando spesso la forza mediatica di messaggi emozianali, potrà talvolta non soddisfare l’agone affamato di certi media, ma rappresenta una solida certezza nei difficili passaggi che ci attendono. Quante volte si è detto di Prodi che, soprattutto al confronto col grande comunicatore, non sapeva comunicare (e non era vero!), eppure, il suo primo governo, è stato il migliore degli ultimi vent’anni.

    La crisi attuale ha bisogno di risposte coraggiose ed innovative, ma soprattutto, di esperienza di Governo nazionale che Bersani ha dimostrato di avere (l’unico progetto di crescita è ancora oggi quell’Italia 2015 di Bersani e le sue “lenzuolate” sono state più coraggiose di quelle di Monti!). Lo abbiamo visto proprio col Governo dei tecnici, che pure ha fatto un importante lavoro, cosa vuol dire avere ministri che non conoscono la “macchina”.

    C’è poi un secondo motivo. Bersani ha scelto di fare le primarie. Non era tenuto e nessuno poteva imporle. Lo Statuto, infatti, prevede che il segretario sia il candidato premier. E lo Statuto non può essere, come troppo spesso accade, un’opinione che si gestisce a piacimento, ma un “patto” solenne di convivenza.
    Una cultura positiva dello Statuto farebbe tanto bene ad un partito giovane come il nostro. Eppure Bersani le ha volute. E’ una decisione controversa, ma serve anche, a rispondere alle difficoltà della politica e dei partiti. La crisi della rappresentanza ha bisogno, nella frantumata società della conoscenza, di coinvolgimento popolare e di nuova “militanza”. Le primarie sono uno strumento ambiguo (quali regole le presiedono? chi ha diritto al voto? quanto costano?), ma, indubbiamente, sono popolari e partecipative. Il loro abuso può essere fatale, compresa l'idea che servano ai candidati perdenti per farsi una rendita di posizione, ma, in assenza di valide alternative, che pure andranno pensate, lo scossone all’apatia ed alla disaffezione crescente vale la candela.

    Infine. Non si può, ovviamente, pretendere di conoscere personalmente i leader, e dunque, bisogna affidarsi alla immagine pubblica che ci viene proposta dai media.
    E’ un aspetto importante di democrazia e trasparenza, tuttavia è a senso unico: semplifica, schematizza. Raramente dà conto della complessità delle persone in carne ed ossa. Vale per Renzi, che, certamente, sarà meno spigoloso di come ci appare e vale per Bersani. Resta il fatto che io conosco personalmente Bersani da anni e lo stimo anche per la sua rettitudine personale. Nello scarto che c’è tra la domanda di moralità e la risposta impacciata che dà la politica, non è poco per uno a cui devo affidare il mio e il nostro portafoglio.

    Fonte: www.pierpaolobaretta.it | vai alla pagina

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