Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Giorgio TONINIhttps://www.openpolis.it/2012-07-29T00:00:00ZProvincia autonoma di Trento: «Gli accordi vanno rivisti, compresi i 9/10 delle risorse fiscali»2012-07-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647920<br />
Inutile continuare a inseguire il governo, la crisi ci deve imporre scelte drastiche.
<p>Il ragionamento è quasi obbligato. Ha senso, ogni giorno, correre dietro a questo o quello provvedimento del governo per cercare di metterci una pezza in extremis, il più delle volte passando per i soliti “egoisti” e, comunque, raramente ottenendo il risultato che ci si era prefissi? È utile continuare a schermarsi con il totem dell’Accordo di Milano per sostenere che certo, le Province non si tirano indietro di fronte alla necessità di partecipare al risanamento della finanza pubblica, ma che in sostanza Trento e Bolzano hanno già dato? Ma soprattutto: di fronte a una crisi finanziaria che non sembra conoscere tregua, che potrebbe durare ancora a lungo con conseguenze al momento non pienamente pronosticabili (e chissà, magari catastrofiche), è giusto continuare a fare riferimento alle norme sui rapporti finanziari tra Roma e le autonomie contenute nello Statuto? Non sarebbe invece il caso di ridiscuterle, quelle norme, di rivedere articoli, commi e soprattutto cifre? Detta più chiaramente: quella dei 9/10 delle risorse fiscali prodotte dal territorio trentino, e che qui poi tornano, è una quota tabù ieri, oggi e per sempre? Oppure, in tempi di recessione incalzante e di spending review che mai appare sufficiente, quella cifra va invece rivista (e ovviamente al ribasso) per poi ripartire da lì nel ridisegnare in toto la specialità trentina?
<p><b>A chiederselo è il senatore del Pd Giorgio Tonini</b>.
<p>E sull'Accordo di Milano di fine 2009: «Nei suoi equilibri finanziari è superato e va rivisto, poiché era stato sottoscritto prima del pieno avvento della crisi: oggi il contesto è troppo diverso da allora e, pur sempre attraverso il medesimo metodo pattizio, i contenuti non sono più al passo con i tempi. E per questo vanno aggiornati».
<p><b>L’analisi di Tonini:</b>
<p>La constatazione è che Stato e Provincia chiedono a loro stessi sempre di più in termini di risparmi. Mentre su tutto incombe l’obbligo del pareggio di bilancio nel 2013, impegno su cui a sua volta pesano i costi degli interessi sul debito pubblico, pari al 10% della spesa. Per non parlare del “fiscal compact”, il Patto di bilancio dell’Unione europea che a sua volta comporta per l’Italia la riduzione dell’eccedenza del debito di 1/20, pari in questo caso a 50 miliardi di euro l’anno.
<p>«Un’impresa titanica cui deve partecipare tutto il Paese. Nessuno capirebbe come due Province ricche come Trento e Bolzano possano chiedere di esserne esentate. Né peraltro lo fanno, poiché si limitano invece a chiedere di poterlo fare, legittimamente, sulla base di proprie scelte. I casi sono due: o continuiamo a rincorrere il governo e suoi colpi di mano, oppure dobbiamo cercare di ritrovare il filo del metodo pattizio. Del resto lo stesso Statuto prevede procedure semplificate per la modifica delle norme finanziarie: se c’è intesa non è necessaria una legge costituzionale, basta quella ordinaria».
<p>Possibile farlo entro fine legislatura? Più probabile che il tema alla fine passerà in eredità al nuovo Parlamento (e di pari passo al futuro Consiglio provinciale).
<p><b>Il punto:</b>
<p> «Gli accordi vanno rivisti, compresa la norma sui 9/10, che in questa fase secondo me non è più realistica, un domani chissà. La realtà è che già ora la Provincia dà allo Stato molto più del decimo che dovrebbe: quindi, invece che cercare ogni volta vie traverse, con dubbi risultati, meglio rinegoziare il tutto per vie dritte».<p>
<b>Intanto...</b>
<p>Nel 2013, alla presidenza della Provincia, sembra voglia candidarsi il presidente delle Acli trentine Arrigo DalFovo. L'attuale presidente, Lorenzo Dellai, è a fine mandato ma voci bene informate darebbero già allo studio una modifica dello Statuto per farlo ricandidare. (<i>ndr valter carraro</i> ) <p>
<b>Accordo di Milano</b> | 30/11/2009 | <a href="http://www.autonomia.provincia.tn.it/binary/pat_autonomia/storia_autonomia/Testo_Accordo_Milano_30_11_2009.1329219262.pdf"><b>Link al testo in formato .pdf</b></a><br />
L'Italia prima di tutto2012-07-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647674<br />
Può darsi, come ha detto Bersani, che suoni in modo sgradevole alle orecchie di molti (non credo la maggioranza) dei nostri militanti, ma la verità è semplice e, come si diceva una volta, rivoluzionaria. Il Partito democratico può vincere le prossime elezioni e dar vita ad un'esperienza di governo durevole ed efficace, ad una condizione precisa: dire la verità al Paese, a cominciare dai suoi stessi militanti, attorno a quella che ormai è stata battezzata come "Agenda Monti".
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La verità, semplice e rivoluzionaria, è la seguente: la crisi nella quale ci stiamo dibattendo non è una fase transitoria, di "emergenza", ma uno spartiacque, che ha mutato in modo irreversibile lo scenario internazionale e i termini della questione italiana. Per anni siamo cresciuti facendo inflazione. Poi facendo debito pubblico. Infine, entrati nell'euro, abbiamo usato il bonus derivante dai bassi tassi d'interesse per eludere la necessità di aggredire i nodi strutturali del nostro sistema, a cominciare dalla bassa produttività totale dei fattori, risultato di una cattiva qualità della spesa pubblica e di un mercato del lavoro duale.
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Ora non possiamo più allontanare il momento delle scelte, dell'assunzione determinata delle responsabilità. E non possiamo nemmeno più sperare nell'aiuto degli altri europei, indipendentemente dal fatto che siano governati dalla destra o dalla sinistra. I tedeschi non pagheranno il nostro debito al posto nostro, neppure se dovessero scegliere, nel 2013, un governo monocolore SPD. Per la banalissima ragione che sanno che noi italiani siamo più ricchi di loro, in termini di consistenza del nostro patrimonio privato, del patrimonio privato, all'80 per cento immobiliare, delle famiglie italiane. Dunque, dicono al di là delle Alpi, smettetela di invocare la nostra solidarietà. La solidarietà la si deve a chi è povero, non a chi è ricco e solo tanto male organizzato. Imparate a organizzarvi, ci dicono. E intanto mettete mano al portafoglio: usate il vostro spettacolare patrimonio privato (quello incautamente magnificato da Giulio Tremonti) per abbattere drasticamente il vostro debito pubblico.
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Questa è la verità, semplice e rivoluzionaria, che il PD deve riuscire a dire al Paese e ai suoi militanti. Il nostro governo proseguirà lungo la rotta tracciata da Monti e codificata nel trattato europeo "Fiscal compact": raggiungeremo il pareggio strutturale di bilancio entro il 2013 e cominceremo a ridurre il debito nella misura di un ventesimo l'anno del 60 per cento eccedente il tetto stabilito da Maastricht, in sostanza di una cinquantina di miliardi l'anno. Nel frattempo, metteremo in cantiere gli interventi necessari per innalzare il livello di produttività della spesa pubblica e di efficienza del mercato del lavoro. E vedrete che facendo questo, ridurremo e non aumenteremo le disuguaglianze sociali, che in gran parte sono esse stesse figlie della pessima qualità del nostro sistema, sia del settore pubblico che di quello privato.
Di conseguenza, selezioneremo i nostri alleati in ragione della condivisione, da parte loro, di questa semplice e rivoluzionaria verità. Mai più faremo infatti alleanze per vincere e non per governare. Come dice Bersani, noi siamo infatti il partito che mette "l'Italia prima di tutto".
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Può darsi che il PD non riesca a fare agli italiani questo semplice e onesto discorso. Ma dobbiamo sapere che in politica, come in natura, non esiste il vuoto. Qualcun altro e qualcos'altro, a quel punto, si candiderà per svolgere quella necessaria, imprescindibile, funzione nazionale.<br />
«In Veneto deve nascere una Lega democratica alleata del Pd» - INTERVISTA2008-11-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382617<br />
«Al Nord possiamo tenere testa al Pdl ma per vincere ci serve un partner con il peso del Carroccio»<br />
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Per battere il «doppio» del centrodestra (Pdl e Lega), il Pd ha bisogno di un altro giocatore al Nord, una specie di «Lega democratica». È l'opinione del senatore Giorgio Tonini, membro della direzione nazionale del Pd e responsabile dell'area Studi e Ricerca, considerato «vicinissimo» al leader Walter Veltroni.<br />
<b>Da Chiamparino, a Cacciari, a Dellai in tanti invocano il «partito territoriale». Come rispondono i vertici del Pd?</b><br />
«La discussione è aperta, a partire da un dato sotto gli occhi di tutti: al Nord esiste un problema di consenso per il Pd. Ne siamo ben consapevoli. Come siamo ben consapevoli del fatto che, a livello globale, si sta chiudendo una fase trentennale caratterizzata dall'egemonia del pensiero neoconservatore. Lo dimostrano la radicalità della crisi innescata da questa egemonia e la vittoria di Obama negli Stati Uniti. È quindi tempo di fare politica e di scommettere sull'innovazione, anche organizzativa».<br />
<b>Considerate la territorialità una risorsa o un limite?</b><br />
«È una condizione indispensabile per affermare i nostri valori. Gli obiettivi programmatici acquistano forza e significato solo con il radicamento nella società e nel territorio».<br />
<b>Al dunque, è pensabile «una struttura autonoma da Roma» con ampia facoltà di decidere?</b><br />
«Bisogna riflettere, ma forse può aiutarci l'esperienza trentina, che conosco in presa diretta. All'inizio pensavamo di costruire un partito autonomo con nome e simbolo propri che si confederasse con il partito nazionale, tant'è vero che alle primarie dell'anno scorso abbiamo votato solo per il segretario nazionale. Poi si è scelta una strada diversa: affiancare al Pd "autonomista" che abbiamo fatto nascere in Trentino un partito tipicamente territoriale come l'"Unione per il Trentino" di Dellai».<br />
<b>Lo ritiene uno schema valido per tutto il Nord?</b><br />
«Se - e sottolineo il se - dovessimo trarre un insegnamento dal caso di Trento, il modello da seguire sarebbe quello di una partita di tennis col "doppio". Al Nord il Pd ha che fare, al di là della rete, con due avversari: il Pdl e la Lega. Con il Pdl siamo assolutamente competitivi, ma non possiamo battere da soli due tennisti. A Trento è sceso in campo il "doppio" e abbiamo vinto».<br />
<b>Vi aspettate un bel «dritto» dal partito di Chiamparino e Cacciari?</b><br />
«Nei loro interventi vedo la giusta preoccupazione per il radicamento territoriale, ma a volte sembra di capire che tutto si risolverebbe spaccando il Pd in tre parti: Nord, Centro e Sud. Non mi pare una buona idea, soprattutto perché il Nord è una realtà plurale e si rischia di sostituire al centralismo di Roma quello di Milano. Secondo me dovremmo innanzitutto costituire un coordinamento del Nord, come luogo nel quale discutere con il partito nazionale, e poi, visto che non incombono elezioni generali, provare a sperimentare soluzioni che partano dal basso. In alcune realtà può bastare una più marcata autonomia del Pd regionale. Per esempio in Piemonte: il Pd a Torino sfiora da solo la maggioranza assoluta. Altrove, e forse è il caso del Veneto, si potrebbe seguire il modello del Trentino e vedere se è possibile trasformare l'arcipelago di liste civiche ed esperienze territoriali in un embrione di "Lega democratica". La discussione va portata avanti senza chiusure da parte di Roma, ma anche senza innamorarsi di formule solo apparentemente risolutive».<br />
<b>Allora perché vietare ai democratici lombardi di chiamarsi «Pd della Lombardia»?</b><br />
«Se i garanti hanno detto di no, è forse perché non potevano dire di sì. Se servono modifiche statutarie che rendano possibile l'accentuazione dell'autonomia, ben vengano. Peraltro lo Statuto del Pd prevede addirittura "patti confederali" tra il partito nazionale e partiti con nomi e simboli diversi».<br />
<b>«Conquistare» il Nord vuol dire soprattutto parlare ai ceti moderati: serve guardare al centro, all'Udc?</b><br />
«L'attenzione a possibili alleanze verso il centro è utile, ma sarebbe sbagliato credere che il gioco delle alleanze possa esonerare il Pd dall'obbligo dell'innovazione».<br />
«Attenti, non è un capo fazione» - Intervista2008-07-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it358315<br />
«Basta scambiare la Costituzione immaginaria con quella reale, per tirare la giacca a Napolitano», il lodo Alfano «può essere criticato anche duramente, ma non per questo diventa illegittimo». Giorgio Tonini, esponente dell’esecutivo Pd e ascoltato consigliere di Walter Veltroni, respinge senza esitazioni gli attacchi al presidente della Repubblica per la firma allo «scudo processuale» per le alte cariche.<br />
<b>Senatore Tonini, il direttore dell’Unità, giornale assai vicino al Pd, e il vostro alleato Di Pietro contestano quella firma.</b><br />
«Napolitano è persona di grande moralità, equilibrio e saggezza, e pochi come lui possono gestire passaggi delicati come quello che viviamo. La Costituzione peraltro non affida al Presidente alcun giudizio di merito sulle leggi, ma un visto di legittimità. Solo un’incostituzionalità palese del testo potrebbe spingerlo a rinviarla al Parlamento, e attenzione: solo a rinviarla, perché poi il Parlamento potrebbe anche riapprovarla così com’è».<br />
<b>Sia Padellaro sia Di Pietro chiedono però al Presidente di farsi carico del «disagio» di una parte dell’opinione pubblica.</b><br />
«Sarebbe un grave errore, e un enorme danno, se il presidente venisse percepito come un uomo di parte che forza i suoi giudizi di legittimità in base a orientamenti politici: verrebbe meno un prezioso punto di equilibrio. È sbagliatissimo chiedere al capo dello Stato di mostrarsi un capo fazione fino a forzare la sua funzione istituzionale. E poi starei molto attento a evocare l’opinione pubblica come fanno loro...».<br />
<b>In che senso, senatore Tonini?</b><br />
«Sbaglia chi si erge a rappresentante del sentire popolare. Sul rapporto tra giustizia e politica, l'elettorato italiano è molto diviso: leggessero la rigorosa indagine di Ilvo Diamanti, che registra non solo l'ulteriore riduzione di popolarità della magistratura, ma anche la sensazione largamente maggioritaria che sia un ordine fortemente politicizzato e poco sereno. Una sensazione prevalente non solo nel centrodestra, sottolineo, ma anche a sinistra».<br />
<b>Di Pietro però non smette di cavalcare il giustizialismo e di attaccare il capo dello Stato.</b><br />
«Mi pare che la sua battaglia abbia l’unico obiettivo di intercettare pezzi di elettorato Pd, senza curarsi dei costi per il sistema. Non mi pare un buon modo di fare opposizione e di lavorare per la democrazia. Io ho votato convinto contro la legge Alfano, che contiene molte incongruenze e risente della fretta con cui è stata varata. Resta un dubbio sull’opportunità di una sua copertura attraverso legge costituzionale, e sarebbe certo stato più opportuno ragionare di scudo verso eventuali abusi giudiziari in modo più pacato e non in rapporto così evidente con le vicende di Berlusconi, in un clima costituente. Ma non per questo la giudico illegittima, in base a una Costituzione più immaginaria che reale».<br />
<b>Intanto vicende giudiziarie o di malcostume giornalistico stanno colpendo anche il Pd: dall’arresto di Del Turco al caso Tavaroli. Come incidono sul vostro atteggiamento?</b><br />
«Il nostro stile non cambia: esprimo la mia ammirazione per l'equilibrio con cui Del Turco ha reagito a una prova così difficile. E la protesta di Fassino contro le calunnie riportate da Repubblica non intacca la fiducia nella libertà di stampa. Da una parte però c’è un abuso del diritto di cronaca che lede la rispettabilità delle persone, dall'altra una sproporzione tra l'arresto e la fondatezza di accuse tutte da dimostrare. E questo finisce per costituire combustibile prezioso per chi nel centrodestra vuol condurre campagne contro la magistratura e la libertà di stampa. Eventuali errori giudiziari porterebbero clamorosi argomenti a chi vuol ridurre l'autonomia dei magistrati. Che, come i giornalisti, devono ricordarsi che la libertà è un concetto inscindibile dalla responsabilità, e l'uso irresponsabile della libertà porta storicamente a una sua restrizione».
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La lotta contro la «trappola» della precarietà è fatta di pesi e contrappesi2008-02-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it330729"La lotta contro la «trappola» della precarietà è fatta di pesi e contrappesi: non c’è l’ipotesi di contratto unico avanzata da Pietro Ichino. Anzi, il contrario: forti incentivi a chi assume a tempo indeterminato e contratti atipici di massimo due anni. Chi non stabilizza ha delle «penalizzazioni» in una contribuzione più alta e un compenso maggiore da erogare (da trattare con il sindacato)."