Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Paolo GUZZANTIhttps://www.openpolis.it/2013-02-08T00:00:00ZLa vera bugia di Monti? Come vende se stesso.2013-02-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it685485<br />Monti sta sbagliando tutto e i sondaggi confermano.
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Ho già suggerito a Monti di cacciare a pedate i suoi «spin doctors» che gli dicono ogni giorno quanto è andato bene dalla Bignardi, come ha baciato bene il barboncino, con quanta soavità ha infilato il dito nel gelato di inerme passante, fatto le smorfie al venditore di castagne arrosto, piroettato con grazia davanti al pizzaiolo napoletano, dopo essersi fatto ritrarre fra le statuine del presepe con Napolitano vestito da san Giuseppe e così via.
<p>Monti sta sbagliando tutto e i sondaggi confermano: il suo indice di gradimento affonda nelle sabbie mobili da cui invece emerge, sporco di fango, Beppe Grillo che molto più genuinamente si getta nella mischia, è ovunque in maniera urlata, grezza, sudicia e autentica, chiamando gli applausi.
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No, non consiglieremmo al professor Monti di fare come Grillo e del resto a noi il comico genovese appare come un derivato tossico della politica e non come una promessa della politica. Ma ci sembra leale avvertirlo del fatto che lo si vede mentire a se stesso come epifania della bugia, la quale oltre ad avere le gambe corte e il naso lungo, ha anche i capelli argentei tirati al phon.
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Il Prof godeva all'inizio di una dote da spendere purché fosse rimasto alla larga dalla politica: appariva come l'uomo piovuto dal cielo paracadutato con tutta l'aureola. Accadde così che molti italiani delusi dal centrodestra videro in lui il castigamatti sopra le parti, talmente sobrio da sembrare astemio, omaggiato all'estero, anzi trattato come un viceré nell'Eurozona dall'odore carolingio, mezzo latino e mezzo tedesco. Poi, la caduta degli dei. L'uomo terzo, l'arbiter elegantiarum della politica, scese nell'arena e cercò di fabbricare consenso con un bricolage improvvisato e un po' patetico, evitando le iperboli ma ricorrendo alle litoti («Il ghepardo non è un animale lento», «I ghiacciai non sono adatti a vacanze tropicali») cosa che non sfuggì a Le Monde che ne fece un titolo a tutta pagina: l'uomo delle litoti. Una litote si perdona a chiunque, ma presentarsi con le sembianze truccate lo ha reso indigesto, lo ha mostrato sempre di più come uno che finge di essere quello che non è.
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In politica si comporta come quei rampolli di antiche famiglie aristocratiche, pallidi ed emaciati, che all'improvviso decadono e si trovano costretti a vivere con i teppisti del vicolo che si fanno di canne, usano il coltello e tirano tardi con ragazze poco raccomandabili (litote). Ed ecco che il fanciullo dabbene, cerca di prendere un'aria gradassa, persino un po' bauscia, cercando di apparire fico, cool. Ma tutti scoppiano a ridere e i sondaggi confermano: il suo personaggio è rifiutato perché falso. Le piccole performance come quella dalla Bignardi che gli appioppa un cucciolo, svelano la combine, fanno cadere il cerone di un buonismo posticcio e insomma lo smascherano. Non è solo un banale bugiardo, ma è la bugia: il contenitore diventa il contenuto.
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C'è una ragione politica di questo fallimento: queste moine, questi sbaciucchii, questi cuoricini di poveri cani, queste pizze napoletane, questi presepiucci, non coprono il vuoto pneumatico di una offerta elettorale strabica perché dovrebbe guardare a destra e invece guarda a sinistra. Monti dice di avere un programma adatto all'elettorato tradizionale del centrodestra, però si chiama Bersani come compare d'anello scatenando la gelosia di Vendola che starnazza in sacrestia. Se a questo si aggiunge che Bersani è stato seriamente capace di dire in pubblico «Ohè, ragazzi, mica si può fermare l'acqua con le mani», si capisce che non siamo nei piani alti della politica, ma nel camerino di Crozza e allora sì, finalmente la gente ride.<br />Monti come Moro. E' l’erede dei Dc2012-03-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625758<br />
Qual è il bello della democrazia, dividere o unirsi? La maggior parte degli italiani è stata indotta a rispondere unirsi. Ma è sbagliato. Il carburante della democrazia è invece proprio la divisione: programmi, stili e leader contrapposti per stimolare l'offerta di diversi modelli di governo.
Se l'offerta permette delle scelte, il cittadino può esercitare la sua libertà. Ma se il mercato offre un unico prodotto, la scelta è nulla e la libertà inutile.
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Perché parlare dei fondamenti della democrazia? Perché se già tirava un'aria eccezionale a causa di un governo efficace ma figlio di uno stato di necessità, ora sembra di assistere all'inizio di una nuova fase in cui si gettano le basi del dopo. E quel che sembra emergere, sotto forma di atteggiamento virtuoso, è l'intenzione di arrivare a eliminare, o almeno limare, tutte le differenze fra i partiti avendo come obiettivo finale una politica non soltanto pacificata, ma omogeneizzata. Il più attivo in questa direzione ci sembra il leader dell'Udc Casini che, nell'anniversario del rapimento di Aldo Moro e del massacro della sua scorta, privilegia dell'antico leader l'invocazione per la «solidarietà nazionale» che 35 anni fa fu scelta per combattere le Brigate rosse, le stesse che poi rapirono e uccisero Aldo Moro. La «solidarietà nazionale» era infatti una creatura tipica della prima repubblica generata dalla situazione internazionale: i partiti democratici governavano lasciando fuori il Partito comunista sia perché quel partito non vinse mai le elezioni, sia perché i Paesi della Nato avevano posto il veto. <br />
E a causa di quel veto il Pci invocava ogni volta che poteva lo stato di emergenza nazionale per spingere affinché si formassero governi di «solidarietà» che gli permettevano di avvicinarsi all'area di governo aggirando il veto americano e alleato. Questa situazione mise l'Italia in una posizione di frizione molto grave che spinse Aldo Moro a farsi garante davanti agli alleati occidentali del cammino che avrebbe portato il Pci verso le democrazie occidentali, dopo aver finalmente rotto con Mosca, cosa che non avvenne mai finché l'Urss non collassò da sola. La sua uccisione però mise fine all'esperimento, che morì con la morte dello statista democristiano. Fare appello oggi alla memoria di Moro per usarla come sponsor di un'operazione di trasformismo, ci sembra una forzatura un bel po' opportunistica,
Eppure vediamo rifiorire lo spirito emergenziale dei vecchi tempi, stavolta per consentire non a un solo partito, ma a tutti i maggiori partiti oggi in Parlamento, di formare un blocco, come una zattera di sopravvivenza sotto forma di imbarazzante alleanza: la foto che vede insieme tutti i leader da Alfano a Casini e Bersani, sembrerebbe indicare il desiderio di una coalizione sfrondata di ogni spigolo e spina. Il messaggio che dovrebbe suggerire questa operazione sarebbe: tutti uniti per il bene del Paese. Molto generoso, ma purtroppo letale per la rianimazione della democrazia in coma chimico.
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Anche le celebrazioni per gli anniversari di Capaci e via D'Amelio sono diventate paramenti per la messa emergenziale benché nessuno sappia o voglia rispondere all'unica domanda che conta per quelle stragi: perché? Perché Falcone, che era ormai un dirigente ministeriale romano, fu assassinato in quel modo così spettacolare, più da corpi speciali, che da mammasantissima? E perché Borsellino morì quando disse di aver capito il motivo per cui Falcone era stato ucciso? Io so soltanto una cosa: Falcone stava dando un eccezionale aiuto - promosso da Cossiga - alla Procura di Mosca dopo che l'ambasciatore russo, Adamiscin, era andato al Quirinale a protestare perché il tesoro ex sovietico del Pcus e del Kgb era stato portato in Italia per essere riciclato. Quello fu l'ultimo lavoro pericoloso di Falcone. Ma quando morì fu subito lanciata un'assordante campagna di santificazione che sigillò ogni spazio per le inchieste meno banali, annichilendo qualsiasi ricerca del movente, che infatti ancora oggi nessuno sa indicare. Le due stragi divennero però strumenti per rilanciare l'emergenza, e oggi per suggerire l'opportunità di una politica senza politica, senza articolazioni, senza differenze. Ora comprendiamo bene perché il governo Monti sia stato e sia necessario e abbia richiesto per nascere una procedura, questa sì, eccezionale.
<p>Ma l'autoriduzione della politica in poltiglia ci sembrerebbe a questo punto la ratifica di un suicidio. Non tanto quello dei partiti, ma della democrazia stessa.<br />
Cara sinistra, sappilo: Monti è un super Berlusconi2012-03-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625819<br />
Perché fa tutto ciò che il suo predecessore aveva promesso nel ’94, ma non aveva avuto la forza di realizzare. E si tratta di scelte “di destra”, non la destra storica (italiana ed europea) – puramente – conservatrice, ma la destra liberista e “americana”. La destra – per intenderci – di Marchionne. Destra è, per definizione, fare gli interessi – dei (più) forti. E oggi, nel mondo (dominato dal) mercato, fare gli interessi dei forti non coincide più, direttamente, con la difesa dello status quo; o meglio questo è lo scopo finale e l’effetto (auspicato), ma viene perseguito attraverso un (falso) riformismo che porta alla progressiva riduzione delle regole, così che la legge del più forte possa imperare (ancora meglio) e quella conservazione – delle distanze tra chi ha e chi non ha – possa…rinnovarsi. Altro che lotta ai (veri) privilegi… Inutile poi chiedere – come Bersani fa, non rendendosi conto di essere alla guida dello strumento per eccellenza per determinarla, senza passare per la benevolenza di chi non la può, costitutivamente, offrire – perequazione. Non avverrà mai (come non è mai avvenuta – storicamente). Su questo (stesso) terreno (su cui, in tutti i sensi, i ‘forti’ hanno i loro interessi). L’unica chance che la Sinistra ha di tornare a svolgere la propria funzione, che è fare il bene (non – solo – dei lavoratori ma) di tutti (insieme), è offrire – scriveva Mazzini – una ragione più alta. Quell’(alto) obiettivo comune per l’Italia dandoci il quale risaremo motivati a (ri)dare valore anche ad altro, dal (solo) denaro, riaprendo gli occhi (sulle persone) e riscoprendo (così) il piacere di collaborare, di fare sistema, e in questo modo per ricominciare a restituire il nostro Paese alla posizione che gli compete nel mondo.
<p>C’è stata una sola occasione in cui l’unico governo di centrosinistra capace di convincere la maggioranza degli italiani – al punto che, nonostante gli elettori “attivi” siano oggi in maggioranza di destra, il Paese gli offerse anche una seconda possibilità – sfondò il velo di incomunicabilità (elettorale) tra le aree di opinione e di sensibilità della destra e della sinistra, attraendo consensi anche da chi tradizionalmente – e per convinzione! – votava Berlusconi: quando l’Italia è tornata – sia pure solo per un momento – ad esercitare la propria leadership (mondiale) grazie alla guida di Romano Prodi e Massimo D’Alema nei giorni dell’(ultima) crisi in Libano. In quelle ore ascoltammo elettori di destra dire che quel governo piaceva loro, e molto. Che era il “loro” governo.
<p>Perché dopo trent’anni di tafazzismo, gli italiani hanno voglia di rialzare la testa; non, in forma vetero-aggressiva, ma competitiva, sì; ma non – ancora una volta, in un modo (ancora) più (meno) libero (?) e foriero di inimicizie e di avversione – tra di loro.
<p>Ma nella con-petizione – da rilanciare, in questi termini, e non più in chiave solo economica – per (ri)costruire – anche attraverso il recupero di una dimensione etica e filosofica – il futuro del mondo. E questo concretamente si fa dandoci l’obiettivo di ridiventare la culla mondiale dell’innovazione (a 360°, come evidenzia anche Ermete Realacci) attraverso la cultura e la formazione. Vedrete che, quando il nostro Paese apparirà di nuovo in grado – grazie alla Sinistra – di tornare (in maniera positiva e costruttiva; rigenerativa) a contribuire a scrivere pezzi di Storia – e non soltanto, più, il Paese – il (pezzo di) mercato – qualunque (anche se molto vezzeggiato.
<p>Da chi ha interessi – a che ri-diventiamo sempre più “affidabili”) a cui lo riduce la teoria mercatista della destra – i rapporti di forza, “anche” (o prima) da noi, saranno diversi da quelli a cui – stante l’attuale strategia-kamikaze di Pigi, di cui ci parla ora (di tutto questo) il deputato liberale – siamo di nuovo destinati se l’esperienza del governo Monti durerà fino al 2013, quando Berlusconi si prepara a raccogliere i dividendi della propria (ultima) semina (capolavoro). <br />
«Napolitano? Su di lui non può esserci sospetto» - INTERVISTA2010-08-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it504506<br />
«Il capo dello Stato fu setacciato in lungo e in largo
ai tempi della Mitrokhin. Mai una voce o sussurro».
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Mai sentita alcuna voce su Napolitano. Mitrokhin o spie russe?
Macché il Kgb non arruolava membri del PCI» racconta Paolo Guzzanti dall'America, che ha rotto con Berlusconi ed è rinato nel Partito Liberale.
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<b>Lei è a conoscenza di eventuali dossier contro Napolitano del quali Carmelo Briguglio ipotizza l’esistenza?</b>
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«Non ne so assolutamente nulla. Napolitano è stato già setacciato in lungo e in largo. L'unica cosa tutta politica, che nel ‘56 fu a favore dell'intervento sovietico in Ungheria, su questo fu attaccato politicamente».
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<b>Non era il solo tra i dirigenti del Pci e comunque non c'entra nulla.</b>
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«Infatti, a parte questo fatto storico-politico non so che altro si possa trovare su Napolitano. Io non ho mai raccolto o udito voci su di lui. Può darsi che a Briguglio sia arrivato qualche boatos dalla stampa berlusconiana. Se sa qualcosa, lo dica».
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<b>Magari cercheranno appigli nel dossier Mitrokhin, lei è stato presidente della commissione, che ne dice?</b>
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Nel dossier Mitrokhin nessun membro del Partito comunista italiano era compromesso perché c'era una direttiva precisa del Kgb: per prudenza nessun membro del Pci poteva essere assunto nel Kgb. Quindi nessuno ha mai cercato spie russe nel Pci o cose simili nonostante il mantra della vulgata. Mai stato nulla su Napolitano, e se non c'era qualcosa nel dossier Mitrokhin è già una prova al contrario perché l'avremmo saputo.
Né si puo dire che abbiamo nascosto voci o sussurri su Napolitano perchè non esistevano. Tutti lo conosciamo come persona molto perbene sul quale nessuno ha mai avuto da ridire né da ipotizzare»
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<b>Che pensa di questo attacco al Colle?</b>
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«E' il primo caso nella storia delle democrazie in cui un capo della maggioranza distrugge con le sue mani la propria maggioranza, perchè Berlusconi non può lamentarsi di un ribaltone, ha fatto tutto da solo e poi frigna perchè vorrebbe le elezioni anticipate. Il Colle gli risponde: t'arrangi perchè lo decido io se si fanno e se c'è una maggioranza diversa non si fanno. Cosi Cicchitto chiama alla
piazza e parte un tam tam implicito: facciamo a Napolitano la cura Boffo.<br />
E’ la politica dell’intimidazione».
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<b> Napolitano ha sfidato il Pdl a chiedere l’impeachment. Ha fatto bene?</b>
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«Che abbia lanciato questa sfida, anche a muso duro, la trovo una mossa efficace».
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<b>Settori dei servizi creano i dossier?</b>
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Mah, i servizi segreti non sono la Cia dei film, né la Spectre, sono delle adunate di brigadieri, funzionari che aspettano la spinta per la carriera o di far assumere il cognato. Si attivano se sanno che il presidente del Consiglio vuole fregare qualcuno. Se Berlusconi dice: datemi delle armi per ammazzare Fini è immaginare che si diano da fare. Non ho elementi precisi, so che è un ambiente di fureria… Così è stata messa in moto la macchina infernale contro Fini su un episodio ridicolo che non riguarda un ente pubblico ma un partito e chissenefrega… Ma perchè tutti i giornali vanno dietro a Feltri come tanti polli?»
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«Integralisti e poveracci. Vedono nel premier il nuovo Duce» - INTERVISTA2010-08-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it504317<br />
"Vedono nel premier il nuovo Duce, Fini me lo aveva detto. Ma il Fascismo aveva almeno delle idee, un'architettura, una mistica. Questi hanno le pezze al culo"
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Anche se sta in America non perde una battuta di quello che sta accadendo in Italia. Ascolta le radio su internet, legge i giornali su Internet, verga comunicati. A lui, Paolo Guzzanti - vicesegretario del risorto Partito Liberale – giornalista caustico, l’inventore della “puttanocrazia”, la vicenda della casa di Montecarlo pare un polverone senza costrutto: “Avete fatto male anche voi del Fatto a cavalcarla, questa storia: capisco l’interesse, la curiosità, ma una cosa è chiara: Fini se ne deve fregare”.
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<b>Senatore Guzzanti, si è appena svegliato e ha già scritto un comunicato?</b>
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Certo. Ho tenuto a ribadire che Napolitano non deve azzardarsi a sciogliere le Camere. Vedo che in modo pacato lo ha fatto già capire, ma è il principio fondante della Repubblica parlamentare. Finché c’è una maggioranza non si vota.
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<b>Lei sa bene che Berlusconi chiede di votare ogni giorno…</b>
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Una minaccia inefficace. Un nulla di fatto. Una follia.
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<b>Addirittura.</b>
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Silvio ha intorno ormai solo quattro stronzi servili che gli danno informazioni sbagliate. E che questa volta lo hanno davvero fregato.
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<b>Prego?</b>
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Massì, gli avevano raccontato che i finiani erano la metà di quello che poi si è scoperto. Hanno fatto male i conti, e adesso sono in un tunnel senza uscita. Si è formato un gruppo di 33 deputati…
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<b>Cambia molto?</b>
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Tutto. Lui voleva fare una notte dei lunghi coltelli, un piccolo, scientifico massacro: ha finito per azzoppare la sua stessa maggioranza. Così, provvidenzialmente, ecco che salta fuori la casa di Montecarlo, il cognato della Tulliani…
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<b>Una ritorsione?</b>
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Né più né meno. I giornali ci sono saltati sopra come se si trattasse di un grande caso giornalistico.
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<b>E non lo è?</b>
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A me non pare. Manca la pistola fumante. E con questo non intendo dire un dettaglio, o una ricevuto del mobilio: manca lo sperpero di denaro pubblico.
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<b>Ci sono anche scandali che riguardano il privato dei politici, lo abbiamo visto in questi mesi.</b>
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Ma non era Berlusconi che ai tempi di Noemi e della D’Addario ha stabilito il principio secondo cui “a casa mia faccio il cazzo che mi pare”? Ebbene, adesso ne gode anche Fini!
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<b>Ne è sicuro?</b>
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Senta, pochi giorni dopo la famosa intervista del “A Fra’ che te serve”, Evangelisti dovette dimettersi. Ma lì c’erano i soldi dello Stato. Si dimise un ministro per il caso Kappler, ma lì c’era un nazista che fuggiva alla giustizia… Ripeto, qui ci sono solo le casse di Alleanza Nazionale, è una questione che riguarda, al massimo, quel gruppo dirigente e il suo leader.
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<b>Quindi Fini deve restare al suo posto.</b>
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Ma certo. Non deve farsi intimidire da questa aggressione sciacallesca e strumentale.
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<b>La appassiona la battaglia finale tra Fini e Berlusconi?</b>
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A me Berlusconi ha sempre detto: “Fini è un fascista!”. Ce l’aveva sulle palle da dieci anni…
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<b>E Fini?</b>
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Stava costruendosi una maggioranza parlamentare per andare al Quirinale. Ma anche Berlusconi aveva quell’obiettivo, magari lasciando un fiduciario come la Gelmini o Alfano a Palazzo Chigi e creando di fatto una repubblica presidenziale…
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<b>Quindi lo scontro era inevitabile?</b>
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Fini ha reagito ad una aggressione. Con una guerra di logoramento che aveva un unico limite: quello di non avere un obiettivo politico chiaro.
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E adesso?</b>
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Mi pare che la strategia sia abile, ma l’obiettivo continui a mancare.
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<b>In che senso?</b>
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Il suo problema è uno solo: evitare le elezioni. E abrogare la schifezza del porcellum, cosa che io condivido in pieno…
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<b>Siamo passati dalla puttanocrazia al plebiscitarismo immobiliare?</b>
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Macché, molto peggio. Siamo in piena velinocrazia!
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<b>Nel senso di Striscia la notizia?</b>
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No, nel senso più classico, quello dei servizi segreti.
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<b>Lei è convinto che ci sia lo zampino degli apparati di intelligence?</b>
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Ma è ovvio. Negli uffici degli apparati dello Stato si fanno segreti servizi al capo del governo.
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<b>In base a cosa lo dice, senatore?</b>
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Conosco quel mondo dai tempi della commissione Mitrokhin. Non c’è bisogno di scomodare la Cia. Ci sono cognati, parenti, questuanti… Un piccolo mondo in cerca di carriera.Tutta gente che capisce una sola cosa: al capo del governo serve colpire il suo nemico, e quindi l’aiuto degli zelanti viene ricompensato.
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<b>Lei pensa che arrivino da lì, gli spunti per le inchieste?</b>
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Bella domanda. Lei crede davvero che siano le segnalazioni dei lettori? La vera inchiesta da fare è proprio questa: come saltano fuori le polpette avvelenate contro Fini.
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<b>C’è un salto di qualità rispetto al passato o è la stessa storia di sempre?</b>
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Sì, c’è. E l’ha introdotto il giornalismo berlusconiano. È un giornalismo che si pone esplicitamente l’obiettivo di far fuori un nemico, di colpire, di rieducare. Il trattamento Boffo, secondo la felice definizione di quel gentiluomo di Stracquadanio…
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<b>C’è ironia nella sua voce?</b>
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Nessuna. Esisteva l’antiberlusconismo militante. Adesso è nato un fondamentalismo islamico berlusconiano, fanatico ed integralista. Stracquadanio ne è il prototipo perfetto, persino affascinante, nel suo genere, perché come tutti gli integralisti dice sempre il vero.
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<b>Addirrittura.</b>
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È un kamikaze del berlusconismo. È una cintura imbottita a spasso per il parlamento.
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<b>Ci va leggero…</b>
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Sa cosa mi disse una volta Fini? Tutti i più fascisti dei miei ex camerati stanno adesso con Berlusconi, perché riconoscono in lui il nuovo Duce.
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<b>E lei che cosa ne pensa?</b>
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Che ci sia del ducismo in lui non è un mistero, vista anche l’inquietante e rinnovata amicizia con Putin visto le vacanze comuni, e persino quello che ha scritto il Corriere, senza mai precisare, purtroppo, sull’aiuto che i servizi segreti russi avrebbero dato a Berlusconi.
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<b>La inquieta l’amicizia tra Berlusconi e Putin?</b>
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Ormai è l’asse forte della politica estera italiana. Lo dico con somma tristezza: siamo nelle mani dei despoti e del Kgb.
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<b>Cosa intende per ducismo berlusconiano?</b>
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Vede, il fascismo aveva almeno delle idee: una architettura, una mistica. Questi integralisti berlusconiani sono dei poveracci con le pezze al culo. Zero idee, zero passioni, stanno al fascismo come Bracardi al mussolinismo. Macchiette.
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<b>Puttanocrazia e velinocrazia, dunque?</b>
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Passiamo da una storiaccia all’altra, in un clima pieno di turpitudini e di volgarità, in cui il malcostume genera malcostume.<br />
Se conosco Fini tirerà fuori le palle e se ne fregherà.<br />
Chi sono io, perchè andai con Berlusconi nel 1999, perchè poi l'ho lasciato.2009-08-07T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it402000<br />
Due parole su di me, così da non ripetere sempre le stesse cose.
<p> Io lasciai il mio posto, molto ben remunerato, alla Stampa, per soccorrere Berlusconi nel 1999 - quando era al suo punto più basso - e andai al Giornale con l’ottimo Maurizio Belpietro con la carica del tutto onorifica di vicedirettore editorialista. Dal 2006 sono pensionato e con il Giornale ho un rapporto di collaborazione esterna.
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Io, come molti giornalisti e intellettuali di area socialista e liberale o ex comunista, pensai che si potesse aiutare l’imprenditore Berlusconi a varare quella rivoluzione liberale che l’Italia non ha mai avuto (e che meno che mai ha adesso) e di cui ha estremo bisogno: libertà, cultura, ricerca scientifica, televisione intelligente, scuola di altissimo livello, premio delle eccellenze, giornalismo libero e Stato laico nel rispetto di tutte le religioni, distruzione a mano armata dell’anti-Stato mafioso che occupa il territorio della Repubblica, decentramento amministrativo federale ma con un rilancio forte delle prerogative dello Stato centrale sul modello americano, creazione di una società con la massima attenzione per i bambini, i giovani e le donne e per queste ultime una particolare attenzione nella ricostruzione del rispetto loro dovuto.
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Nel 2000 scoperchiai il verminaio dello scandalo Mitrokhin come giornalista e provocai la decisione del governo D’Alema di istituire una Commissione Mitrokhin che fu poi abbandonata dopo aver coperto quasi tutto l’iter parlamentare. Nel 1996 Berlusconi mi aveva già offerto un seggio alla Camera - è sui giornali - lo avevo ringraziato dicendogli di no: “Sono un giornalista, non un politico, la mia prima linea è la verità e servirla ai miei concittadini”, gli dissi e scrissi. Ringraziai e declinai anche un invito di Mario Segni per il suo Patto.
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Nel 2001 Berlusconi mi propose un posto in lista al Senato con l’intesa di far parte di una eventuale futura Commissione Mitrokhin.<br />
Accettai per poter continuare in Parlamento la battaglia che avevo condotto sulle colonne del giornale.
<p> La legge per l’istituzione della Commissione Mitrokhin fu discussa fra Camera e Senato per un anno e diventò legge nel 2002. Io ne fui eletto Presidente.<br />
Tutta la storia di questo immane lavoro che svela la verità su gran parte dei cosiddetti “Misteri d’Italia” è nel mio libro “Il mio agente Sasha” che è uscito da poco e che sta andando, senza aver avuto alcuna recensione, molto bene: 4.000 copie vendute nelle librerie durante il mese di luglio e malgrado la crisi.<br />
Considero questo libro il mio testamento spirituale e il rendiconto della più grande e mostruosa operazione di depistaggio che l’Italia abbia subìto, con un tappeto dei morti, l’ultimo dei quali fu “il mio agente Sasha” Litvinenko, assassinato proprio perché era il mio informatore segreto.
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Visto che Berlusconi era amico di Putin, pensavo- io cretino - che ciò avrebbe costituito un vantaggio: “il nostro grande amico Vladimir” ci avrebbe aperto tutte le porte. <br />
In realtà Putin ce le chiuse tutte e con lui fece altrettanto Silvio Berlusconi, diventato ormai suo fratello, il fratello di uno dei più impuniti banditi del nostro secolo, esaltato con applausi che considero vergognosi.
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Berlusconi e Putin, insieme e in combutta, hanno determinato - il primo passivamente e il secondo attivamente - il massacro della Commissione che Berlusconi all’inizio aveva voluto, sperando di trovare un po’ di nomi “di sinistra” da sputtanare a scopo elettorale.
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Berlusconi si è comportato, con la sua collusione con il capo del KGB, di fatto come un traditore del Parlamento della Repubblica. Tutto ciò io a Berlusconi l’ho scritto e detto a bruttissimo muso, e glie l’ho ripetuto poche settimane fa quando mi ha chiamato per sapere come mai ce l’avessi tanto con lui.
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Dal punto di vista personale, che è il meno importante, io sono stato da lui pugnalato alle spalle. Come ho già detto, i dettagli della vicenda sono tutti in “il mio agente Sasha” e non li ripeterò qui, benché su questo blog ci sia tutta la storia, per chiunque abbia la pazienza e la voglia di cercare e leggere.
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Quando il brigante internazionale Putin ha provocato dopo lunga e accurata preparazione, con provocazioni di frontiera identiche a quelle che Hitler inscenò nel 1939 alla frontiera polacca, l’invasione della Georgia con la scusa che la Georgia tentava di riprendere il controllo della sua regione Ossezia, io corsi a Roma dagli Stati Uniti, era la fine di agosto dello scorso anno e le Camere erano chiuse, per partecipare alla sessione straordinaria delle Commissioni Esteri riunite a causa dell’invasione.
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Io e Casini fummo gli unici a insorgere contro l’aggressione russa e la ignobile posizione italiana di sostanziale appoggio all’invasione. Due ore dopo mi fu comunicata la fine del servizio di protezione che mi aveva fatto vivere fra due angeli custodi armati per quattro anni, fra minacce di ogni sorta, italiane e straniere.
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Prima ancora c’era stato l’ignobile tentativo della signorina Maria Rosaria Carfagna, detta Mara, di servirsi del mio nome per usarlo nel suo conflitto con la signora Sabina Guzzanti, di 45 anni, “comedian” di fama internazionale, la quale è certamente anche mia figlia, ma che tutto è fuorché la pupetta del suo papi.
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La questione femminile dei berlusconismo mi aveva sempre colpito: il signor SB era ed è uno che non lesina commenti espliciti fino alla brutalità sulle donne ed è un uomo che incarna la sconfitta non dico del femminismo, ma di quel po’ di politica di dignità della donna come persona che gli anni Settanta e Ottanta avevano portato, e che oggi appare morta e sepolta.
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Infine, la morte del Parlamento, malsopportato come un impaccio, e la distruzione di quasiasi forma di checks and balances. Già verso la fine del primo lungo mandato di SB, fra il 2001 e il 2006 (mentre io ero impegnato nella mia lotta all’ultimo sangue per la Commissione Mitrokhin) era chiaro che costui non aveva la più pallida idea di che cosa fosse una politica di riforme liberali e che puntava piuttosto verso una autocrazia personalistica, di tipo aziendale condita con le tecniche dello show televisivo.
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Il suo applauso spudorato all’invasione della Georgia, la mignottocrazia, il tradimento della Commissione del Parlamento della repubblica italiana, mi hanno convinto che non c’era spazio, possibilità, margine di manovra per influire in alcun modo su SB, ebbro delle adunate oceaniche in cui una platea di persone di mezza età delirava per lui. Nasceva così il berlusconismo di massa, popolare, per nulla simile ad una forma di democrazia liberale, ma piuttosto ad un culto, una setta, una rabbia collettiva espressa da persone frustrate che vedono in SB il vendicatore della loro frustrazione.
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Questo blog nacque nel settembre del 2006 dopo una serie di miei articoli sul Giornale, intellgentemente promossi dal direttore Belpietro, in cui io scudisciavo dall’interno Forza Italia, dimostrandone l’inconsistenza liberale e l’incapacità ad affrontare con strumenti culturali moderni l’egemonia, fallimentare e sterile, della sinistra. Quegli articoli provocarono uno tsunami di lettere di lettori del centro destra delusi da FI e da SB che inondarono per settimane il Giornale. Feci un data base, fondai questo blog e invitai tutti coloro che avevano scritto a partecipare. Fu così che nacque Rivoluzione Italiana, sulle ceneri di una mailing list che si chiamava Rivoluzione dei Nuovi Liberali, che avevo gestito dal 2001 al 2006.
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Nel novembre di quell’anno il mio agente Sasha veniva avvelenato ed eliminato, Mario Scaramella attirato sulla scena del delitto affinché apparisse l’assassino e su quell’ondata emotiva mondiale la Commissione Mitrokhin, oscurata dalle televisioni di Berlusconi e della Rai per quattro anni sicché nessuno in Italia ne sapeva nulla, venne massacrata e resa infame: “la vergogna della Mitrokhin”, “la bufala della Mitrokhin”, Scaramella ridotto al rango di pagliaccio, io distrutto fisicamente e moralmente e precipitato in una depressione terrificante da cui sono uscito grazie a mia moglie e a bravi medici, fino alla ricostruzione di tutta la trappola, allo smascheramento di tutte le false interviste di Repubblica, e alla mia interrogazione parlamentare al ministro degli Interni Amato, che si risolse nel silenzio più assordante nella mia inutile e postuma vittoria, di cui nessuno seppe nulla.
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Berlusconi taceva, parteggiava per Putin che abbracciava ad ogni pie’ sospinto e che rappresentava il nemico contro cui mi ero battuto da solo con le unghie e con i denti, insieme ai valorosi della commissione.
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Io non ho nulla da rimpiangere.
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Ho fatto il mio dovere, avrò compiuto molti errori di ingenuità e se tornassi da capo, ripeterei il mio cammino. Io non ho “creduto IN Berlusconi”.
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Io ho creduto CHE Berlusconi fosse l’uomo che avesse chiesto l’aiuto mio e di tante altre intelligenze per costruire un’Italia moderna, liberale, democratica, libera, aperta, intelligente rispettosa dell’individuo e delle regole.
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Ha fatto il contrario: ha costruito il suo cesarismo ed ora siamo alla tratta delle bianche, alle sgualdrine con il registratore che ricattano il Capo del Governo della MIA Repubblica e che lo sputtanano davanti al mondo perché lui non ha fatto il piacere che la sgualdrina si aspettava. <br />
E’ intollerabile e devo dire che era imprevedibile un tale degrado, lasciando stare Noemi, il racconto del suo fidanzato e tutto il resto, registrazioni fantasma comprese.
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Il governo di SB lo trovo senza infamia e senza lode, ma la politica estera è disastrosa, amici del pirata Gheddafi cui regaliamo una flotta e del satrapo del KGB da cui dipendiamo per l’energia, ma che ha un suo letto a Palazzo Grazioli.
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L’Italia intanto ha perso la bussola della democrazia liberale, non sa più neanche che cosa sia. Gli italiani sono stati violentemente rimbecilliti dalle televisioni omologate MediaRaiset, a mazzate di grandi fratelli e isole dei famosi, veline e meteorine, mignatte e mignotte, fanciulle corrotte dal berlusconismo che in piena innocenza non sanno decidersi tra essere una show girl o un parlamentare europeo, ma se hai culo magari farai il ministro.
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La FORMA della democrazia è devastata e la sua sostanza appare ridotta all’osso. Per questo ho accettato l’invito a resuscitare il Partito Liberale Italiano e farne la zattera su cui racogliere gli italiani profughi dai due partitoni che hanno spaccato e spappolato l’Italia senza costruire nulla e uccidendo la dignità di una nazione.
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All’estero parlano di noi tutti.
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Da noi non si parla di noi.
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Ieri in compenso siamo stati, noi del blog, su tutti i giornali russi.
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Ultima nota: molti mi accusano di nutrire o mostrare una particolare violenta animosità nei confronti di SB. <br />
Errore: personalmente, conoscendolo bene, mi è simpatico. Lui non capisce assolutamente la gravità di quel che fa e dice. <br />
Ed è questo l’aspetto più terribile, ma anche quello più disarmante.
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Però la sua rivoluzione liberale è stata una controrivoluzione liberticida. La sua apertura di spazi di libertà, si è trasformata in un unico ghetto televisivo in cui sui si procede per “book” di ragazzette carrieriste misurate col metro e i centimetri di vita tette e culo.
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Sul piano internazionale siamo derisi e commiserati. E gli americani non perdonano as SB l’idiozia maggiore: quella di credere di essere il mediatore fra Usa e Russia. Tutto ciò ha precipitato l’immagine dell’Italia indietro, molto indietro.
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Dunque la nostra Rivoluzione Italiana che era nata per dare al nostro Paese il liberalismo che non ha mai avuto, è più viva che mai. Più necessaria che mai. E io non intendo affatto mollare.
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Non essendo più giovane, non nascondo subdole ambizioni.
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Inoltre, lo faccio notare a chi mi insulta, sono l’unico italiano che sia saltato DAL carro del vincitore, anziché SUL carro del vincitore.
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Il mio carro è quello della democrazia dei Paesi liberi, occidentali, figli delle grandi rivoluzioni inglese, americana e francese (prima parte). E questa, penso, è tutta la storia della mia vicenda che può interessare chi si affaccia oggi per la prima volta su questo blog.<br />
Siamo alla mignottocrazia2009-08-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it417772da repubblica.tvUSA. «Dialogo o no? Ecco che cosa farà l’America» [Link:Israele]2009-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391527<br />
Tutti si chiedono adesso che cosa farà Obama, dopo aver incassato due apparenti sconfitte dalla rielezione di Mahmud Ahmadinejad a Teheran e dal nuovo test nucleare nella Corea del Nord di Kim Jong. <br />
La prima risposta che viene da dare è che Obama non incassa alcuna sconfitta, ma si limita a disporre sulla tavola la tabella ordinata degli elementi della sua politica estera.<br />
Il presidente americano si comporta come un empirista inglese, più che un pragmatico americano. Il suo approccio ai problemi del pianeta è costante e radicale: <br />
partire da zero e, dopo aver azzerato tutto, aprire il dialogo e vedere dove si arriva. Se e quando la carta del dialogo non produce effetti, o ne produce meno veloci e intensi del desiderato, sa di dover passare ad “altre opzioni”.
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Tutti capiscono che, quando in America si usa l’espressione “other options”, si intende includere nel loro bouquet proprio quella che fino a quel momento era stata ideologicamente esclusa, e cioè l’opzione militare. L’avanzamento di questa tabella è ben visibile nel caso coreano, avendo il capo della diplomazia Hillary Clinton già parlato della necessità di «difendere i nostri alleati dalla provocazione».
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E probabile che i coreani abbiano voluto con il loro test nucleare testare il nuovo presidente americano per fargli mettere le carte in tavola, ed è dunque empiricamente certo che la prima carta in tavola che viene calata a Washington è quella di una possibile risposta militare, dopo l’esaurimento delle altre opzioni, per dimostrare non soltanto ai coreani che esiste una linea di confine fra ideologia e pragmatismo e in definitiva fra pace e guerra.
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La questione iraniana è più bruciante, in un certo senso, della già bruciante bomba nucleare coreana, accompagnata quest’ultima dal lancio di missili a medio raggio che mandano in bestia Cina e Giappone. Come se non bastasse, elementi di intelligence assicurano che esiste un patto operativo fra Iran e Corea per un reciproco sostegno tecnico, militare e politico.
<p>A Teheran il rieletto Ahmadinejad ha subito dichiarato “chiusa” la questione dello sviluppo nucleare a scopi pacifici, ma facilmente convertibile in militare perché sottratto al controllo delle Nazioni Unite, affermando quindi la propria indisponibilità a trattare di nuovo l’argomento. <br />
Con l’Iran l’approccio è stato quello che sappiamo: azzerare, ripartire da capo con un “fresh start”, dare tutta la colpa del deterioramento alle amministrazioni repubblicane guerrafondaie e sedere allo stesso tavolo parlando lo stesso linguaggio. Ma gli sciiti iraniani non si sono impressionati e anzi hanno masticato fiele per l’enorme apertura di credito al mondo sunnita avvenuta al Cairo la settimana scorsa.<br />
Ciò ha condotto a un potenziale rimescolamento di carte dalle conseguenze incalcolabili e, nell’incalcolabile, anche ipoteticamente catastrofiche.
<p>Gli israeliani, ad esempio, sentendosi pugnalati alla schiena dalla prima amministrazione americana che sbatte loro pubblicamente in faccia le proprie divergenze su questioni di vita o di morte come insediamenti e Stato palestinese, hanno aperto un giro di tavolo con Putin quando il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman è andato a San Pietroburgo per discutere di aerei automatici senza pilota, gli stessi che hanno massacrato gli aerei con pilota russi durante l’invasione della Georgia.
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I russi, incapaci come sempre di produrre tecnologia, hanno chiesto di comperarne alcuni esemplari e Israele tratta, sapendo di lanciare così un segnale ostile allo stesso Obama che ha lanciato un segnale ostile a Gerusalemme e che sa di dover dipendere dalla Russia in Afghanistan.<br />
Ciò pone il presidente americano in una situazione delicata, ma calcolata. Che gli iraniani rispondessero picche era previsto; che <a href="http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=620660&Data=20090615&CodSigla=PG"><b>Israele</b></a> avrebbe emesso contro-segnali di risposta adeguati era previsto; che Pyongyang se ne sarebbe infischiata dei moniti del potente think tank governativo Center for New American Security, uno strumento di analisi voluto da Bush e usato ora da Obama, era scontato.
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Se dovessimo descrivere il presidente americano allo stato attuale in una scena di teatro, lo immagineremmo davanti a un mappamondo con aria pensosa, ma non disperata né sorpresa: le cose per lui vanno tanto male quanto i suoi consiglieri gli avevano già prefigurato.
<p>Ma l’«obamismo», se non prendiamo un granchio, consiste proprio in questo: nel dedicare tutto il tempo possibile a eliminare qualsiasi futura condanna dell’operato americano, dimostrando fin da oggi che si sta facendo, si è fatto e si farà tutto quel che è umanamente possibile per trattare una situazione ad alto rischio con strumenti diplomatici, multilaterali e politici, fino tanto che i rischi lo permettono.
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E qui veniamo al punto. L’Iran ha di fronte a sé una sua “dead line”, un punto di non ritorno oltre il quale non si può andare ed è collocato dagli esperti a dicembre: se l’Iran seguiterà a procedere come ha fatto finora nella sua produzione atomica, a dicembre sarà avvenuto l’irreversibile. La bomba sarà una realtà e l’America dovrà essere pronta ad affrontare una situazione militare che non dipenderà solo da lei ma da anche da Gerusalemme, che si sente nel mirino del dittatore iraniano.<br />
Lo stesso sta accadendo con la Corea dove però sono le Nazioni Unite a dettare l’agenda e gli ultimatum che quasi certamente Pyongyang ignorerà e che dunque prima o poi potrebbero produrre conseguenze.<br />
L’ultima volta che le Nazioni Unite provocarono conseguenze in Corea fu nel 1950 quando Kim Il Sung ordinò l’invasione della Corea del Sud separata sulla linea del 38° parallelo.<br /><br />
Il peso della guerra dell’Onu contro la Corea fu quasi interamente sostenuto dall’esercito americano che combatté un conflitto sanguinoso e altalenante fino al 1953, quando si tornò in pratica alle posizioni di partenza.<br />
Come se non bastasse, l’opinione pubblica americana è indignata con il governo di Pyongyang per la condanna a 12 anni di lavori forzati inflitti a due giornaliste americane, entrambe reporter di Current Tv. La loro condanna è da giorni la prima notizia sulla Cnn e delle altri maggiori catene americane e dunque Obama non può permettersi un’eccessiva morbidezza con i coreani.
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Si può concludere dunque che per l’amministrazione Obama tutti i nodi stanno venendo al pettine in maniera precipitosa e congestionata, con l’accavallarsi di altri problemi concomitanti e altri ancora di natura nuova come i possibili sviluppi del rapporto che si sta sviluppando (presumibilmente a spese della Georgia, che aveva appaltato l’addestramento militare a Israele) fra Mosca e Gerusalemme.<br />
Di sicuro a Washington la diplomazia non mostra visibili segni di ansia, ma è altrettanto certo che il Pentagono è entrato automaticamente nella nuova fase delle possibili “opzioni” su entrambi i teatri, sia coreano che iraniano.<br />
Naturalmente l’amministrazione Obama vede l’eventualità di un qualsiasi possibile intervento armato o anche di forte pressione diplomatica agitando quella militare, come il fumo negli occhi per motivi sia politici generali che economici.
<p> Con <b>una crisi che negli Usa non si considera affatto finita e forse nemmeno realmente cominciata</b> (Forbes prevedeva l’arrivo “della vera crisi” più o meno fra un paio d’anni), l’eventualità di aumentare la spesa militare è vista malissimo anche per un problema di immagine:<br />
se Obama dovesse riconoscere che in fondo, malgrado tutte le buone intenzioni e le aperture verbali, alla fine occorre ricorrere comunque al fucile e alle cannoniere, per lui sarebbe una sconfitta politica che permetterebbe ai repubblicani di gridare non a torto «noi l’abbiamo sempre detto».
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Ma Obama non è un ingenuo ed è circondato dai migliori cervelli, tecnici, diplomatici, esperti dei diversi teatri ed è inoltre abbastanza giovane e immacolato da potersi permettere gesti inattesi. La sua abilità è del resto quella di affascinare attraverso una forma di discorso morale fondato sui principi: quel genere di discorso cui gli americani sono in genere molto sensibili.
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Dunque oggi possiamo dire che Obama si trova di fronte al primo vero banco di prova su cui si deciderà se quella militare è una possibile “other options”. Il tempo non gli consente di trastullarsi più di tanto. Più probabilmente saranno i temi a dettare la sua agenda e ciò che conta per Obama è non farsi trovare sorpreso né impreparato.<br />
Così Epifani ha fatto il funerale alla Cgil2009-04-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390904<br />
Al Circo Massimo, Epifani attacca il governo Ma la sua unica proposta è "l’apertura di un tavolo". Berlusconi: "Impossibile parlare con i sordi". Da Bertinotti a Veltroni, lo show degli scomparsi.
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Ieri a Roma, in una giornata uggiosa e falsamente primaverile, si è celebrato un mesto rito forse funebre della Cgil, officiante il suo segretario generale, presenti e infastidite, alcune migliaia di lavoratori che poi se ne sono andati mesti e spesso furiosi. È stata una pena.<br />
L’omelia di Epifani aveva un tema metafisico: Manifestazione contro la crisi. Qualcuno aveva proposto di manifestare contro l’antropofagia, e altri contro il maltempo. La crisi come oggetto generico di manifestazione era un’idea, direbbe D’Alema, ultronea, e dunque alla fine ha vinto. Epifani ha cercato di evocare il fantasma dell’unità del popolo dolente e per questo ha pronunciato il nome «cult» di Berlusconi, che fra quella modesta marea ha provocato un muggito ostile. Soddisfatto di questo risultato politico, Epifani ha detto che bisognava aprire un tavolo.<br />
Ora si sa che aprire un tavolo non è sempre cosa facile perché occorrono tavoli speciali con prolunga o quelli tagliati nel mezzo. Epifani si è incaponito sull’apertura del tavolo senza fornire particolari e ha detto che occorreva «affrontare in modo serio, ordinato, coerente, la crisi». <br />
Alcuni dei presenti volevano a tutti i costi sapere perché non si dovesse viceversa usare un metodo allegro, caotico e incoerente, sostenendo che almeno sarebbe stato più creativo. Ma Epifani è stato fermo nel suo proposito. Solo allora tutti si sono resi conto che per un difetto dell’organizzazione nessuno aveva portato il tavolo.<br />
Incurante, Epifani ha allora detto che «questa richiesta non è una sfida ma una richiesta per verificare di avere un tavolo con un vero confronto». C’è stata un’ondata di panico nel Circo Massimo, perché era chiaro che un tavolo da qualche parte doveva pur esistere, ma tutti si chiedevano anche come facesse un tale mobile ad avere sulla sua superficie un vero confronto. C’è stato del subbuglio che per qualche attimo ha fatto fremere i reparti antisommossa che bordeggiavano l’area campestre della riunione.<br />
I più prudenti fra i manifestanti hanno a questo punto cominciato ad abbandonare la mesta cerimonia sostenendo che volevano visitare alcune pasticcerie del centro. Epifani ha capito che nessuno aveva trovato un tavolo e allora ha cercato di cambiare discorso dicendo che «se la ricchezza del Paese scenderà davvero del 4 per cento, questa caduta non potrà essere affrontata né con battute né con misure non all’altezza». Questa frase provocava costernazione. Molti avevano equivocato «con battute» con «combattute» e non riuscivano a vedere il nesso. Quelli che lo vedevano, non capivano.<br />
Un brusio si è sollevato perché molti dicevano che se si fosse trovato il tavolo tutto sarebbe stato più chiaro, ma il tavolo non c’era e gli operai rumoreggiavano: «Questo ci ha chiamato qui per prenderci per i fondelli» dicevano alcuni che ho udito con le mie orecchie di ritorno dalla funzione, con le bandiere abbassate su ponte Sant’Angelo. Epifani ha pronunciato anche una indecifrabile profezia, o forse era una diagnosi, o una prognosi, o un nonsense. Ha detto: «Lo dico col cuore in mano, ma dietro queste cifre ci sono milioni di persone e molte imprese». E fin qui si trattava di espressioni ragionevoli, ma poi la cupezza lo ha spinto verso l’enigma: «Un calo di queste dimensioni non vuol dire tornare a sei-sette anni fa, ma per molti è un ritorno nel vuoto». L’idea che gli operai provenissero dal vuoto e che in quella dimensione ignota e senza peso potessero tornare, ha provocato un brivido in quasi tutte le schiene dei pur mesti convenuti.<br />
Imbarazzato, Epifani ha pensato che forse soltanto evocando l’odiato Berlusconi le masse potessero scuotersi e galvanizzarsi. E così ne ha evocato lo spirito di Londra, quello spirito che aveva del resto rinvigorito anche la regina Elisabetta Seconda, e ha detto: «Il nostro presidente del Consiglio, prima di partire per Londra…». È stato come quando la soubrette del cabaret faceva la mossa e tutti impazzivano. Così, ieri al Circo Massimo: evocato l’odiato nemico, la piazza si è mestamente ripresa esplodendo in fischi e improperi, per il noto riflesso condizionato. Epifani che era stato poco prima sopraffatto dal pallore, riprendeva colore.<br />
E, rinvigorito dalla sua stessa audacia, ha voluto sorprendere il raduno riparlando del tavolo, al quale ormai nessuno più pensava. E così, dopo aver rivendicato con solitario orgoglio il fatto di aver «scelto di stare in campo anche quando gli altri non ci hanno consentito di fare le battaglie che dovevamo fare insieme», ha con un cenno fatto entrare nell’arena un camioncino dal cui portello posteriore è stato fatto finalmente scendere il mobilio preferito: «Anche Cisl, Uil e Confindustria – ha detto – dovrebbero avere interesse ad un tavolo vero di confronto».<br />
Un brusio di ammirazione si è allora levato dal depresso popolo dei convocati. Tutti volevano toccare con mano un tavolo di vero confronto, perché non ne avevano mai visto uno da vicino, ma il servizio d’ordine ha fatto quadrato intorno all’oggetto e ha impedito che le masse si accalcassero intorno alla delicata suppellettile col rischio di scheggiarla.<br />
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Mentre la folla indietreggiava frustrata, Epifani continuava: «Bisogna riaffermare il peso del sindacato confederale: la divisione su questi temi riguardanti la condizione dei lavoratori non può essere registrata fino ad oggi perché la crisi ci chiede di stare uniti», ha detto.<br />
Una spalla, con cui Epifani era evidentemente d’accordo, ha gridato dal fondo: «E la Confindustria?». Lì ti volevo: Epifani ha sorriso a ventiquattro carati e ha indicato di nuovo il prezioso oggetto: «Anche Confindustria – ha detto scandendo bene le parole – avrebbe interesse ad un tavolo vero di confronto». A quel punto gli addetti hanno ricaricato il tavolo sul camioncino, che è ripartito con rumore di vecchio furgone mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere sul Circo Massimo.<br />
La folla defluiva ormai ordinatamente quando Epifani ha deciso di riattizzare l’attenzione con domande apparentemente senza senso, ma in realtà discretamente folli: «Perché il governo ha stanziato soltanto quattro miliardi?». «E quanti sennò?», ha chiesto una voce. Senza raccogliere la provocazione Epifani continuava, su una prateria ormai umida e prossima alla desertificazione: «Perché non percepisce l’urgenza di serie politiche industriali per l’edilizia e per i servizi pubblici?».<br />
Era ormai solo e si accendevano già le prime fiammelle del vespro quando Epifani si spegneva con una serie di incalzanti domande inutili: «Perché mette in cantiere solo misure faraoniche per i lavori pubblici? E non fa niente per le piccole e medie imprese? Perché non accelera la domanda? Perché non aumenta l’occupazione?».<br />
Un inserviente del Comune di Roma a questo punto lo ha avvertito. «Dottò, dovemo chiude, guardi che se ne so’ annati tutti».<br />
Fine del mielismo. L’arte di dirigere tutti i media in un colpo solo.2009-03-31T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390829<br />
Il mielismo, dunque. Questa curiosa categoria del giornalismo su cui si sono scritte parole inutili, o magari solo banali. Lui, Paolo Mieli, lascia la direzione del Corriere e poiché io lo stimo moltissimo e gli voglio bene, me ne dispiace. Non che abbia condiviso tutto, anzi. Ma lo stile di Paolo è ciò che ha creato il nuovo giornalismo moderno, dopo la modernizzazione sontuosa e audace di Repubblica ai tempi in cui non avevano ancora rinchiuso Scalfari nel magazzino delle scope a scrivere fondi domenicali. La Repubblica di Ezio Mauro, sibaritica e rozzamente partigiana per quanta fuffa le venga inzeppata dentro, non ha più nulla da insegnare, da anni. Il Corriere della Sera di Paolo Mieli, sì. Anche oggi che Mieli lascia. Io li ho avuti tutti e tre come direttori e come amici, Eugenio, Paolo ed Ezio, anche se con il primo e con l’ultimo non è finita bene per motivi politici.
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Paolo è stato estromesso dal Corriere e gli succede Ferruccio de Bortoli che fu anche colui che gli succedette, quando Mieli lasciò una prima volta, e poi dopo Stefano Folli. Sembrano, messi in fila, più che nomi di persone, cavallini della giostra. Tu ti fermi e li vedi passare, uno dopo l’altro, sempre loro, cambiano solo i finimenti.
Mieli viene dimesso dal Corriere per una questione di assetti ed equilibri societari e padronali. Nulla, ma proprio nulla, che abbia a che fare con l’informazione, la sua qualità, la sua onestà, la sua completezza, il suo ruolo di servizio pubblico. Le banche, i debiti, i poteri, gli equilibri, i salotti, i tavoli, i miliardi, gli interessi, tutto un giro di valzer della cui comprensione gli esseri umani, i cittadini utenti, sono graziosamente esentati: apprendono che Mieli lascia il Corriere come potrebbero apprendere che è caduta una slavina in Val Camonica. Un fatto che non richiede spiegazioni.<br />
Noi, io, le spiegazioni non le sappiamo e non possiamo darle.
Posso dire che tutto ciò non mi piace, democraticamente parlando, perché ormai sono diventato un settario fanatico della tutela della libertà, che ha come fondamento e presupposto, condizione necessaria e anche sufficiente, l’accesso alla verità, alla verità semplice, non filosofica, alla verità del buon giornalismo, per cui i fatti sono i fatti e andarono così e così. L’uscita di Mieli apre il gioco della sedia e del cerino perché se De Bortoli lascia il Sole 24Ore e Riotta va al suo posto, lascia scoperta la poltrona del direttore del Tg1 e si fanno i nomi che girano e che non si dicono perché sono nomi che girano, ma girano un sacco di nomi. Siamo alla vigilia, anzi all’inizio di uno tsunami delle direzioni dei giornali perché la legge che regola il rapporto fra verità e consenso è nota e dunque il rubinetto della verità vale più di quello che regola il petrolio.
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Il mielismo dunque è in crisi. Spero bene che Paolo Mieli torni a darsi al giornalismo e non soltanto agli studi storici che fecero di lui, allievo di De Felice, un eretico dubbioso e fecondo della sinistra radicale e uno studioso tanto serio quanto disincantato.<br />
Negli ultimi tempi il suo Corriere mi sembrava molto filogovernativo e la cosa mi sorprendeva, ma anche molto corretto. Mieli, non dimentichiamolo, fu quello che fece di fatto cadere il primo governo Berlusconi dando l’annuncio del famoso avviso di garanzia di Napoli che provocò il ribaltone. L’annuncio di garanzia finì in una vittoria giudiziaria di Berlusconi, ma intanto il governo cadde e Paolo aveva in pugno la pistola fumante.<br />
Un giorno che venne a Roma passeggiammo per ore intorno allo stesso blocco di isolati parlando del futuro e io gli dissi che volevo dare l’anima a una destra liberale. Spiegai che era per questo che stavo con Berlusconi: perché aveva promesso una rivoluzione liberale di cui, questa la mia opinione malgrado le recenti dichiarazioni, non ha tuttora la più pallida idea. Mi disse che ero matto, ma che ero anche eroico. Paolo è un uomo che sa valutare i giochi del potere, sa sedere a tavola col potere, sa fare la sua parte e tuttavia restare se stesso. Ma capisce le persone, è un sentimentale, sa ridere ed è spesso triste. Dicono che se ne va anche perché avrebbe rifiutato di avviare un piano micidiale di ristrutturazione del giornale che manderà a casa gran parte del personale.<br />
«Il Corriere è una nave enorme e tu non puoi metterti in cabina e guidarla come se fosse un motoscafo. Devi sempre stare in mezzo ai tuoi capitani e nostromi e mettere insieme con loro la rotta. Poi, un giorno dopo l’altro, introduci piccole correzioni, miglioramenti, introduci novità e alla fine cambi la nave e la rotta».<br />
Così mi disse quando arrivò al Corriere lasciandomi alla Stampa dove mi aveva portato salvandomi da Repubblica dove ormai per me l’aria era irrespirabile. Alla Stampa lasciò il suo condirettore Ezio Mauro con cui aveva stipulato un patto durante uno storico viaggio a Pechino, quando i due decisero una staffetta fra Repubblica, Corriere e Repubblica. Anche l’Unità, in seconda fila, era della partita, quando Walter Veltroni ne era il direttore e Paolo con Ezio, per telefono e per fax gli disegnavano la prima pagina concordando insieme i titoli di apertura, di spalla e di taglio.<br />
Ogni giornale si lasciava poi una notizia buffa e fuori concorso per un taglio basso. Mieli per un certo periodo governò l’informazione intera, anche perché Rai3 seguiva Repubblica e i telegiornali facevano la loro scaletta basandosi su quello che i tre quotidiani maggiori, Corriere, Repubblica e Stampa, decidevano. La televisione seguiva la grande stampa e la piccola stampa seguiva la televisione e tutti insieme seguivano Paolo Mieli. Naturalmente parlo di cose che ho visto con i miei occhi e anzi alle quali ho partecipato. In fondo c’era una centrale direttiva ed era quella di Paolo e centrali succursali che si attenevano al canone Mieli.<br />
Ma soltanto Paolo Mieli sapeva fare il giornale seguendo la filosofia del mielismo che consiste nel costruire un percorso ideale per il lettore, fatto di tappe faticose e tappe di riposo. Si disse che aveva messo in minigonna il Corriere, ma non è così. Paolo Mieli è curioso e pettegolo, vuole sapere sempre tutto di tutti e ha sempre in mente la geografia delle unioni di ogni genere, a cominciare da quelle amorose. Nessun flirt redazionale nel raggio di mille chilometri è sfuggito al suo monitoraggio, così come nessun libro importante, svolta filosofica, scientifica, economica.
Il suo giornale era fatto di panchine, viste sul parco, trailer, minuzie, notizie piccanti, in una salsa mielesca che rendeva digeribili alcune mattonate di natura culturale o storica. Le pagine della cultura diventarono il palcoscenico della storia e della storiografia, di ogni revisionismo onesto e contropelo. Io da lui ho imparato l’arte della sorpresa: bisogna sempre comparire dove non ti aspettano, mai essere dove tutti ti pensano. Essere in anticipo, sparigliare, provocare e sanare la ferita, saziare appetiti dopo averli coltivati, insieme ad un naturale spirito di eleganza e di piacere per il graffio, ecco il mielismo come l’ho capito io. Non cito i grandi nomi di chi lo ha affiancato, salvo quello di un altro grande amico e studioso come Pigi Battista, perché il teatro giornalistico di Mieli può usare tutti e nessuno, cambiare attori e scenari, fornendo sempre uno spettacolo di qualità.
Naturalmente poi il mielismo è stato copiato, banalizzato, involgarito e lo stesso Corriere non ha più saputo ritrovare lo stesso canone, il che fa parte della legge dell’evoluzione. Oggi Paolo Mieli non è più al Corriere e quella formula magica se ne va con lui non perché sia misteriosa, ma perché solo lui sa confezionarla nelle giuste dosi. Ora l’intera informazione italiana sarà strappata e contorta, convulsamente, e avremo una buona danza di nomine, voci, pettegolezzi, delusioni e trovate dell’ultim’ora. Se ci fosse ancora Paolo al comando ci sarebbe stato di che divertirsi.<br />
«Ho indagato sul Kgb. Per questo Berlusconi mi ha scaricato» - INTERVISTA2009-02-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388868<br />
«Sì, alla Camera ho cambiato posto, ora sto in piccionaia, accanto alla porta che serve per andare in bagno. In quella zona nuotano strani pesci. Il mio vicino è La Malfa. Sono l'unico dei liberali, sì». Paolo Guzzanti, 68 anni, è alle prese con la sua nuova vita. La quinta, a occhio.<br />
L'ex pupillo di Scalfari ed ex ultrafan del Cavaliere adesso ha mollato Berlusconi in polemica con la sua gestione del potere e la sua amicizia con Putin. Si direbbe che l’unica cosa che gli interessi davvero sia la sua binaria ossessione: il premier russo e la Mitrokhin. Quando ne parla sembra di stare in un romanzo di Le Carrè. Quando ne esce, Guzzanti sprizza entusiasmo: prima sfegatava per il Cavaliere, ora per il Pli. Riesce pure a farlo sembrare un partito vivo.<br /><br />
<b>Lei ha lasciato Berlusconi criticando la sua «idea di democrazia». Scopre solo ora cosa pensa e vuole il Cav?</b><br />
«Nel ’94, raccolse le bandiere cadute di tanti partiti e disse: darò casa a tutti. Poi ha fatto il pieno e si è liberato di intellettuali e liberali. Ormai è la stagione di mignottocrazia e maggiordomocrazia».<br />
<b>Ne era proprio innamorato.</b><br />
«Berlusconi è politicamente un traditore. Lo dico con pacatezza. Ha tradito l’ elettorato che voleva la rivoluzione liberale. Una rivoluzione che non ha nemmeno accennato».<br />
<b>Cosa ha fatto, invece?</b><br />
«Ha consolidato un sistema di potere da hombre fuerte, plebiscitario, nel quale il Parlamento fa da lustrascarpe. Come Putin».<br />
<b>Ci mancherebbe: Putin.</b><br />
«Putin ha riempito la Duma di siloviki,gli ex uomini delle forze armate. Berlusconi ha portato i suoi, di siloviki: avvocati, giardinieri. Ormai sembra di stare tra pecore, coi cani pastori che mandano sms, chiamano, urlano. “Oohh, si votaaa”».<br />
<b>Insisto, era tutto già chiaro anni fa.</b><br />
«Vero, ma ora non c’è più neanche la speranza. C'è l'ordinaria amministrazione, il governo-board».<br />
<b>
Ho paura di chiederglielo. La Mitrokhin, la commissione d’inchiesta che presiedeva, è finita nel nulla. O no?</b><br />
«Nessuno lo sa perché nessuno ne ha parlato. Abbiamo finito nell'aprile 2006 nel completo silenzio. Solo sei mesi dopo è scattata la trappola russa: una valanga di merda, falsa».<br />
<b>Non rifacciamo tutta la storia, vero?</b><br />
«Dovevo occuparmi di vecchie spie, son finito nel mirino di Mosca».<br />
<b>Disse che il Kgb la voleva morto.</b><br />
«Ho avuto pressioni violentissime, minacce. C’era un dossier su di me».<br />
<b>E Berlusconi?</b><br />
«M’ha pugnalato alla schiena. Pensava che la Mitrokhin gli portasse una lista di comunisti, il che non è stato. Poi si è reso conto che Putin era, ed è, il Kgb. E si è trovato a un bivio».<br />
<b>Faccia indovinare: o lei o Putin?</b><br />
«Ha scelto Putin. Negli ultimi due anni è stato un massacro, tutti si chiedevano, ma che vuole Guzzanti, è ridicolo, perché insiste?».<br />
<b>Già, perché?</b><br />
«Dicono che sono pazzo. Ma ne vado fiero. I russi hanno fatto in modo che la Mitrokhin fosse cancellata. Non s'è capito è che non eravamo noi uno strumento del Cavaliere, ma lui uno strumento di Putin».<br />
<b>In definitiva è stato il primo ministro russo a farla fuori da Forza Italia?</b><br />
«Certo, Putin. Due ore dopo il mio intervento antirusso sulla Georgia, m’hanno tolto la scorta. Segnali».<br />
<b>Non le pare di esagerare?</b><br />
«Sulla Mitrokhin è scoppiata la seconda guerra fredda».<br />
<b>Parliamo del Pdl.</b><br />
«Io lo chiamo Frankenstein».<br />
<b>Non funzionerà?</b><br />
«An e Fi sono come l'acqua e l'olio, non si mischieranno mai».<br />
<b>E allora?</b><br />
«Tutto si regge sull'idea della staffetta. Prima Berlusconi, poi Fini».<br />
<b>Col Cavaliere che va al Quirinale?</b><br />
«Esatto. Un’ipotesi che aborro».<br />
<b>Il sistema col quale impone la linea al governo la persuade?</b><br />
«È aberrante. Non che l’altro sistema fosse produttivo, però. Il fatto è che l’Italia è in una crisi senza scampo. Ma non accadrà nulla».<br />
<b>In che senso?</b><br />
«Nel Caimano si immaginava il golpe. Accade di peggio: il disfacimento è accompagnato dalla chitarra di Apicella. Non arrivano i paracadutisti, arriva il Grande Fratello».<br />
<b>E Berlusconi non c'entra?</b><br />
«Si limita ad accompagnare il degrado. Anche perché lui culturalmente è zero. La cultura gli dà fastidio. Gli dissi: “Tu, il più grande editore italiano, hai tre tv che fanno schifo e hai imposto alla Rai di fare la tv commerciale, quindi di far schifo. Potresti fare almeno una tua Raitre”. Ma niente. E Bondi?».<br />
<b>Bondi?</b><br />
«Da lui ministro mi aspettavo almeno una dichiarazione di principio. Il massimo che si può dire è che è un brav’uomo. Ma questa è gente da libreria a metraggio».<br />
<b>Come la trattano i suoi ex colleghi?</b><br />
«Bene. Come uno che si può permettere il lusso di fare così».<br />
<b>Quel pazzo di Guzzanti.</b><br />
«Ma c’è disagio. E prima o poi...».<br />
<b>Dieci anni fa lei si diceva di sinistra.</b><br />
«In Italia non si può che essere riformisti o rivoluzionari. Non mi chiede del sogno nel cassetto?».<br />
<b>Il suo sogno nel cassetto?</b><br />
«Rifondare la sinistra».<br />
<b>Bum. Lei? Dal Pli?</b><br />
«Sto già parlando coi radicali».
<br />
L'ultimo Walter2009-02-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388801<br />
Caro Uolter,<br />
sia te che i nostri lettori sono abituati al fatto che nei momenti salienti della tua vita politica io ti scriva come si scrive a un vecchio amico. Non è un esercizio retorico: il solito Fellini che cito regolarmente, mi disse che tu hai la faccia del vecchio compagno di scuola con cui vorresti fare la gita di fine anno e io concordo. Oggi mi tocca scriverti nel momento della sconfitta, quella sarda, che ha determinato le tue rispettabili e dignitose dimissioni, lasciando il cerino acceso, a quanto leggo, a Franceschini, un po’ per tirarti fuori dalle botte e un po’ perché era la miglior cosa da fare. Il tuo acerrimo nemico D’Alema lo fece nel 2000 dopo la legnata alle regionali e lasciò il cerino acceso a Giuliano Amato che morendo lo lasciò a Francesco Rutelli il quale però fu abbandonato nel magazzino delle scope e nessuno si ricordò più di lui. Tu non corri il rischio del dimenticatoio, ma dovresti prima imparare a fare il leader, cosa per la quale hai una mezza vocazione, mentre l’altra mezza è rimasta nello stesso magazzino delle scope dove è conservato Rutelli. Cominciamo col dire che il tuo diretto concorrente, il baffoferrigno D’Alema, non ha sex appeal. Non dico fisicamente, che anzi può anche piacere alle signore segaligne e aristocratiche che abbiano avuto un’educazione particolarmente severa in un collegio di clausura, ma come elaboratore di idee: con tutte le sue fondazioni, centri studi, think-tank, brain storming e riunioni fumose, tutto quello che sa tirar fuori è una minestra riscaldata con dentro Bertinotti, riesumato dal cimitero degli elefanti e qualche altro rottame arrugginito con la falce e il martello: pas d’ennemis à gauche, va bene, ma qui siamo alla notte dei morti viventi. Parliamo di politica. Non ne hai azzeccata una ed è bene ripassare la litania: hai perso malamente le politiche nell’aprile del 2008 e nello stesso mese ti sei giocato sia Roma che il Friuli. Già vedi che non è normale. Poi a giugno hai riperso la Sicilia, che non era tua, ma lì la povera – si fa per dire – Anna Finocchiaro si è presa una ginocchiata nei denti per cui l’hanno dovuta ricoverare in rianimazione. Andiamo avanti? Abruzzo. Débâcle. La colpa la vuoi dare al povero Ottaviano Del Turco, che è una vittima e trattata anche male proprio da te e dal tuo partito, o dal cosiddetto «sistema» che si è andato incistando sul tuo partito per il quale la berlingueriana «questione morale» ha oggi il suono di una battuta macabra? Non so, parliamone. Comunque, era una legnata da mordere la polvere e tu l’hai morsa, quella polvere. Dopo di che la sberla di questa partita a poker che si è giocata in Sardegna, dove Berlusconi ha rischiato la faccia e dove tu e il candidato Soru le avete prese. D’accordo, Soru studiava da segretario, d’accordo un dalemiano di meno, tutto quello che vuoi, ma come vedi è la formula che non funziona e infatti tu, molto onestamente, hai fatto il passo indietro che non tutti sanno fare. Bene e bravo, ma in politica non c’è tempo per commemorazioni e consegna di medaglie: il gioco è duro, i duri scendono in campo e chi è mollo nei polpacci crolla. E tu sei crollato. Ora, tu sai che io, come quel vecchio pedante di Catone coi fichi di Cartagine, vado dicendo che la democrazia italiana senza la gamba sinistra non può correre. Dobbiamo a Berlusconi se la gamba destra che una volta non c’era ora c’è, ma senza un partito che sappia parlare al cuore e alla mente degli italiani di sinistra, la democrazia si atrofizza e non è un bello spettacolo. Dove hai sbagliato? Partiamo dall’intuizione giusta che tu hai sempre avuto: avendo un fratello che vive a New York e comperando le camicie botton down a Madison Avenue, hai capito che la democrazia americana è forte perché sa vendere prima di tutto gli ideali. Difatti tu hai copiato John Kennedy, hai copiato Bob Kennedy, hai copiato Martin Luther King, hai copiato Obama, hai dato una copiatina anche a Clinton e fra gli italiani ti sei degnato di copiare soltanto il don Milani della scuola di Barbiana, che compie il mezzo secolo e si vede. Intuizione buona, applicazione pessima, anzi perdente. Hai fatto anche qualcos’altro di buono: hai introdotto le primarie, sia pure partendo da quelle fasulle per Prodi e adesso il golem del tuo partito cammina e traballa da solo, con primarie in cui vincono gli outsider e perdono i dalemiani che prendono botte ovunque. Dunque c’è del buono, ma il risultato è perdente. Ora, chiediti: perché il Berlusconi dal tuo popolo tanto detestato, alla fine vince? Sex appeal? Certamente, ma non quello fisico. Il berlusconismo vince perché trasmette un messaggio e quel messaggio ha una forte valenza anche emotiva. E i risultati li vedi. E vedi anche i tuoi, di risultati. E allora? Allora, dico, poiché in fondo tu con Berlusconi, fatte le debite mosse di teatro, sei pappa e ciccia (guarda il regalino dello sbarramento al 4 per cento alle europee per ammazzare i piccoli e incipriare il crollo del tuo partito) perché non impari la lezione utile, che è quella di far sognare gli elettori, di inventarti un sogno, di dare una formula che non sia scopiazzata – e basta con «yes we can»! – e che faccia, mi perdonino le signore, arrapare politicamente il tuo popolo depresso, impolverato, con le pezze ai piedi e la rabbia macinata sotto i denti? Sì, d’accordo, ti sei dimesso. Dunque non tocca a te farlo. Ma tu sei un leader anche se a metà, perché per metà hai capito e l’altra metà non ti è entrata in testa. Prova dunque a far tesoro della sconfitta e imparare a fare il leader tutto intero e dare alla sinistra riformista, moderna, liberale o lib-lab, il messaggio giusto, facendo scattare le corde di quel cuore per ora impagliato che non batte più. Se non te, chi altro? Bersani? Ma andiamo: sembra Ferrini. D’Alema? Non fa palpitare i cuori neanche con la scossa elettrica della sala rianimazione. Dunque, vecchio mio, leccati le ferite e buttati in politica una buona volta. In fondo sarebbe ora.<br />
«Silvio è come Kim Il Sung. Addio al Pdl» - INTERVISTA2009-02-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388539 <br />
«Il Cavaliere è l´unico leader che si presenta alla gente circondato dai gorilla»<br />
<br />
Paolo Guzzanti ha stampato l´addio a Forza Italia. Una lettera aperta a Silvio Berlusconi. Berlusconi, intimo dell´odiato Putin (descritto come uno squartatore della democrazia, esecutore dell´omicidio della Georgia, uomo del Kgb e parecchio altro), è col tempo divenuto «Kim Il Sung». Il Cavaliere, monarca assoluto, resta l´unico leader «che si presenta alla sua gente nei teatri circondato dai gorilla con la radiolina all´orecchio». Il partito è poi composto «da una corte osannante», i parlamentari sono «nominati» con criteri che in alcuni casi «provocano imbarazzo o rossore».<br />
«Sarò deputato del glorioso partito liberale».<br />
<b>Bello. Esiste ancora?</b><br />
«Con Carlino Scognamiglio, l´amico De Luca... spero anche Renato Altissimo».<br />
<b>E con lei siete in quattro.</b><br />
«Obama ha dimostrato che quando c´è una grande crisi il Paese ha bisogno prima di tutto di un sogno».<br />
<b>
Ricordo l´adorazione con la quale segnalava ogni alito di Berlusconi.</b><br />
«Io non l´ho adorato. Però meriterebbe un monumento d´oro: ha creato da zero un partito democraticamente affidabile che non esisteva».<br />
<b>
Quell´enfasi.</b><br />
«Enfaticissimo. Scrivo e mi esprimo con passione».<br />
<b>
Sembrava proprio la corte di Kim Il Sung.</b><br />
«Be´ che fa, mi ruba le battute? Sono io che ho paragonato certe manifestazioni di Forza Italia al compleanno di Kim Il Sung. Ma io sono stato con Berlusconi nei momenti più difficili, quando la popolarità era ai livelli più bassi. E gli riconosco meriti storici che nessuno potrà mai cancellare».<br />
<b>E infatti l´ha scritto.</b><br />
«Però l´ho criticato e aspramente proprio sul Giornale della famiglia»<br />
<b>
Lascia il partito e anche il Giornale?</b><br />
«Non ho nessuna intenzione di dimettermi da lì. Ricordo che scrissi una serie di articoli durissimi contro la gestione di Forza Italia. Successe il finimondo, era il 2006».<br />
<b>
In estate ha bisticciato con Mara Carfagna che aveva querelato sua figlia Sabina.</b><br />
«Mi sono ribellato al fatto che la signorina Carfagna, avendo una lite in corso con l´attrice Sabina Guzzanti, ha pensato bene di tirare in ballo me».<br />
<b>
"Mignottocrazia" . Chi lo scrisse?</b><br />
«E´ un mio copyrighit. L´ho lanciato sul mio blog e ha fatto il botto».<br />
<b> Poi però consegnò a Mara una rosa in segno di pace.</b><br />
«Sì perché non c´era nulla di personale. Era solo una dura opinione politica su ciò che vedevo e vedo».<br />
<b>Comunque Sandro Bondi le chiede di restituire il seggio.</b><br />
«Bondi è il mio più caro amico insieme a Cicchitto e ho trovato molto doloroso vederli assumere questo ruolo da Torquemada. Farmi attaccare dall´uomo sulle cui spalle mi sono appoggiato... ».<br />
<b>Ha pianto sulla spalla di Bondi?</b><br />
«Gli ho confidato le mie perplessità».<br />
<b>Anche il coordinatore laziale di Forza Italia ricorda le sue telefonate.</b><br />
«Vero».<br />
<b>Ladro di seggio!</b><br />
«No, io sono perfettamente consapevole di rappresentare molti più elettori di quanti ne bastino per eleggere un deputato».<br />
<b>Lei sogna.</b><br />
«Ho proposto l´istituzione delle primarie per legge».<br />
<b>Oggi è triste.</b><br />
«Assolutamente no. Ho avuto valanghe di consensi».<br />
<b>Domattina a Montecitorio la sbraneranno.</b><br />
«Non credo proprio. Domattina alla Camera dovrò solo spostarmi di posto».<br />
<b>La trasferiscono? Giusto.</b><br />
«Sarò iscritto al gruppo misto».<br />
<b>Va nel Pli. Più che un partito è un ricordo.</b><br />
«E´ il luogo della memoria liberale e riformista».<br />
<b>Il polo laico, diamine!</b><br />
«Poiché mi piace sognare rispondo sì: sogno il polo laico».<br />
PDL, l'addio di Guzzanti2009-02-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388632ROMA - Paolo Guzzanti annuncia, con una lettera aperta a Silvio Berlusconi, di lasciare da oggi il gruppo parlamentare del Pdl alla Camera, iscrivendosi a quello misto, e il partito. Infatti, il deputato annuncia la sua iscrizione al Partito Liberale Italiano con l'idea di candidarsi per prossime responsabilità politiche.
Due gli elementi che motivano la scelta di Guzzanti: il sostegno "entusiasta, personale e amicale al signor Vladimir Putin" da parte di Silvio Berlusconi per la "criminale invasione della Georgia, la prima di uno Stato europeo da parte di un altro Stato europeo dal 1 settembre del '39 quando Hitler invase la Polonia''.
Il secondo motivo sta nella condizione "preagonica della democrazia parlamentare italiana". "Il Parlamento - scrive Guzzanti - è oggi ridotto al rango di cane da slitta del governo, costretto a correre sotto i colpi di frusta dei voti di fiducia (11, mentre 44 delle leggi approvate su un totale di 45 portano la firma del governo) con cui approvare decreti legge che meriterebbero invece ampia, autonoma e approfondita discussione e correzione da parte dei rappresentanti del popolo".Caro Silvio Ti scrivo per annunciarti che oggi, 2 febbraio 2009, rassegno le mie dimissioni dal gruppo PDL della Camera per iscrivermi al gruppo misto2009-02-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388523Contemporaneamente mi dimetto dal partito e ti annuncio la mia iscrizione al Partito Liberale Italiano in cui intendo candidarmi per responsabilità politiche al prossimo congresso di Roma.
<p>
Poiché le mie richieste di colloquio sono state da te rigettate come anche i miei messaggi scritti, ricorro alla formula della lettera aperta per spiegare a te e ai colleghi i motivi delle mie scelte, adempiendo così a un dovere di lealtà politica e personale.
<p>
La mia decisione è andata maturando a partire dal mese di agosto quando due fatti e due situazioni hanno provocato in me un insanabile conflitto di coscienza, di cui ho dato immediata comunicazione con i miei interventi in Commissione Esteri e alla Camera, con articoli e dichiarazioni.
<p>
Il primo evento, quello che ha accelerato i tempi di un processo più ampio, è stato il tuo sostegno entusiasta, personale, amicale al signor Vladimir Putin per la criminale invasione della Georgia, la prima di uno Stato europeo da parte di un altro Stato europeo dal 1 settembre 1939 quando Hitler invase la Polonia, se si tralasciano gli interventi armati russi sotto bandiera sovietica del 1953 a Berlino, del 1956 a Budapest, del 1968 a Praga, tutti felicemente rivendicati dal tuo “grande amico Vladimir”, l’ultimo capo del KGB, selezionato dal KGB. Lo stesso tuo amico ha del resto ordinato che venisse reintrodotto sui libri di testo il culto di Stalin e ha dichiarato traditori della patria i perseguitati che fuggirono dall’inferno sovietico scegliendo la libertà durante la guerra fredda.
<p>
Il secondo motivo sta nella condizione pre-agonica della democrazia parlamentare italiana alla quale spesso tu alludi con insofferenza parlando di “lacci e lacciuoli” per sottolineare l’impaccio che provi di fronte alle regole e alle procedure che dovrebbero garantire autonomia e autorità del Parlamento nel suo rapporto con l’esecutivo. Il Parlamento è oggi ridotto al rango di cane da slitta del governo, costretto a correre sotto i colpi di frusta dei voti di fiducia (undici, mentre 44 delle leggi approvate su un totale di 45 portano la firma del governo) con cui approvare decreti legge che meriterebbero invece ampia, autonoma e approfondita discussione e correzione da parte dei rappresentanti del popolo.
<p>
Una larga parte del Paese, di destra, centro e di sinistra, inoltre, non è più rappresentata e si sente estranea ed estromessa: io stesso ho inizialmente plaudito alla “semplificazione” che avrebbe dovuto condurre ad una democrazia non più paralizzata dai veti incrociati dei partiti più piccoli, ma anche più limpida e incardinata su un sano e bilaterale rapporto fra esecutivo e legislativo, secondo il principio fondamentale della democrazia dei “cheks and balances”, dei pesi e contrappesi oggi inesistenti.
<p>
Oggi il Parlamento prende ordini dal governo anziché esserne il controllore,essendone semmai il controllato, ciò che rende la democrazia parlamentare un cadavere o meglio uno zombie.
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In questa situazione il fatto che una larga parte degli italiani non sia rappresentata, suona come uno schiaffo e una inutile esclusione.
<p>
Infine la totale assenza, malgrado operazioni di facciata come i ridicoli gazebo, di una sia pur larvata forma di democrazia interna in Forza Italia: sono io che ho coniato il bonario detto, che tu più volte hai citato, secondo cui Forza Italia era un partito monarchico ed anarchico, con un monarca al vertice ma temperato dall’anarchia di una comunità di teste bizzarre che avrebbero dovuto garantire pluralismo di opinioni e creatività. Purtroppo non è così: il partito è diventato sempre più un organismo autoritario e piramidale, incapace persino di celebrare un vero Congresso in cui poter ascoltare e votare voci sia discordi che concordi. Nulla. Ho assistito per anni con imbarazzo, condiviso anche da tantissimi colleghi, a delle kermesse che potevano essere indifferentemente manifestazioni di Forza Italia o celebrazioni per il compleanno di Kim Il Sung. Tu sei l’unico leader di partito che si presenta alla sua gente sul palco di un teatro circondato dai gorilla con la radiolina nell’orecchio, anche quando non è primo ministro.
<p>
Molti amici mi rimproverano dicendomi che avrei dovuto battermi dall’interno, ma sappiamo benissimo - sia io che te - che non esiste alcuna possibilità di democrazia interna nel partito di un monarca assoluto assediato da una corte osannante che tu poi porti in Parlamento o al governo con criteri che provocano in qualche caso imbarazzo e rossore. Certo, anch’io sono, come tutti, un nominato e non un eletto: ma ho la presunzione di far parte dell’universo di coloro che, se ci fossero state delle primarie, sarebbero stati scelti dal popolo e dunque intendo lavorare anche per verificare se ciò sia vero. Voglio battermi affinché la democrazia sia controllata dai cittadini ed è per questo sto per presentare un progetto di legge che renda obbligatorie le primarie insieme alle procedure che devono garantire la democrazia interna e la pluralità delle opinioni.
<p>
Politica estera, collasso istituzionale e assenza di democrazia interna mi inducono a prendere la sofferta decisione di andarmene, non senza averti però prima dato atto di aver realizzato progressi storici e positivi verso il bipartitismo, di aver in particolare creato dal nulla con uno sforzo personale e insostituibile una destra democratica che all’Italia mancava e che oggi, grazie al tuo lavoro, esiste anche se soffre di gravi menomazioni.
<p>
L’ultima mia delusione è di vedere che nel corso dei quasi 15 anni del tuo impegno politico, non hai fatto nulla per dare a questo Paese la tanto attesa rivoluzione liberale che le grandi democrazie hanno avuto e che all’Italia è stata negata. Tu quella rivoluzione l’hai promessa e cavalcata, riscuotendo un grande consenso fra gli italiani liberali, ma non hai poi fatto assolutamente nulla per dare concretezza alle parole prese in prestito agli intellettuali insieme alle bandiere cadute dei partiti che hanno governato per mezzo secolo la democrazia repubblicana.
<p>
Questo è il motivo per cui ho scelto di proseguire la mia battaglia nel rinascente Partito Liberale che fu di Einaudi e Malagodi, non per rispolverare vecchie glorie, ma per contribuire a fare di quel partito ciò che tu non hai voluto o saputo creare con il tuo: un ampio e festoso approdo per tutti coloro che in Italia sono assetati di vera libertà, di vera democrazia e dell’accesso completo ed indipendente all’informazione che è costantemente negata agli italiani, beffati sia dal servizio pubblico che da quello privato delle tue stesse aziende. Se la verità è in coma, anche la libertà è moribonda. Sono infatti convinto che non esista alcuna libertà che non sia prima garantita dall’accesso pubblico alla verità.
<p>
L’augurio dunque che ti faccio lasciando il partito e il gruppo parlamentare, caro Presidente, è questo: che tu possa capire in tempo che la mia scelta non è capricciosamente personale e meno che mai casuale, ma che si muove in sintonia con una massa crescente di italiani in eterna attesa del rilancio della terra promessa della democrazia liberale e che invece si sono ritrovati di fronte alla prospettiva di una democrazia vuota di contenuti e tendenzialmente autoritaria.
<p>
Poiché tu guidi un governo che ha una solida, anche se non molto visibile, maggioranza parlamentare, facendoti i miei auguri li faccio anche e prima di tutto al mio Paese. Sono infatti contento di essere venuto al tuo fianco nel momento più basso della tua fortuna politica, e di andarmene quando tu hai vinto tutto e anzi troppo.
La mia battaglia prosegue nella stessa direzione che ho sempre seguito: quella della democrazia liberale parlamentare, che ancora non è compiuta e che deve essere instaurata con uno sforzo rivoluzionario che spero di saper onorare di fronte a chi ha fiducia nelle mie scelte.
<p>
Ti saluto dunque con cordialità e ti formulo vivi auguri, primo fra tutti quello di comprendere la estrema gravità della crisi di valori, oltre che economica, che attraversa la nostra patria.
<p>
Paolo GuzzantiSantoro come Hamas Bombarda tutti e poi grida al martirio2009-01-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388279<br />
Quello che è successo da Santoro è perfettamente normale. Siamo forse in un Paese in cui l’informazione e la comunicazione (che sarebbe l’uso emotivo dell’informazione) sono tutelate da norme certe e un costume civile? No. E allora che cosa abbiamo da lamentarci? Michele Santoro ha sempre fatto e sempre farà come gli pare e piace. E zitti. E se protesti, allora - come è stato detto a Lucia Annunziata - vuol dire che qualcuno ti paga. Non con vile denaro, s’intende, ma con prebende, vantaggi e carriera. Se tu sei contro l’Italia di Santoro, quel cesso di Italia in cui si sfornano bugie e fabbricazioni a tutta birra, allora sei un censore.<br />
Lucia Annunziata che con grande coraggio (anche perché sapeva che stava ripetendo il gesto che Berlusconi compì da lei e che avrebbe pagato pegno per questo) si stacca il microfono, si alza e se ne va, ha fatto naturalmente benissimo, e bisogna dire che fra lei e Santoro, quanto a giornalismo, c’è la differenza che passa fra una mela e il baco della mela. Quando io e Lucia ci conoscemmo un quarto di secolo fa scendevamo e salivamo sugli elicotteri nella giungla del Salvador e lei rischiava la vita, raccattava le notizie e le raccontava al Manifesto, e io - allora - a Repubblica. Siamo giornalisti. Abbiamo sì idee diverse e talvolta opposte, ma prima di tutto abbiamo una forma genetica di rispetto per la verità.<br />
Poi la verità la raccontiamo in mille modi, ma la decenza è la decenza e ciò che fa Santoro è indecente ed è un peccato perché l’uomo sa comunicare - è un formidabile propulsore, cioè, di emozioni politiche prefabbricate - ma è abituato a considerare la verità, l’oggettività, il rispetto delle regole elementari che sono osservate in ogni Paese, come merda di cane sotto la suola delle scarpe.<br />
In tutto il mondo si svolgono show in cui Israele è attaccato, criticato, messo sul banco degli accusati. Ovunque. Ma mai, mai, in nessuna trasmissione si è visto l’obbrobrio che abbiamo visto da Santoro. Santoro non è professionalmente onesto: a me ha impedito di replicare al suo amico Travaglio che nella sua trasmissione mi ha attaccato indisturbato rovesciandomi addosso parole miserabili, e Santoro l’ha coperto, mi ha legato le mani e fatto picchiare senza concedermi replica.<br />
Professionalmente dunque una persona censurabile. C’è soltanto da spiegare perché non è censurata.<br />
Il punto cardine, la questione prima nel nostro Paese è la qualità, la attendibilità, la potabilità dell’informazione. E quella qualità è tossica, avvelenata, proibita. E la cosa più grave è che Santoro è talmente impunito e impunibile, che crede alla propria divinità, alla propria intangibilità, alla propria - persino - bontà. È così facile per lui: lo critichi? E lui grida alla censura. La Annunziata - sua amica e collega - protesta in nome della professione: «Bisogna vedere chi cerchi di compiacere».<br />
Esprimi un’opinione diversa da quelle che lui sta certificando e bollando: «E basta! Basta di ripetere sempre le stesse cose». E così via. Quella è la «Santoro-Weltanshaaung», la visione del mondo, della vita, della storia, dell’informazione, della televisione di Michele Santoro. Santoro è un dio, in Italia (non potrebbe esserlo altrove) e qui comanda lui. Il conflitto su Gaza è quello che dice lui e con lui quel gruppo di liofilizzati reidratati che fanno, dicono, si muovono come lui vuole.
Un teatro delle marionette dove non esiste contraddittorio, ma soltanto la presenza simbolica di qualche sparuto e disperato rappresentante della contraddizione che viene sommerso dal coro greco delle urla, della dannazione, della riprovazione. Chi cavolo sono quei figuranti pagati dal contribuente che fanno la claque a Santoro? Fingono di essere il coro che rappresenta l’Italia. E purtroppo è vero. E quel che resta dell’Italia santorizzata. Il resto dell’Italia è diventato carne da Grande fratello, dall’estrema destra fino a Luxuria. Abbiamo oggi due grandi poli televisivi formati dall’imbecillismo amorfo di un’Italia che beve tutto purché sia trash, demenziale e possibilmente offensivo dell’intelligenza e della cultura e di un’altra Italia santoriana in cui bisogna posizionarsi contro l’America, contro Israele, possibilmente con tutti i satrapi del mondo, decidendo anche quale e che cosa sia l’agenda della questione morale.<br />
Lucia Annunziata se ne è andata, seguita dalla voce arrochita di un Santoro che non le ha voluto dedicare altro che sguardi e ringhiosità piene di disprezzo: il disprezzo di chi si sente tradito non nella professione, ma nello schieramento. E ha ragione Santoro. È lui il vincitore. È l’Italia di Santoro quella che tiene banco, quali che siano gli orientamenti politici e le richieste della gente. La televisione è sua. Se ne fotte del governo, del Parlamento, del presidente della Camera e se occorresse anche di quello della Repubblica. In questo lui e quelli della sua scuola sono come Hamas: sanno che il martirio paga, la persecuzione censoria se ben evocata, passa in un pubblico di poveri italiani ormai analfabeti, drogati di immagini manipolate, rincoglioniti da mantra ripetuti che non hanno alcuna relazione con la verità giornalistica.<br />
Non è questione di destra e di sinistra, neanche di israeliani e palestinesi. È questione di stile, è questione di rispetto per i cittadini, per il mestiere e la deontologia del giornalismo, per la verità presa a calci in culo dalla mattina alla sera, quando non è appiattita a sogliola sul governo del momento, quale che esso sia. Dunque, complimenti al dottor Santoro - come lo chiamava Berlusconi - complimenti vivissimi. Ce l’hai fatta un’altra volta, vecchio pirata.<br />
Contro la casta servono giudici eletti dal popolo2008-12-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382773<br />
Come un morto mal sepolto la questione morale è uno zombi che esce periodicamente sicché le sue imprese vengono poi stiracchiate dalle parti politiche a proprio uso e consumo. La catastrofe morale e moralista della sinistra diessina la dice lunga e la dice lunga perché viene da lontano, viene dallo stesso ventre da cui viene tutta la storia della società italiana in cui nessuno è immune e nessuno rinuncia a segnare opportunisticamente punti di fragili vittorie momentanee.<br />
Partirò da una constatazione impopolare: gli italiani non sono (non siamo) un popolo particolarmente morale. Non abbiamo avuto il calvinismo e neanche la prevalenza del cattolicesimo che piaceva al Manzoni. Il nostro è semmai il paese delle corporazioni o come si dice oggi delle lobby. Erano corporazioni quelle dell’epoca di Dante e sono corporazioni quelle dei tassisti, notai, carrozzieri, piloti, giornalisti, parlamentari, ginecologi, cattedratici, insegnanti, studenti.<br />
Mussolini, che andava per le spicce, aveva cooptato questa sciagura incorporandola nel fascismo e inventando anche la Camera dei fasci e delle corporazioni. I magistrati italiani, e soltanto quelli italiani, costituiscono una corporazione. Ogni corporazione si proclama indipendente e strilla come un’aquila se qualcuno le pesta le penne. Quando i membri di una corporazione parlano dei membri delle altre corporazioni, lo fanno per notare che i loro membri sono prevalentemente dei mascalzoni. Berlinguer trasformò la grande corporazione filosovietica del Partito comunista in una corporazione nazionale moralistica per scaricare la Rivoluzione d’ottobre, ormai spompata come valore, e agganciarsi ad una crociata detta “questione morale”: tuttavia Berlinguer non riuscì a sganciare del tutto il suo partito da Mosca, ma fece del gran male al Paese inventando la differenza genetica, razziale e razzista, fra i comunisti e gli altri, ridotti a untermensch, sottouomini. Tutti fallimenti ridicoli, penosi.<br />
Diciamo le cose come stanno: mezza Italia è mafiosa e camorrista, l’altra metà evade le tasse con forsennato orgoglio, con un Sud che convive benissimo con atteggiamenti culturali, abitudini vocali e gestuali ammiccanti proprie di camorra e mafia, ma che strilla in processioni ridicole fino all’imbarazzo contro camorra e mafia di cui però coopta e promuove i comportamenti. L’Italia è un paese vittimista, un po’ cialtrone, pieno di talenti che vengono depressi e costretti alla fuga da una massa crescente di mediocri che si oppongono alla meritocrazia che è quella dei ricercatori italiani che scappano in America, in Inghilterra, anche in Francia.<br />
E così quando il pus di una vicenda immorale spurga, partono come in un carillon tutti balletti delle compagnie della flagellazione (altrui) e dell’autoassoluzione. Tutto estremamente italiano. Dunque, verrebbe da dire, incurabile.
Ed è lì, sulla incurabilità che si prospetta il terreno della sfida. Davvero non c’è null’altro da fare che cercare di tirare la nuova questione morale dalla propria parte riciclandola in propaganda? Davvero non si può cercare di curare il male alla radice? E qui provo ad esprimere alcune idee in libertà, così come mi sono cresciute dentro in questi anni.<br />
La prima è che un certo tasso di corruzione è inevitabile in ogni Paese del mondo. Gli economisti hanno anche studiato questo aspetto e non ricordo a quanto lo hanno fissato, questo tasso, in percentuale: l’8 per cento? Il 3,4? Non ha importanza. Come il tasso di criminalità, di omicidi, furti, incesti e incendi (allitterazione rubata al Cavaliere Inesistente di Calvino), bisogna far pace con il fatto che il male esiste e non sarà mai del tutto evitato.<br />
Ma come fare a ridurlo al minimo? È lì che si apre la vera questione di fondo che implica la responsabilità collettiva, per evitare lo scaricabarile per cui la colpa è sempre degli altri. Bisogna prima di tutto rispondere ad una domanda apparentemente banale: volete voi che esista e vi governi una Suprema Autorità Occhiutissima e Punitiva (Saop) che vi sorvegli, vi scudisci, vi arresti e vi scaraventi in segrete popolate da scolopendre, oppure preferireste che un patto di onesta moralità collettiva e comune reggesse la cosa pubblica?<br />
La seconda scelta è ovvia, ma attenzione: essa comporta il peso sovrumano e italianamente impopolare della responsabilità. Se non vuoi una Saop, devi saper accettare le conseguenze che derivano dall’uso della libertà. Tradotto in soldoni? <b>Significa che la cosa pubblica deve essere amministrata da personale scelto direttamente dal popolo sovrano, il quale però ne diventa l’unico e solo responsabile senza più capri espiatori.</b><br />
Si tratta, l’avrete capito, di arrivare al costume americano delle primarie. Oggi le primarie sono di moda per via di Obama e della vicinanza di molti con gli Stati Uniti, ma per noi italiani possono essere un boccone molto amaro: in un Paese dalla schiena diritta, la moralità complessiva a livelli alti, le primarie sono l’espressione non soltanto della libertà, ma anche della responsabilità. Che cosa significa? Significa che se la politica viene riconsegnata, o consegnata per la prima volta, ai cittadini, poi non esistono più alibi: non si potrà più dire che la colpa è della corporazione avversaria.<br />
Penso poi che i tempi siano maturi perché i procuratori stessi vengano scelti dal popolo e siano responsabili davanti al popolo, e che si possa fare a meno di procuratori che discendono dall’albero dei concorsi pubblici.<br />
Insomma, se un vero antidoto si vuole cercare contro l’immoralità pubblica, questo non può che essere cercato in un aumento rivoluzionario della possibilità di scelta da parte del popolo e della sua conseguente assunzione di responsabilità. Ma, ecco di nuovo la conseguenza, nessuno potrà poi più dire che la colpa è dell’eredità della Democrazia cristiana, o dei comunisti, o della mafia, o dei meridionali, o dei piemontesi, o comunque degli “altri”.<br />
Il costume morale di una nazione, in mancanza di un passato con castigamatti come Lutero e Calvino (il quale non esitava a Ginevra a mandare al rogo persino i bambini disobbedienti) ha speranza di rigenerarsi soltanto attraverso un nuovo patto collettivo, la versione italiana di un “New Deal”, che sappia andare oltre i partiti, oltre le parti politiche e che possa esprimere trasparenza, onestà, valori condivisi, la fine della dittatura delle lobby e dei gruppi di potere.
È come vuotare il mare con un ditale, d’accordo: ma non c’è alternativa. Se non si può reperire la quantità di energia etica necessaria per mettere in moto questa grande turbina della rigenerazione morale allora non resta che arrendersi e sminuzzare come abbiamo sempre fatto in piccoli bocconi avvelenati l’ultimo scandalo, l’ultima malversazione, l’ultima scoperta di tangenti.<br />
Tempo perso, parole scontate, furbizie già viste. Oggi abbiamo una grande occasione: la solidità del governo e della sua maggioranza, avendo blindato il quadro politico, permetta di poter aprire una riflessione onesta, trasparente, profonda, dolorosa e sincera. Infatti, se non ora, quando?<br />
Adesso vi spiego quant'è inutile essere deputato2008-12-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382678<br />Discorsi retorici, si vota senza sapere cosa, nessuno ascolta: ecco perchè i nostri stipendi sono soltanto soldi buttati. Siamo tutti lì soltanto a pigiare bottoni. E a volte mi chiedo: non è meglio chiudere questo baraccone?<br />
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Io sono un parlamentare fanatico e controcorrente. Sono cresciuto nel culto del Parlamento inglese, quello sulla cui porta la regina deve bussare tre volte prima di essere ammessa. E sono depresso e arrabbiato per lo sfacelo dell'immagine del Parlamento italiano. La verità? Oggi questa istituzione non serve quasi a niente. Gli italiani si concentrano sul preteso scandalo dei pianisti e allora confesso: quando vado a fare pipì dopo quattro ore inchiodato sulla panca, il mio vicino se occorre vota per me e io per lui quando gli rendo la cortesia. Suonano il piano quelli della maggioranza e quelli dell'opposizione. Io credo che sia una sorta di ultima trincea mentale di difesa. Io vorrei che il Parlamento riacquistasse la sua dignità perduta, la sua funzione smarrita (non da oggi: da quando frequento le camere è sempre la stessa solfa) e la sua dignità. Quando scrivevo su questo Giornale...<br /><br />
...Non vorrei essere frainteso: ciò accadeva col governo Prodi e accade oggi col governo Berlusconi e non dipende da altro che dalla evoluzione di un sistema che di fatto ha riscritto la Costituzione materiale senza aver toccato quella formale...<br />
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NON PARLIAMO DELLA SIGNORINA MARA CARFAGNA, CALENDARISTA DALLE PARI OPPORTUNITA’, MA…2008-11-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it381899…parliamo di un principio. Vedo che un gruppo di pasdaran seguita a far finta di non capire, o forse non capisce davvero. il punto, l’unico punto che conta (e lasciamo perdere la Carfagna, facciamo finta che non esista) è: è ammissibile o non ammissibile, in una democrazia ipotetica, che il capo di un governo nomini ministro persone che hanno il solo e unico merito di averlo servito, emozionato, soddisfatto personalmente? Potrebbe essere il suo giardiniere che ha ben potato le sue rose, l’autista che lo ha ben guidato in un viaggio, la meretrice che ha ben succhiato il suo uccello, ma anche il padre spirituale che abbia ben salvato la sua anima, il ciabattino che abbia ben risuolato le sue scarpe.
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Non importa in che modo. Non importa il sesso. Importa un principio, uno solo: è lecito, è tollerabile, è accettabile in via ipotetica e non qui in Italia ma sul fantastico pianeta di Zorbador che il primo ministro faccia ministro e segretario di Stato il pescivendolo che gli ha fornito le migliori triglie, il medico che lo ha tirato fuori da una brutta polominte, la maestra di piano dei suoi figli, l’antennista della sua televisione di casa, e così via
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Affrontiamo per favore il solo problema generale, che è quello che ho già indicato: è lecito o non è lecito che si faccia ministro in uno Stato immaginaio e anzi in un Pianeta di un’altra costellazione, una persona che ha come suo merito specifico ben soddisfatto il capo del governo?
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Sì o no? Lasciamo perdere per favore, il caso di una povera ragazza, ministro per caso, insultata da un’energumena su una piazza piena di loschi figuri. Lasciatela in pace.
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Fate con me un passo avanti alla maniera dei classici greci: dibattiamo solo sul principio.
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E’ lecito o no? Grazie.Io, il Pdl, Putin e Berlusconi. Vi dico tutto2008-10-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375161<br />
<b>«Lettera aperta del deputato Pdl Guzzanti dopo le critiche al premier: lasciare il partito? Non ci penso proprio»</b><br /><br />
Caro Silvio,<br />
tutti hanno ieri sottolineato il fatto che io abbia scritto sul mio blog la parola «vomitare» e l’hanno usata per farmi dire ciò che non ho detto, e cioè che tu mi provochi la nausea. Questo è falso. Ciò che mi ha provocato nausea è il modo in cui tu fai incombere sulla politica e la vita pubblica italiana il rapporto personale e allarmante fra te e Vladimir Vladimirovic Putin. E mi ha provocato disagio anche fisico averti sentito ripetere facendola tua la versione dell’uomo che chiami «il nostro grande Vladimir» parlando della prima invasione armata di un paese europeo dal 1939 quando Hitler invase la Polonia da una parte e Stalin dall’altra.<br />
Da ieri tutti mi chiedono se abbandonerò il partito, se mi dimetterò dal gruppo, se lascerò il Parlamento, se tu mi hai telefonato, che cosa penso di coloro che sono stati comandati di compilare penose ingiurie nei miei confronti sulle stile delle guardie rosse: nessuno osi criticare il grande timoniere. Le nostre riunioni pubbliche del resto non sono state mai dei congressi, il diverso parere non è gradito e di fatto non è ammesso. Io ho inventato la formula, da te spesso ripetuta, di un partito monarchico e anarchico. Ma se la monarchia diventa pensiero unico e l’anarchia viene schiacciata, allora il partito monarchico-anarchico diventa una anomalia democratica per rispondere alla quale non è sufficiente la convocazione del congresso di febbraio, che di fatto sarà soltanto una kermesse di fusione fra le due componenti, An e Fi. Andarmene? Non ci penso neanche. Mi aspetto invece rispetto e gratitudine per aver introdotto sacrosanti motivi di riflessione su questioni di importanza internazionale, nazionale e morale. Se tu avessi parlato soltanto in termini di realpolitik, non avrei forse provato nausea. Ma tu hai sposato e diffuso come dati oggettivi le bugie di un uomo al quale centinaia di storici e di analisti politici, fra cui io stesso, attribuiscono gravissime violazioni dei principi fondamentali della democrazia e dei diritti dell’uomo.
Ritengo poi falso che un Paese debba impiegare molti anni per passare dal totalitarismo alla democrazia come tu hai detto per giustificare Putin e la sua dittatura del Kgb che ha coperto il parlamento e ogni livello intermedio, sostituendo il partito unico comunista con il partito unico della polizia segreta. Che non occorrano anni è dimostrato dal passaggio dalla dittatura alla democrazia di paesi come la Polonia, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, le Repubbliche ceca e slovacca, i casi del Cile, della Spagna, del Portogallo, della stessa Italia e della Germania, che di totalitarismi se ne è beccati due.<br />
Ma il problema dei problemi è che oggi tu sei all’apogeo del consenso, hai una maggioranza di ferro, il tuo governo non corre alcun rischio e dunque è ora di spalancare le porte della discussione e delle libertà cui è intitolato questo partito perché nessuno può essere accusato di «remare contro».<br />
Colgo oggi l’occasione per dire poi che non voglio essere più trattato, come oggi accade a quasi tutti i membri del parlamento, come una pecora, o una scimmia addestrata a spingere tasti, tacere e ritirare lo stipendio alla fine del mese essudando per di più gratitudine per l’alto livello sociale raggiunto e il guiderdone rispettabile. Questi sono criteri inaccettabili e purtroppo te li ho sentiti illustrare. Io ho da dare qualcosa al mio Paese e sento il dovere di darlo essendo, casualmente, un patriota. Ho scelto di servire il mio Paese, non di diventare un vassallo di qualche satrapo straniero. Io sono stato testimone e in un certo senso un coprotagonista della ripresa della Seconda Guerra Fredda lanciata da Putin. Tony Blair te ne può fornire, come Gordon Brown, ogni dettaglio: quando la procura della Regina ha incriminato nel 2007 l’ex tenente colonnello Andrei Lugovoi come probabile assassino del mio collaboratore Alexander Litvinenko, la reazione di Putin è stata quella di far levare in volo i bombardieri strategici russi che giacevano arrugginiti e impolverati negli hangar dal 1991. Blair e poi anche Brown hanno dovuto più volte far levare in volo i loro caccia per proteggere i confini aerei. Il governo di Putin ha minacciato di bombardamento nucleare la Polonia per aver accettato lo scudo spaziale americano e oggi la flotta russa armeggia con le truppe di Chavez. Io personalmente ho udito a Washington qualche settimana fa l’ambasciatore soviet… pardon, russo, dire forte e chiaro alla televisione C-Span «We are back, noi siamo tornati, noi rivendichiamo le zone di sicurezza che costituivano l’ex Unione Sovietica e non intendiamo mollare di un millimetro».
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L’invasione della Georgia era stata pianificata da anni e la parte operativa era pronta ad aprile con aeroporti, ferrovie e l’ampliamento di un enorme tunnel. In agosto una grande parte della flotta del mar Nero era pronta per una missione di combattimento. Le truppe di terra, le truppe aviotrasportate e i marines erano pronti a muoversi. <br />
Durante le esercitazioni Kavkaz-2008, terminate il 2 agosto cioè una settimana prima della guerra, era stato completato il dispiegamento di aviazione, marina e esercito in località vicine alla frontiera georgiana. Intanto, sempre ai primi di agosto, in Abkhazia era stata completata la riparazione della ferrovia usata per muovere i carri, l’equipaggiamento pesante e i rifornimenti per la forza di circa diecimila uomini che ha invaso la Georgia occidentale senza una scusa o una ragione formale. La propaganda di Stato russa intanto preparava la popolazione alla guerra, descrivendo un attacco georgiano come inevitabile e spiegando come gli Usa e l’Occidente - che non avevano nessun interesse a una guerra nel Caucaso - fossero dietro la minaccia georgiana. <br />
È impossibile mantenere truppe e flotta pronte al combattimento 24 ore su 24 per lungo tempo. La seconda metà di agosto era il limite ultimo per iniziare una guerra contro la Georgia. L’invasione, come quella di Hitler alla Polonia del 1939, è stata giustificata da inesistenti «massacri» di cittadini russi nell’Ossezia, mentre è provato che la reazione di Saakashvili è stata scatenata da una serie di bombardamenti con mortai da 120, calibro proibito dagli accordi del 1992 che autorizzavano tuttavia scambi di colpi con armi leggere. Gli americani non hanno fermato il presidente georgiano dalla sua reazione contro la regione ribelle, sicuri che la Russia non avrebbe invaso una nazione europea, dal momento che le sue truppe non erano mai uscite dai confini nazionali dopo la guerra in Afghanistan. Il calcolo era sbagliato perché la Russia intendeva provocare la guerra, procedere all’invasione e mettere la Georgia in una posizione tale da render quasi impossibile il suo ingresso nella Nato. <br />
Ma poi abbiamo la caterva di morti in Russia: i giornalisti uccisi sono circa 40 soltanto dal 2000. Anna Politkovskaya in un suo libro tradotto solo in inglese dice: «Viviamo in uno stato di polizia, siamo arrestati e uccisi, le nostre radio e i nostri giornali vengono chiusi, poi arriva Berlusconi a Mosca, va in televisione e ci spiega che siamo in una splendida democrazia e che Putin è un sincero democratico». Anna Politkovskaya è stata assassinata due anni fa, nello stesso giorno in cui tu sei venuto a parlare. Anna era amica di Sasha Litvinenko. E io ho pianto per i miei morti, moralmente insepolti: sentire il tuo tono da intrattenitore indulgente, ridente, astuto, ammiccante mentre parlavi della mia gente morta ammazzata mi ha fatto realmente sentire male. Tornato a casa ho vuotato il mio stomaco con un senso di disperazione e liberazione. Cartesio pensava che nella ghiandola pineale in mezzo al cervello fosse la connessione fra anima e corpo. Io ho pensato, reagendo fisicamente all’orrore, che fra il piloro e il diaframma risieda la coscienza. E quella è il mio solo giudice e metro.
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