Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Enrico MORANDOhttps://www.openpolis.it/2012-01-21T00:00:00Z«Riforme senza precedenti»2012-01-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it623406<br />
«C’è da essere veramente soddisfatti. Se il governo riuscirà anche a ridurre il dualismo del mercato del lavoro, avrà fatto in soli 4 mesi una cosa senza precedenti».
<p>Enrico Morando, uno degli esponenti di punta dell’ala più riformista del Pd, parla con Europa senza negare che qualche «timore» l’aveva. Timore che l’esecutivo ritraesse la mano. E invece «non ha lasciato indisturbati i poteri forti». Tutto ciò pone al Pd il tema di «ridefinire la propria offerta politica» prima del voto del 2013. Il che «in un partito democratico si fa con un congresso».
<p>
«La storia delle liberalizzazioni è molto lunga. Anche noi avevamo cominciato a fare qualcosa. Ma per esempio sul gas posso testimoniare che – era il 2007 – Rifondazione da una parte, An e Lega dall’altra, boicottarono il progetto di separare Snam da Eni. Ora siamo nel 2012, il governo Monti questa separazione la fa, vincendo una resistenza accanitissima del monopolista. Mi ero preoccupato quando Catricalà aveva detto che il problema non era prioritario. Evidentemente Monti ha fatto in modo che prevalesse la sua linea». A un riformista come Morando questo “metodo” non può non piacere, «il riformismo decide, non si limita a mediare». E ieri è stato inviato un «segnale molto importante a tutti»: che, appunto, c’è un soggetto che a differenza del passato è pronto a misurarsi con i nodi veri «e a non cedere alle pretese dei poteri forti» e, per converso, che «una frenata sarebbe stata gravissima anche nei confronti delle altre categorie».
<p>
Comincia ad essere chiaro non solo alla stretta cerchia degli economisti che «liberalizzare i mercati aiuta la crescita», oltre che a costituire la premessa per intervenire sui prezzi: «È molto rilevante per la vita della gente che il governo metta le mani nel capitolo delle Rc auto, una voce che riguarda i bilanci veri delle famiglie». Certo, c’è sempre qualcosa che si poteva fare di più: «Una cosa voglio dire: sulle banche mi aspettavo qualcosa».
<p>
Presto, ovviamente, per fare bilanci mentre la traversata è in atto. E però siamo ad un primo tornante. Il ragionamento di Morando è questo: «Finora il governo ha fatto tre cose importantissime. Ha cominciato con la patrimoniale...». La patrimoniale? «La patrimoniale. Perché con il primo decreto si è aggravato il peso sui patrimoni» e, sempre nel decreto salva-Italia, «si è mandato a regime quanto previsto dalla riforma Dini sulle pensioni». E due. E poi, ieri, il primo dei due decreti del pacchetto cresci-Italia, le liberalizzazioni vere «in settori non marginali».
<p>
Poi ci sarà il quarto step. «Se Monti riesce ad introdurre regole che riducono il dualismo del mercato del lavoro introducendo un sistema universale di ammortizzatori, beh, in quattro mesi avrà fatto qualcosa che non si è mai visto, qualcosa che non si è mai fatto in questo paese. Con nessun governo». Nulla si può dire sul futuro, nessuno giurerebbe che il tentativo di questo governo andrà a buon fine. Variabili, incognite, errori: tutto è possibile.
Ma se la cosa va bene, e si vota dunque nel 2013, è chiaro che il Pd, che è parte di questo slancio riformatore, non potrebbe far altro che ridefinire la sua «offerta politica al paese».
<p>«Noi saremmo stati protagonisti di questa esperienza straordinariamente positiva e questo significa che prima del voto dovremmo ridefinire la nostra proposta: sui contenuti e sulle alleanze». Un’impostazione tutta politica, («non ce l’ho con nessuno») che «in un partito democratico si può svolgere solo in un modo: con un congresso». <br />
«Il Cavaliere confonde le acque per non pagare dazio» - INTERVISTA2011-06-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it583716<br />
«Ma io ogni giorno resto più allibito, Berlusconi confonde le acque, quando parla dei 3 miliardi si riferisce alla correzione dei conti nel triennio in corso, eppure così devia l'attenzione dai 40 miliardi che dobbiamo recuperare per pareggiare il bilancio nel 2014. Ha paura di pagare dazio con gli elettori».
<p> Il senatore democratico Enrico Morando, "migliorista" come il capo dello Stato e ascoltato consigliere del Colle, a tratti alza la voce nel suo studio a palazzo Madama. E' perplesso di fronte all'annuncio del premier al termine della conferenza stampa.
<p><b>Insomma, senatore, la maximanovra ci sarà...</b>
<p> Basta un banale esame dell'ultimo documento Ue. Si dice: entro l'ottobre 2011 l'Italia deve indicare le «misure specifiche» per realizzare entro il 2014 il pareggio di bilancio. Sono 40 miliardi che valgono il 3,2 per cento del Pil. Lui tira in ballo la "manutenzione" da 3 miliardi sui conti in corso e così la gente non ci capisce più niente...
<p><b>E allora mettiamo ordine: cosa ci sarà in questi 3 miliardi?</b>
<p> Ci potrebbe essere la copertura per il mancato gettito derivato dalla lotta all'evasione. Ci sono stati buoni risultati, ma le previsioni di incasso erano più alte. Oppure, si potrebbero attenuare i tagli agli investimenti pubblici - ricerca, infrastrutture -, visto che nel 2010 e nel 2011 sono stati troppo pesanti per il sistema. Ma non è questo il punto per il governo...
<p> <b>Il punto è la manovrona. Si racconta che Berlusconi voglia convincere l'Ue ad essere più morbida...</b>
<p> Assurdo. Berlusconi e Tremonti hanno firmato un accordo che considero storico, che ha il valore di un Trattato, e questo spiega l'attenzione del Colle. <br />
Lo stesso premier ora invoca di «aprire i cordoni della borsa». Ma senza questa manovra si espone il Paese ad un rischio mortale, lo spread (il differenziale) tra i titoli italiani e quelli tedeschi salterà verso l'alto, pagheremo interessi altissimi a chi compra i nostri titoli.
<p><b>E allora perché il Pd non corre responsabilmente in soccorso di Tremonti?</b>
<p> Lui è per i tagli lineari, una strada per la quale meriterebbe solo risposte negative. Comunque ora il dovere dell opposizione è chiedere al premier Berlusconi di raggiungere l'obiettivo del pareggio di bilancio, altrimenti si tolga di mezzo.
<p> <b>E sul fisco lei crede si arriverà a qualcosa?</b>
<p> Ridurre le tasse è improbabile. È possibile spostare prelievo dal lavoro e dall'impresa verso altre basi imponibili. Se si cominciasse a discuterne...
<p> <b>Il governo cadrà sui conti?</b>
<p> Se il centrodestra si vuole ristrutturare, allora forse Tremonti regge. Altrimenti resta isolato. <br />
Il nuovo decreto è un'imposta automatica?2011-05-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it560467<br />
Una cosa, intanto, è certa: in questo Decreto non c'è correzione dei conti pubblici, come fissati nel Documento di Economia e Finanza. Per il 2011 e il 2012, dunque, il livello di indebitamento (e di debito) resta quello definito con la manovra triennale (Decreto n. 78 del 2010). Una buona notizia, se si guarda alle pressioni del partito della spesa per manovre espansive in deficit.
<p>
Ma le buone notizie si fermano qui. Il Decreto, infatti, è coerente col DEF (e il Programma Nazionale di Riforma che ne fa parte) anche nel senso che contiene una gran quantità di norme e normette, ma non intraprende alcuna riforma strutturale.
<p>
In questo senso, è perfettamente vero che il Decreto è figlio legittimo del PNR: un documento di qualche pregio tecnico (al Ministero analisti di vaglia crescono), del tutto privo di "visione" (la rivoluzione liberale e la crescita sostenuta dalla liberazione degli "spiriti animali" sono mestamente sostituiti dal colbertismo e dalla difesa dell'italianissimo "capitalismo relazionale"), e con debole ambizione (in quasi tutti i campi, "programmiamo" di diventare, nel 2020, i peggiori tra i grandi dell'Euro).
<p>
Se prima della Grande Recessione crescevamo meno degli altri Paesi dell'Area Euro. Se durante la stessa, siamo caduti di più. Se dopo abbiamo ripreso a camminare, ma più lentamente degli altri. Se il livello della disuguaglianza - per reddito e patrimoni - continua a crescere (OCSE 2011), e la mobilità sociale è ferma da tempo (ISTAT 2010). Se il debito pubblico è tornato al 120% del Prodotto, ben sopra quel 90% che costituisce - secondo l'esperienza storica - la soglia oltre la quale esso costituisce un serio ostacolo alla crescita... Se tutto questo è vero e noto, cosa dovrebbe contenere un Decreto "per lo sviluppo"? Ovvio: norme che favoriscono la crescita della produttività (del lavoro e dei fattori); che rendano più efficace e "universale" il nostro welfare, ancora troppo discriminante tra categoria e categoria, tra debole e debole; che aprano mercati chiusi, specie quelli di impatto "generale" come le grandi Reti energetiche, i servizi professionali, i servizi pubblici locali; che mantengano inalterata la pressione fiscale (attomo al 42,5% del PIL fmo al 2015), ma redistribuiscano il carico tra lavoro e imprese da una parte e rendite e patrimoni dall'altra; che superino il tragico dualismo del mercato del lavoro italiano.... Ecco, di tutto questo, nel Decreto, non c'è traccia. Con due eccezioni: una, positiva, il ritorno ad un forte credito d'imposta (automatico?) per gli investimenti in ricerca effettuati dalle imprese, in cooperazione con le Università; l'altra, negativa, la norma per la concessione novantennale del diritto di superficie sulle spiagge.
<p>
La prima misura - introdotta a suo tempo dal Governo Prodi e prontamente "azzoppata", previa eliminazione dell'automatismo, da Tremonti e Berlusconi - è una componente essenziale di una strategia di sviluppo: le piccole e medie imprese italiane spesso non sono in grado, ciascuna per sè, di fare investimenti in ricerca, sia per migliorare il processo produttivo, sia per innovazioni di prodotto. <br />
Il credito d'imposta per quello che spendono - magari in unione con altre - per commesse di ricerca alle Università e ai centri pubblici può favorire il superamento del gap dimensionale. Ad una condizione: che l'imprenditore sia certo, assolutamente certo, che, fatto l'investimento, il credito arriva. Senza dover chiedere niente a nessuno, politico o funzionario pubblico che sia. Chiedo: quello previsto dal Decreto Sviluppo, è un credito d'imposta automatico? Se, come pare, la risposta è sì, è evidente che si pone un problema di corretta copertura finanziaria. Che può scontare l'esigenza di verifiche nel tempo. Ma non può essere rinviata a ... quando sarà necessario, per avvenuto esaurimento delle risorse appostate in Bilancio. Le quali a loro volta non possono costituire un "tetto di spesa", se l'impresa ha un diritto soggettivo al credito. Se invece quest'ultimo non è automatico, beh, allora il tutto si esaurirà nei pochi secondi del click day. Alla faccia della semplificazione...
<p>
Sulle spiagge e le relative concessioni, invece, il Governo apre la fase della nuova governance economica europea con una scelta che si pone in aperta contraddizione con la prospettiva della costruzione di un vero e proprio mercato unico europeo. Molti hanno già detto e scritto dei seri rischi di danni e deturpazioni ambientali. Io voglio soffermarmi su altri due aspetti, relativi all'impatto economico della norma in questione.
<p>
Il primo. Il demanio marittimo è patrimonio pubblico. Il patrimonio pubblico sta a garanzia del debito. Può dunque essere in parte alienato (non è il caso delle spiagge), fermi i vincoli storici, ambientali e culturali; in parte valorizzato e concesso in gestione a privati, in un contesto di regole certe, capaci di tutelare l'interesse pubblico (è il caso delle spiagge, come dell'etere). In uno stato che ha un debito pubblico come il nostro, però, deve valere un vincolo per le risorse rivenienti da interventi sul patrimonio pubblico: destinarle tutte a riduzione del debito. Nulla di tutto ciò è previsto, nel caso di specie. Sono quindi autorizzato a concludere che queste risorse finiranno dove è previsto che finiscano i 2,4 miliardi di Euro attesi dalla gara per le frequenze del digitale: a finanziare spesa corrente.
<p>
Il secondo. Come si selezionano questi titolari del "diritto di superficie"? Sono i vecchi concessionari? In questo caso, consiglio a Tremonti di leggersi l'intervista a Flavio Briatore, gestore del Twiga di Marina di Pietrasanta: «Quattromila Euro di canone annuo versati allo Stato, tre milioni e 300 mila Euro di ricavi... un signore toscano a cui verso 210.182 Euro di subaffitto». Chiedo: le nuove disposizioni prevedono che i Briatore di turno paghino le future concessioni allo Stato, dopo essersi messi in gara tra loro per accedervi - fermo il diritto del vecchio gestore a vedersi riconoscere il corrispettivo per ammortamenti e avviamento - o consente agli equivalenti del "titolare" del bagno gestito da Briatore di lucrare rendite enormi, sfruttando il lavoro di altri e la sospetta generosità dello Stato?
<p>
Le risposte verranno dalla lettura del Decreto. Intanto, un documento votato da (quasi) tutta l'Aula del Senato fornisce un indizio, là dove chiede una "norma transitoria di lungo periodo" per i gestori degli stabilimenti balneari.<br />
Novant'anni saranno sufficienti? <br />
«Sì al nucleare. Il Pd cambierà idea»2010-09-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it507218<br />
"Il Pd torni ad essere un partito a vocazione maggioritaria e avanzi un progetto di radicale cambiamento dell'Italia. Più che le discussioni sulla leadership, oggi mancano forti proposte innovative. Malgrado una reazione 'sopra le righe' al documento dei 75, metteremo le nostre idee a disposizione del partito perchè possa farle sue". Così il senatore Enrico Morando interviene a tutto campo su Affaritaliani.it, per esprimere il suo pensiero, con cui contibuirà alla stesura del programma del movimento veltroniano.
<p>
<b>Favorevole o contrario all'energia nucleare?</b>
<p>
"Io non ho dubbi sul fatto che l'Italia debba rientrare tra i Paesi che producono una quota di energia nucleare, sia per ragioni ambientali che di differenziazione. Se dipendiamo drammaticamente dal gas e dal petrolio, ci mettiamo in una posizione difficile a livello internazionale, con Paesi come la Russia e la Libia. Prima dell'estate mi era sembrato che il governo si stesse muovendo bene sulle nomine, ma vedo che tutto si è fermato. Spero di non essere deluso".
<p>
<b>I 75 saranno d'accordo su questa posizione?</b>
<p>
"Immagino che la maggior parte sarà contraria. Ci sarà da discutere. Ma 'la talpa scava': a vedere le conseguenze negative, ci potrebbe essere una svolta di pensiero, anche all'interno del Pd, a cui faremo le nostre proposte".<br />
Dopo il berlusconismo2010-09-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it506303<br />
Quella di Berlusconi ha i tratti di una crisi profonda, perché non nasce dall’incompatibilità di carattere dei due cofondatori del Pdl.
<p>Nasce dall’incapacità della coalizione di governo Pdl-Lega di guidare quella modernizzazione di cui il paese ha bisogno, per affrontare i suoi tre problemi strutturali, che si vengono progressivamente aggravando: inefficienza economica, disuguaglianza, debito pubblico troppo grande e di nuovo crescente.
<p>Qui è il fulcro della crisi del “berlusconismo”: una parte molto grande dell’elettorato del centro-destra ha investito su Berlusconi come attore di cambiamento.
<p>
È questo elettorato quello che sta oggi prendendo atto della impotenza riformatrice del PdL, allontanandosene progressivamente. <br />
D’altra parte, la riarticolazione della maggioranza con la definitiva frattura del PdL e la nascita di nuovi, autonomi gruppi parlamentari sarà anche compatibile con il perdurare del governo, ma è fonte certa di nuove contraddizioni interne, a loro volta origine di paralisi della decisione politica.
<p>
Dal lato del centro-destra dunque, non verrà cambiamento, ma galleggiamento sull’onda lunga del declino del paese.<br />
Qui c’è la grande opportunità per il centro-sinistra: gli elettori delusi da Berlusconi potrebbero, nei prossimi mesi, volgere lo sguardo verso di noi. <br />
Se vedessero il Pd capace di sfidare PdL e Lega sulle soluzioni di cambiamento del paese corrispondenti ai suoi tre problemi, allora potrebbero determinarsi le condizioni per uno sfondamento elettorale dal Pd nel campo del centro-destra, ciò che getterebbe le fondamenta per una lunga e proficua stagione di governo dei progressisti.
<p>Se oggi accade che il PdL dia clamorosi segni di cedimento, anche elettorale (lasciamo stare i sondaggi, guardiamo ai voti veri: alle regionali, ogni 100 voti che aveva alle politiche di due anni prima, ne ha persi 40), mentre il Pd permane ben al di sotto del 30 per cento, ciò significa che, per ora, quando l’elettore deluso dal centro-destra volge lo sguardo verso di noi, non vede le promesse e le premesse del cambiamento desiderato.
<p> Ancora troppi colpi al cerchio compensati da altrettanti colpi alla botte, troppo timidezza nell’affrontare le resistenze conservatrici “di sinistra”, troppo nostalgia di ciò che eravamo e delle politiche – evidentemente allora adeguate alla realtà allora presente – con le quali i partiti di allora erano diventati grandi, ma la cui spinta propulsiva si era da tempo (almeno dalla prima metà degli anni ’90) esaurita.
<p>
È il tema della potenza riformatrice del Pd. Anche se la parola è caduta in disgrazia, io insisto: è il tema della sua debole “vocazione maggioritaria”. C’è chi ritiene – ho letto recentemente un documento in tal senso di un nutritissimo gruppo di responsabili dei principali settori di lavoro del Pd – che si tratti di un’astratta elucubrazione politologica. Quando non di una posizione che, al fine di realizzare improbabili incursioni nel campo avversario, fa pesanti concessioni alla visione liberista che ha caratterizzato i venticinque anni precedenti la grande recessione iniziata nel 2008.
<p>
Vorrei provare a prendere il problema non dal lato della funzione del partito riformista e delle alleanze politiche, ma dal lato delle soluzioni a questioni di grande impatto sulla vita di ogni cittadino italiano (e di qualche milione di stranieri residenti e lavoranti).
<p>
Prendiamo il tema sicurezza. Ad avere paura, a sentirsi minacciati, sono i più deboli, i più “diseguali”.<br />
Per tentare di fornire loro una risposta, lo stato italiano spende più degli altri, in Europa. Ma ottiene molto di meno. Cosa aspettiamo a dire che sei diversi corpi di polizia sono troppi? Che proponiamo che diventino uno solo, per il controllo del territorio. Mentre il contrasto alla grande criminalità deve essere affidato ad uno specialissimo corpo di polizia “federale”?
<p>Proseguiamo col fisco. Subito l’unificazione delle aliquote di prelievo sul capital gain (se non ora, con gli interessi sui titoli di stato vicini allo zero, quando?).
E una drastica riduzione delle aliquote di prelievo Irpef sui redditi da lavoro di tutte le donne.
<p>
In tema di scuola. Certo che ci vuole un ben organizzato intervento – in chiave di ammortizzatori sociali e di programmi straordinari di alfabetizzazione e apprendimento della lingua per gli stranieri – per affrontare il dramma dei precari. Ma la scuola che vogliamo non può disegnarsi sulle pur sacrosante esigenze di questi lavoratori. Dunque, subito, la sfida riformista: valutazione di tutto e di tutti, nuovo reclutamento meritocratico, salari differenziati in base ai risultati e al livello di disagio sociale dell’ambiente in cui la scuola è collocata, accentuata autonomia degli istituti e forte responsabilizzazione dei dirigenti. <br />
O davvero pensiamo che sia molto “progressista” pagare un maestro che ottiene buoni risultati a Scampia con lo stesso stipendio di quello che ottiene pari risultati nel quartiere bene di una delle nostre città?
<p> La rivoluzione nella spesa pubblica e nella pubblica amministrazione: si rigiustifica tutta la spesa dal primo euro (perché se lo dice Cameron è “geniale”, se lo scrive il programma del Pd è “oscuro”?); si comparano le prestazioni di ogni segmento e di ogni dirigente con quelle degli altri nello stesso comparto; si “obbligano” i peggiori ad uniformarsi ai migliori in un tempo dato. Esaurito il quale, premio a chi riesce, penalizzazione a chi fallisce.
<p>
La giustizia. Perchè ciò che si ottiene – a legislazione vigente – a Torino, in termini di tempi e qualità del servizio, non si può ottenere altrove? Quindi, nel pieno rispetto della autonomia della magistratura, introduzione del manager dell’ufficio giudiziario (un magistrato, ovviamente, ma dotato della necessaria formazione) che ne riorganizzi radicalmente il lavoro, misurando le performances di tutti e di ciascuno, con conseguenze dirette sulla carriera e sul trattamento economico dei magistrati stessi.
<p>
Il nuovo modello contrattuale. Se in Italia il salario è basso, la produttività cade e il costo del lavoro è relativamente alto, vanno riformate le regole essenziali che presiedono al confronto/conflitto tra le parti. Chi rappresenta chi; chi è abilitato a firmare; a quali condizioni la firma è impegnativa per tutti; come ci si forniscono reciprocamente garanzie di tregua del conflitto in caso di rispetto dell’accordo; come si sposta significativamente verso il basso la contrattazione, oggi troppo concentrata sulla dimensione nazionale. Materie da riservare all’accordo tra le parti sociali? Si, se lo trovano, l’accordo. Se no, deve provvedere il parlamento.
<p>
Mi fermo qui, con gli esempi. Perché non proponiamo queste soluzioni, capaci di cambiare molto profondamente il volto del paese, esattamente in nome di quella nuova alleanza tra meriti e bisogni cui ci spingono i nostri valori eterni e gli interessi sociali che vogliamo tutelare? Se è perché le soluzioni giuste non sono queste, ma altre, più efficaci e altrettanto radicali, benissimo. Temo però che la ragione del nostro surplace stia nella debolezza del nostro riformismo.
<p>Ognuna di quelle soluzioni, ci obbliga a fare i conti con attriti e resistenze nel nostro campo. Per non affrontarli, traccheggiamo. Rimandiamo. Aggiriamo l’ostacolo. E il cittadino che ci cerca, sulla frontiera dell’innovazione, non ci vede o ci vede sfocati. Eccolo, il tema della “forza” della decisione politica democratica, come vogliamo discuterlo ad Orvieto, tra oggi e domenica, all’Assemblea annuale di LibertàEguale, a partire dalla relazione di Claudio Petruccioli, preceduta – assai significativamente – da una discussione sulle energie delle giovani generazioni introdotta dall’intervento di Tommaso Nannicini. <br />
La madre di tutte le riforme: quella del mercato e del diritto del lavoro2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391751<br />
L’imminente Convenzione nazionale del Pd è chiamata a scegliere leader e linea politica del partito, dopo la convulsa fase della sua costituzione (ottobre 2007), della sconfitta elettorale e del primo anno di opposizione al Governo di centro-destra.
<p>In questo documento provo a riassumere, dal mio punto di vista, i termini essenziali del confronto.
<p>Nei cinque punti (la nuova alleanza tra merito e bisogni; <br />
partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria; <br />
partito aperto, degli iscritti e degli elettori;<br />
un nuovo internazionalismo democratico;<br />
una scelta chiara tra linee alternative) propongo di illustrare i cardini del posizionamento politico - funzione, natura e linea politica - che ritengo preferibile per il Pd.
<p>
<b>1)</b> LA NUOVA ALLEANZA DEL MERITO E DEI BISOGNI
<p>
Il Pd è un partito di centrosinistra, nato per cambiare l’Italia, secondo i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà, attraverso una nuova alleanza del merito e dei bisogni: le componenti più dinamiche della società unite a quelle più esposte al rischio di esclusione da un credibile progetto di cambiamento, che promuova la coesione sociale anche per raggiungere più elevati traguardi di efficienza economica e metta la crescita del reddito nazionale al servizio di una maggiore giustizia e mobilità sociale.
<p>
Per far ripartire l’ascensore sociale, ridurre progressivamente le aree dello smaccato privilegio e della disperata emarginazione, far crescere in modo stabile e duraturo la ricchezza nazionale, colmare il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, diffondere il benessere e irrobustire la classe media, cambiare lo Stato Sociale per renderlo davvero capace di aiutare chi resta indietro a camminare con gli altri, il progetto di cambiamento del Paese deve aggredire ogni forma di chiusura corporativa, creare dispari opportunità positive a favore delle donne e dei giovani, portare concorrenza dove non ce n’è o non ce n’è abbastanza, valorizzare il lavoro in quanto tale, dipendente o autonomo che sia, imporre alla Pubblica Amministrazione - dalla Giustizia agli apparati per la sicurezza -, insieme ai principi di trasparenza e valutazione indipendente, anche tempi, risultati e costi tratti dalle migliori esperienze europee e mondiali, iniettare nella società, nell’economica e nello Stato robuste dosi di meritocrazia, ridare prestigio alla politica riducendone i costi e riconsegnando nelle mani dei cittadini il potere di decidere, col voto, sulla rappresentanza e sul governo.
<p>
L’Italia che da quindici anni cresce meno dell’Europa, che è il Paese con minore mobilità sociale, con più elevati livelli di disuguaglianza, e con il più rapido invecchiamento della popolazione, ha un drammatico e urgente bisogno di questo cambiamento.
<p>
Il centro-destra fa leva sulla paura e alimenta il suo populismo con la politica dell’annuncio rassicurante. Il centro-sinistra può prevalere - nella competizione democratica - solo se allontana da sé (e dalla sua immagine) la tentazione di reagire in chiave meramente tattica, promuovendo un “suo” conservatorismo. Volto ad affermare interessi diversi rispetto a quelli tutelati dal centro-destra, ma pur sempre conservatorismo.
<p>
La missione del Pd coincide con l’interesse di fondo del Paese: dare alla Politica italiana la forza necessaria per piegare la resistenza dei difensori dello status quo, impegnando la maggioranza del popolo nel sostegno a un progetto di cambiamento che riconosce e tutela gli interessi delle generazioni presenti, ma li compone in un ordine gerarchico che assegna priorità a quelli delle generazioni future.
<p>
L’evidenza dei guasti provocati dall’estremismo liberista, dalla disordinata de-regolazione di istituzioni bancarie e finanziarie da cui dipende la stabilità dell’intero sistema economico, non deve indurre ad una reazione altrettanto estrema a favore dell’intervento statale in ogni ambito e per ogni problema. Da un lato è necessario essere vigili per impedire che gli interessi e le concezioni economiche che hanno provocato la deregolazione e la crisi non ostacolino progetti di intervento e di regolazione decisi e severi quanto basta per risolvere le difficoltà attuali e impedire che insorgano crisi analoghe in futuro: ostacoli in tal senso già si intravedono e li denunciano autorità come Paul Volcker, Warren Buffett e Gorge Soros, non certo degli statalisti.
<p>
D’altro lato occorre essere consapevoli che lo Stato conosce fallimenti altrettanto seri quanto quelli del mercato, e in Italia, coll’inquinamento partitico e la debole qualità dell’amministrazione pubblica che ci contraddistingue, dovremmo saperlo bene. Il Partito Democratico, per la sua cultura e le sue ambizioni maggioritarie, respinge posizioni ideologiche pregiudizialmente favorevoli all’uno o all’altro polo della regolazione, allo Stato o al mercato, e ambisce a esercitare, per ogni caso concreto, una discrezione intelligente. Resto dunque convinto, per il caso italiano, che una posizione liberale equilibrata come quella espressa nel discorso del Lingotto sia quella più adatta ad attuare la visione del merito e dei bisogni che ho appena illustrato, l’unica adatta a un partito di centrosinistra.
<p>
<b> 2)</b> IL PD, PARTITO DI CENTROSINISTRA A VOCAZIONE MAGGIORITARIA
<p>
Un progetto così radicale di rinnovamento del Paese può essere solo il frutto di un lungo ciclo di governo riformista. Il Pd è nato per renderlo possibile. È stato proprio il Pd - con il suo atto di nascita, rifiutando la “divisione del lavoro” tra centro e sinistra; con la posizione che ha assunto prima delle elezioni Politiche del 2008, respingendo la logica delle coalizioni “contro”, troppo larghe e troppo disomogenee per garantire cambiamento nella stabilità - a rafforzare il gracile e malcerto bipolarismo italiano, favorendone la riorganizzazione attorno a due grandi formazioni politiche a vocazione maggioritaria.
<p>
Il Pd non è un partito di sinistra, ma di centrosinistra. <br />
È il soggetto politico perno del centro-sinistra italiano, in quanto partito a vocazione maggioritaria. Nel duplice senso che è dotato di una leadership individuale e collettiva, di un radicamento sociale e territoriale, di una cultura politica, di un profilo ideale e programmatico tali da poter credibilmente aspirare ad interpretare le esigenze e le speranze della maggioranza del popolo e a raccoglierne il consenso. E che ispira la propria iniziativa, le proprie posizioni politico- programmatiche, la propria organizzazione e vita democratica interna allo svolgimento di questa funzione: costituire “naturalmente” l’asse della alternativa di governo al centro-destra.<br />
Vocazione maggioritaria non è sinonimo di pretesa di autosufficienza: il Pd può ritenere utile - al fine della realizzazione del suo progetto di cambiamento del Paese - la costruzione di coalizioni con altri partiti di centro-sinistra. Si tratterà, in quel caso, di coalizioni del tutto diverse da quella dell’Unione, perché caratterizzate dalla presenza, al loro interno, di un partito egemone, il cui leader è automaticamente leader dell’intera coalizione; e il cui programma è perfettamente compatibile - anche se non coincidente - col programma della coalizione stessa.
<p>
È la regola democratica cui si ispirano le coalizioni in tutta Europa. Ferma restando la pari dignità politica di ciascuno dei partiti contraenti l’accordo, sono gli elettori a decidere i rapporti di forza al suo interno. Antidemocratica, e foriera di instabilità e fibrillazione delle coalizioni, è semmai la soluzione opposta, di cui l’Italia ha fatto esperienza nella fase finale della Prima Repubblica. Mentre la soluzione diarchica - il capo del governo appartiene al principale partito di governo, ma non è il leader del partito stesso - è tipica di democrazie bloccate, che non conoscono l’alternanza.
<p>
Il Pd intende dunque costruire alleanze elettorali e di governo con altri partiti e movimenti politici, ma rifiuta la logica della divisione del lavoro tra le forze che le compongono: all’uno il compito di rappresentare gli orientamenti e le istanze più tradizionalmente raccolti dalle forze “di sinistra”, all’altro la rappresentanza “del centro moderato”, e così via, fino a partiti personali o espressione di una singola issue. <br />
Il Pd assume su di sé il compito di rappresentare direttamente l’intero arco dei valori e degli interessi del centro-sinistra: dalle istanze dei ceti più dinamici dell’imprenditoria, della scienza e della conoscenza, fino all’operaio monoreddito con due figli a carico e l’affitto da pagare. Per questo, riconosce priorità al suo progetto di cambiamento, non al sistema delle sue alleanze politiche.
<p>
È infatti la credibilità della leadership e del progetto del principale partito del centro-sinistra il fattore che può realizzare - attraverso un lungo e sicuro lavoro nella società italiana e nei diversi territori - una profonda incursione nell’elettorato oggi maggioritario del centro-destra, per acquisire il consenso delle sue componenti più sensibili al sistema di interessi e valori tipici dell’alleanza tra merito e bisogni. <br />
L’obiettivo del Pd è dunque chiaro: entro il 2013, e partendo dai rapporti di forza elettorale scaturiti dal voto del 2008, deve mettersi in grado di strappare due milioni di voti al centro-destra. Un compito che nessun altro, piccolo partito di centro può seriamente proporsi.
<p>
Scaturisce dalla consapevolezza di questa funzione la scelta di far nascere il Pd da un atto costituente come quello del 14 ottobre 2007, che ha visto protagonisti più di tre milioni di cittadini italiani. È la volontà di assumere effettivamente questa funzione che ha spinto all’identificazione - fissata nello Statuto - tra la figura del Segretario e quella del candidato Presidente del Consiglio. Ed è in perfetta coerenza con questa identificazione che il Pd ha deciso - una volta per tutte - di far scegliere il suo leader non dai soli iscritti al partito, ma da tutti i cittadini italiani che vogliono farlo, senza alcuna limitazione che non sia la pubblicità di quella loro partecipazione.
<p>
<b>3)</b> PARTITO APERTO, DEGLI ISCRITTI E DEGLI ELETTORI
<p>
Il Pd è un partito di iscritti ed elettori: ai primi, il potere di definire, gestire e dirigere l’iniziativa quotidiana del partito e il suo rapporto con la società e il territorio; di costruire sedi e strumenti della elaborazione politica e programmatica; di promuovere la formazione dei dirigenti, a tutti i livelli; di selezionare l’offerta politica - leader e linea - da presentare ai cittadini elettori, per la scelta definitiva. Ai secondi, il potere di decidere col voto - individuale e segreto - sul Segretario nazionale, la linea politica e la composizione - su base territoriale - dell’Assemblea Nazionale. E di fare altrettanto alla dimensione regionale. <br />
Per la scelta dei suoi candidati alle cariche monocratiche - Sindaco, Presidente di Provincia e Presidente di Regione - il Pd ricorre al metodo delle elezioni Primarie, aperte a tutti i cittadini-elettori. <br />
Ad elezioni Primarie si deve ricorrere anche nel caso della partecipazione del Pd a coalizioni con altri partiti: il coinvolgimento dei cittadini elettori nella scelta dei candidati alle cariche monocratiche è infatti un cardine irrinunciabile del progetto del Pd per il rinnovamento e il miglioramento della qualità della politica.
<p>
È il modello di partito aperto - nel quale tutte le cariche sono effettivamente contendibili, secondo procedure esigibili, fissate una volta per tutte - descritto dallo Statuto del Pd. Si deve tuttavia constatare un’enorme distanza tra la realtà del Pd in questo anno e mezzo e le previsioni statutarie: un tesseramento asfittico, tardivo e timoroso di rivolgersi con fiducia, per chiederne l’adesione, ai tre milioni e mezzo di cittadini “costituenti”. <br />
Primarie come eccezione, invece che come regola; spesso concepite come extrema ratio, quindi tenute troppo a ridosso della scadenza elettorale. Candidati alle elezioni Politiche (da eleggere su sterminate liste bloccate, come da assurda legge elettorale in vigore) scelti senza alcuna effettiva e ben regolata partecipazione a decidere né degli iscritti (che non c’erano), né degli elettori. <br />
Una gestione quotidiana del partito più affidata allo sforzo di giustapposizione dei gruppi dirigenti dei due partiti cofondatori che al “rimescolamento” delle energie disponibili, vecchie e nuove. Una dialettica interna più caratterizzata dalla presenza delle correnti interne ai Ds e alla Margherita che da nuove aggregazioni politico-culturali.
<p>
Limiti e difetti spiegabili, almeno in parte, con lo stato di emergenza in cui il Pd ha vissuto dalla sua nascita. Imperdonabili, se permanessero nella fase che si apre colla Convenzione di Ottobre 2009.
<p>
Lungi dal rimettere in discussione le norme chiave dello Statuto - quelle poste a presidio della natura e della funzione innovativa del Pd - la prossima Convenzione Nazionale deve assumere l’impegno ad una loro puntuale attuazione, entro la Primavera prossima, così che le Elezioni Regionali del 2010 possano essere affrontate - a partire dalla scelta con le Primarie dei nuovi candidati Presidenti entro il dicembre di quest’anno - da un Pd che sia effettivamente, anche sotto il profilo della sua struttura organizzativa e della sua vita interna, quello che ha promesso di essere, col suo atto di nascita e il suo Statuto.
<p>
Il carattere del Pd come partito nazionale, federale perché fondato sull’autonomia statutaria e politica delle sue articolazioni regionali, non si è fino ad oggi affermato, anche a causa della scelta di eleggere i Segretari Regionali nel contesto della elezione del Segretario nazionale: <br />
quest’ultima ha prevalso su tutto, relegando quasi dovunque la “costruzione” del partito regionale ad assumere i caratteri di un mero effetto di “trascinamento” della scelta nazionale. L’autonomia politica dei gruppi dirigenti regionali e locali ne è uscita menomata, al punto da far ritenere a molti preferibile il modello seguito dal Pdl, tutto orientato alla nomina dei dirigenti regionali e provinciali da parte del leader nazionale. Se nomina deve essere, sia almeno trasparente e consenta imputazione di responsabilità.
<p>
Il Pd può e deve essere alternativo al Pdl anche per questo aspetto essenziale: deve quindi esaltare l’autonomia degli organismi regionali (e, in ogni regione, locali) attraverso la Convenzione Regionale - ben distinta da quella nazionale - che definisce linea e leadership in un contesto di piena contendibilità delle relative cariche di direzione del partito.
<p>
Agli organismi regionali - senza mediazione ed intervento degli organismi nazionali del partito - deve essere interamente assegnata la quota del finanziamento pubblico delle campagne elettorali regionali e locali.
<p>
<b>4)</b> UN NUOVO INTERNAZIONALISMO DEMOCRATICO
<p>
Per un nuovo internazionalismo democratico. <br />
Con la leadership di Obama, per una gestione multilaterale della ordinata transizione ad un nuovo assetto del mondo, di tipo multipolare. Per lo sviluppo ben regolato della globalizzazione, contro una reazione alla crisi economica che punta - come vuole la destra - sulla riduzione del livello di interdipendenza, sul protezionismo e sulla rinazionalizzazione delle politiche economiche.
<p>
<b>Le parole chiave: democrazia ed Europa.</b>
<p>
Democrazia come pace (non c’è mai stata guerra tra due democrazie). Come sviluppo economico e sociale (la democrazia rende più sostenibile e dà profondità temporale al capitalismo). Come incivilimento.
<p>
Europa come polo attrattivo di pace e democrazia.<br />
Come modello di coesione sociale e di economia sociale di mercato. Come soggetto coprotagonista del nuovo governo della globalizzazione. Come soggetto di politica internazionale e di sicurezza, per la pace e i diritti umani.
<p>
Per tutto questo, è necessario lavorare alla costruzione di una nuova Internazionale Democratica, organizzazione dei riformisti a dimensione globale: c’è il leader (Obama); <br />
c’è la missione (il governo della globalizzazione secondo principi di libertà, giustizia e coesione sociale, equilibrio ambientale); ci sono le tradizioni, le esperienze e le organizzazioni che possono farla nascere (i partiti Democratici di USA, India, Sud Africa, Brasile, Italia e i Partiti dell’Internazionale Socialista).
<p>
In Europa, la scelta di dar vita subito ad un nuovo gruppo dei riformisti - che raccolga Democratici, Socialisti, Laburisti, Liberali di sinistra, altre formazioni di centrosinistra - è il primo passo per la formazione di un unitario Partito Europeo della Internazionale Democratica.
<p>
Solo questo nuovo assetto politico-organizzativo dei riformisti rappresenta una risposta adeguata da un lato all’esigenza di costruire la mobilitazione politica e l’elaborazione politico-programmatica corrispondenti alla dimensione delle grandi questioni globali; <br />
dall’altro alla crisi e alle crescenti difficoltà della socialdemocrazia europea, emerse con drammatica evidenza dal recente voto per il Parlamento dell’Unione. In questo senso, l’intuizione da cui è nato il Pd italiano trova conferma della sua fecondità, ai fini della ridefinizione del profilo politico ideale e programmatico dell’intero centro-sinistra europeo.
<p>
La crisi mette l’Europa di fronte ad una scelta: un nuovo balzo nel processo di unità politica o un progressivo scivolamento verso la rinazionalizzazione, con la crisi dello stesso mercato unico.
<p>
Il centrodestra (Tremonti) esalta il ritorno delle leve della politica europea nelle mani dei singoli governi nazionali.
<p>
Il centrosinistra europeo deve battersi per l’immediata attuazione del Trattato di Lisbona, per le cooperazioni rafforzate, per un salto in avanti sul terreno della integrazione nel campo della politica internazionale e della sicurezza (esercito europeo), per un effettivo coordinamento delle politiche economiche e fiscali, per una politica comune di investimenti pubblici, finanziati attraverso eurobond, per una gestione coordinata dei crescenti debiti pubblici, per limitare il ricorso alla concorrenza fiscale tra i Paesi europei e completare il mercato unico.
<p>
Anche per questo è urgente una vigorosa iniziativa politica dei riformisti volta alla elezione del Presidente della Commissione, da parte del Parlamento, così da politicizzare la competizione elettorale e politica a dimensione europea, combattere l’indifferenza e l’astensionismo di tanta parte dei cittadini, superando al tempo stesso i rischi insiti in una gestione per accordo consociativo - tra i due maggiori raggruppamenti politici - delle istituzioni comunitarie.
<p>
Questa Europa - nel contesto della radicale svolta impressa da Obama alla politica interna e internazionale degli USA - può essere coprotagonista di una ripresa di ruolo della Politica, nel governo e nel superamento degli squilibri globali. Alla condizione, naturalmente, che sia davvero in grado di rielaborare una convincente nozione di interesse comune, da far valere - parlando con una sola voce - nelle organizzazioni come il WTO, il Fondo Monetario e la Banca mondiale. E che sappia assumersi pienamente le conseguenti responsabilità, senza scaricare i compiti più gravosi e rischiosi (Afghanistan) sugli USA.
<p>
<b>5)</b> UNA SCELTA CHIARA TRA LINEE ALTERNATIVE
<p>
Questa visione della funzione del Pd, della sua natura, della sua collocazione internazionale e della sua organizzazione rappresenta uno sviluppo coerente delle scelte operate nella fase costituente e nella predisposizione del posizionamento del Pd per le Elezioni Politiche del 2008. Nel dibattito che si è sviluppato dopo la sconfitta, è emersa una visione alternativa: nella società italiana - per mille ragioni, tra le quali emerge la capacità delle singole componenti sociali “corporate” di resistere al cambiamento - non ci sarebbe una maggioranza riformista da organizzare politicamente. O, almeno, non ci sarebbe nel breve-medio periodo. Dunque, secondo questa diversa visione, il progetto del Pd - almeno nel breve-medio periodo - deve prevalentemente assumere il profilo di una proposta di mediazione tra interessi organizzati, per ciò che attiene ai contenuti; e di tradizionale coalizione di partiti - “di “sinistra” e di “centro” - per ciò che attiene alla formula politica. <br />
Non è un caso che - nella migliore elaborazione di questa linea - gli orientamenti politico-culturali prevalenti nella società italiana vengono riassunti attraverso la triade “progressisti, populisti e moderati” (Enrico Letta), che allude, in termini di sua rappresentazione politica, a “sinistra, destra, centro”.
<p>
Il punto di contrasto è dunque chiaro, ed è indispensabile che lo si affidi agli iscritti ed elettori del Pd, per una scelta altrettanto chiara: partito riformista di centrosinistra a vocazione maggioritaria o partito “progressista” di sinistra che promuove l’alleanza coi “moderati”, prevalentemente rappresentati da un partito di centro?<br />
Terremoto. Il pasticcio dei fondi.2009-05-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391367<br />Conti alla mano, per la ricostruzione saranno
necessari otto e non quattro miliardi. Risultato:
boom di deficit e stop agli investimenti nel Sud.<br />
<br />
Pensate che sia possibile concedere alle famiglie vittime del terremoto in Abruzzo un contributo statale che copra al 100% i costi della ricostruzione della loro casa distrutta o resa inagibile, spendendo - nel 2009 e 2010 - esattamente gli stessi soldi che lo Stato avrebbe speso per finanziare un credito d’imposta volto alla restituzione degli investimenti realizzati in proprio dalle famiglie stesse?<br />
Vi sembra razionale prevedere che la maggioranza delle
famiglie colpite dal terremoto - messa di fronte a queste due scelte:<br /><br />
<b> 1) -</b>ottenere immediatamente un contributo statale che copra il 100% dei costi di ricostruzione della casa;<br />
oppure <br />
<b>2) -</b> spendere soldi propri per ricostruire, salvo recuperarli anno dopo anno col credito d’imposta - rifiuterà la prima per rivolgersi massicciamente alla seconda?<br />
<br />
Se pensate che queste siano due domande retoriche, non avete letto il decreto terremoto approvato dal
Senato la scorsa settimana. <br />
Nel testo originario del decreto non era stabilito alcun diritto soggettivo delle famiglie all’integrale copertura della ricostruzione; e non era previsto alcun contributo iniziale e forfettario per gli interventi nelle case
con danni più lievi. <br />
Era dunque perfettamente logico che la Relazione Tecnica prevedesse un massiccio ricorso al credito d’imposta: le famiglie con reddito capiente avrebbero dovuto usare, per la ricostruzione, i loro soldi e li avrebbero poi trattenuti - fino a 150.000 euro - dalle imposte degli anni successivi. <br />
La soluzione non è piaciuta né alle popolazioni colpite, né all’opposizione, né ai parlamentari della maggioranza.<br />
Risultato: al Senato, già in Commissione, viene approvato un emendamento che afferma il diritto soggettivo di ogni famiglia ad un contributo diretto pari ai costi sopportati per la ricostruzione. <br />
L’intervento con credito d’imposta diventa meramente «volontario»: dovrà essere la
famiglia a chiedere (?) di farvi ricorso.<br />
Cambiata la provvidenza non restava che cambiare la copertura finanziaria. <br />
Ma il Governo si rifiuta
di farlo e vengono previsti - nel
2009 - 0,0 esborsi a carico del bilancio pubblico;<br />
54,7 milioni nel 2010
e 109,4 milioni nel 2011.
Come si
spiega? <br />
Semplicemente, la Ragioneria Generale finge di non accorgersi dell’introduzione del diritto soggettivo al contributo per l’integrale copertura dei costi, e continua a ragionare in termini di credito d’imposta:<br />
0,0 oneri nel 2009, qualcosina nel 2010 e così via per gli anni a venire. Ma come andranno le cose?<br />
Un 15-30% dei lavori di ricostruzione sarà già realizzato nei prossimi mesi. E le famiglie chiederanno
di avere il contributo pari ai costi
sopportati. <br />
Poi, nel 2010, i lavori saranno quasi completati: e le famiglie chiederanno... Risultato: tutto
l’onere per il contributo si concentra nei prossimi due anni. <br />
Malgrado la difesa dello «0,0 oneri» 2009, alla
Ragioneria si rendono conto dell’insostenibilità della tesi, e corrono in qualche modo ai ripari: se ci sarà bisogno si farà ricorso a quelle del
Fondo per le Aree Sottoutilizzate.
<p>
In effetti, il Governo attesta che nel
Fondo in questione sono disponibili
7,5mld di euro. Tant’è che già il testo originario del Decreto (art. 14
comma 1) - per una cifra tra 2 e 4
mld - si «copriva» su quel Fondo.<br />
Perché il Governo non ha deciso - aumentati gli oneri - di farvi fronte con un più esteso ricorso a questo
Fondo? <br />
È utile una piccola premessa: per una regola di buon senso, un onere di cassa certo per 100 per il
prossimo anno può trovare copertura su di un Fondo per investimenti infrastrutturali et simili solo grazie ad una riduzione di quest’ultimo, nell’anno in questione pari a circa 300. <br />
Infatti, disponendo di 100
sul Fondo in questione «normalmente» lo Stato impegna e spende effettivamente 30. <br />
Si chiama «coefficiente di realizzazione» della spesa in conto capitale.
<p> Torniamo al Decreto: se l’onere da sopportare si
concentra nel 2009 e nel 2010, esso
può ben coprirsi sul «Fondo Strategico» ma solo a prezzo di azzerarlo:<br />
se la Relazione Tecnica scriveva «fino a 4 mld», per coprire un onere spalmato molto nel tempo, il concentrarsi dell’onere in questo e nel prossimo anno obbliga a (almeno)
raddoppiare il prelievo dal Fondo:<br />
da 4 a 8. Ma qual è il rischio?<br />
Non quello che manchino i soldi per i terremotati. Il rischio consiste nel fatto che il CIPE, dei 7,5mld oggi presenti nel Fondo Strategico, ne ritenga
ancora impegnabili - extra Abruzzo
- 3,5. <br />
E ne decida l’assegnazione e la
spesa. Salvo poi scoprire ciò che già
oggi è chiaro: che per le case dei terremotati servono, entro il 2010, 8
miliardi, e non 4. <br />
Risultato: gravissimo allargamento del deficit del 2009 e del 2010, ben al di là delle
già fosche previsioni di oggi. E blocco totale, nel 2010 e 2011, degli investimenti per lo sviluppo del Sud.<br />
C’è tempo per metterci rimedio, alla Camera. E sarebbe interesse di tutti che il Governo accettasse di dire, una volta tanto, la verità.<br />
Napoli. «Vado a fermare quei veleni, quei nastri restino segreti» - Colloquio2009-01-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it387596<br />
«Subito a Napoli per aprire una fase nuova».<br />
Non perde tempo Enrico Morando, classe 1950, coordinatore del governo ombra e, da ieri ufficialmente, commissario provinciale del Pd a Napoli, con una missione da brividi: rimettere insieme i cocci di un partito investito da una bufera dopo l’altra. Ieri, ha telefonato ai tre protagonisti dell’ennesimo scontro al calor bianco. Da una parte il sindaco, Rosa Russo Iervolino, che registra il colloquio avuto domenica scorsa con l’ex ministro Nicolais e il segretario regionale del Pd, Iannuzzi. Dall’altra i due «intercettati» che vanno su tutte le furie.<br />
«Ho rivolto un pressante invito a non consentire la pubblicazione dei testi della registrazione. Vediamo che cosa rispondono...».<br />Il tono di Morando è pacato, quasi distaccato rispetto alle tensioni che hanno messo alle strette il Pd nella regione. «Prima di parlare voglio ascoltare tutti. Poi farò le mie valutazioni e prenderò le decisioni», spiega al «Mattino». Un sistema collaudato per un politico che da anni è abituato a maneggiare i numeri dell’economia e a seguire le battaglie parlamentari sulla Finanziaria. Certo, Morando sa bene che la sfida di Napoli è tutta diversa, che la partita si giocherà «fuori casa» e che dovrà navigare insieme ai potenti «cacicchi» locali. Ma il senatore del Pd non è affatto scoraggiato. È abituato da sempre a muoversi controcorrente, in «minoranza», prima da migliorista nell’ex Pci e poi da «liberal» con i democratici. Non si è mai tirato indietro anche di fronte a battaglie impossibili, come quella del 2001, quando sfidò in solitaria Fassino nella corsa alla segreteria del partito.<br />
Insomma, chi lo conosce sa bene che non è uno che «molla». Una volta ha confessato che il suo mito era Eduard Bernstein, un socialdemocratico tedesco del primo novecento che si batteva per un riformismo gradualista contro i rivoluzionari dell’epoca, un uomo che sapeva tener duro. Un modello per la sua missione partenopea? Si vedrà. <br />
Al «Mattino» confida che probabilmente già da oggi sarà a Napoli per primo giro di colloqui. «Non posso, naturalmente, fare previsioni, ho bisogno di qualche giorno prima di avere un’idea precisa della situazione. Ma so già che comunque potrò contare sulla massima cooperazione da parte di tutti».<br />
E, in effetti, la sua prima uscita, con lo stop alla pubblicazione delle registrazioni, ha registrato un punto a suo favore. «Ho voluto chiudere definitivamente questa vicenda - aggiunge Morando - per favorire il determinarsi delle condizioni per l’apertura di una fase completamente nuova nella vita del Pd a Napoli, secondo il mandato che mi è stato conferito dal segretario Veltroni e dal coordinamento nazionale del partito». <br />
Parole che fanno capire che Morando non è solo, che dietro di lui c’è tutto il vertice del partito. Non a caso, ieri mattina, Veltroni ha insistito perchè il suo insediamento ufficiale avvenisse con una manifestazione pubblica in grande stile, alla quale il leader del Pd parteciperà in prima persona. Un’iniziativa ancora tutta da costruire ma che si dovrebbe svolgere nei primi giorni della prossima settimana, fra mercoledì e giovedi. Prima, però, Morando comincerà ad «ambientarsi» nella città. «Non sarà difficile, con Napoli ho un rapporto davvero speciale», confessa con un pizzico di nostalgia. Il motivo? «Da ragazzino ero migliorista e a Napoli c’è sempre stata la leadership storica della corrente. Certo, non conosco il dialetto, come qualche amico si è è già affrettato a farmi notare. Ma spero di riuscire a farmi capire lo stesso e, soprattutto, di comprendere i miei interlocutori».<br />
Come a dire: a buon intenditor poche parole.<br />
«Precari, fondi al piano Ichino e il sindacato ci sarà» - INTERVISTA2008-12-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383162<br />
Enrico Morando, coordinatore del governo ombra, ritiene che non ci sia tempo da perdere e che vada invece colta la congiuntura della crisi economica per risolvere una volta per tutte la questione di un «mercato del lavoro duale» che protegge i lavoratori a tempo indeterminato e lascia senza tutele milioni di precari.
E la proposta del giuslavorista e senatore democratico Ichino, illustrata ieri sul Corriere, di prevedere un contratto unico per tutti i lavoratori con tutele crescenti nel tempo, gli sembra la risposta giusta.<br />
<b>
Ma essa prevede anche la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un tabù finora per la sinistra.</b><br />
«Guardi, se continuiamo a mettere la questione così: “Volete che resti l’articolo 18 oppure no?” allora la risposta della sinistra e del sindacato non può che essere no. Ma la proposta di Ichino inserisce il superamento dell’articolo 18 in una riforma complessiva, che estende le tutele a tutti i lavoratori».
<br />
<b>Forse neppure il governo ha voglia di riaprire la questione.</b><br />
«Il governo è legato alla linea imposta da Tremonti che ha scelto lo scorso giugno di proseguire la politica restrittiva di bilancio e non vuole cambiarla neppure davanti a una crisi di questa portata. E così, ha preferito un po’ di cassa integrazione in deroga, che alla fine ci lascerà con la mancanza di un sistema universale di ammortizzatori».<br />
<b>Costa troppo, secondo il governo.</b><br />
«Questo è l’unico governo occidentale che ha deciso di rispondere alla crisi senza un forte intervento pubblico. Secondo noi, invece, bisognerebbe immettere nel sistema risorse pari a un punto di Pil, garantendo fin d’ora con opportuni atti che ci si impegna al pareggio di bilancio entro il 2013».<br />
<b>Ciò renderebbe più semplice far passare la riforma Ichino?</b><br />
«Certo. Se tu vai dal sindacato e gli dici: “Facciamo un contratto unico per tutti i lavoratori che all’inizio prevede meno garanzie rispetto al licenziamento, ma col tempo realizza lo stesso risultato dell’articolo 18 e in cambio costruiamo un sistema di ammortizzatori anche per chi ora ne è privo e diamo anche uno sgravio sulle retribuzioni, come il Pd chiede da tempo, beh… credo che questa grande riforma per rendere unico il mercato del lavoro si potrebbe fare».
<br />
«Sul maestro unico conti sballati, non ci sono i soldi» - INTERVISTA2008-10-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it381678<br />
Roma. Autunno decisamente caldo per le scuole e le università italiane. Nelle piazze come nei Palazzi della politica. Ieri è toccato al Senato dove, alla presenza del ministro Gelmini, si discuteva del decreto sul maestro unico. Ad accendere le polveri ci ha pensato Enrico Morando, economista e coordinatore del governo ombra del Pd. Tocca a lui attaccare sul fronte dei costi il contestatissimo provvedimento. E sostenere, tra gli applausi dell’opposizione e le proteste della maggioranza, che non dispone dell’adeguata copertura finanziaria. Insomma, costa molto di più di quanto l’esecutivo ha previsto.
<p> <b>Allora senatore, dove sarebbe il «buco»?</b><br />
«Dov’è. È tutto nelle carte, segnatamente nella tabella in cui la Commissione Bilancio ha chiesto al ministero dell’Economia di mettere in correlazione gli oneri certi e i risparmi altrettanto certi derivanti dall’applicazione delle nuove norme».<br />
<b> E i conti non le tornano?</b><br />
«Sembrano tornare, ma la realtà è molto differente. Nella tabella si parla di 10mila classi interessate dall’introduzione del maestro unico, di due ore aggiuntive per un totale di 1.040.000 ore da pagare. Il tutto per un costo pari a 10.136.000 euro a fronte di risparmi pari a 15 milioni di euro».<br />
<b> Tutto a posto allora.</b><br />
«Adesso viene il bello, anzi il brutto. Concentriamoci sul dato delle classi che, secondo il governo, sono 10mila. E invece lo sa quante sono in realtà le prime classi in Italia? Glielo dico io, sono quasi 20 mila, per l’esattezza 19.940, cioé praticamente il doppio».<br />
<b> Non le sembra un po’ troppo marchiano come errore?</b><br />
«Resto ai fatti. E i fatti ci dicono che nel provvedimento non sono previste eccezioni: le 24 ore settimanali e il maestro unico valgono per tutte le 20mila classi esistenti in Italia. E non per la metà. Verrebbe da commentare quale sarebbe poi il criterio per scegliere le classi dove le nuove norme sarebbero applicate e quelle, più fortunate secondo noi, dove tutto resterebbe com’è ora».<br />
<b> Con l’aria che tira l’ipotesi di dialogo appare lunare. A proposito, la scelta della Gelmini di chiamare nel suo staff un tecnico finora considerato vicino al Pd come Alessandro Schiesaro non vi complica la vita?</b> <br />
«Schiesaro francamente non lo conosco. E comunque non è lui il problema. La verità è che noi stiamo cercando di fare al meglio il nostro lavoro, che è quello dell’opposizione. Fino ad oggi tuttavia la maggioranza sembra tetragona di fronte alla possibilità di cambiare anche solo una virgola del testo».<br />
<b> Il nodo della mancata copertura finanziaria cambia le cose?</b><br />
«Vedremo, di certo se l’esecutivo continua a procedere a testa bassa corre dei rischi. Credo di aver spiegato attraverso le carte ufficiali che, così com’è, il provvedimento di cui stiamo discutendo viola la Costituzione». <br />
«Il 25 ottobre Pd in piazza ma a sostegno del governo» - INTERVISTA2008-10-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375145<br /> <b>«Sarà una manifestazione per incoraggiare l'azione a difesa dei risparmiatori e per chiedere meno tasse sui salari»</b><br /><br />
«La manifestazione del 25 ottobre non sarà anti-governativa», assicura il coordinatore del governo ombra del Pd, Enrico Morando. E se nell’opposizione c’è «qualcuno che pensa di trarre vantaggio dalla crisi, si sbaglia di grosso: quando ci sono emergenze del genere è inevitabile che l’opinione pubblica si stringa attorno al governo». <br />
<b>Senatore Morando, il 25 ottobre il Pd sarà in piazza. Ma dai tempi della convocazione della manifestazione, tre mesi fa, il mondo è cambiato. Cambia anche il senso della vostra mobilitazione?</b><br />
«Certo, la manifestazione non può non cambiare. Anche se paradossalmente il suo slogan, “Salvare l’Italia”, è più appropriato adesso che quando era stato pensato. Ora ci ritroviamo in una situazione davvero molto grave».<br />
<b>E in questo frangente l’opposizione che deve fare?</b><br />
«Dobbiamo fare due cose: intanto incoraggiare e sostenere il governo nello sforzo che sta facendo per fronteggiare l’emergenza. E devo dire che l’iniziativa che è stata presa col decreto varato la sera scorsa per dare una risposta immediata mi sembra condivisibile. E lo condivideremo, se le parole scritte corrisponderanno a quelle pronunciate, anche quelle dette oggi dal ministro Tremonti in Parlamento».<br />
<b>E il secondo compito che deve darsi il Pd qual è?</b><br />
«Dobbiamo chiedere con forza al governo che cambi il segno della sua politica economica: deve passare da una politica restrittiva ad una espansiva e fortemente anti-ciclica. Quindi la nostra manifestazione del 25 sarà in equilibrio tra queste due esigenze: il sostegno all’iniziativa per far fronte ad una crisi che rischia di avere un forte impatto negativo sull’economia reale. E insieme una nostra grande capacità di mobilitazione per ottenere un cambio di marcia nella politica economica».<br />
<b>Quindi niente cortei anti-Berlusconi?</b><br />
«Non è una manifestazione anti-governativa. Anche perché l’intervento messo a punto dal governo per rassicurare i risparmiatori e sostenere il sistema bancario è giusto, è quello che avevamo chiesto anche noi e dunque merita un giudizio positivo. Ma, tanto più in una situazione così drammatica, dobbiamo insistere e farci sentire dal governo Berlusconi e dal ministro dell’economia Tremonti per chiedere di intervenire sul tema fondamentale della pressione fiscale sui salari, che va allentata. Speriamo che ci ascolti».<br />
<b>Per ora in verità il premier ripete che è inutile dialogare con voi...</b><br />
«Io mi auguro che la gravità della situazione induca il presidente del Consiglio a smetterla con la propaganda e con affermazioni imbarazzanti tipo “me ne frego”. Spero sia chiaro che l’interesse del paese deve guidare sia noi che il governo nella ricerca di possibili convergenze, anche se sappiamo che su aspetti anche importanti ci potrà essere una divergenza anche forte. Ma in un contesto di reciproco rispetto e di comune senso di responsabilità».<br />
<b>C’è qualcuno che nell’opposizione pensa di poter trarre un vantaggio politico da questa crisi?</b><br />
«Spero proprio che non ci sia nessuno che lo pensi. Anche perché, si sbaglierebbe di grosso: quando ci sono situazioni così gravi la gente si stringe attorno al governo pro tempore, è normale che accada. I cittadini hanno un atteggiamento di fiducia nel governo. I calcoli di parte sarebbero infondati oltre che sbagliati: l’opposizione deve fare la sua parte perché l’Italia regga bene allo scossone, e perché le scelte del governo siano all’altezza delle necessità».<br />
«Meno tasse sul lavoro e Patto più flessibile» - INTERVISTA2008-10-07T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375080<br />
<b>Morando:la proposta D’Alema contiene sollecitazioni da cogliere </b> <br />
<b>«Servono interventi massicci»</b><br /><br />
“Questa crisi investirà l’economia reale in modo molto pesante e lascerà segni profondi non solo sulle regole di funzionamento del mercato azionario. Il cambiamento sarà radicale, anche se avranno successo le politiche concepite come terapia d’urto di fronte al male. Saranno indispensabili interventi regolatori da parte dello Stato tesi a modificare l’impostazione precedente”. Dalle parole di Enrico Morando, senatore del Pd, traspare appieno tutta la gravità del momento.<br />
<b>Un pesante impatto sull’economia reale. Che cosa accadrà per le famiglie nel quotidiano?</b><br />
“Senza interventi adeguati, la prospettiva è la distruzione di posti di lavoro e il fallimento di migliaia di imprese. Può accadere negli Stati Uniti, se non avrà successo la terapia messa in atto dopo lunghi tentennamenti, e può accadere in Europa. Il vertice di Parigi è fallito: la proposta, debolmente sostenuta da Sarkozy e da Berlusconi, di un intervento europeo per la ricapitalizzazione delle banche è stata respinta. Ci si è limitati a fare cenno a non meglio precisate azioni di coordinamento in un contesto, però, in cui i singoli Stati preferiscono agire da soli, inseguendo il fallimento di singole banche o istituzioni finanziarie. Una politica che, a mio parere, non avrà successo. Per ridurre il rischio servono piuttosto interventi a dimensione comunitaria”.<br />
<b>Ridurre la pressione fiscale sui redditi medio – bassi, come ha proposto Massimo D’Alema può essere una prima cura?</b><br />
“Ribadisco che la crisi finanziaria è talmente grave che la possibilità di affrontarla con pieno successo è vicina allo zero. Tanto più se i rimedi non hanno dimensione europea e, in termini di regolazione del mercato finanziario, mondiale. Ma se vogliamo restare nell’ambito nazionale, allora sì, dovremmo realizzare ciò che il Pd ha proposto già a luglio scorso: un significativo intervento di riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro, per almeno 6 miliardi di euro finanziati con riduzione della spesa corrente primaria. Il governo, però, a cui già nelle prossime ore porremo la questione, ha fatto orecchio da mercante. Aggiungo che nell’ambito della riduzione della pressione fiscale, noi proponemmo anche di ridurre l’Irpef sulla quota di salario da contrattazione di secondo livello, cosa che avrebbe evitato il fallimento della trattativa sulla riforma della contrattazione collettiva”.<br />
<b>La rigidità del Patto di stabilità rischia di imbrigliare lo sviluppo?</b><br />
“L’intero Patto va rivisto partendo da queste due scelte: un intervento massiccio delle istituzioni europee per ricapitalizzare le banche, in modo tale da ricostruire un rapporto di fiducia, necessario affinché il credito affluisca alle famiglie e alle imprese; investimenti e infrastrutture finanziati con Eurobond, una proposta che già fu di Jacques Delors (ex presidente della commissione europea, n.d.r.) ma che è rimasta inascoltata. Se si seguissero entrambe queste strade, si potrebbero allentare i vincoli del Patto di stabilità europeo ma lo si farebbe in un contesto di stabilità finanziaria. Consentire solo di sfondare sul versante del debito significherebbe, invece, versare benzina sul fuoco”.<br />
<b>Quanto incide l’aspetto psicologico sull’attuale crisi?</b><br />
“Molto perché la fiducia è componente fondamentale per il buon funzionamento del sistema economico mondiale. La fiducia era già a livelli molto bassi prima dello scandalo dei mutui subprime negli Stati Uniti, ma ora siamo proprio al collasso. Per questo garantire la ricapitalizzazione delle banche significherebbe ridare fiducia ed evitare il panico”.
<br />
«Grave errore dare tutto questo potere ai piloti» - INTERVISTA2008-09-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it359574<br />
<b>Il senatore Morando (Pd) accusa il sindacato: «Non si può prima firmare il piano e poi defilarsi perché gli autonomi non sono d’accordo»</b> <br /><br />
<b>Senatore Enrico Morando, il comportamento del sindacato in questa vicenda Alitalia non è stato dei più edificanti.</b><br />
«Concordo. Ma per capire bene la vicenda bisogna partire da marzo, quando fu la Cisl ad assumersi la grave responsabilità di bocciare la proposta di Air France, che oggi qualsiasi cittadino normodotato può comprendere quanto fosse migliore della cordata italiana... ».<br />
<b>Oggi però è la Cgil a mettere a repentaglio qualsiasi soluzione.</b><br />
«Credo che già a marzo alla Cgil sia mancata la forza di spendersi positivamente. Oggi sta assumendo lo stesso ruolo e le stesse responsabilità della Cisl all’epoca... ».<br />
<b>Interpretando cioè la parte del sindacato «cattivo»?</b><br />
«Sì. Non si può prima firmare il piano della Cai e poi, visto che i sindacati autonomi del personale di volo non sono d’accordo, defilarsi e prendere le distanze».<br />
<b>Errore dettato dalla paura o dalla politica?</b><br />
«Non c’entra il rapporto tra politica e sindacato, non sono più quei tempi. La Cgil ha fatto un grave errore: così ha riconosciuto una specie di diritto di veto a organizzazioni sindacali la cui rappresentanza non è misurata da leggi trasparenti. Un sindacato serio deve decidere sulla base della propria rappresentatività: se condividi il piano, lo devi condividere fino in fondo».<br />
<b>Ora Epifani fa retromarcia.</b><br />
«Il sindacato deve fare un passo indietro. Come ha fatto la Cisl, dopo marzo, capendo di essersi assunta una grave responsabilità. Anche se avrebbe fatto meglio a evitare entusiasmi non motivati... ».<br />
<b>Continua a mettere in parallelo il comportamento di Cisl e Cgil. Non è uno schema che ripropone il «collateralismo» del sindacato alla politica? Come se la Cisl avesse voluto fare uno sgarbo a Prodi, e la Cgil oggi a Berlusconi...</b><br />
«Anzitutto non regalo la Cisl al centrodestra. E poi certe distorsioni sindacali sono nate lungo una storia travagliata e non perché il sindacato si fa braccio armato dell’opposizione di turno».<br />
<b>Il Pd non gioca allo sfascio?</b><br />
«La logica del tanto peggio tanto meglio non ci appartiene. Sono incline all’autocritica, ma sull’Alitalia non vedo dove noi abbiamo commesso errori politici seri. E se vogliamo dirla tutta, credo che l’irrigidimento di oggi nasca dall’uso che Berlusconi fece dell’italianità di una cordata inesistente in campagna elettorale... ».<br />
<b>Insomma, nulla da rimproverare al Pd. L’opposizione ora può svolgere un ruolo positivo?</b><br />
«Anche noi dobbiamo fare di tutto per convincere gli attori a superare l’impasse».<br />
<b>Il vostro quasi-alleato Di Pietro accusa il governo di fare ricatti con Alitalia come i mafiosi con le loro vittime.</b><br />
«Non vale la pena di commentare: Di Pietro ci porta su una strada completamente sbagliata».<br />
<b>D’accordo su un ruolo più attivo di Fantozzi nella trattativa?</b><br />
«Il commissario ha un ruolo decisivo, e deve uscire dall’ombra. È cruciale non tanto per cercare altri compratori, ma per uscire dalla cogestione con i piloti che ha tanto nuociuto alla compagnia. E deve rafforzare il piano industriale, cercando una forte partnership internazionale con Lufthansa o Air France. Ma qui un ruolo deve giocarlo anche il governo, di intesa con i governi tedesco o francese».<br />
<b>A Colaninno può essere chiesto uno sforzo ulteriore?</b><br />
«Assolutamente sì, visto che con il decreto che modifica la Marzano si sono già create delle condizioni di favore straordinarie».
<br />
«Un pasticcio, non è solo un incidente di percorso» - INTERVISTA2008-07-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it358444<br />
Per Enrico Morando, coordinatore del governo ombra del Pd e uno degli uomini più vicini a Walter Veltroni, quanto è accaduto ieri a Montecitorio sul «milleproproghe» è molto più di un incidente di percorso in cui è incappata una maggioranza apparentemente blindata. «Sono convinto che sia il segno di un malessere più profondo e che abbia a che vedere, più che con il ”milleproroghe”, con quanto sta avvenendo in Senato intorno alla manovra».<br />
<b> Dal suo osservatorio, la Commissione Bilancio di Palazzo Madama di cui fa parte, emergono altre crepe?</b><br />
«Diciamo che l’opposizione sta facendo fino in fondo il suo lavoro e che su alcune delle nostre proposte abbiamo ricevuto riscontri positivi. Così come il testo sottoposto al nostro esame in più di un punto non si può certo dire che entusiasmi tutte le anime di questa maggioranza».<br />
<b>Proviamo a fare qualche esempio.</b><br />
«Tanto per limitarsi a quello di cui ci siamo occupati oggi (ieri per chi legge, ndr) penso alle norme che riguardano i servizi pubblici locali. Credo che anche nella maggioranza c’è chi sa bene come si tratti di una proposta ingestibile e che, tra l’altro, va nella direzione opposta rispetto alle liberalizzazioni».<br />
<b> E, manco a dirlo, c’è questo pasticcio degli assegni familiari.</b> <br />
«Un pasticcio, dice bene. Dal quale ora dicono di voler uscire, vedremo come. I tempi parlamentari di conseguenza si allungheranno. Così pure bisognerà studiare bene gli strumenti con cui pensano, meglio tardi che mai, di metter mano alle norme che tanto penalizzano il precariato».<br />
<b> E gli altri affaire in arrivo?</b><br />
«Per la verità alcuni sono già arrivati, basti pensare alla querelle sulla flessibilità del bilancio introdotta con l’articolo 60 del provvedimento. In questo caso a bacchettare non siamo stati noi, ma il Colle. Non mi pare cosa di poco conto».<br />
<b> Messa così, più che di un lifting la sensazione è che per voi serva una riscrittura.</b><br />
«Guardi che non è un espediente per complicare la vita alla maggioranza. Parlavo prima delle norme sui servizi pubblici locali, il Pd non si tira indietro rispetto all’esigenza di ripensare l’organizzazione del settore. Ma quello si vuol fare nella manovra i problemi ne crea, e di grossi, piuttosto che risolverne. In ternmini economici, ma anche dal punto di vista della qualità e della sicurezza dei servizi».<br />
<b> L’aria che tira non è quella più adatta al dialogo. Malgrado gli appelli di Napolitano e Fini il «muro contro muro» sembra decisamente di moda.</b><br />
«Vedremo, intanto faccio notare che una maggioranza che si è presentata agli elettori con un programma di riduzione dell’imposizione fiscale, le tasse con questa manovra si accinge ad aumentarle. E che il Pd oggi illustrerà la sua proposta per intervenire concretamente per ridurre l’imposizione fiscale sui salari. Non le pare una bella contraddizione?».<br />
Riforma Costituzionale : " Nella bozza molta farina del nostro sacco "2008-07-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it358139<br />
Intervista di Roberto Zuccolini - Il Corriere della Sera<br />
<br />
<i>per il testo, CLICCA su " Vai alla pagina "</i><br />
<br />
"Subito lo statuto dell'opposizione" - "Sì al dialogo, ma idee sono diverse" - Intervista2008-05-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it355608<br />
«Se l’apprezzamento di Berlusconi è sincero, allora procediamo subito con la modifica dei regolamenti parlamentari, introducendo lo statuto dell’opposizione, che istituzionalizza il governo ombra».<br />
La proposta è di Enrico Morando, coordinatore dello shadow cabinet del Pd, ruolo che gli è valso il titolo di “Gianni Letta dell’opposizione”.<br />
«Berlusconi – è la sua richiesta – traduca l’apprezzamento manifestato alla camera in un fatto politico».<br />
<b>Per il momento, il governo ombra è stato riconosciuto come strumento di confronto. Sembra già un passo avanti rispetto al passato.</b><br />
La scelta del Pd di dar vita allo shadow cabinet rappresenta uno sviluppo coerente con quella riforma del sistema politico, iniziata con la scelta di andare da soli alle elezioni.<br />
Questo dimostra quanto siano insensati i parallelismi con analoghi organismi del passato, perché allora il Pci era un partito non legittimato a governare. <br />
Il Pd, invece, può essere considerato l’unico grande partito di opposizione, che istituzionalizza la propria azione politica anche attraverso il governo ombra.<br />
<b>Su quali temi si aprirà il confronto con la maggioranza?</b><br />
Le questioni principali che interessano il paese sono state elencate anche da Berlusconi. <br />
Rispetto all’abolizione totale dell’Ici sulla prima casa, ad esempio, noi chiediamo al governo se non sia opportuno muoversi con più cautela, accrescendo la fascia di esenzione già introdotta dal governo Prodi, ma riservando una quota dei 2,2 miliardi necessari all’operazione a interventi sugli affitti, portando al 20 per cento la tassazione sugli affitti percepiti e introducendo forti detrazioni su quelli pagati. <br />
La detassazione degli straordinari, inoltre, rischia di essere un provvedimento che penalizza le donne e il Sud e non aiuta lo sviluppo della contrattazione di secondo livello.<br />
<b>E sulle riforme?</b><br />
La nostra opinione è che bisogna riprendere la strada già avviata in parlamento e interrotta dalla caduta del governo.<br />
Lo stesso premier ha ricordato che è già stato fissato per la prossima primavera il referendum sulla legge elettorale, quindi prima di allora bisognerà varare una nuova legge, in grado di disinnescarlo.<br />
<b>
La ricerca di un dialogo con la maggioranza rischia di far apparire troppo “morbida” l’opposizione del Pd in parlamento?</b><br />
Come ho spiegato, noi condividiamo con la maggioranza i temi su cui occorre discutere, ma proponiamo ricette diverse.<br />
Se invece di urlare preferiamo il dialogo non vuol dire che siamo inciucisti.<br />
Penso che neanche le altre forze di opposizione, a partire dall’Idv, vorranno mantenere toni troppo elevati.
Tra il 2001 e il 2006 abbiamo svolto un’opposizione molto ostinata e ostruzionistica. Come risultato, nel 2006 ci è stato impossibile utilizzare il lavoro svolto dall’opposizione come base per l’attività di governo.<br />
Stavolta, la nostra scelta è diversa.<br />
<b>Il governo ombra cercherà un confronto anche con le altre forze di opposizione?</b><br />
Presteremo grande attenzione a sviluppare forme di confronto costante con gli altri partiti di opposizione in parlamento, ma anche con la sinistra antagonista.<br />
Staremo attenti, però, a non perdere lo spirito di un grande partito a vocazione maggioritaria, in grado di candidarsi anche da solo alla guida del paese.<br />
<b>Non vede possibilità di ampliare le attuali alleanze?</b><br />
Quella sulle alleanze mi sembra una polemica inconcludente.<br />
Prima mancava il perno della coalizione rappresentato da un grande partito a vocazione maggioritaria.<br />
Ora c’è il Pd, che non ha bisogno di stringere alleanze forzate, ma può rivolgersi solo a quelle forze politiche compatibili con il suo profilo programmatico.<br />
Nessuno lavora all’isolamento.<br />
Morando: "noi non proponiamo la detassazione degli straordinari"2008-03-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it330739<i>DOMANDA: In questa campagna elettorale il tema dei salari è affrontato sia dal Pd che dal Pdl...</i><br />
"Su questo punto vorrei che si facesse chiarezza.<br />
Non c’è alcuna convergenza tra i due programmi in tema di salari. Anzi. Noi sollecitiamo lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e proponiamo una riduzione della pressione fiscale su questa quota di salari. Loro parlano di detassazione degli straordinari e di incentivi legati a incrementi di produttività.<br />
Ecco, noi non proponiamo la detassazione degli straordinari per il semplice motivo che la sovratassazione è già stata cancellata dal protocollo sul welfare, mentre gli incentivi proposti da Berlusconi non si è ancora capito se saranno diretti alle imprese o ai lavoratori che in ogni caso, a quanto si legge, saranno esclusi dalla negoziazione."