Moro, l’altra verità
-
(21 dicembre 2017) - fonte: politici.openpolis.it - inserita il 21 dicembre 2017 da 32018
Dopo molto lavoro di approfondimento delle tante verità sul caso, in Aula alla Camera abbiamo ascoltato la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. Quali sono le novità? Intanto, l’intenzione non era di sottoporre a una revisione critica il complesso dei giudicati penali definitisi in quasi un ventennio, ma di approfondire gli elementi di incongruità e le numerose lacune. Certamente, a dispetto di quanto sostenevano molti, sul caso Moro non tutto era conosciuto. Anzi, la rilettura sistematica dei cinque processi e dell'attività delle precedenti Commissioni che si sono occupate, in tutto o in parte, della vicenda Moro, ha fatto emergere un elemento di sicuro rilievo: il fatto, cioè, che la ricostruzione storico-politica e giudiziaria della vicenda Moro è risultata fortemente condizionata da una verità affermatasi tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Una verità fortemente legata alle interazioni tra le culture politiche all'epoca prevalenti e a una diffusa volontà di voltare rapidamente pagina rispetto alla stagione del terrorismo. E tra le 2.250 unità documentali, per un totale di 700.000 pagine, le oltre 440 attività dei collaboratori, tra cui 256 escussioni, la Commissione ha approfondito in particolare quattro aspetti. Il primo è il complessivo riesame della vicenda di Valerio Morucci e Adriana Faranda che la Commissione ha compiuto allo scopo di rivalutare nella sua interezza il profilo dei due brigatisti che hanno svolto un ruolo importante sia nella vicenda del sequestro, sia nella costruzione dei giudicati penali sul caso Moro. Sulla base di numerose acquisizioni documentali e testimoniali, la Commissione ha realizzato una completa e inedita ricostruzione della vicenda dell'arresto di Morucci e Faranda, che furono catturati il 29 maggio del ‘79 in una casa di viale Giulio Cesare a Roma, dove erano ospiti di Giuliana Conforto, figlia di “Dario”, già agente dell'Unione Sovietica, peraltro ben noto ai servizi italiani e non solo. Questo ha consentito di individuare con più precisione gli attori politici e giudiziari che nel corso degli anni Ottanta realizzarono la stabilizzazione di una verità parziale sul caso Moro, funzionale a un'operazione di chiusura della stagione del terrorismo. Un secondo tema è l'analisi del ruolo della dimensione mediterranea e mediorientale nella vicenda Moro. In questo ambito, la Commissione per la prima volta è riuscita a ricostruire una precisa scansione del rapporto di collaborazione tra Brigate Rosse e formazioni palestinesi maggiormente orientate in senso marxista e ha approfondito le iniziative assunte da servizi italiani per favorire la liberazione di Moro con l'aiuto dell'Olp e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, nel quadro dei controversi accordi di intelligence che l'Italia definì con i vari movimenti palestinesi. Allo stato si può ormai affermare che la vicenda Moro è intimamente connessa col più vasto contesto internazionale del rapporto tra l'Italia e il Medio Oriente in tutti i suoi aspetti, da quello dei traffici d'armi, a quello del rapporto tra terrorismo interno e terrorismo mediorientale. Un terzo tema è quello della latitanza dell’ex membro delle Brigate Rosse Alessio Casimirri che continua indisturbato a vivere in Nicaragua. Su di lui sono emerse in maniera chiara situazioni di protezione che riguardano i nostri apparati e il nostro il sistema di protezione interno. Un altro tema importante è stato l'individuazione nella zona della Balduina, a Roma, di un complesso immobiliare di proprietà dello Ior che ospitò, nella seconda metà del 1978, un altro brigatista, Prospero Gallinari, e che era caratterizzato dalla presenza di alti prelati, ma insieme con questi, di società statunitensi, una di queste con funzioni di intelligence americana, di esponenti tedeschi dell'autonomia, di finanzieri libici e di due persone contigue alla Brigate Rosse. Complesso che, anche alla luce delle posizioni e delle indagini svolte, fa pensare sia quello utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle cui fu successivamente trasferito. E su tutto campeggia una certezza: era evidente che esisteva la necessità di tutelare la persona di Moro con le massime misure di sicurezza già prima del sequestro. Se fossero state attuate, forse l'intera vicenda del terrorismo brigatista avrebbe assunto una piega ben diversa da quella che si realizzò
Fonte: politici.openpolis.it | vai alla pagina » Segnala errori / abusi