Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Giulietto CHIESAhttps://www.openpolis.it/2012-10-22T00:00:00Z100 Rubli e 100 Dollari (in metropolitana a Mosca)2012-10-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656325<br />
Sono in fila, nella stazione Kropotkinskaja del metro di Mosca. Sto contando i rubli necessari per comprare un biglietto. Costa 28 rubli, ma io sono disordinato e tengo sempre monete e banconote nella stessa tasca. Così tiro fuori una manciata di soldi, a caso, con il risultato che un biglietto da 100 rubli cade a terra.
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Non faccio a tempo a chinarmi a raccoglierlo. Un uomo si precipita più velocemente di me. Afferra la banconota, e me la porge con un gesto gentile e umile al tempo stesso.
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Ha una barba incolta, ma non lunga, arruffata, con qualche filo bianco. Il viso è largo, scavato, russo come quello dei marinai della Corazzata Potiomkin. L’avevo notato distrattamente, con la coda dell’occhio, mentre mi guardava con intenzione. Io l’avevo catalogato frettolosamente come un candidato mendicante. Cioè come un mendicante che non si è ancora esplicitato come tale. O, peggio, come uno di quelli che colgono l’occasione, cercano il pollo, lo studiano con cura e poi colpiscono. Ce ne sono anche a Mosca, e la Kropotkinskaja, proprio vicino alla Chiesa del Salvatore, è un posto tra i più adatti per i polli.
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L’occasione gliel’ho offerta io, mostrandogli quel fascio di banconote. Penso che un tempo una cosa del genere non sarebbe stata semplicemente possibile. Parlo dei tempi sovietici, ormai così lontani che nessuno se ne ricorda più. Almeno in Occidente. Adesso l’omogeneizzazione, l’amalgama globalizzatore, è tale che i mendicanti, i borseggiatori, i poveri diavoli si vedono con la stessa triste intensità di ogni capitale del mondo. Mosca non fa più eccezione.
<p>Non è che allora non ci fossero i miserabili. C’erano, ma non si vedevano. Erano di meno comunque, erano diversi. Quando si vedevano venivano semplicemente e velocemente tolti alla vista, come si faceva con gli ubriachi, specie d’inverno, perché non morissero assiderati….
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Ma lui, questo, i 100 rubli me li ha rimessi in mano. E l’anomalia dev’essere spiegata.
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Sarà lui stesso a togliermi l’interrogativo dalla testa. Il mio biglietto spegne il rosso e mi fa accedere lungo lo scalone mobile e velocissimo che mi sprofonda nelle viscere, ai treni che portano alla Biblioteca Lenin, e poi alla Tverskaja. E lui mi segue. Anzi, mi affianca. Non è spavaldo, continua a tenere il capo un po’ piegato sulla spalla sinistra, che gli dà un aspetto tra il curioso e il timido. Ma testardo.
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“Lei è uno straniero, vero?” Ovvio che mi ha riconosciuto. Non conosco straniero che possa mimetizzarsi, in Russia, anche se sta zitto. Basta un paio di scarpe, una cravatta. Mille dettagli ti tradiscono. Posso solo dire che, con il tempo, sono diventato io stesso come loro. Nel senso che sono in grado di riconoscere un russo – meglio ancora una russa – a trecento metri di distanza, quando sono in un qualche posto fuori dalla Russia. Dunque siamo pari. Ed è l’unico senso in cui possiamo essere pari. Sto sulle mie. Curioso anch’io. Ma che vuole?
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“Mi fa piacere incontrare un italiano. Proprio oggi ho composto una poesia sul mare di Crimea. Voi avete un mare bellissimo. Posso dirglielo, anche se l’ho visto solo al cinema. Le va se gliela recito?”
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Adesso penso che non siamo pari, niente affatto pari. Come avrà fatto e sapere che sono anche italiano, oltre che straniero? Glielo dico. “Lei ha una faccia nota”, risponde laconico. E comincia a recitare la sua poesia. Io uno scalino di sotto, lui uno scalino di sopra, a voce bassa. Parla e canta, come fanno i russi quando recitano poesie. I versi sono zampillanti, veloci, ironici. Non so se ho capito tutto, ma non importa: mi piacciono. Mi piace come li recita. Il viaggio sarà lungo, c’è un passaggio di stazione, un largo corridoio affollato, che procede come un fiume scuro, che ignora la nostra presenza. E lui recita, una seconda poesia, poi una terza. S’interrompe, per timidezza, solo quando prendiamo il secondo convoglio. E’ pieno di gente e, forse, non vuole essere ascoltato. Infatti recita solo per me, per lo straniero, per l’italiano che si porta dietro il suo mare. E’ un regalo? E perché mai dovrebbe farmi questo regalo? Non ho risposta. Ascolto. Diffidente. Questa è una trappola, anche se non vedo da dove potrebbe venire il pericolo. Oppure è un pazzo, banalmente, che vuole parlare, comunicare, sfogarsi.
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La Tverskaja con i suoi marmi sontuosi, ci accompagna verso l’uscita. Questa volta io sono sullo scalino superiore e lui, sullo scalino di sotto, ancora mi propone dei versi. “Questa è di Esenin, la conosce? Shaganè, ty mojà, Shaganè, potomu, chto ja s severa, chto li…”. S’interrompe. “No, dovrei recitare dei versi di Pushkin. Qui fuori, sulla piazza, c’è il suo monumento”. Ci ripensa. Riprende Esenin. Come avrà fatto a sapere che è una delle poche poesie russe che un pò conosco? Mistero, un caso.
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“Lei, come si chiama?”, gli chiedo. “Boris”- risponde – Boris Mikhailovic”. E non aggiunge altro. <p>
La scala mobile è ancora lunga. E io non ho ancora capito cosa sta succedendo. Penso che dovrei ringraziarlo. In effetti mi sento in debito. Questo Boris, mi ha regalato mezz’ora di musica, che non gli avevo chiesto.
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“Ha un telefono, Boris Mikhailovic? Magari domani possiamo fare colazione insieme, che ne dice?” Scuote la testa, sorride. “Il telefono ce l’ha mia moglie, ma io non vivo più da lei. Ma non importa, è stato un piacere per me”. Lo guardo meglio. La giacca è logora. I bordi delle maniche, appoggiate sul passamano, sono palesemente lisi. <br />
Forse gli potrei fare un piccolo regalo, così per ricambiare.
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Infilo la mano nella solita tasca disordinata. Là dentro ci sono, oltre ai rubli, anche quel pò di dollari che bisogna portarsi dietro, non si sa mai. L’intenzione è di dargli 100 rubli. Penso che varranno sì e no, per comprarsi un hot dog sulla Piazza Pushkin. Sono meno di tre euro. Con i tempi che corrono non ci sta neanche un hot dog. Meglio duecento. Ma non escono duecento rubli, escono cento rubli e cento dollari. Glieli porgo, un po' rammaricato. Ma non oso trattenere la mano. Dietro di me c’è l’intero mare d’Italia. Ho di fronte la Poesia, non Boris Mikhailovic.
<p>Accidenti! Cento dollari sono tanti per cinque poesie! Mi sono fregato da solo. Lui, sorridendomi dal basso verso l’alto, mi afferra la mano, guardandosi intorno in fretta, che nessuno abbia visto. E me la chiude nella sua. <br />
<b>“Non ho bisogno di nulla. Era un regalo”.</b>
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Poi sparisce in mezzo alla gente, senza darmi nemmeno il tempo di riavermi, di dargli il mio numero di telefono, di dirgli addio. <br />
Ultime notizie dalla Russia2012-10-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it655658<br />
Dice un mio vecchio amico russo che, nonostante tutto, i russi continuano ad amare l’Occidente.<br />
“Nonostante tutto”?, chiedo io. Risponde sorridendo un po' imbarazzato. <br />
“Nonostante tutto quello che è successo dalla caduta del muro in avanti. Ci avete preso a schiaffi. E adesso siamo pieni di nostalgia”.<br />
Mi verrebbe da chiedergli “nostalgia di che cosa?”, ma non lo faccio. Capisco che quello è un altro modo per dire che si possono amare due cose opposte nello stesso tempo, oppure due persone diversissime tra loro, contemporaneamente. Insomma: se stessi e gli altri.
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Del resto, loro (donna e uomo della strada, come si usa dire) pensano che in Europa si vive molto meglio che in Russia: meglio protetti, se non proprio più ricchi (è ormai il caso di dire), dalla corruzione, dagli abusi di potere, dal brutto in generale. Anche l’estetica vuole la sua parte.
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Ma questo apre il varco a una seconda mia interiezione: di che si parla qui? Dell’Europa, o dell’Occidente in generale? La risposta è imprevista, almeno per me che ho visto con i miei occhi l’ubriacatura russa per l’America degli anni di Boris Eltsin, appena dieci anni fa: “Parlo dell’Europa, che è ormai diventata un magnete di attrazione, ben più dell’America”. E questo vale per tutti, per l’oligarca che sbarca a Londra ogni settimana, o a Parigi, o a Berlino; per il turista della classe media che scende a Roma e a Madrid per fare shopping, o a Cipro, per mettere i soldi in banca, o a Creta, per fare i bagni.
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Gli oligarchi “grossi”, insieme all’alone rutilante di ricchezza che li avvolge, fanno sosta a Londra per controllare l’arrivo – cioè il passaggio – dei loro miliardi verso gli off-shore britannici. Oppure a Ginevra e Zurigo, per le altre rotte monetarie.
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Tutte forme di amore che promana dall’affinità, una prova ulteriore che, spiritualmente, emotivamente, culturalmente, finanziariamente, la Russia è parte dell’Occidente, e dell’Europa in particolare.
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C’è però un “ma”, che richiede qualche postilla, dico io, perché è certo vero che i Russia amano l’Europa, ma l’Europa non ama i russi. <br />
E questo è un problema. Perché prima si poteva pensare che non li amasse perché erano comunisti. Ma adesso, che comunisti non lo sono più, come spiegare?
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Non li ama, è vero, a geometria variabile, cioè chi più, chi meno; chi disprezza e chi odia, chi diffida e chi teme. Tutti fraternamente uniti a chi irride con spocchia a tutte le innumerevoli, insopportabili “qualità” che i russi, con grande liberalità, spargono a piene mani sui vicini.
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La geometria variabile dell’ostilità, per altro, è tutta di misurare anche dall’alto verso il basso, non essendo affatto chiaro quanto sia grande quella dei popoli, rispetto a quella (evidente) dei governi, e viceversa. Certa è una cosa (anche stando ai risultati dell’Osservatorio Europa): che i governi, per esempio di Estonia, Lettonia e Lituania sono più avversi alla Russia (dei russi non gl’importa niente) di quanto non lo siano i rispettivi popoli. Idem per la Polonia, dove un recente studio sociologico ha dimostrato che i polacchi sono assai meno ostili ai russi di quanto non lo sia, per esempio, il sistema dei media polacchi.
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Il che fa pensare che ci sia chi gioca su sentimenti ostili preesistenti, prodotti dalle difficili storie reciproche, alimentandoli artificialmente per scopi politici ben precisi, il primo dei quali è quello di mantenere la più alta possibile tensione tra Russia ed Europa.
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Insomma, andiamo così ragionando, io e l’amico russo, davanti a una tazza di tè, soppesando i diversi vettori in campo. Conveniamo che c’è un certo décalage nei tempi e nei ritmi. Per esempio i russi non si sono ancora accorti della crisi che ha investito l’Occidente. E, quando ci pensano, sono inclini a considerarla come una stranezza transitoria, che presto lascerà il passo alla meravigliosa normalità dell’Impero del Bene.
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Non sono disposti a credere che l’amata si stia rivelando ben diversa dalla pulzella illibata che credevano. La crisi americana, poi, non la vedono per niente, essendo il dollaro, per quasi tutti, l’unità di misura eterna del pianeta, una lunghezza più granitica del metro di Parigi, un peso più universale del chilogrammo, sempre di Parigi. E’ noto che gli innamorati non vedono i tradimenti.
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Non manco di far rilevare al mio amico queste considerazioni non marginali. Le vede anche lui, come molti russi, ma le sopporta con insofferenza. Per cui, a un certo punto, sbotta: “Ma insomma! Chi dovremmo amare, allora? Dall’altra parte c’è solo la Cina. E ti pare che potremmo amare l’Opera di Pechino? Non ci capite niente voi, non pretenderete che ci capiamo qualcosa noi!”
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In effetti, così al volo, non saprei cosa rispondere. Mettersi ad amare la Cina non è facile per nessuno. Specie ora che incombe su di noi. A occhio e croce non sembra che neanche loro ci amino, sebbene non abbiano uno sguardo arcigno. Piuttosto si direbbe che ci guardino con una specie di sorriso enigmatico. Semplicemente noi non conosciamo loro e loro sono un continente.
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E, comunque, amare chi non si conosce è impossibile per definizione. Poi, riflettendo meglio (ma il mio amico russo se n’era già andato), mi è venuta una risposta. Forse non c’è bisogno di amare qualcuno, o qualcosa, a tutti i costi.
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Il fatto è che i russi non possono fare a meno di amare qualcuno. Perché soffrono da sempre, da Pietro il Grande, di un grande senso d’inferiorità, per il quale hanno coniato una parola speciale e difficile da tradurre: “chuvstvo nepolnozennosti” (sentimento d’inadeguatezza?). Che è una cosa molto contradditoria e da maneggiare con cura, perché se la lisci contropelo, i russi si arrabbiano molto. Come spiegò molto bene Aleksandr Pushkin , il loro vate, scrivendo una lettera a Viazemskij, il 27 maggio 1826, mentre andava da Pskov a Pietroburgo: “Io, ovviamente, disprezzo la mia terra dalla testa ai piedi, ma mi diventa insopportabile se uno straniero condivide con me lo stesso sentimento”.<br />
Per salutare Adalberto Minucci2012-09-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650371<br />
Ho imparato a misurare i dirigenti politici in base, anche, alle persone che frequentano e che scelgono come loro collaboratori. Funzionò con Mikhail Gorbaciov, quando scopriii che il suo braccio destro era Anatolij Cerniaev. Lo avevo conosciuto. Sapevo quanto valeva. La scelta di Gorbaciov, di averlo come suo aiutante di campo, mi aiutò a capire chi era Gorbaciov. In anticipo.
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La stessa cosa valse per Enrico Berlinguer. Sapevo chi era Berlinguer e non avevo bisogno d'altro. Ma in quel caso fu l'incontrario. La scelta di Berlinguer mi fece conoscere Adalberto Minucci. Prima ancora di frequentarlo e di diventarne amico, capii che, se era stato scelto da un uomo come Enrico Berlinguer, doveva valere.
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Le conferme vennero dopo. Valeva. Valentino Parlato ha scritto che era un "poeta del comunismo". Condivido in pieno. Fu anche onesto e sincero dall'inizio alla fine. Un miracolo in un'epoca di tradimenti, vigliaccherie, miserie, fu davvero un miracolo restare se stessi. E fu davvero un miracolo continuare a studiare, come fece Adalberto, fino alla fine. Perfino quando nessuno gli chiedeva più di farlo, e nessuno leggeva quello che scriveva. Per altro mille volte più intelligente delle imbecillità che a sinistra si sono dette e scritte in quest'ultimo decennio.
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Non lo vidi mai sopra le righe. Si arrabbiava, certo, quand'era il caso. Ma restava preciso, puntuale, senza sbavature. Un esempio di quadro politico del Partito Comunista, un insegnante per generazioni. Per me lo è stato e, di questo gli sarò grato per sempre.
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Poi, più vecchi, lui ed io, avemmo la ventura, curiosa, ma anche tutto sommato divertente e istruttiva, di essere licenziati entrambi da un giovanotto che ci aveva sfilato da sotto il naso (con la destrezza di chi ha i soldi non guadagnati) la rivista Avvenimenti, di cui Adalberto era direttore e io condirettore, su sua proposta.
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Quel giovanotto aveva due mentori e un amico. Il primo mentore era un certo Fagioli, con contorno di fagiolini. L'altro era Bertinotti. L'amico adesso imperversa nei talk show interpretando la figura dell'uomo di sinistra moderato. In realtà in cerca di stipendi per comprarsi il pettine con cui tenere a bada il ciuffo: unica cosa ribelle che gli è rimasta. Avvenimenti è diventato Left ed è di sinistra più o meno come Soros è un filantropo.
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Essere licenziati da quella compagnia fu un onore, dunque, quasi una medaglia. Sono contento di averla presa insieme a Adalberto.<br />
Adesso Adalberto non c'è più. Se n'è andato un giusto, che ha distribuito intelligenza e Bene, spendendosi per gli altri. E quello che ha seminato, anche se non si vede, resterà.<br />
L'esproprio della Democrazia - INTERVISTA2012-08-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it649955<br />
L'ipotesi di riforma della legge elettorale con una soglia del 5% è un tentativo di stroncare sul nascere l'ascesa di nuovi protagonisti politici. Il principale responsabile è il Pd, in combutta con il Pdl. Bisogna contrastare questa truffa con una sollevazione popolare.
<p><b>Diverse ipotesi a vaglio per la riforma della legge elettorale attualmente in vigore. Come si muoveranno i partiti secondo Lei?</b>
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«Da quel che vedo, è in corso un nuovo grave tentativo di sottrarre agli italiani la possibilità di decidere chi li governerà. Questo tentativo viene inequivocabilmente dal Partito Democratico, che è il principale responsabile di questa truffa imminente e dal PDL, che sono evidentemente in combutta per togliere agli Italiani ogni possibilità di decidere.
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Stabilire una barriera del 5%, che pare l'unica cosa certa al momento, con tutta una serie di variazioni sul tema, incluse le percentuali regionali che dovrebbero essere raccolte, fa pensare in tutti i casi che si voglia eliminare ogni possibilità di apparizione di nuovi protagonisti elettorali, a iniziare dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, ma non solo. Questi progetti di legge sono tutti funzionali a escludere tutti gli altri partiti, che sono milioni di persone, dalla possibilità di accedere al Parlamento.
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Ora, io considero questo un evento di una gravità senza precedenti, addirittura peggiore del famoso porcellum, cioè della legge elettorale che abbiamo attualmente in vigore. E' una vera e propria organizzazione criminale della casta, che sta espropriando illegalmente i cittadini della democrazia rappresentativa. Questo è lo stato delle cose. La questione vera che abbiamo di fronte è: riusciamo a impedirglielo?
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Il problema si pone in questi termini: una minoranza della popolazione italiana e dei suoi rappresentanti sta cercando di scippare la democrazia alla maggioranza. Si va verso la fine di un sistema e l'introduzione di un nuovo che con la democrazia non avrà più nulla a che fare. Di fronte a questa illegalità io credo che bisogna studiare le forme per ripristinare la legalità e questo si potrà fare solo con una vera e propria sollevazione popolare di massa. Per questo, faccio un appello a una sollevazione popolare contro questa casta politica».
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<b>Lei menzionava il porcellum. Perché fu fatta quella legge, e non un'altra?</b>
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«Per le stesse ragioni per cui è stata fatta questa. Il porcellum doveva impedire agli italiani e agli iscritti dei partiti esistenti, di intervenire sulle decisioni delle segreterie. E' stata la seconda tappa espropriativa dopo l'introduzione del sistema maggioritario, che è stato l'inizio della gigantesca truffa antidemocratica in cui stiamo vivendo.
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Quindi: primo, passaggio al maggioritario con la scusa della governabilità; secondo, tutte le varianti del porcellum; terzo, oggi un vero e proprio atto eversivo che si presenta però con la faccia della legalità, perché verrebbe deciso da un Parlamento che non rappresenta niente altro che se stesso. Tutto questo naturalmente è giocato su un equivoco di base che è il discorso sul bipartitismo. Ci hanno voluto imporre un bipartitismo che non ha nulla a che vedere né con la storia né con l'esperienza né con la realtà del popolo italiano. Hanno voluto imitare la Gran Bretagna con il suo bipartitismo o gli Stati Uniti: sono due forme di totale espropriazione della volontà popolare! Vogliono fare la stessa cosa in Italia in una situazione in cui non c'è nessuna condizione per poterla realizzare. Questo si è trasformato, come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in un inciucio, cioè in una truffa elettorale e politica ai danni dei cittadini».
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<b>Anche il Capo dello Stato sollecita la riforma. Quali partiti si avvantaggeranno della modifica e quali no?</b>
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«Solo due si avvantaggeranno, di fatto: il Pd e il Pdl. Gli altri saranno costretti a coalizzarsi e quindi di fatto resterà un terzo possibile polo rappresentato dall'IDV di Di Pietro e probabilmente da Sel, lasciando in un angolo Grillo, che in queste condizioni potrebbe rappresentare, credo, un notevole successo elettorale con una quindicina di seggi. Tutti gli altri fuori, e sono moltissimi, milioni, che saranno comprabili, variamente riconducibili alle case madri che vorranno ripristinare il loro bipartitismo. Questa è, ripeto, una gravissima lesione del corpo democratico del Paese ed è palesemente incostituzionale. Io non so che cosa voglia il Presidente della Repubblica, ma i suoi appelli mi pare che siano del tutto privi di sostanza».
<br />Gore Vidal, il più americano degli americani2012-08-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648073<br />
Non mi piacciono i necrologi. In genere costringono chi li scrive a parlare bene del morto, cioè non sono sinceri, quali che fossero le sue qualità. Meno che mai mi piace scriverne quando chi se n’è andato era un mio amico, e caro.
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Ne parlo, in morte, per ricordare le cose più importanti che ha scritto. Per me Gore Vidal è stato l’equivalente, nel secolo XX, di quello che fu Alexis de Tocqueville nel XIX. Se quest’ultimo descrisse la nascente democrazia americana, Gore Vidal è stato il più lucido, acuto, implacabile analista della sua fine. Per meglio dire, della sua trasformazione in “impero”.
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Alcuni libri suggerisco, a chi voglia misurare la sua grandezza come scrittore:<br />
“Impero”, per l’appunto, e “Giuliano”, e “L’età dell’oro”. I suoi saggi sulle trasformazioni che la televisione, e il sistema dei media, hanno prodotto sulla democrazia, frantumandola e trasformandola in cerimoniale al servizio delle élites dominanti, sono quanto di più brillante e corrosivo si possa immaginare. Per quanto mi riguarda è stato un grande maestro, alla cui lezione ho attinto e continuo ad attingere.
<p>Penso che quanti più giovani lo leggeranno, tanto più grande sarà il drappello di menti critiche capaci di difendersi dall’aggressione che il mainstream scatena nei nostri confronti. Non solo quello americano, anche il nostro, ma quello americano è il padre del nostro. <br />
“I mass media – scrisse – disprezzano a tal punto la gente da ritenerla più stupida di quanto siano i mass media”.
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Quando, come spesso mi accade, mi sento apostrofare come anti-americano, io penso sempre che Gore Vidal era il più americano degli americani che ho conosciuto. Amava il suo paese, la grandezza dei suoi padri. Lui stesso era uno dei rami dell’unica élite che ha dominato l’America, da Abramo Lincoln in poi. Ramo senza discendenza, senza foglie, ma ramo dritto, che non si è piegato all’alterigia della casta di cui faceva parte.
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Voglio ricordare che fu uno dei pochissimi grandi intellettuali americani che considerò una menzogna la versione ufficiale della tragedia dell’11 Settembre 2001. E lo disse pubblicamente. Non lo ringrazierò mai abbastanza per avere accettato di essere uno dei testimoni del film “Zero”, al quale ho dedicato tanto lavoro in questi anni.
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In America lo ha sempre letto quel milione circa di americani intelligenti che voleva sapere qualche cosa. Il sistema non poteva omologarlo e lo confinò nel limbo più piccolo che potè. Ma quando una personalità è grande non la si può ridurre, comunque, in un angolo. L’America non ama da tempo di sentirsi dire la verità. E colui che, tra i primi, ne scrisse l’epitaffio, non poteva essere profeta in patria. E’ con questo epitaffio che saluto il mio amico Gore Vidal:<br />
“… quella audace e vanagloriosa invenzione dell’Illuminismo che erano gli Stati Uniti, una regione selvatica destinata a sognare per sempre di essere un’Atene risorta, quando invece si tratta di una Roma ricreata con ostinazione e grossolanità”.<br />
Siria, manipolazione e guerra2012-07-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648074<br />
Seguo con particolare attenzione gli sviluppi preparatori di alcune guerre, le prossime. Si tratta di Siria e Iran, due bersagli chiarissimi. Lo faccio perché sono certo che avranno effetti diretti sulle nostre vite e su quelle dei nostri figli.
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Per questo uso le fonti migliori disponibili e, tra queste, proprio quelle di coloro che preparano la guerra. In genere sono bene informati.
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L’ultima – che qui commento – viene dal New York Times del 21 luglio scorso. <br />
Lo includo tra i fautori della guerra a pieno merito perché questo giornale è stato da sempre una delle portaerei del “sistema americano”. E perché in questo caso ci descrive con abbondanza di particolari come un gruppo di criminali (il vertice degli Stati Uniti d’America) sta violando tutte le regole della convivenza internazionale.
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Di questa informazione dovremmo essergli – e gliene siamo – grati.<br />
Dove invece ne denunciamo la più vergognosa delle connivenze è nel fatto che gli autori dell’articolo (Eric Shmitt e Helene Cooper), non meno del direttore di quel giornale, ci presentano l’azione criminale come se fosse normale, ineccepibile, inevitabile, accettabile dunque.
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Andiamo con ordine con le distorsioni: “L’Amministrazione Obama ha per il momento abbandonato gli sforzi per un regolamento diplomatico del conflitto in Siria”. Notare le diverse finezze inscatolate in una sola riga. Il “per il momento” lascia pensare che, dopo, forse, ci ripenserà. Poi notate “gli sforzi” per un “regolamento diplomatico”. Cioè il lettore deve pensare che, fino ad ora, lo sforzo di Obama è stato per un “regolamento diplomatico” è che solo ora questa idea è stata “abbandonata”.
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E’, naturalmente, una palese falsità. E non lo dico io. Lo dice il New York Times nella riga successiva, comunicandoci che Obama “sta aumentando l’aiuto ai ribelli e raddoppiando gli sforzi (letteralmente, ndr) per costruire una coalizione di paesi concordi ad abbattere con la forza il governo del presidente Bashar al-Assad “.
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Dunque se “sta aumentando” vuol dire che l’aiuto ai ribelli già c’era. Cioè che gli Stati Uniti stavano già violando la Carta dell’Onu e tentavano di sovvertire dall’esterno un paese sovrano. Adesso dice che “raddoppiano gli sforzi”. Cioè da oltre un anno gli USA stanno conducendo una guerra per interposta persona contro la Siria e l’ineffabile New York Times (con il codazzo di giornali e telegiornali italiani) ci spaccia che quello che è avvenuto fino ad ora era per un “regolamento diplomatico”.
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Si trattava e si tratta, dunque, di un progetto di “abbattere con la forza” un governo. Prosegue il NYT (citando fonti dell’Amministrazione) con l’annuncio che ci sono stati “colloqui con la Turchia e Israele sul tema della gestione del collasso del governo siriano” e, anzi, si fa capire che potrebbe essere affidato proprio ad Israele il compito di “distruggere i depositi di munizioni”. Nel frattempo i tagliagole libici di Al Qaeda, portati in Turchia da aerei inglesi, americani e francesi, estendono la guerra, mentre i servizi segreti dei paesi di cui sopra mettono le bombe a Damasco facendo saltare in aria, uno ad uno, i generali di Bashar. Cioè organizzano il terrorismo.
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L’Amministrazione – scrive pudico il NYT – non fornirà armi alle forze ribelli, anche perché lo stanno già facendo egregiamente tre campioni della democrazia occidentale come la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita. In compenso Washington “fornirà istruzione tecnica e equipaggiamento per le comunicazioni” per accrescere la capacità di combattimento delle opposizioni”. Si presume con corredo di detonatori e di esplosivi. Infatti è previsto anche “un supporto di intelligence”.
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Come si vede tutto molto diplomatico.
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Aggiungo una notazione che piacerà molto ai debunkers dell’11/9. “Noi stiamo puntando ad una demolizione controllata del regime di Assad”, ci rivela Andrei J. Tabler dell’Istituto per la politica del Vicino Oriente, di Washington. E poi aggiunge, prudentemente: “Ma, come in qualunque demolizione controllata, c’è sempre qualcosa che può andare storto”.
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Appunto: qualcuno se ne accorge, com’è avvenuto con le tre “controlled demolitions” dell’11 Settembre 2001.
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Peccato che Russia e Cina, i cattivi, non accettino di prendere parte a queste “iniziative diplomatiche”. Washington vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Abbattere e uccidere (certo, uccidere) Bashar, e avere un bel regime amico in Siria. E vorrebbe che tutti fossero d’accordo con il piano. Anche se poi, crollato Bashar, arriveranno al potere i tagliagole, com’è avvenuto in Libia.
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Ora prepariamoci a vedere una parte dell’ex campo pacifista italiano applaudire l’ingresso a Damasco delle forze liberatrici arabo-saudite.
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E pensare che c’è perfino qualche Pulitzer in erba italiano che continua a scrivere, imperterrito, che gli Stati Uniti sarebbero preoccupati per una eventuale caduta di Assad. Il compianto prof. Cipolla ci ha lasciato le sue leggi fondamentali della stupidità umana. La prima era questa, da tenere presente: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi che ci circondano”.<br />
Il 2 giugno non si tocca, la benzina sì2012-05-31T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it641079<br />
L'aumento delle accise sul carburante e il mancato stop alle parate del 2 giugno non sono una coincidenza. La gente che ci governa vive in un'altra dimensione. E i cittadini pagano.
<p>Il nostro Paese è attraversato da una grave crisi, ma più che una crisi finanziaria credo si tratti di una crisi morale. La vicenda della parata del 2 giugno, difesa dal <b>peggior Presidente della Repubblica che noi abbiamo avuto da quando esiste la Repubblica</b>, ne è esempio.
<p>Questa parata poteva perfettamente essere sospesa, rinviata, annullata. E invece si getteranno via milioni di Euro in un'impresa autocelebrativa che non ha assolutamente nulla da dare alla gioventù di questo paese. Una manifestazione che non ci dà assolutamente niente. Siamo di fronte a un dramma umano, politico, collettivo. Siamo incapaci di fermare una macchina che abbiamo messo in moto in un altro momento, con altre regioni, con altri scopi.
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A ciò si aggiunge l'aumento delle accise sulla benzina. Questa è la classica operazione di uscita di sicurezza per evitare di affrontare i problemi. Ancora una volta siamo imprigionati in una trappola per cui non ci sono i soldi per aiutare quelli che sono stati colpiti e per avviare seriamente una ricostruzione e cosa si fa? Si chiede alla gente di pagare di nuovo, sapendo benissimo che invece ci sono i soldi e sono da altre parti. E' questo il problema.
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Coloro che hanno in mano il potere e il denaro, cioè la finanza, vuole che la gente continui a pagare. Tutto questo avviene mentre si sta pensando, di nuovo oggi, di ricapitalizzare le banche che sono state già ripetutamente salvate dai propri fallimenti. Ci si mette d'accordo per ridare i soldi alle banche quando invece si dovrebbero dare i soldi direttamente agli stati e alla popolazione. Questo è un vero e proprio disastro!
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Questa classe politica (e i suoi tecnici) non è neanche in grado di valutare ciò che sta accadendo. E' lontana le mille miglia dalla situazione psicologica e popolare, si comporta come Maria Antonietta, quando deve dirci qualcosa ci propone di mangiare le brioche. Ma non è assolutamente capace di capire che la gente non vuole più mangiare le brioche e vuole una ridistribuzione del potere, una diversa ridistribuzione del reddito.
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La coincidenza di non fermare la parata del 2 giugno e di aumentare la benzina non è casuale. Questa gente che ci comanda è così lontana dal popolo che non si rende neanche conto di quello che fa. Vive su un altro pianeta, fa parte di un'altra categoria sociale che vive in un altro mondo. <br />
TAV: Clima in Val di Susa ricorda G8 di Genova2011-06-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it586784<br />
''Sono in mezzo ai lacrimogeni, qui in Val di Susa, in un clima che in tutto ricorda il G8 di Genova''. Lo afferma il giornalista Giulietto Chiesa, in una nota. Chiesa da stamattina ha preso parte alle manifestazioni in Val di Susa.
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''Le forze dell'ordine - forze di un ordine di tipo militare - racconta - sono intervenute con un soverchiante dispiegamento di mezzi e di uomini armati. Le barricate dei valligiani e del popolo NoTAV, di fronte a un'invasione di queste proporzioni, migliaia di uniformi, cedono terreno.
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Ogni punto critico della rete stradale, ogni altura strategica sono ora controllati da gruppi in armi''.<br />