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Dichiarazione di Claudio CECCHINI


 

L’insicurezza degli italiani: i rimedi ci sono, ma poco riconosciuti

  • (16 gennaio 2013) - fonte: Ufficio Stampa di Caudio Cecchini - inserita il 07 febbraio 2013 da 22726
    Precarietà, insicurezza, rischio, paura. Sono parole che sentiamo spesso sulla bocca di molte persone, non sempre con disagi o difficoltà economiche, a volte anche semplicemente rese fragili dal respirare gli umori che provengono dal contesto sociale e politico che stiamo vivendo. Ed è ingiusto dire che sono solo cause psicologiche. E’ reale difficoltà di essere sereni, soddisfatti, felici. E’ vita complicata. Per questo bisogna capire e impegnarsi. Il Rapporto 2013 sulle “Insicurezze degli italiani. Significati, immagine e realtà” (iniziativa annuale curata da Demos&Pi-Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis), rileva una cosa che ci permette di trarre delle conclusioni importanti. Secondo la ricerca, “la crescente individualizzazione dell’insicurezza si traduce in un crescente senso di solitudine. Il 23% degli italiani afferma di sentirsi “solo”. Cinque punti in più di un anno fa”. Si legge che è diventato “più complicato anche tracciarne il profilo, dal punto di vista anagrafico, sociale, territoriale, perfino politico. Certo, l’identikit delle persone spaventate, per alcuni versi, è lo stesso degli anni scorsi. Donne, anziani, con livello di istruzione più basso e posizione sociale meno elevata. Residenti nel Mezzogiorno. E ancora: le persone “sole”, che non partecipano”. E’, quindi, un senso di precarietà che si accompagna alla frammentazione delle relazioni solide, formali o informali, alla fragilità dei corpi intermedi, delle reti di solidarietà. Ma il rapporto aggiunge: “Persiste, però, la sensazione che in Italia sia diffusa la ricerca di soluzioni su base privata e individuale. Attraverso il sostegno della famiglia. Mentre la protesta collettiva e le reti di solidarietà comunitaria sembrano convincere meno che in passato”. E certo! Sono state indebolite prima dal mantra culturale, il pensiero unico, che sostanzialmente si basava sull’ideologia dell’individualismo esasperato (chi fa da sé fa per tre), che vedeva nello Stato prima e nella società civile poi, un tappo o un filtro non solo non necessario ma spesso anche negativo. E poi, con scientifica sistematicità, dai tagli allo stato sociale, dal mancato sostegno (ricordiamoci della penosa querelle sul 5permille, prima dato e poi sostanzialmente tolto); dalla difficoltà perenne per tutto il mondo del Terzo settore di vedersi riconosciuto come protagonista attivo dello Stato di benessere (questo vuol dire, alla lettera Welfare state) di questo Paese; dal mancato completamento della legge 328/2000 che a quel mondo provava a dare un più organico inquadramento. Proviamo, allora a riattivare quei canali: partecipazione, corpi intermedi, collaborazione con Enti pubblici. Proviamo a dare regole certe e indicatori validi sul reale valore del lavoro fatto. E poi ne riparliamo. E poi, fra un po’ di tempo, scopriremo quante persone avranno avuto occasioni forti per sentirsi molto meno sole.
    Fonte: Ufficio Stampa di Caudio Cecchini | vai alla pagina
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