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L’intervista
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(25 gennaio 2013) - fonte: msaia.jimdo.com - inserita il 26 gennaio 2013 da 18670
Alla fine la macchia di Fli non è stata cancellata. Nemmeno dopo averla stemperata nel gruppo di Coesione Nazionale. In controluce l’ombra era rimasta, visibile e sgradevole, soprattutto agli occhi dei dirigenti del Pdl. Ed è questo il motivo per cui, dopo una dozzina d’anni in Parlamento, l’ormai quasi ex senatore Maurizio Saia non è stato nemmeno inserito nei posti in bilico, se non defilati, come accaduto invece ad altre figure poco gradite. Nessuno scandalo, non fosse per quelle rassicurazioni preventive che adesso regalano certezze sul ruolo di alcuno comprimari. Senatore, a cosa imputa l’esclusione? «Al fatto di essere un uomo libero. Di non essere servo né di un coordinatore né di un vice o di chiunque altro. Con Fli credevamo di costruire un partito di destra al fianco del Governo, ma quando capimmo che l’idea non era quella, in molti decidemmo di uscire da quella follia. A quel punto Berlusconi ci disse di costituire un gruppo autonomo a sostegno dell’Esecutivo, parallelo al Pdl, “prestandoci” addirittura dei parlamentari per fare numero. Per quanto mi riguarda, non sono mai andato a chiedere garanzie al Cavaliere, sono sempre stato chiamato. Così è stato anche alla cena di Natale, quando ci ha ringraziato per il percorso fatto, dicendo che avremmo dovuto rientrare come candidati del Pdl. Ma nella composizione delle liste è andata diversamente. Capisco che abbiano prevalso altre logiche. Del resto, nel 2006 An era presente con 90 deputati e 40 senatori, oggi ci sono 13 persone certe. Il combinato disposto Fini-Berlusconi ha ucciso la destra storica in Italia. Dopodiché, se guardo i primi 10 candidati del Pdl in lista, mi viene da sorridere all’idea dei voti che avrebbero preso con le preferenze». Tra questi c’è anche Marco Marin, ex candidato sindaco al “suo” posto. «Marco è uno dei pochissimi che può dare il suo contributo. Il problema è che è davvero uno dei pochi». Chi le ha comunicato l’esclusione? «Non ho aspettato con le mani in mano. Lo sapevo da una settimana quando mi ha chiamato Ghedini, un galantuomo, una delle poche persone corrette dell’ambiente, forse perché non è del tutto un politico. Del resto, è stato anche l’unico che ha avuto il coraggio di metterci la faccia quando è stato il momento di dirmi che non sarei stato io il candidato sindaco di Padova: allora avevo già depositato le mie dimissioni da senatore, perché una città come questa merita una dedizione assoluta, adesso ancora di più per recuperare le occasioni perse negli ultimi anni. Questa volta mi ha spiegato che la situazione era estremamente complicata. Io non ho chiesto nulla, mi sono messo a disposizione, lasciando che decidessero in libertà. Così come sono sempre state le mie scelte, libere». Dopo si è fatto vivo qualcuno? «Ho ricevuto decine di telefonate. La mia esclusione ha fatto molto più rumore a Roma che a Padova. Nella capitale molti hanno riconosciuto le mie competenze: ho fatto parte delle commissioni che hanno lavorato per la riforma elettorale, costituzionale e per la riduzione dei parlamentari. Pur con tutti i suoi difetti, se c’è qualcuno che ci ha creduto veramente è stata la Lega: Calderoli ha provato in mille modi a mettere mano alla legge elettorale che né il Pdl, ad esclusione degli ex An, né il Pd hanno voluto modificare: i capi dei partiti si sono limitati a giocarci. Devo ringraziare anche Maroni: mi ha dato una grossa mano nella legge sulla sicurezza urbana». Non starà mica pensando di passare alla Lega? «Resto un uomo libero, ma condivido molte delle loro battaglie. Ho toccato con mano la follia dei ministeri, i principali nemici delle riforme, in cui i capi sono prefetti, funzionari, dirigenti e generali: una casta che non passa e che guadagna più dei parlamentari. In Germania sarebbero tutti a zappare la terra. La Lega ha dato una bella ripulita, il metodo Maroni funziona e Bitonci è un buon candidato per Padova». Tanto da cedergli il passo nella corsa a sindaco? «Non lavoro per fare il candidato a tutti i costi: ognuno si muova con quello che ha e poi ci sarà modo di incrociare metodi e programmi e fare sintesi, svincolati da gruppi di potere. Il candidato con le maggiori possibilità di vittoria va sostenuto. Con Bitonci siamo d’accordo sul fatto che il primo punto per Padova sia la sicurezza, tanto per il residente di Camin che del Duomo. Dal canto suo ha fatto bene a dire che la Lega andrà da sola, il Pdl tende a lasciarsi andare a proclami ed è il partito che ha capito meno di tutti l’importanza di partire seriamente dal territorio. Dopodiché, a suo tempo non erano stati entusiasti nemmeno della candidatura di Marin. Poi le cose rientrarono. Al tempo si parlava già del project per l’ospedale, ma il sindaco non ha fatto nulla: per quello, la questura e l’auditorium». Sull’ospedale però la competenza è della Regione. «Non le sto facendo sconti. Nessuno, compresi i miei ex compagni di partito, ci ha messo la faccia: non c’è ancora un atto serio. Caso rarissimo, in questo Zanonato ha ragione».
Fonte: msaia.jimdo.com | vai alla pagina » Segnala errori / abusi