Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Giuliano AMATOhttps://www.openpolis.it/2012-08-27T00:00:00ZPrendo solo 11mila euro al mese di pensione2012-08-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648655<br />
«Io non sono un topo nel formaggio. Prendo solo la pensione, il vitalizio da parlamentare lo do in beneficenza».
<p>Giuliano Amato, dalla festa nazionale del Pd, replica a chi lo ha accusato di portarsi a casa troppi, diversi emolumenti.
<p> «Questa campagna — ha spiegato l’ex premier — mi ha ferito non poco», per cui sente «il dovere» di fornire le cifre. «Sono andato in pensione dopo essere stato presidente dell’Antitrust, dove i compensi sono non per mia scelta parametrati alla Corte costituzionale ».
<p> Alla fine, conteggia, «mediando» gli anni di servizio da docente universitario e quelli appunto da presidente dell’Antitrust, «la mia pensione è di 22 mila euro lordi al mese, 11 mila e 500 netti». Da allora ha svolto varie attività perchè «sono stato pressato nel farle, compreso il rientro in Parlamento nel 2002 che non volevo».<br />
31.000 euro al mese: "Non posso ridurmi la pensione e il vitalizio" 2011-12-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626685<br />
"Caro direttore,
in relazione all'articolo sulle pensioni d'oro apparse sul suo giornale, mi permetta di precisare quanto segue.
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<a href="http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0MzfuazNJaM#!">Quando, nella trasmissione Otto e mezzo, mi venne chiesto da Lilli Gruber come rispondevo a chi mi chiedeva di ridurmi la pensione, risposi che non capivo la domanda</a>, non per tracotanza, ma per la semplice ragione che ormai sono un privato cittadino e non ho quindi alcun potere nè sulla mia nè sulle altre pensioni.
Ma avevo appena ricordato che quando ero stato Presidente del Consiglio, ero stato il primo a introdurre il blocco dell'adeguamento all'inflazione e il contributo di solidarietà delle pensioni elevate, a partire dalla mia.
<p>
En passant, avevo anche chiarito che, disponendo della pensione, non avevo voluto gli emolumenti di Presidente del Consiglio e di Ministro del Tesoro. Forse, nell'effigiarmi attraverso la citazione di ciò che dissi in quella trasmissione, anche questo doveva essere ricordato.
Cordiali saluti".<p>
Il Dottor Sottile si confessa in tv: così intasco due vitalizi d’oro2011-09-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609418Da lui, presidente della Treccani e da sempre in odor di intellettualismo, ci si sarebbe aspettati una risposta più originale, e invece Giuliano Amato, l’altro ieri sera da Lilli Gruber a Otto e mezzo, se ne è uscito con una banalità: <b>«Scusi, non ho capito la domanda».</b>
Certo, la domanda della Gruber - «È disposto a ridursi la pensione d’oro?» - era forse un po’ troppo grossa per il Dottor Sottile, ma di questi tempi (di «sacrifici per tutti» come si sente un giorno sì e uno sì, e di puntigliosi elenchi dei benefici della casta) ha un suo peso civile. <b>Un peso che ammonta, nel caso di Amato, a 9mila euro di vitalizio parlamentare più 22mila euro lordi come pensione Inpdap da ex professore universitario (totale 31mila euro). Al mese, s’intende</b>.
Certo, alla fine l’ex presidente del Consiglio ha avuto quello che in psicanalisi viene chiamato un insight, un improvviso moto di autoconsapevolezza: <b>«È vero che ho la pensione alta. Ma viene dal fatto che ho passato gli ultimi anni della mia carriera all’Antitrust, i cui componenti avevano il trattamento della Corte Costituzionale». Quando si dice che la scusa è peggiore dell’offesa... Come infatti ha spiegato Mario Giordano sul sito-blog dedicato a Sanguisughe (il suo libro sulle pensioni scandalo) con questa uscita Amato si è tradito da solo, rivelando di aver aspettato di essere all’Antitrust (con relativo maxi stipendio da giudice di Corte costituzionale) per andare in pensione, incoraggiato tra l’altro da una sentenza del Consiglio di Stato che permette di considerare ai fini contributivi il sostanzioso salario. «Ottenuto la conferma - scrive Giordano - ha chiesto il ricongiungimento e, oplà, maxi pensione garantita per il resto della vita». A prescindere dalle domande scomode e dai sacrifici per tutti.
</b>
«Ci siamo fermati, questa festa può ridarci slancio» - INTERVISTA2011-03-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it559121<br />
«Il significato attuale del Risorgimento? La capacità di costruirsi un futuro che molti ritenevano improbabile»
<p>Ci siamo. Oggi l`Italia, con qualche asprezza polemica, festeggia i 150 anni dell`Unità d`Italia. Impossibile elencare tutte le cerimonie.
Moltissime le istituzioni aperte per un momento di festa ma anche di riflessione.
Che cerchiamo di analizzare assieme a Giuliano Amato, già presidente del Consiglio, più volte ministro, ora presidente del Comitato dei Garanti per i 150 anni.
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<b>Presidente Amato, che Italia è quella che si appresta a celebrare i 150 anni dell`unita del Paese?</b>
<p> «E' un`Italia che ha fatto enormi progressi rispetto ad allora, basti dire che il suo reddito pro capite è aumentato di tredici volte contro una media europea di dieci, e che tuttavia si è fermata negli ultimi decenni, sembra aver perso quella spinta verso il futuro che tanto l`aiutò a crescere in stagioni passate e che, anche per questo, continua ad essere divisa e in parte incompiuta».
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<b>In che cosa lo spirito è diverso rispetto alle celebrazioni per il centenario?</b>
<p> «Le celebrazioni del centenario avvennero proprio al culmine di quel `miracolo` economico, che portò al nostro ingresso fra i grandi del mondo. C`era più ottimismo allora, i figli si aspettavano un futuro migliore di quello dei loro padri e molti effettivamente lo ebbero. Oggi le attese sono diverse».
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<b>A che punto è l`organizzazione che dovrà celebrare i 150 anni?</b>
<p> «Per la parte che compete alle istituzioni centrali è ormai in dirittura d'arrivo. Ma il bello della vicenda è che non dipende da un'unica organizzazione, miriadi di comuni, di scuole, di associazioni, di cori e di bande organizzano i loro eventi e le loro manifestazioni celebrative.<br />
E` l`Italia, non lo Stato, che ha già cominciato a ricordare e a festeggiare se stessa».
<p>
<b>Come si fa a gestire un evento di tale importanza - anche, o forse soprattutto, simbolicamente con alle spalle una crisi economica e politica così drammatica e destinata forse a durare ancora molto a lungo?</b>
<p> «I soldi pubblici impegnati nelle celebrazioni sono assai pochi. C`è sobrietà e c`è comunque il prevalente concorso di risorse private, a partire da quelle delle fondazioni di origine bancaria, molto presenti nelle manifestazioni organizzate localmente. E al di là dei soldi, l`occasione è invece più che adatta per riflettere, non solo e non tanto sul passato, quanto sul presente e sul futuro».
<p>
<b>In che misura i tagli alle risorse per i 150 anni sono stati determinati dalla presenza nel Governo di un partito freddo sull`avvenimento come la Lega?</b>
<p> «No, credo che i tagli subiti dalla cultura, frutto di una politica restrittiva che ha investito tutti i settori allo stesso modo e con le stesse percentuali di riduzione, abbia ragioni diverse».
<p>
<b>Si ha l`impressione che il fecondo lavoro intrapreso dal presidente Ciampi sul recupero di un orgoglio nazionale che poggiasse su solide basi culturali si sia affievolito. E` solo un`impressione o c`è qualcosa di concreto? Che cosa percepisce Lei nella pubblica opinione?</b>
<p> «No, quando leggo un libro come quello di Aldo Cazzullo, `Viva l`Italia`, quando vedo l`accoglienza che Bergamo ha riservato al Presidente Napolitano penso proprio che il grande lavoro del Presidente Ciampi non sia andato disperso. E che le tendenze contrarie di oggi siano quelle di ieri, minoritarie come ieri».
<p>
<b>In occasione del centenario della morte di Garibaldi - Lei ben ricorderà il 1982 - Craxi, di cui è stato fra i più stretti collaboratori, e Spadolini riuscirono a far passare l`idea che i nostri eroi del Risorgimento non fossero icone dequalificate e polverose, ma qualcosa di assai vivo e adatto ai tempi (tempi di ottimismo). Perché oggi risulta difficile pensare a un'operazione del genere.</b>
<p>
«A me non risulta difficile. Parlo molto di frequente ai giovani di questi personaggi e quando metto in luce che non erano vecchi come sembrano nei monumenti, ma erano giovani come loro, ma, a differenza di loro, protagonisti del loro tempo, sono interessatissimi. E vogliono capire perché per loro non è così».
<p>
<b>Celebrare i 150 anni dell`Unità è difficile, sia per il clima politico che per quello culturale in senso lato. Non legare però che a questo abbia contribuito anche il mondo accademico, riducendo progressivamente le cattedre di Storia del Risorgimento a vantaggio delle più indistinte cattedre di Storia Contemporanea? Il processo iniziò non più di vent`anni fa con alcuni articoli di insigni stuidosi in cui si insisteva sulla necessità di fare del Risorgimento un capitolo della storia italiana deli ultimi due secoli.</b>
<p>
«Non ho informazioni aggiornate su ciò che è successo nelle Facoltà di Lettere. Quello che è certo è che lo studio del Novecento, in sé assolutamente meritorio e necessario, ha finito per giocare contro lo studio del Risorgimento.
Ciò è accaduto anche e forse in primo luogo nei licei».
<p>
<b>La presenza massiccia del leghismo a Nord è evidente e ormai attentamente studiata anche dalla scienza politica nonché dalla storiografia più attenta al `presente come storia`. Non egualmente accade per il Meridione dove, al di là degli aspetti più o meno folcloristici, si stanno affermando movimenti autonomisti o neo-borbonici di non trascurabile entità. Lei come valuta queste nuove forme di aggregazione politica?</b>
<p> «E vero che un libro, `I terroni`, ha venduto pare più di duecentomila copie. Ma mi fermerei lì».
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<b>Dopo l`orgoglio seguì l`agiografia, quindi la dimenticanza, mentre ora si rischia il revisionismo. Qual è il Risorgimento più vicino al modo di pensare del presidente Amato?</b>
<p> «Quello che ne mette in evidenza la capacità non tanto di usare il passato, quanto di costruire un futuro che molti ritenevano improbabile. E di avvalersi delle situazioni più difficili, per uscirne con passi avanti verso l`unificazione».
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<b>La domanda è banale, ma ineliminabile: fatta l`Italia sono stati fatti gli Italiani?</b>
<p> «D`Azeglio non disse mai questa frase. E quindi non la dico neanch`io».<br />
«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» - INTERVISTA2010-07-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it502590<br />
«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce Giuliano Amato, presidente del Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque testimone diretto di quella <a href="http://www.openpolis.it/dichiarazione/502589"><b>drammatica stagione rievocata</b></a> nella relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Pisanu.
<p>
<b>Perché, presidente?</b>
<p> «Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che bisogna fare?».
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<b>Secondo lei?</b>
<p> «Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».
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<b>Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una trattativa», come dice Pisanu?</b>
<p> «Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta quando mi hanno interrogato.<br />
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci colse nel pieno dei vertici economici internazionali.<br />
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad horas del provvedimento».
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<b>Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?</b>
<p> «No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».
<p>
<b>Perché?</b>
<p> «Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».
<p>
<b>L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del '93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?</b>
<p> «No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa. <br />
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta insoluto è la vera matrice di quelle stragi».
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<b>Che intende dire?</b>
<p> «Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo, Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza. Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in pericolo, Falcone? <br />
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una devastante dimostrazione di potere».
<p>
<b>Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che per la mafia furono controproducenti?</b>
<p>«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si sono trovate molte spiegazioni;
compresa quella che sosteneva il prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti israeliani per punire la politica estera italiana sul versante palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa nostra. <br />
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».
<p>
<b>Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?</b>
<p> «Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.<br />
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima dei magistrati».<br />
Violenza sulle donne. «È un’emergenza ancora più grave di quella mafiosa» - INTERVISTA2009-01-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388221<br />
Giuliano Amato, da ministro
dell’Interno, stupì
il mondo politico con
una dichiarazione-bomba:
ogni anno in Italia
1,2 milioni di donne sono vittime di
violenze: cifra che risultava elaborando
il numero delle violenze denunciate
ed il fatto che solo il 6% delle italiane
denuncia, anche perché quasi sempre
i fatti avvengono nell’ambito familiare.
Perché le violenze contro le donne sono
in continuo aumento?<br />
«Ho detto più di una volta che nell’ambito
dei delitti gravi quelli contro
le donne sono più preoccupanti di
quelli commessi dalla criminalità organizzata.
Le ragioni non sono chiare.
Possiamo solo fare alcune ipotesi.
Forse oggi c’è una reazione del maschio
contro la parità uomo-donna.
Prima si sentiva unico padrone in seno
alla famiglia, ora deve fare i conti
con un essere umano paritario di sesso
femminile».<br />
<b>Pensa che l’aumento del fenomeno
faccia parte di un generale incremento
di aggressività che si riscontra in altri
settori della vita, dal bullismo alla
prepotenza stradale?</b><br />
«In una società in cui si sono allentati
i vincoli sociali si assiste alla crescita
dell’homo homini lupus. E se si allentano
le regole sono sempre i più deboli,
quindi le donne, a rimetterci».<br />
<b>D’altronde oggi in Italia il modello vincente
è quello di un uomo che non
ama le regole…</b><br />
«Questo non basta a spiegare tutto.
La nostra è una società in cui l’assorbimento
dei valori collettivi e del rispetto
dell’altro è sempre stato difficile.
In un paese di debole sentimento
nazionale l’azione delle comunità
intermedie – i partiti, la scuola, la
famiglia – costituiva un antidoto alla
violenza. Poi è avvenuto un cedimento
delle comunità intermedie: i
partiti, come scuola di educazione
civica, hanno cessato di esistere, la
scuola ha svolto egregiamente la
sua funzione formativa finché è stata
una scuola di élites. Poi, con gli
anni sessanta e i grandi numeri della
scolarizzazione di massa, la scuola
nonha retto. Esi è trovata di fronte
a famiglie povere, o distratte dai
bisogni della vita. La famiglia stessa
è diventata un problema. E non è
neppure giusto addossare alla scuola
troppe responsabilità. Spesso le
classi sono affidate a giovani professoresse
precarie, costrette a correre
da una scuola all’altra per fare punteggio.
C’è un ottundimento dei valori
tra i ragazzi: filmare con i cellulari
le botte ai più deboli dimostra la
drammatica solitudine».<br />
<b>Ma esistono antidoti a questa violenza
diffusa, in particolare alle violenze
contro le donne?</b><br />
«Non basta predicare l’amore per
l’altro, è necessario indurre la paura
delle conseguenze. In Italia lo
Stato ha da sempre scelto di limitare
il proprio intervento nell’ambito
famigliare. Si dice che spesso, forse
soprattutto in passato, davanti alle
denunce delle mogli picchiate, il
pubblico ufficiale assumeva un ruolo
paterno piuttosto che quello di tutore
della legge. Ma il “lasciamo correre”
non va sempre bene: in certi
casi è necessario intervenire e ci deve
essere inflessibilità da parte dell’apparato
sanzionatorio».<br />
<b>Quale consiglio può dare alle donne
oggi?</b><br />
«È necessario privare il maschio
della convinzione di avere davanti
una creatura debole. Una “lei”
che non protesta può apparire consenziente
e i giudici dovrebbero
essere attrezzati a capire certi silenzi
».<br />
<b>Cosa pensa di quello che è accaduto
ieri al Senato?</b><br />
«Spero che sia raccolta la sfida alla
Camera».<br />
Costituzione e modello spagnolo2008-11-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382524<br />
Caro direttore,<br />
l’anagrafe non lascia dubbi: la Costituzione italiana ha sessant’anni, quella spagnola ne ha trenta. Eppure, se vogliamo capire quale delle due si è avvalsa dell’esperienza dell’altra, la data di nascita ci porta fuori strada. Nella realtà, fra le due costituzioni (e fra le esperienze costituzionali che ne sono nate) c’è uno stretto legame che si è rinnovato nel tempo ed ha creato fra di loro un processo circolare, che sta continuando. E grazie a tale processo i nostri due Paesi continuano ad imparare l’uno dall’altro. Intanto, una delle parti più innovative della Costituzione italiana -- l’ordinamento regionale - venne scritta traendo ispirazione dalla Costituzione spagnola del 1931. Non era una fotocopia, c’erano importanti rielaborazioni, ma la fonte era quella. Trent’anni dopo, sarebbe stato il Costituente spagnolo a riprendere, per le sue comunità autonome, il regionalismo italiano, ovviamente modificato e portato più avanti con la previsione delle autonomie speciali. E nel 2001 la possibilità di estendere le autonomie speciali oltre a quelle inizialmente previste sarebbe stata inserita con una legge costituzionale nello stesso regionalismo italiano. Ma non è finita qui. Pensiamo alla forma di governo e cioè ai rapporti fra Capo dello Stato, Governo e Parlamento. La Costituzione italiana fu adottata nell’immediato dopoguerra da una Assemblea nella quale i maggiori partiti avevano profonde differenze sulle prospettive future (occidentale e liberaldemocratica la Democrazia cristiana, protesi verso il superamento del capitalismo i comunisti e i socialisti). Di conseguenza l’unità fra di loro si poté realizzare soltanto nella limitazione dei poteri di chi avrebbe conquistato la maggioranza nel primo Parlamento repubblicano. Ci fu chi segnalò la necessità di rafforzare l’Esecutivo davanti al Parlamento, per evitare le degenerazioni frazionistiche del parlamentarismo che negli anni 20 avevano aperto la strada al fascismo e al nazismo. Ma non fu ascoltato e la forma di governo italiano, fondata su un unico potere, quello dei partiti e degli equilibri (proporzionali) fra di loro, ebbe più checks and balances che poteri istituzionali da bilanciare. Di qui per molti decenni la instabilità e quindi l’elevato turn over dei governi, le votazioni ogni volta ripetute per eleggere i Presidenti della Repubblica, il potere di ricatto dei piccoli partiti o di frazioni dei grandi in Parlamento. La Costituzione spagnola, nata 30 anni dopo, ha potuto tener conto della difficile esperienza italiana e di quelle che nel frattempo avevano preso corpo negli altri maggiori Paesi europei: in Francia, dove si era partiti con una Costituzione ancora più debole di quella italiana per poi superarla con quella della V Repubblica, addirittura sbilanciata a favore del Presidente della Repubblica e del Governo; e soprattutto in Germania, dove la Legge Fondamentale del 1948 aveva adottato tutti gli accorgimenti di razionalizzazione del parlamentarismo che in Italia erano stati rifiutati. La Costituzione spagnola guardò dunque all’Italia per le Regioni, ma molto più altrove per la forma di governo. E dotò la Spagna di un assetto costituzionale che è invidiabile per efficienza ed equilibrio: legge elettorale proporzionale, che tuttavia favorisce l’aggregazione in grandi partiti e riduce drasticamente il frazionismo. Governo che dipende dalla fiducia del Parlamento, ma può nascere con il sostegno della maggioranza semplice dello stesso Parlamento e può essere rimosso, come in Germania, solo con una mozione costruttiva e cioè con la precostituita indicazione dell’alternativa.
<p>
L’Italia ha bisogno di arrivare al più presto a soluzioni di questo tipo. Non è più instabile come un tempo, perché ha cambiato la legge elettorale e ha rafforzato così i maggiori partiti. Ma non ha cambiato le regole costituzionali, con il risultato che c’è oggi una pericolosa asimmetria tra la forza politica di chi vince le elezioni e gli equilibri istituzionali disegnati dalla Costituzione. Una asimmetria da rimuovere e, per farlo, questa volta dovrà essere l’Italia ad attingere all’esperienza costituzionale spagnola. Il processo circolare di interazione costituzionale fra i nostri due Paesi continua. E sono certo che continuerà anche in tema di regionalismo. Siamo entrambi alle prese con richieste crescenti di autonomia, nelle quali si frammischiano giuste ragioni di migliore articolazione della democrazia e populistiche ribellioni alle ragioni dell’unità e della solidarietà nazionale. Sapersi muovere tra questi scogli è essenziale per il nostro futuro. E tenere d’occhio ciascuno la rotta dell’altro potrà servire ad entrambi. <br />
«Ha vinto la proposta, non il colore della pelle» - Colloquio2008-11-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it381942<br />
Per Giuliano Amato, «come per ogni uomo della mia generazione, che pensa all’America ricordando le truppe federali inviate nelle scuole di Little Rock per porre fine alla segregazione razziale», prima e sopra ogni cosa l’elezione di Barak Obama è «uno splendido processo elettorale concluso con due bambine di colore che entreranno alla Casa Bianca con la loro mamma e il loro papà». Per questo cita «la copertina dell’Economist: «It’s time. Era tempo e il tempo è venuto». Amato chiarisce: «di cose italiane non parlo». Inutile dunque chiedergli che effetto avrà Obama sulle sorti del Pd. Invece insiste sulla vittoria di un uomo di colore. «Quella famiglia alla Casa Bianca per me è accomplishment». Usa il termine inglese che racchiude l’idea del completamento di un’impresa e della soddisfazione che produce. Quell’impresa «è un valore per chiunque si trovi indietro, per motivi di razza, religione o economici. L’effetto trascinante che può avere è straordinario». E allora «nei prossimi mesi o anni verranno l’Iraq, l’Afghanistan, i provvedimenti contro la crisi, il piano sanitario». Più in là si valuterà anche la sua politica estera, dove «la nuova amministrazione dovrà avere una certa continuità con la vecchia perché nessuno se ne è accorto, ma col secondo mandato Bush, dall’Iraq fino alla convocazione del G20, ha fatto le mosse giuste, impresso una correzione non percepita perché è prevalsa l’immagine del primo mandato. Questione di fiducia, che Obama ha». E ci sarà tempo per discutere i provvedimenti contro la crisi: «Per la nostra perfida gioia, anche gli Usa hanno fatiscenti infrastrutture e studiano un piano per rilanciarle. La proposta avanzata da Felix Rohaty è simile a quella europea: la creazione di un fondo non finanziato dai bilanci statali, al quale affluiscano tutte le richieste di finanziamenti per le infrastrutture, che le selezioni e trovi le risorse». Ci sarà tempo per tutto. «Ma per me - insiste - questo è il giorno di It’s time». Non condivide perciò chi legge il risultato come la prova del superamento della questione razziale e del riuscito melting pot nella società americana. «Nego la possibilità di negare il ”malgrado”». Per lui «nella società americana continueranno ad esistere il mio grosso grasso matrimonio greco, San Patrizio per gli irlandesi, il richiamo dell’Africa per i neri. I wasp non hanno più il monopolio della rappresentanza, ma Obama è stato eletto ”malgrado” sia nero, per la forza della sua proposta, per le speranze che ha suscitato. Ne sono tanto convinto che se mi chiedesse se ora è possibile l’elezione di un italo-americano direi che no, non ne sono sicuro». Obama ha convinto per la sua capacità di mobilitare ed ascoltare. «Tutte le paure sul tradimento dei sostenitori di Hillary o per il possibile effetto Bradley (il non voto bianco per il candidato nero, di cui fu vittima nell’82 il sindaco di Los Angeles che si candidava governatore e veniva dato vincente nei sondaggi, ndr) sono cadute di fronte a questa marcia trionfale». Ora lo attende un’impresa da far tremare le vene ai polsi: «Col suo Yes we can ha toccato non tanto le corde democratiche quanto i miti dei singoli che ce la possono fare, alla John Wayne o Rossella O’Hara di ”domani è un altro giorno”. Forse è una fortuna, o forse no ma - conclude Amato - Obama ha sollecitato speranze che nessun uomo sembrerebbe in grado di soddisfare. Che Dio l’assista».<br />
«Obama rafforza il Sogno Americano» - INTERVISTA2008-11-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it381912<br />
<b>Se Obama arriverà alla Casa Bianca, per chiunque sarà possibile farcela</b>
<p>ROMA - «Obama rafforza il Sogno Americano. Un nero alla Casa Bianca...se ci
arriverà, significa che per chiunque sarà possibile farcela».<br />
<b>Una prospettiva che è sempre stata la vera forza, il vero motore della
riuscita degli Stati Uniti...</b><br />
«E che negli ultimi anni si è appannata. Invece gli Usa ne hanno un bisogno
vitale, adesso, per tornare a esercitare il ruolo di primo dei global player in un
clima non ostile. Lo dico da europeo, con lo sguardo a un grande Paese che si
ritrova davanti allo sfacelo di una gestione economico-finanziaria che ne mette in
discussione il modo di spendere e di consumare, imponendo cambiamenti non
piccoli, in un mondo gravato da una dilagante recessione e nel quale, da troppo
tempo ormai, si sente la mancanza di una politica americana che riesca a farsi
condividere, aumentando i sentimenti di amicizia, anzichè di ostilità, verso
Washington».<br />
<b>Queste elezioni vengono paragonate a quelle del 1932, successive alla
grande crisi e portatrici delle riforme che hanno animato il New Deal. Non
crede sia un po’ azzardato il parallelo Roosevelt-Obama?</b><br />
«Senza scomodare Roosevelt, è evidente che gli Stati Uniti abbiano bisogno di
un cambiamento profondo. E se Obama è davvero come è stato percepito, allora
credo che da Presidente avrebbe tutta l’autorevolezza e l’autorità necessarie a
realizzarlo».<br />
Parla con grande partecipazione Giuliano Amato, lui che a New York ha studiato
all’Università prima di intraprendere la sua brillante carriera politica che lo ha
portato a essere due volte Presidente del Consiglio, quattro Ministro del Tesoro,
poi delle Riforme Istituzionali e da ultimo dell’Interno, dopo la presidenza
dell’Antitrust e la vicepresidenza della Convenzione Europea. Sono elezioni di
«straodinaria importanza», sottolinea Amato. «Ci rendiamo conto del fatto che il
nuovo Presidente Usa potrebbe essere un afroamericano, in un Paese in cui
cinquant’anni fa un nero doveva viaggiare sul retro degli autobus? Questo basta
a esprimere la straodinaria vitalità della democrazia statunitense».<br />
<b>Sarebbe una bella svolta, certamente eccessiva per quel ventre molle
dell’America più conservatrice e tradizionalista che, bene o male, ha detto
sì a Bush per due mandati. E’ vero che quell’era è tramontata e che lo
stesso McCain non fa altro che ripetere di non essere Bush, ma è
altrettanto vero che i sondaggi hanno preso sonore cantonate in passato.
Cosa ne pensa?</b><br />
«Innanzitutto, che McCain fa bene a prendere le distanze dall’amministrazione
uscente, ma non vedo in lui la capacità di cambiare le emozioni profonde verso
gli Stati Uniti. Obama, invece, sembra in grado di farlo. Questa è la grande
differenza, e la grade distanza, tra i due. Quanto ai sondaggi, detto che diversi
Stati che votarono per Bush ora sono per Obama, è evidente che fino a quando
non avremo un risultato acquisito dovremmo essere cauti. Il mio sangue
meridionale me lo dice...e comunque, fattori di rischio ci sono».<br />
<b>Quello razziale, in testa?</b><br />
«Non sappiamo quanto inciderà, detto che si tratta di un dato inconfessato nei
sondaggi. Poi c’è il popolo delle sostenitrici di Hillary: la Clinton sta facendo di
tutto per portare voti a Obama, ma proprio l’altro giorno leggevo sul New York
Times la lettera di un suo elettore che spiegava perché non avrebbe mai e poi
mai potuto convertirsi a lui. E io stesso ho testimonianze dirette di donne cariche di risentimento. Il terzo fattore di rischio è quello legato ai giovani. James Carville
aveva detto: “Mostratemi un candidato che dipende dal voto dei giovani e io vi
dirò che è il perdente”».<br />
<b>
L’entourage di Obama assicura che gli “under 30” voteranno in massa, al
70 per cento...</b><br />
«L’ultima volta non si è arrivati al 50 per cento. E’ vero che tra Obama e i giovani
c’è un rapporto straordinario, costruito su tecniche di comunicazione
assolutamente innovative ed efficaci, come i filmati su YouTube. Bisogna però
vedere quanti di quei giovani si registreranno per votare: questa è la vera sfida».<br />
<b>Ma il premio simpatia va a McCain, non crede?</b><br />
«Indubbiamente. Si è mostrato vivace e spiritoso, alimentando un’immagine
inattesa per un candidato repubblicano. L’ha offuscata con la scelta della Palin
per la vicepresidenza, né gli ha giovato il sostegno dell’amministrazione in
carica, da ultimo con Cheney. Il suo vero limite, comunque, è quello di non aver
dimostrato quella Vision che il Presidente degli Stati Uniti deve avere. Anche
questo porta a preferire Obama, ben consapevoli del fatto che nemmeno lui ha la
bacchetta magica per chiudere immediatamente questa fase recessiva, ma potrà
certamente aiutarci a non ricaderci negli anni a venire».<br />
<b>Obama ha promesso più sanità, college meno cari, nuove infrastrutture: ha
davanti un percorso difficile da gestire, minato dalla crisi delle carte di
credito oltre che dei subprime. Poi c’è la svolta promessa in politica estera,
mentre sul piatto ci sono le emergenze globali del cambiamento climatico e
dell’approvvigionamento energetico. Ce la farà?</b><br />
«Obama anima forti aspettative. Anche perché è nero, non c’è dubbio. Desta
maggiori attese. E’ già da tempo il pupillo di noi europei. E visto che, come dice
Ciampi, dovremo rifondare insieme le istituzioni del governo mondiale sapendo
che a quel tavolo siedono di diritto nuovi interlocutori come la Cina, se Europa e
Stati Uniti giocheranno la stessa partita il risultato sarà certamente migliore. Se
Obama arriverà a vincere, è perché ha promesso il cambiamento in un mondo
che lo chiede. Ha promesso che un altro mondo è possibile. E se arriverà alla
Casa Bianca, vorrà dire che è vero».
<br />
«Vigilanza europea in capo alla Bce» - INTERVISTA2008-10-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375196<br />
Per due volte presidente del Consiglio e per tre ministro del Tesoro, Giuliano Amato sa benissimo come si vive una crisi finanziaria da brividi alla guida del Governo e sa che in questi casi l'unica cosa che conta è recuperare al più presto la fiducia dei mercati. Per questo non si sorprende del ritorno dello Stato nelle banche ma, in questa intervista, difende con passione la riforma che porta il suo nome e che avviò nei primi anni 90 la trasformazione e privatizzazione del sistema bancario italiano.<br />
<b>Presidente, il crollo delle Borse sembra inarrestabile e il Fondo monetario internazionale prevede la recessione globale: in una situazione così drammatica che cosa possono e debbono fare i Governi e le Banche centrali?</b><br />
Nell'immediato possono solo coordinarsi perchè è impossibile creare una global governance dall'oggi al domani. Purtroppo finora hanno detto di voler fare azioni coordinate sul piano internazionale ma hanno fatto poco, anche perché inizialmente c'era in molti l'illusione che, essendo nata negli Usa, la crisi dovesse risolversi esclusivamente là. Adesso si è finalmente capito che non poteva andare così perché i cosiddetti trouble assets hanno fatto il giro del mondo e portato ovunque l'infezione. Ma c'è un'altra ragione per la quale immaginare che la crisi finanziaria si potesse risolvere esclusivamente negli Usa era del tutto fallace.<br />
<b>Quale?</b><br />
L'effetto panico, che è per definizione irrazionale e che a maggior ragione avrebbe richiesto il massimo di coordinamento tra le autorità centrali. In realtà Governi e Banche centrali sono partiti scoordinati fin dall'inizio.<br />
<b>È una critica che riguarda in particolare l'Europa?</b><br />
L'Europa ha esercitato un coordinamento superiore a quello che si è registrato a livello globale ma inferiore alle ragioni del nostro mercato europeo, che esige soluzioni uniformi per tutto ciò che è cross-border. Paghiamo il prezzo di non aver provveduto per tempo a dotare la Bce dei poteri di vigilanza su scala europea.<br />
<b>Non è da oggi che si invoca una vigilanza finanziaria e bancaria di tipo europeo: perché non ci si è mai arrivati?</b> <br />
Perché si è preferita la politica dello struzzo. Non dimenticherò mai la riunione dell'Ecofin alla quale partecipai come ministro del Governo italiano per esaminare il Rapporto Lamfalussy prima che nascesse la Bce. In quell'occasione ricordo perfettamente che i governatori delle Banche centrali nazionali ci avvertirono che, in caso di crisi sistemica, in Europa mancava un'autorità competente, ma ci pregarono anche di cancellare dai comunicati finali qualunque riferimento in proposito perché, a loro avviso, poteva creare ansietà sui mercati e tra gli investitori.<br />
<b>Così l'Europa è arrivata impreparata a una crisi come quella di questi giorni e la vigilanza europea è rimasta una chimera.</b><br />
Abbiamo convissuto per anni con un potenziale esplosivo in cantina e adesso che la crisi sistemica è arrivata ci sentiamo disarmati. Ecco perché è ancora più urgente di prima dotare la Bce di poteri di vigilanza e realizzare il massimo di coordinamento tra i Governi.<br />
<b>Qualche tentativo c'è stato e ancora adesso si ipotizzano nuovi vertici internazionali d'emergenza.</b><br />
Il fatto è che non si è andati al cuore del problema perchè non si è trovata la strada giusta per far scattare la scintilla della fiducia, che dipende da molte variabili ma che oggi più che mai è la chiave di tutto. Finché ognuno va per conto suo in un mondo che è ormai globalizzato è difficile recuperare la fiducia dei mercati.<br />
<b>
È questa la ragione per cui nemmeno il piano Paulson è bastato?</b> <br />
Evidentemente anche il piano americano è stato giudicato insufficiente nelle sue modalità e nell'entità dei suoi stanziamenti. Gli Usa hanno destinato 700 miliardi di dollari alla sterilizzazione dei titoli tossici ma negli stessi giorni in cui si varava il piano Paulson l'Fmi ha stimato che i trouble assets sparsi nel mondo ammontano a 1.400 miliardi di dollari. Anche l'uomo della strada capisce che per superare la crisi c'è ancora molto da fare.<br />
<b>Nouriel Roubini ha messo sotto accusa le Banche centrali sostenendo che dovrebbero ridurre i tassi d'interesse di almeno un altro punto: lei che cosa ne pensa?</b><br />
Siamo sicuri che riducendo di un altro punto i tassi si recupera la fiducia dei mercati? Non lo so, ma il problema è tutto qui.<br />
<b>Come si riaccende la scintilla della fiducia?</b><br />
Nessuno conosce la formula magica. La fiducia è un valore impalpabile, che dipende dalle circostanze ma che certamente non è solo un elemento tecnico. Qualche volta si può recuperare cambiando le facce, qualche altra cambiando le regole oppure cambiando le une e le altre.<br />
<b>Lei da dove comincerebbe?</b><br />
Mi ha fatto molto pensare il caso Lehman. Credo che ci sia anche qualcosa di ancestrale nei meccanismi che stanno alla base della fiducia. Per recuperarla talvolta bisogna passare anche dalla punizione di chi ha sbagliato. E poi bisogna accertare dove sono le polpette avvelenate dei trouble asset e chi li tiene in casa. Non è accettabile che si sappia che ci sono ma non chi le ha e quante ne ha. Se il marcio non salta fuori la sfiducia rimane e la speculazione è inarrestabile.<br />
<b>
In una situazione così difficile come giudica l'operato del Governo Berlusconi?</b> <br />
Complessivamente mi pare che si sia mosso bene, anche se da ultimo ci sono state dichiarazioni pericolosamente estemporanee. Si è cercato il coordinamento a livello europeo e si è approvato un decreto sulla stabilità delle banche e sulla difesa del risparmio che ha l'obiettivo di bloccare il panico. Anche il discorso che il ministro Tremonti ha fatto giovedì in Parlamento è stato chiaro e condivisibile. Si può discutere qualche aspetto delicato del decreto anti-crisi ma la filosofia è giusta.<br />
<b>C'è chi rileva nel decreto aspetti ambigui nel rapporto tra Tesoro e Banca d'Italia e tra Tesoro e manager bancari: la sua opinione qual è?</b><br />
Spero che nella discussione parlamentare si accentui il carattere assolutamente provvisorio e contingente dell'eventuale ingresso dello Stato nel capitale delle banche in difficoltà.<br />
<b>Lei ha dato il nome alla riforma che ha trasformato le banche italiane e ne ha avviato la privatizzazione: che impressione le fa vedere che il pendolo ritorna indietro e che lo Stato rientra in forze nel credito?</b><br />
Prendo atto che il ritorno dello Stato nelle banche non è dovuto al fallimento del mercato ma al fallimento di un mercato, quello statunitense, provocato dall'infelice e malaugurata regolazione con cui lo si è abbandonato a se stesso. Ecco perché nei fatti di questi giorni non vedo smentita la riforma che porta il mio nome. Noi paghiamo colpe che non abbiamo e cioè l'effetto del fallimento della regulation americana e di fenomeni parossistici che dovevano essere affrontati prima.<br />
<b>Se fosse ancora a Palazzo Chigi o al Tesoro, anche lei avrebbe deciso il salvataggio pubblico delle banche?</b><br />
Se per salvare le banche non c'è altro modo che far intervenire lo Stato è giusto e doveroso farlo, purché sia ben chiaro che si tratta di un intervento temporaneo e che si possa tornare quanto prima al capitale privato.<br />
<b>
Cambierà anche in Italia il modo di fare banca? Non sarebbe il caso di mandare in archivio la banca tuttofare?</b><br />
La banca tuttofare funziona se davvero si sa fare tutto bene, altrimenti è meglio concentrarsi su quel che si sa realmente fare. Non so se toccherà a noi aggiornare le regole o se la nuova regulation non debba partire dagli Usa ma certo c'è molto da cambiare, a cominciare dalle regole contabili e dal ruolo delle agenzie di rating, che sono gravate da continui conflitti d'interesse. Quanto a noi non possiamo davvero perdere l'occasione per costruire al più presto la vigilanza europea.
<br />
E' allarme razzismo in Italia. - INTERVISTA2008-10-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it374974<br />
<i><b>"Le ragioni della sicurezza inducono a credere che è giusto essere contro i diversi"</b></i><br /><br />
Forse la pagina più buia del '900. Esattamente settanta anni fa, nel settembre e poi nel novembre del 1938, il governo fascista varò le cosiddette leggi razziali. Un vero e proprio manifesto della discriminazione.<br />
<b>Professor Giuliano Amato, cosa furono quelle leggi?</b><br />
"A loro modo una sorpresa".<br />
<b>Una sorpresa?</b><br />
"Sì. L'ingresso del razzismo antiebraico come politica del regime stupì gli italiani tutti. Gli ebrei erano integrati nella nostra comunità e lo stesso fascismo li aveva trattati sempre paritariamente. C'erano stati ministri ebrei, Mussolini aveva avuto consiglieri ebrei..."<br />
<b>Quelle leggi parvero insomma un cedimento all'alleato nazista...</b><br />
"Sostanzialmente sì. Non a caso ci furono grosse resistenze nel Paese".<br />
<b>Vuol dire che sostanzialmente gli italiani non le fecero proprie?</b><br />
"Voglio dire che davanti alle leggi razziali gli italiani si divisero in due: chi le applicò con zelo e chi, invece, cercò di darne interpretazioni più flessibili".<br />
<b>Adriano Prosperi, sostiene che nel cacciare gli ebrei dal mondo della scuola, gli italiani furono più intransigenti dei nazisti...</b><br />
"Gliel'ho detto: in taluni casi ci fu zelo dettato anche da motivazioni corporative. Negli ordini professionali, ad esempio, l'espulsione degli ebrei venne accolta con gioia semplicemente perchè riduceva la concorrenza. Se ne profittò in qualche modo. Però..."<br />
<b>Però?</b><br />
"Sono convinto che il salto di qualità sul tema razziale lo si fece solo durante la Repubblica di Salò col manifesto di Verona del novembre 1943".<br />
<b>Si può azzardare l'idea che, per cultura e costumi, l'Italia sia refrattaria all'intolleranza?</b><br />
"Non lo so. Di sicuro dico che l'intolleranza nei confronti degli ebrei incontrò una resistenza culturale".<br />
<b>Oggi invece...</b><br />
"Oggi le differenze sono più visibili. Con gli ebrei a dividere era la religione, ovvero una specie di razzismo spirituale. Oggi, che a dividere è il colore della pelle, la lingua, le tradizioni, stanno purtroppo emergendo pulsioni razziste determinate da oggettive difficoltà di adattamento a un contesto nuovo di multietnicità a cui non eravamo abituati da secoli. Non solo".<br />
<b>Dica.</b><br />
"Purtroppo queste pulsioni sono facilitate da politiche nelle quali le ragioni della sicurezza sono diventate talmente predominanti da dare la sensazione agli italiani che in fondo è giusto essere contro i diversi".<br />
<b>C'entra qualcosa in tutto ciò anche la crisi economica?</b><br />
"Non c'è dubbio che questo pesi. Ma in Italia la ragione principale della diffidenza è la sicurezza".<br />
<b>Prendere le impronte ai Rom è dunque razzismo?</b><br />
"Io, anche da ex ministro degli Interni, non ho nessuna riserva sull'uso delle impronte digitali. Ma se qualcuno dice che vuol prenderle solo ai Rom, come posso non trovarci del razzismo?".<br />
<b>I giornali, la tv, la scuola possono fare qualcosa per ridurre l'intolleranza?</b><br />
"Possono fare moltissimo. Non c'è nulla di atavico nell'atto di avere fiducia o sfiducia verso il diverso. Queste sono tutte induzioni culturali. E sulle induzioni culturali, chi concorre a formare le opinioni di ciascuno di noi ha un grande potere di insieme". <br />
<b>Professore, secondo lei oggi c'è più razzismo a destra o a sinistra?</b><br />
"Se si guarda ai partiti e alle espressioni politiche ce n'è di più a destra. Ma se si osservano invece i ceti sociali di riferimento, la cosa si fa più complessa. Per questo, una risposta onesta e non ideologica alla sua domanda è: non lo so". <br />
25 APRILE: AMATO, LA RESISTENZA COME TESTIMONIANZA DI COSCIENZA NAZIONALE2008-04-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it332017Roma, 25 apr. (Adnkronos) - "La Resistenza, al fascismo nel ventennio e all'occupazione nazista durante la guerra, ha testimoniato e fatto emergere i tratti distintivi che uniscono gli italiani e danno forza alla nostra Nazione: la difesa della dignita' umana e la reazione all'oppressione nella solidarieta' agli oppressi". E' quanto ha sottolineato il ministro dell'Interno, Giuliano Amato intervenendo alla cerimonia di celebrazione del 25 Aprile, 'Festa della Liberazione' all'Altare della Patria, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Ha votato l'80%2008-04-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it331731<br />
<b>Il Ministro chiarisce, 3,5% in meno delle scorse elezioni.</b><br />
ROMA, 14 APR - Alle elezioni politiche ha votato l'80% degli aventi diritto. Lo ha detto il ministro dell'Interno Giuliano Amato.<br />
Il ministro ha ricordato che si tratta di una flessione di 3,5% rispetto alle precedenti elezioni. <br />
L'affluenza - ha detto - possiamo concludere che e' superiore all''80%', ma comunque inferiore di 3,5% rispetto alle precedenti elezioni. Il dato, ha concluso, non e' ancora quello definitivo ed ufficiale perche' mancano ancora alcune sezioni di grandi citta'. <br />
AI PREFETTI: CONTRASTARE VOTO DI SCAMBIO2008-04-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it331647<br />
Contrastare il voto di scambio, che e' un "grave fenomeno di inquinamento della vita democratica".<br />
"Una prima questione sulla quale il Governo ha voluto dare un segnale forte e deciso - scrive Amato ai prefetti -, attraverso l'adozione di un provvedimento legislativo d'urgenza, è quella che riguarda il contrasto al grave fenomeno di inquinamento della vita democratica rappresentato dal "voto di scambio".<br />
Non potranno, infatti, essere introdotti all'interno della cabina elettorale telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini, pena l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a 1.000 euro, che dovrebbero costituire, eliminando una possibile prova del "voto di scambio", un efficace deterrente". <br />
Non escluso rinvio elezioni per riammissione Dc2008-04-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it331305<br />
<b>La decisione compete al governo e al presidente della Repubblica</b>.<br />
<b>Il ministro dell'Interno Giuliano Amato non esclude il rinvio delle elezioni dopo l'accoglimento del ricorso e la conseguente riammissione alla competizione elettorale della Dc di Giuseppe Pizza</b>.<br />
Il nodo evidenziato da Amato in ocasione di un incontro pubblico a Reggio Emilia, è in particolare l'attesa del giudizio di merito sulla vicenda. <br />
In caso di sciogliemento definitivo della vicenda a favore della lista, con il convolgimento del Tar del Lazio ed eventualmente anche della Cassazione, vi sarebbe poi la <b>necessità di adeguare le schede elettorali</b> e di consentire alla lista stessa di svolgere una nomale campagna elettorale.<br />
<b>La decisione in materia di eventuale rinvio della data delle elezioni</b>, ha sottolineato lo stesso Amato, compete comunque a chi ha fissato le date attuali, e cioè governo e presidente della Repubblica.<br /><br />
G8: SU DIAZ E BOLZANETO SI VA AL DI LA' DI OGNI COMPRENSIONE2008-03-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it330681<br />
ROMA - <b>"Non possiamo giudicare quei comportamenti inumani e vessatori semplicemente come violenza privata e abuso d'ufficio.</b> <b>E' qualcosa di più.</b><br />
<b>Deve esserci una severità maggiore quando si esercita violenza contro chi è assoggettato al tuo potere".</b><br />
Lo dice il ministro dell'interno Giuliano Amato, in un'intervista pubblicata questa mattina da 'la Repubblica', su quel che accadde a Bolzaneto dopo il G8.<br />
<b>"Per la Diaz e Bolzaneto si va al di là di ogni capacità di comprensione".</b><br />
E questo, secondo Amato, <b>"é vero soprattutto per Bolzaneto dove più che la polizia, c'era soprattutto la polizia penitenziaria che non doveva fare i conti con la pressione della piazza e che, custodendo persone assoggettate, dovrebbe guardarsi dall'abuso di autorità, dovrebbe saper rispettare la dignità umana".</b><br />
Ma per il ministro dell'Interno quella di Bolzaneto "é stata una bruttissima storia", che ci ha riportato agli anni cinquanta/sessanta, in un'Italia prepasoliniana in cui vigeva "un'interpretazione riduttiva dei principi costituzionali","<b>una cultura dello Stato non ancora consapevole di dover essere al servizio del cittadino".</b><br />
<b>SI VOLEVA DE GENNARO AL ROGO</b> <br />
<b>"Io non credo che immolare il capo della polizia avrebbe risolto il problema".</b> <br />
Dopo Genova <b>"si voleva mettere al rogo De Gennaro per fare l'incendio più fiammeggiante".</b> <br />
E' quanto sostiene il ministro dell'Interno Giuliano Amato in un'intervista a 'la Repubblica' sui fatti del G8 di Genova. <br />
<i><b>"Il capo della polizia ha ritenuto di non dimettersi -</b></i> prosegue Amato.<br />
<b>Ha con fermezza detto di non essere il responsabile di quanto accaduto. Le violenze di Genova gli sono parse così lontane dalla sua cultura professionale, dalla sua storia di poliziotto che ha pensato di restare al suo posto, di difendere se stesso".</b> <br />
Secondo Amato, dopo Genova si voleva la testa di De Gennaro "perché lui era quello più in vista" ma il ministro ritiene che <b>"va sempre accertato chi ha fatto cosa</b>".<br />
<b>"Anche per questo non vedo l'ora che i processi di Genova si concludano in modo che se ne possa riprendere il bandolo e riportarlo all'interno dell'amministrazione assumendo le decisioni opportune".</b> <br />
"Nel Pd sono caduti gli steccati ideologici laici e cattolici possono e devono convivere" - Intervista2008-03-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it329710<b>«Basta con i vecchi steccati ideologici. Laici e cattolici possono e devono convivere in un grande partito. Lo sforzo di Veltroni va nella direzione giusta: l'et-et non è il frutto di un'incertezza identitaria, ma l'unico modo per ritrovare una responsabilità condivisa e il bene comune tra credenti e non credenti».</b><br />
Nel giorno della famiglia in 100 piazze d'Italia, enei pieno di una campagna elettorale dominata dalle polemiche sul rapporto tra religione e politica e tra stato e chiesa, Giuliano Amato torna a parlare dei temi che gli sono più cari.<br />
<b>Ministro Amato, possibile che il centrosinistra non sia ancora riuscito a trovare un «patto di convivenza» politica tra laici e cattolici?</b><br />
«Mi colpisce l'incomprensione che continua ad accompagnare lo sforzo del Pd per ricomporre lo specchio rotto. Sembra che i frammenti dello specchio vogliano dettare le regole del loro superamento. C'è chi sfotte Veltroni perché tra laici e cattolici, tra credenti e non credenti, cerca di passare dall'aut aut all'et-et. E se non è aut aut, allora è il caravanserraglio. Ebbene, chi la mette cosi merita che gli si dica che non ha capito i termini del nostro problema nazionale e ha perso totalmente la nozione di bene comune».<br />
<b>Ma lei non teme che per favorire la ricomposizione si finisca per non sapere più cosa dire, e ci si arrenda alle gerarchie ecclesiastiche, o ci si rifugi nella generica libertà di coscienza?</b><br />
«La mera libertà di coscienza non è un collante e questo, sia chiaro, vale sia per gli uni che per gli altri. Occorre il coraggio di sapersi affacciare a un territorio comune. Per i non credenti è il coraggio di ammettere che vivono in un mondo in buona parte sconosciuto nel quale, come giustamente dice la carta dei valori del Pd, la stessa condizione umana è oggetto di cambiamenti fatti anche da noi. Quindi serve quel dialogo tra politica, religione e filosofia che definisca i limiti non di ciò che possiamo sapere, ma di ciò che possiamo fare. Proprio Veronesi è uno di quelli che ha sempre auspicato questo dialogo, e non è tra i testardi della "ubris" non credente refrattaria ad ogni limite. Quando leggo invece che io, non credente, non posso stare nel Pd perché riconosce il ruolo delle religioni nello spazio pubblico resto di sasso. Questo, alcuni secoli dopo Galileo, è Galileo alla rovescia. Le questioni che fanno parte dello spazio pubblico per milioni di esseri umani evocano la religione in un mondo ci offre il bene infinito e il male infinito. Nelle nostre giornate entrano le chirurgie non invasive con le quali si riescono a fare meraviglie impensabili 100 anni fa ed entrano le nostre bambine che fanno le cubiste. Allora chiedo a chi è assolutamente certo di se stesso: su che cosa fondi le tue certezze?».<br />
<b>Per un Odifreddi che lascia il Pd per estremismo laicista, però, ci sono parecchi «devoti» che cercano di imprigionarlo nel neo-guelfismo.</b><br />
«Anche dall'altra parte ci vuole il coraggio di capire che il bene comune di una società di diversi non necessariamente coincide con i propri "credenda". Specie nelle società in cui abbiamo più religioni con "credenda" diversi. La settimana scorsa ero in Slo venia a un seminario sul tema "noi e i musulmani', e uno studioso non cattolico ha argomentato che etnie e religioni creano comunità che poi devono convivere in società in cui tutte sono chiamate a un bene comune. Ebbene questo è esattamente Maritain. Se lo ricordino anche quei nostri cattolici per i quali questa distinzione non esiste, e il bene comune coincide sempre con i loro "credenda"».
<b>L'accordo con i radicali per il Pd è un problema o un'opportunità?</b><br />
«Avere dentro un'espressione storica del laicismo e allo stesso tempo una rappresentanza forte del mondo cattolico è esattamente quello che serve per ricomporre lo specchio. I grandi partiti lo fanno: nessuno pone ai repubblicani americani il problema di avere dentro di sé gli evangelici e i non credenti. Su questo, in Italia, c'è davvero un'inquietante arretratezza dei paradigmi mentali. Vogliamo avere ancora la mappa della politica dei tempi di Porta Pia? No, non ci sto».<br />
<b>Ci sono anche battaglie oscurantiste, e spesso strumentali. Come vogliamo definire la nuova crociata contro la legge 194?</b><br />
«Ferrara lo sa che sulla 194 non c'è molto da aggiungere o da cambiare. Mentre penso che abbia sacrosanta ragione sugli aborti di stato e sull'esistenza nel mondo di legislazioni che legittimano o addirittura richiedono l'aborto. Ma non può fare una campagna nella quale la 194 o le leggi similari di altri paesi civili come l'Italia cadono nello stesso calderone».<br />
<b>Calderone per calderone: che impressione le fa il programma elettorale del Pdl?</b><br />
«Mi chiedo: ma è Tremonti l'autore di quel programma o è un altro? Lui si preoccupa dei rischi che l'economia italiana corre in questo avvio di recessione mondiale. Ma ad essi risponde con promesse più protezionistiche che di sviluppo. Io condivido la sua diagnosi, non la sua terapia. Nel programma del Pdl però non c'è né la diagnosi né la terapia. C'è invece uno straordinario appello al liberalismo, che non vorrei fosse richiesto come prassi solo alla Guardia di Finanza».<br />
<b>
Le sembra realistica la rimonta elettorale di Veltroni? Ci crede anche lei, o lo fa solo per «contratto»?</b><br />
«Vivo anch'io la percezione del recupero. Guardo con attenzione alla situazione del Senato dove, grazie alle follie della legge elettorale, è più facile che ci si ritrovi con una situazione simile a quella di due anni fa. Berlusconi allora fece uno straordinario finale di campagna elettorale e recuperò molto. Vediamo cosa succederà adesso. Ma non è un caso che molti di noi facciano il tifo per Obama, uno che è partito molto indietro e che invece oggi è a un passo dalla vittoria».
<b>Lei parla come un politico ancora pieno di voglia e di passione. Eppure non si ricandiderà. Cos'è stata la sua: un atto di generosità o una rinuncia forzata?</b><br />
«Senta, prima di tutto non è che me ne vado. Continuerò a fare quello che faccio, senza sedere in Parlamento. Ci ho pensato bene, arrivando a 70 anni: concorrere alla politica con le idee più che con il potere personale, in fondo, è quello che ho sempre fatto. Ho confrontato il programma di Morando con quello che avevo scritto perle elezioni europee nel 2005. Ci sono molti punti in comune. Quel programma era il frutto di un'elaborazione schiettamente riformista e fu accantonato quando fu fatto il programma dell'Unione, per parte della quale esso era troppo di "destra". Ora, a distanza di tre anni e senza che nessuno lo abbia evocato, quel programma è tornato. Questo è il segno che il mio lavoro, nel centrosinistra, a qualcosa è servito. Ci ho sempre messo questi semi di programma, e in parte ho contribuito a realizzarli nelle tante esperienze di governo che ho fatto».<br />
<b>Lei sa che c'è anche chi la critica, per non aver assunto fino in fondo certe responsabilità, o magari in qualche caso per non aver voluto mai accettare fino in fondo certi rischi.</b><br />
«Certo, c'è chi mi dice che non ho fatto quello che avrei dovuto, cioè assumere responsabilità di leadership, nell'area socialista dello schieramento e non solo. Penso che chi mi critica per questo, in fondo, mi fa un complimento che non merito: cioè il fatto di avere qualità di leader che non ho utilizzato. Non è vero, perché quelle qualità io non le avevo. Credo di aver fatto molto per la politica italiana. Non voglio auto-elogiarmi, ma vedo il rispetto con cui sono accolto all'estero, l'orgoglio che leggo negli occhi degli italiani quando vengono ad ascoltarmi in qualunque platea, perché un politico italiano che è un ministro che li rappresenta parla a braccio senza mai leggere un precotto scritto da altri e sempre con cognizione di causa su argomenti diversi. Ecco, io questo sono stato in grado di darlo al mio Paese».<br />
<b>Non le sembra riduttivo? Giuliano Amato, per storia personale e per esperienza politica, non avrebbe anche potuto avere le sue «divisioni»?</b><br />
«No, perché non sarei stato capace di guidarle. Ci sono figure così: Antonio Giolitti, per esempio. Ricordo che persino Giorgio Napolitano, nel Pci, fu criticato per lo stesso motivo, e io lo difesi per questo quando presentai il suo libro autobiografico. Non è questione di mancanza di coraggio o di non assunzione di responsabilità. E' questione di consapevolezza di ciò che si è, e di ciò che si è in grado di fare. Ma sia chiaro, il mio non è un commiato, un addio alla politica. Io ci sarò, anche se in un ruolo diverso».<br />
Non paghi sempre Cipputi2008-01-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it327888<p>«Sono solidale con il mondo del lavoro metalmeccanico. Gira, gira, il problema della produttività lo paga sempre Cipputi (l'operaio nato dalla penna di Altan, ndr)».
<p>A parlare così è il ministro dell'Interno, Giuliano Amato. «Non voglio incoraggiare Cipputi a ignorare il problema della produttività, ma finisce che - ha proseguito Amato - è lui che paga le infrastrutture che non ci sono, le discariche che mancano, i processi che durano 10 anni. Tutti costi che alla fine gravano sui costi delle imprese che poi dice a Cipputi: pagali tu»Rifiuti: a Napoli in azione bande di teppisti, colpiscono in modo non pianificato senza strategie2008-01-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it327736Gli atti criminali di questi giorni in Campania «sono caratterizzati prevalentemente dall'azione di bande teppistiche, che colpiscono in modo non pianificato e senza una strategia complessiva». È quanto hanno spiegato i vertici delle forze di polizia nel corso della riunione convocata dal ministro Amato per analizzare i profili di ordine pubblico connessi con l'emergenza rifiuti in Campania.
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SQUADRE INTERVENTO RAPIDO - Rafforzare le indagini e le operazioni di intelligence per identificare i responsabili degli scontri contro le forze dell'ordine e gli attacchi ai vigili del fuoco nel quartiere napoletano di Pianura nell'ambito delle proteste contro la riapertura della discarica per alleviare il problema rifiuti in Campania. È la richiesta avanzata ai vertici delle forze di sicurezza riuniti al Viminale dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato. Per contrastare le violenze «sarà quindi intensificata l'attività di squadre di intervento rapido dotate di mezzi agili e in grado di veloci spostamenti». È stata infine sottolineata l'esigenza di un forte supporto agli interventi dei pompieri per garantire che avvengano in piena sicurezza.Piano sicurezza, linea dura di Amato2007-09-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it276675<p>Basta con il dibattito burattinesco che abbiamo avuto sinora. La lotta all'illegalità è una cosa seria". Giuliano Amato è appena uscito da una lunga riunione con il presidente del Consiglio Romano Prodi. E' servita a definire le linee guida del disegno di legge con il quale il governo di centrosinistra vuole tentare un giro di vite contro la criminalità. Il ministro dell'Interno è soddisfatto del lavoro condotto fino ad oggi. Ma è anche molto, molto indignato per il dibattito surreale montato in queste settimane da molti colleghi politici e intellettuali della sinistra radicale, inclini a ricadere in un vizio antico: pensare che se una persona commette un reato "è sempre e comunque colpa della società". <br /> <br /> "Non ne posso più di tutto questo - taglia corto il Dottor Sottile - e di chi ci attacca perché "ce la prendiamo con i lavavetri e non con la 'ndrangheta". Ci sono cose che sono ritenute di sinistra, ma sono solo irresponsabili. Noi riformisti, con il Partito democratico, dobbiamo saper essere chiari, anche su questi temi". A placare l'irritazione di Amato non basta nemmeno la buona notizia dell'arresto dei tre assassini responsabili della sanguinosa rapina in villa vicino a Treviso. "Quegli arresti - osserva - dimostrano che siamo capaci di un'azione di contrasto efficace contro questa forma di criminalità. Ma purtroppo confermano anche che la presenza di criminalità rumena, in questo momento, è uno dei problemi maggiori per la sicurezza del nostro Paese". <br /> <br /> <strong>Ministro Amato, mentre voi preparate un pacchetto di misure urgenti contro la criminalità, politici e intellettuali ex o post comunisti si baloccano con Cesare Beccaria, filosofeggiano sui delitti e sulle pene, sdottoreggiano sull'uomo buono rovinato dalla società. Non le pare che ci sia un certo deficit culturale nel modo in cui la sinistra ragiona e affronta i temi della sicurezza?</strong><br />"Le dico di più. Finora il dibattito di queste settimane estive mi ha fatto accapponare la pelle. Bastava leggere i titoli dei giornali, e non era certo colpa dei giornali, per rendersi conto che il dibattito era ed è burattinesco. In esso emergono, con toni vibranti, dilemmi che sono assolutamente senza senso, e che nascondono un problema non dichiarato". <br /> <br /> <strong>Ci spieghi meglio questo punto. Cosa intende dire? Si riferisce alla polemica sui lavavetri?</strong> <br /> "Intanto, chiedersi se il problema siano i lavavetri o i graffitari, o i lavavetri o la ndrangheta, è una domanda del tutto priva di senso razionale e dobbiamo chiederci per quali distorsioni culturali la si fa. E' ridicolo far notare che la ndrangheta è più pericolosa dei lavavetri, a meno che non si pensi di avere davanti dei minorati psichici". <br /> <br /> <strong>Addirittura?</strong> <br /> "Ma è evidente! Facciamola finita con certe banalizzazioni sociologiche. La microcriminalità va combattuta perché è dovuto anche ad essa se i cittadini percepiscono un clima di crescente insicurezza. E se si sentono indifesi diventano ostili verso chiunque sia malvestito o diverso intorno al loro. E poi la microcriminalità va combattuta perché spesso proprio al suo interno si nasconde anche la grande illegalità". <br /> <br /> <strong>Lo vada a spiegare ai politici e agli intellettuali che in questi giorni hanno accusato la sinistra riformista di inseguire una "deriva securitaria". Lo vada a spiegare agli uomini di Rifondazione e ad Asor Rosa...</strong> <br /> "Ma se qualcuno mi viene a dire che non c'è solo il problema della microcriminalità, allora io gli rispondo che ho imparato già alle elementari che due più due fa quattro!". <br /> <br /> <strong>E allora vada a spiegarlo a Giuseppe Tornatore, che pure è stato vittima di una feroce aggressione...</strong> <br /> "Senta, ai personaggi illustri dico che punire un immigrato che deruba e picchia un cittadino non è "fare di tutt'erba un fascio tra gli immigrati e i criminali". Ma, al contrario, serve proprio a evitare che gli italiani, picchiati e derubati da criminali immigrati, facciano loro sì di tutt'erba un fascio". <br /> <br /> <strong>E che risponde a chi obietta "se la prendono con i lavavetri e non con la mafia"?</strong> <br /> "In queste osservazioni si annida quella tara culturale che affligge una parte della sinistra. Intanto, non è vero che "se la prendono con i lavavetri e non con la mafia". Proprio nei giorni in cui l'assessore di Firenze "se la prendeva" con i lavavetri, noi abbiamo fatto arrestare oltre trenta esponenti della 'ndrangheta, come minimo legati al delitto di dicembre scorso a San Luca, che è stato l'antecedente della strage di Duisburg. Ma al di là di questo, io mi chiedo: perché mai se il destinatario di un atteggiamento severo è qualcuno che è piccolo, che non appartiene ai ceti più alti, o è colpa del racket o è colpa della società, ma non è mai colpa sua?". <br /> <br /> <strong>E' la originale declinazione di una certa sinistra, che considera il "debole" sempre e comunque una vittima, mai un carnefice...</strong> <br /> "E' questa la tara di cui parlavo. Ma anche qui ci dobbiamo intendere. Quando c'è di mezzo il racket noi interveniamo, e aiutiamo chi se ne vuole sottrarre. Abbiamo già previsto di estendere i benefici della clemenza a chiunque, e non solo alle schiave prostitute, sia vittima del racket. Sappiamo bene che in Italia accadono cose veramente nefande. Sappiamo di bambini addestrati attraverso il terrore ad andare a rubare e a delinquere, come avviene per i pittbull, cioè attraverso vere e proprie forme di tortura. Ma non sempre dietro l'illegalità c'è il racket. E non sempre il comportamento violento e aggressivo discende da lì. E allora va punito, e basta". <br /> <br /> <strong>E' una bella sfida culturale, per una forza come il Partito democratico.</strong> <br /> "Lo è. E dobbiamo affrontarla con coraggio e determinazione. Nella società degli individui, nella società dei diritti e dei doveri, noi non possiamo identificare la sinistra con l'arringa difensiva di quegli avvocati dell'Ottocento, che a conclusione dei processi chiedevano sempre di assolvere gli imputati perché era sempre colpa della società. E' su queste basi, poi, che si arriva a sentenze, che io non condivido affatto, che si spingono fino all'assurdo di concedere attenuanti allo stupro commesso in condizioni di particolare degrado". <br /> <br /> <strong>Sono aberrazioni giuridiche, che però qualcuno di voi condivide?</strong> <br /> "E fa malissimo. La legalità e il diritto servono a educare chiunque rifiuta le regole in ragione del degrado. Questo l'ha detto Antonio Gramsci. E il vecchio Partito comunista italiano ne seppe coltivare l'eredità, preoccupandosi di formare i cittadini in qualunque condizione sociale si trovassero. Per questo io insisto: stiamo attenti a non cadere nella trappola di mirare sempre alla cupola e non colpire mai gli atti che offendono la dignità di chi li compie e la vita quotidiana dei cittadini. In più, così si nutre la tigre dell'ostilità, che può diventare razziale e razzista nei confronti dei diversi. E' per questo che certe posizioni, oltre che burattinesche, finiscono per diventare irresponsabili". <br /> <br /> <strong>Ma in questo modo c'è chi le obietterà che non esistono più differenze tra destra e sinistra. Lei cosa risponde?</strong> <br /> "Rispondo che non è così. Essere di sinistra non vuol dire lasciare impunita l'illegalità. Per me essere di sinistra è organizzare una presenza civile in Italia a favore di chi non fa male a nessuno. Ed è trattare allo stesso modo gli italiani e gli immigrati, senza creare un diritto penale speciale per i poveracci o per gli extracomunitari. Ma l'illegalità no. L'illegalità non è e non sarà mai di sinistra". <br /> <br /> <strong>Ma l'indulto l'avete votato voi, tutti insieme. Come è possibile che tra i tre rapinatori di Treviso ce n'era uno che era uscito proprio grazie a quella legge?</strong> <br /> "Io di certo so che, al di là dell'indulto, troviamo troppo spesso fuori persone che devono essere dentro. Forse c'è anche questo dietro la strage di Duisburg. Anche questa esperienza deve portarci a rafforzare la certezza della pena". <br /> <br /> <strong>E c'è un altro problema: gli arrestati di Treviso sono stranieri, ancora una volta dell'Est europeo. Questo riaccenderà le polemiche e rialimenterà l'ondata xenofoba, non crede?</strong> <br /> "Certo, anche questo problema esiste. La collaborazione tra noi e i rumeni è un modello di operatività e di efficienza che ci ha permesso finora di arrestare centinaia di delinquenti sul loro e sul nostro territorio. Ma qui c'è qualcosa di più inquietante. La presenza di criminalità rumena è uno dei maggiori problemi di sicurezza nel nostro Paese in questo momento". <br /> <br /> <strong>Enunciato il problema, bisognerebbe risolverlo.</strong> <br /> "E' quello che stiamo tentando di fare. Ogni cittadino comunitario può andare in un altro paese registrandosi all'anagrafe. Ma può farlo solo se ha i mezzi leciti di sostentamento. Se non li ha, viene rispedito a casa. E su questo, io ho già impartito ordini ben precisi alla polizia: accertare con grande attenzione la sussistenza di quei requisiti e di quei mezzi leciti di sostentamento. E in caso contrario procedere speditamente ai rimpatri". <br /> </p><p><strong>Tolleranza zero, legge e ordine. Con questi slogan, diranno che ormai il Partito democratico ha sposato a tutti gli effetti la dottrina Giuliani...</strong> <br /> <!-- do nothing --> "Da noi tutto diventa sempre dottrina, filosofia. Basta dire facciamo come ha fatto il sindaco di New York che lottò contro la microcriminalità e la sconfisse, per sentirsi dire: abbraccia la dottrina Giuliani. Lasciamo la dottrina e la filosofia a Kant, ai filosofi, e misuriamo le politiche sulla loro efficacia". </p><h3><span class="txt12"><em><em>di MASSIMO GIANNINI</em></em></span></h3><p>05/09/2007 </p><p> </p>