Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI SERGIO GAETANO COFFERATIhttps://www.openpolis.it/2012-11-14T00:00:00Z«Bisogna tassare le ricchezze per creare sviluppo e occupazione» - INTERVISTA2012-11-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it684110<br />
«Dobbiamo imporre all’Europa una inversione di rotta», scandisce il segretario della Cgil nei primi dieci anni del lungo periodo berlusconiano. Da europarlamentare del Pd oggi sarà in piazza a Bruxelles, davanti alla sede del parlamento europeo.
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<b>È forse la prima volta che si costruisce una mobilitazione europea di questo tipo.</b>
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Che io ricordi ci sono stati pochissimi precedenti. E certo era molto tempo che i sindacati non decidevano una giornata di mobilitazione così vasta. La ragione è quella che hanno messo alla base dell'iniziativa. In tutti i paesi europei la crisi economica, che in qualche caso come in Italia è diventata addirittura recessione, sta producendo danni rilevanti al tessuto economico e sociale: calo dell'occupazione, ma anche aumento della povertà.
Ci sono milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. E c'è una massiccia presenza tra loro di working poors, lavoratori poveri.<p>
<b>Di chi è la colpa se i lavoratori si stanno impoverendo?</b>
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Nel caso dei cosiddetti “lavoratori poveri”, la responsabilità principale è dei modelli organizzativi che adottano le imprese. Non a caso si tratta soprattutto di donne che fanno lavori a tempo parziale o giovani che restano a lungo precari. In Italia, dove la maggior parte delle aziende pratica la politica dei bassi salari, c'è un problema in più che riguarda i lavoratori dipendenti, che altrove hanno stipendi più alti.
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<b>Ma “un'altra Europa” è ancora possibile e per quali azioni passa?</b>
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La maggior parte dei governi europei è di centrodestra e il predominio conservatore ha imposto all’Europa politiche del rigore sostanzialmente improntate al contenimento della spesa, nell'illusione che questo possa determinare spontaneamente dinamiche positive nelmercato. Come si è visto è una sciocchezza. Senza politiche di sviluppo, il contenimento della spesa crea solo depressione, peggiorando la qualità di vita di tante persone. Primo punto, quindi: rovesciare questa tendenza e imporre all'Europa politiche di investimento mirate a promuovere sviluppo e crescita sostenibile. Insieme al rigore a senso unico c'è stato poi anche il tentativo di smantellare il sistema sociale europeo, mettendo in crisi la coesione sociale che ha caratterizzato per moltissimo tempo questa parte del mondo. E questo è il secondo punto: la difesa del welfare. Infine, la cultura del centrodestra haportato un attacco diffuso anche ai diritti, della persona, del lavoro, dei cittadini. E questo è il terzo fronte.
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<b>L'avvento di Hollande ha cambiato qualcosa?</b>
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Ha riaperto la dialettica che con l'asse Merkel-Sarkozy era spenta. Ma se l'anno prossimo in Germania la coalizione rosso-verde avrà il sopravvento, potranno prodursi cambiamenti più rilevanti. Poi se anche l'Italia arriverà ad avere un governo di centrosinistra ancora meglio.
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<b>In Italia, lo sciopero generale arriva dopo riforma del lavoro, le pensioni, la spending review: troppo tardi?</b>
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Io penso che dallo sciopero di oggi il sindacato italiano possa ripartire. Mi dispiace sia proclamato da una sola organizzazione e che ci sia da parte delle altre due organizzazioni confederali una sottovalutazione incomprensibile della gravità della situazione italiana e del nesso che esiste tra i nostri problemi e la loro origine anche europea. In Italia, la situazione è anche peggiore che nel resto d'Europa. La Banca d'Italia ha rivisto tre volte al ribasso le ipotesi di decrescita. Il peggio, contrariamente a quanto ha sostenuto qualchemese fa lo stesso presidente del consiglio, non è affatto passato. La caduta dei consumi e della produzione industriale annunciano mesi ancora molto molto difficili.
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<b>Con quali ripercussioni sociali?</b>
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Stiamo attraversando un momento di grandi difficoltà e di tensioni sociali, che hanno come minimo comune denominatore il prevalere del sentimento della preoccupazione e della paura. Al di là dello sciopero di oggi, non vedo grandi reazioni collettive. C'è invece molto timore da parte delle persone e l'atteggiamento è quello della chiusura, della rinuncia anche nella vita sociale a normali forme di partecipazione.
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<b>C’è un ritardo nella rappresentazione di questo disagio?</b>
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Il ritardo c'è, però da questo sciopero può ripartire una iniziativa per imporre al governo politiche di crescita. Ci vuole un piano di investimenti che ruoti attorno ad alcune priorità: conoscenza da una parte – innovazione, scuola, ricerca e infrastrutture dall'altra. Per reperire le risorse dobbiamo fare due cose: promuovere una vera lotta all'evasione e tassare le ricchezze. La parola patrimoniale non piace? Chiamiamola “Giovanni”. L'importante è che sia rivolta a far pagare un contributo alle ricchezze che ci sono. E che con queste risorse si faccia quel piano di sviluppo di cui ha bisogno il paese. Quello che ha fatto l'esecutivo fin qui si è rivelato del tutto inefficace.
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Si è sentito un po' isolato nel suo partito a firmare i referendum sul lavoro?</b>
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Secondo me c'è stata una sottovalutazione pericolosa sia da parte dei sindacati che della politica della posta in gioco, e si deve recuperare. L'articolo 8 della finanziaria del governo Berlusconi, fatto su misura sulla Fiat, può portare alla cancellazione del contratto nazionale del lavoro. L'allarme dovrebbe squillare prima di tutto in casa sindacale. Se poi la politica su questo e sull’articolo 18 pensa che la strada referendaria non sia efficace ponga l'obiettivo di cambiare queste norme nel programma elettorale. Ma non possono non fare né l'una né l'altra cosa.
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<b>A Pomigliano lo sciopero sarà di 8 ore. <br />
Cosa pensano in Europa dell'azione ritorsiva di Marchionne contro la Fiom?</b>
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Non c'è una discussione. Sono cose che l'Europa lascia volentieri all'Italia.
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<b>In piazza ci saranno anche gli studenti insieme ai loro prof. Due generazioni, padri e figli, come il 23 marzo 2002. La crisi li ha uniti o li divide?</b>
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La crisi li penalizza entrambi. Metterli uno contro l'altro è strumentale. Chi ha sostenuto che con la riforma del mercato del lavoro si sarebbe creato uno spazio per i giovani è stato clamorosamente smentito. E poi abbiamo sprecato tante energie a discutere come riorganizzare il lavoro mentre il lavoro spariva. È arrivato il momento di impegnarsi a costruire nuove opportunità di lavoro. Anche per questo oggi bisogna essere in piazza.<br />
Preoccupazioni delle aziende e dei cittadini europei sul funzionamento del mercato unico2012-10-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656332<br />
Vent'anni sono un periodo lungo e sufficiente a fare molte cose – e tra le cose fatte ovviamente ce ne sono tante che hanno prodotto benefici per i cittadini europei. Credo che però sia importante guardare avanti e soprattutto concentrarci, nei limiti del possibile, sulle cose che ancora mancano, su quelle che devono essere realizzate, sulla seconda fase del mercato unico, come è stata chiamata.
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Credo che sia per questa ragione necessario dare molta attenzione ai temi che riguardano il carattere sociale dei provvedimenti che fanno parte del mercato unico: non possiamo prender a riferimento soltanto la persona nella sua funzione di consumatore; le persone sono anche cittadini e sono anche produttori. Allora quando si parla dei diritti delle persone, della catena che tiene insieme questi distinti luoghi nei quali le persone devono essere rispettate e riconosciute, dobbiamo lì realizzare le soluzioni che servono per dare consistenza al mercato, ma non dimenticare che il mercato è fatto dei comportamenti delle persone in carne ed ossa.<br />
Riforma Fornero. «Senza modifiche radicali il Pd dovrà votare contro» - INTERVISTA2012-03-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626009<br />«Il governo vuole riorganizzare una cosa che non c'è, il lavoro. Meglio concentrarsi sulla crescita economica».
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«Lotta dura e cambiamenti profondi da parte del governo sulla riforma del lavoro. Se non avverranno il Pd deve votare contro il testo annunciato. Così com'è non può essere votato dai Democratici».
<p>Sergio Cofferati, eurodeputato del Pd, è stato il segretario della Cgil che ha portato in piazza tre milioni di lavoratori contro il tentativo di Berlusconi di cancellare l`articolo 18.
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<b>Però si annunciano alcune modifiche, non le ritiene sufficienti, onorevole Cofferati?</b>
<p> «Aggiustamenti piccoli non potrebbero bastare. Il Pd deve fare una battaglia determinata in Parlamento, la piazza in questo caso è dei sindacati, della Cgil».
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<b>Lei boccia del tutto questa riforma?</b>
<p> «Io penso innanzitutto che la discussione sul mercato del lavoro è fuorviante.
Un ragazzo, una ragazza che non hanno lavoro guardano a questo dibattito con sorpresa o contrarietà. Il tema principale è la crescita: siamo in piena recessione, aumenta la disoccupazione e la povertà e il governo Monti impegna le sue energie a discutere la riorganizzazione di una cosa che non c`è. Questa cosa che manca è il lavoro».
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<b>Non si sta parlando di questo, di come cioè crearlo?</b>
<p> «È priva di qualsiasi fondamento l'idea che la riorganizzazione del mercato del lavoro possa fare crescere l'economia. Tra il 2002 - quando fermammo la manovra di Berlusconi di cancellare l`articolo 18 - e il 2008 l`economia italiana è cresciuta. Poi è arrivata in Europa la crisi nata negli Usa».
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<b>Quindi "no" a questa riforma dell'articolo 18 anche a costo di fare cadere il governo?</b>
<p> «La vita del governo Monti è nelle mani del governo Monti, non della maggioranza che lo sostiene: cambi robustamente il testo e avrà lunga vita».
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<b>Cos'altro non le piace di questa riforma?</b>
<p> «Il quadro complessivo è negativo non solo su articolo 18 ma anche sui contratti atipici e sugli ammortizzatori. Nella proposta del governo l`articolo 18 è vanificato perché si dà la possibilità a qualsiasi impresa di licenziare adducendo i motivi economici».<br />
«Democratici al bivio, quel testo va totalmente riscritto in Parlamento» - INTERVISTA2012-03-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625955<br />
Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil, ora europarlamentare del Pd, vuole vedere ma secondo lui si profila "un ridimensionamento degli ammortizzatori sociali"e una "vanificazione"dell'articolo 18. Per questo invita il Pd a emendare le proposte del governo.
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<b>Quali sono gli elementi più negativi di questa riforma?</b>
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"Dietro la parola riforma si nasconde una modifica del sistema delle protezioni sociali, che riduce il tempo di applicazione delle stesse e il valore monetario. In una fase come quella attuale, in cui il numero di persone che perde il posto di lavoro aumenta in modo consistente, questo non solo ha un effetto evidente di iniquità, ma è anche un ulteriore atto depressivo".
<p><b>E l'articolo 18?</b>
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"Sia sui valori sia nei suoi effetti materiali, la proposta del governo è di vera e propria vinificazione dell'articolo 18. Se introduci il criterio del licenziamento per ragioni economiche, sottraendolo alla valutazione del giudice, è ovvio che diventerà quella la causale unica dei licenziamenti. Devo ancora trovare un imprenditore che licenzia qualcuno dicendo "lo faccio perché ti discrimino, sei iscritto al sindacato o hai un'opinione politica".
<p><b>La Cgil fa bene a scioperare?</b>
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"Il sindacato deve utilizzare gli strumenti dì lotta tradizionali per indurre il governo a cambiare posizione e per aiutare la battaglia in Parlamento. A partire dallo sciopero generale".
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A proposito di Parlamento, come si deve comportare il Pd?</b>
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"Deve fare una cosa sola: chiedere che questa materia non venga assoggettata alla prassi del decreto e presentare emendamenti per cambiare radicalmente".
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<b>Anche a rischio di far cadere il governo, nel caso di fiducia?</b>
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"Non credo si debba affrontare questo passaggio con il condizionamento del rischio di un governo che se ne può andare. Il governo deve capire che per restare ci sono delle azioni necessarie per avere il consenso parlamentare. E il governo deve anche capire che il futuro dell'economia non è condizionato dalle politiche del mercato del lavoro. Questa trattativa ha tratti paradossali: si discute di come organizzare una cosa che non c'è, perché il lavoro sta calando. E il problema principale per i giovani è creare lavoro. Servono politiche di sviluppo di cui non c'è traccia".
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<b>Il Pd riuscirà a restare unito?</b>
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"Se decide con determinazione di prospettare al governo dei cambiamenti robusti, può stare unito. Se invece si rimette a discutere la bontà o meno delle proposte del governo, il rischio di comportamenti difformi nei gruppi dirigenti sono molto elevati. Ma il Pd deve anche sentire qual' è l'opinione dei suoi iscritti e dei suoi elettori, c'è molto molto malumore". <br />
«La Cgil e il Pd rifiutino lo scambio tra patrimoniale e pensioni di anzianità» - INTERVISTA2011-11-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it621507<br />
<b>Sergio Cofferati, Monti ha giurato, il totoministri è finito. Nel nuovo governo nessun politico, solo tecnici. Qual è il tuo giudizio?</b>
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La cosa più importante è la presentazione del programma. Le persone che compongono il governo sono di robusto profilo professionale, ognuno nel proprio settore. Ora bisogna vedere queste competenze a cosa vengono finalizzate. Quello che fin da adesso credo si possa dire è che questo governo avrà una strada tutta in salita e non soltanto per la difficile congiuntura. Il problema principale resta infatti quello di come il nuovo governo affronterà questa crisi, perché la maggioranza che lo sostiene in Parlamento, sui temi specifici, ha ripetutamente esplicitato opinioni e valutazioni diversissime, a volte addirittura agli antipodi. Come riuscirà Monti a portarle a sintesi?
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<b>In effetti, il Pdl non vuole sentir parlare né di imposta patrimoniale, né di ripristinare l’Ici. Il Pd, per bocca di Cesare Damiano, ribadisce: «Giù le mani dalle pensioni e dall’articolo 18». E se Monti usasse la tecnica della frusta e dello zuccherino? Ad esempio, convincendo il Pd a ingoiare il taglio delle pensioni di anzianità in cambio dell’introduzione della patrimoniale. E viceversa.</b>
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Quella di introdurre norme che possono avere di volta in volta il dissenso di una parte e il consenso dell’altra e viceversa – le cosiddette maggioranze variabili – è una tattica che rischia di durare lo spazio di un mattino, perché chi rimane escluso dall’approvazione di un provvedimento ha a quel punto un problema politico enorme, anche di come giustificare il sostegno al governo agli occhi dei propri elettori.
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L’altra carta a disposizione di Monti è il fattore emergenza, quello che gli ha aperto le porte di Palazzo Chigi. In una situazione delicata come quella attuale, per le forze politiche sarà più difficile dire no a certi provvedimenti. Verrebbero accusate di irresponsabilità.</b>
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Anche questo è vero, però dura poco. Abbiamo visto in questi giorni come, dopo un primo impatto positivo sui mercati provocato dall’annuncio dell’incarico di governo a una persona stimata negli ambienti europei, le cose per la nostra economia non sono certo migliorate. “Attenti che arriva il lupo”, può servire una volta a serrare le fila. Ma se la volta dopo la situazione è ancora quella precedente, o è addirittura peggiorata, la paura del lupo rischia di non essere più sufficiente. Aggiungo che questo governo, sulla carta destinato ad arrivare a fine legislatura, avrà sulla propria strada due scogli di non poco conto. Uno, già definito, è il referendum elettorale. Non mi pare che oggi le forze politiche che sostengono il governo siano in grado di partorire una proposta condivisa di riforma della legge elettorale. Il referendum stesso, che sicuramente vedrà una partecipazione molto consistente dei cittadini italiani, potrebbe togliere le castagne dal fuoco al governo, con il ritorno al “mattarellum”. Il problema è che buona parte delle forze politiche presenti in Parlamento non vogliono il “mattarellum”. E quindi avrebbero tutto l’interesse a far cadere il governo prima del voto referendario.
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<b>L’altro scoglio?</b>
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Sono le elezioni future. Perché nel 2013 si andrà comunque a votare. Da un certo punto in poi comincerà la campagna elettorale. Le forze politiche dovranno cominciare a discutere di schieramenti e programmi. E ciò aprirà divisioni nella maggioranza che sostiene il governo Monti. Divisioni che, progressivamente, diventeranno più consistenti. Perché nessuno vorrà avvicinarsi al voto di fine legislatura senza un propria identità e senza le proprie proposte.
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<b>Quindi prevedi che il governo Monti cada molto prima del 2013?</b>
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Non faccio previsioni sulla durata. Dico solo che da un certo punto in avanti, la coesione che nasce dalla necessità di stare insieme finirà, al di là dell’emergenza. L’emergenza potrebbe continuare ma la coesione verrà progressivamente meno.
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<b>Ma allora non sarebbe stato meglio andare al voto subito? La Spagna domenica prossima lo farà senza che ciò abbia provocato sconquassi.</b>
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Io continuo a non comprendere perchè in Italia non si sia fatta la stessa cosa.<br />
Comunque ora c’è un governo che deve dimostrare di corrispondere alle esigenze che il paese ha e che non può vivere semplicemente evocando il rischio potenziale delle elezioni. Perché, ripeto, nel 2013 comunque si andrà a votare e non sappiamo in quali condizioni ci arriveremo. Condizioni economiche ma anche sociali. Perché tu puoi chiedere alle persone di fare un sacrificio, se però sei in grado, da un lato, di muoverti con equità e dall’altro, di fargli vedere la luce in fondo al tunnel. Altrimenti quelle persone reagiscono.
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<b>La Cgil già mette le mani avanti. Commentando la nomina di Elsa Fornero a ministro del Welfare, Susanna Camusso ha detto: «Mi auguro che ciò non sia un segnale della volontà di mettere le pensioni come priorità». Un eventuale sciopero verrebbe però giudicato dalla grande stampa e da quasi tutto il Parlamento come un “atto irresponsabile contro l’interesse del paese”.</b>
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Io penso che il sindacato debba dimostrare in tutte le circostanze che l’autonomia che rivendica dalla politica non è una buona intenzione ma una pratica vera. Dunque la Cgil dovrà confrontarsi senza remore con il governo, guardando al merito, ma anche senza il timore di dire “non sono d’accordo” e di comportarsi di conseguenza.
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<b>La metto giù secca: introduzione della patrimoniale in cambio di un intervento sulle pensioni di anzianità. Potrebbe essere un compromesso accettabile per la Cgil e il Pd?</b>
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Io penso che dovranno guardare alle due cose distintamente. Vedere cioè se la patrimoniale è una vera patrimoniale e se i provvedimenti sulle pensioni hanno una ragion d’essere oppure sono solo un modo per fare cassa sulla pelle di persone che vivono già in condizioni problematiche. Dopodiché se il sindacato non sarà d’accordo, sull’uno o sull’altro dei provvedimenti proposti dal governo, lo dovrà dire con tutta la determinatezza del caso e agire di conseguenza.<br />
Una risposta ideologica2011-10-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it617790<br />
C'è da chiedersi, preoccupati, quale sia la ragione per la quale il vertice delle istituzioni europee ha apprezzato la lettera d'intenti che il governo italiano ha loro inviato nei giorni scorsi.
<p>Credo che l'accettazione nasca da due motivi. Il primo è quasi banale, il governo italiano ha fissato quasi sotto dettatura delle scadenze alle azioni che annuncia. I vertici europei che gli hanno posto come dirimente la certezza dei tempi attuativi delle presunte riforme non potevano che apprezzare. Poco importa se alcuni dei tempi fissati appaiono di pura fantasia. Basterebbe leggere quelli scelti per risolvere il problema del divario nord-sud o quelli sulla riduzione dei costi e dei prezzi dei servizi.
<p>Problemi complessi o addirittura storici, ignorati per l'intera legislatura, che dovrebbero essere risolti all'istante.
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In pari tempo, ed è la seconda ragione a mio parere dell'apprezzamento della lettera, il governo italiano sposa appieno la linea del Consiglio europeo suggerita energicamente da Merkel e Sarkozy di agire «per la stabilità finanziaria senza crescita».
<p>Dunque il nostro governo si conferma, purtroppo, condizionato pesantemente e privo della necessaria autonomia per agire positivamente anche nel contesto europeo.
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Il documento/lettera del governo Berlusconi è la somma di intenzioni a volte roboanti a volte minimaliste, sempre mirate però a confermare quella che è diventata una vera e propria ideologia: l'idea che la crescita sia prodotta automaticamente dal mercato e che i governi si devono sostanzialmente occupare del debito e del suo controllo.
<p> I grandi avvenimenti di questi anni hanno dimostrato che il controllo del debito è fondamentale ma per nulla sufficiente a evitare crisi e a stimolare crescita (come bene sanno tutti i paesi del G8 che sono stati colpiti dal 2008 ad oggi dagli effetti dello tsunami finanziario partito dagli Stati uniti).
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Ma nel documento c'è un'altra e più grave mistificazione:<br />
quella che attribuisce alla possibilità di licenziare da parte delle imprese lo stimolo alle stesse per assumere, prescindendo da qualsiasi relazione con le dinamiche economiche o organizzative. È così che si cerca di chiudere il cerchio.
<p>Con l'articolo 8 si è introdotta la possibilità di derogare dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori assegnando la deroga vergognosamente alle parti sociali.
<p>Ora si passa direttamente ai licenziamenti collettivi, cercando di nobilitarli senza ritegno come leve per la crescita economica. Mi auguro che le forze politiche, non solo quelle dell'opposizione, e i sindacati contrastino efficacemente questo tentativo e questa assurda ideologia.<br />
«L'attacco al lavoro non porta crescita ma scontro sociale» - INTERVISTA2011-08-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590917<br />
«Prima il governo ha preso per il naso le parti sociali, poi ha preso per il naso gli italiani trincerandosi dietro le raccomandazioni della Banca centrale europea. A questo punto tanto vale trattare direttamente con la Bce». Sergio Cofferati non è stupito dalle parole del ministro Tremonti, che ha persino parlato di una sostanziale abolizione di quell'articolo 18 che impedisce il licenziamento senza giusta causa e che fu la grande battaglia vinta dalla Cgil di Cofferati nel 2002.
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<b>Tremonti, quando parla dei licenziamenti, ma anche di pensioni e addirittura di taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici, si richiama alla lettera della Bce ma non toglie la riserva su cosa farà davvero il suo governo. Si tratta di minacce o come un mercante alza il prezzo per cercare di strappare le migliori, anzi peggiori, condizioni possibili?</b>
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Questo governo ha perso ogni legittimità.<br />
Non solo si mostra evidentemente commissariato ma non dimostra neanche quel minimo di senso di responsabilità per dire che cosa vuole fare. Non si è mai visto un esecutivo che incontra le parti sociali, non dice nulla, e il giorno dopo parla per bocca della Bce. Il punto però è che l'orientamento di fondo è fin troppo chiaro. Si punta a colpire i ceti più deboli. E' questo il profilo ideologico che tiene insieme le ipotesi, alcune delle quali veramente reazionarie, annunciate da Tremonti.
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<b>Si aspettava un attacco all'articolo 18 giocato in questi termini e in questo momento?</b>
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Più o meno me lo aspettavo. Non c'è neppure un timido nesso tra l'abolizione dell'articolo 18 e eventuali misure per fare ripartire la crescita. Lo dice anche la commissione crisi del parlamento europeo. A metà luglio dopo due anni di lavoro ha ribadito che per sostenere la ripresa bisogna puntare sulla qualità del lavoro, ridurre frammentazione e precarizzazione e investire sulla formazione. Non si può in alcun modo attribuire la crisi all'impossibilità di licenziare senza giusta causa. Questa è una cosa che riguarda solo la dignità di chi lavora. Si tenta di mettere il lavoratore nella posizione di potere subire una ingiustizia. Altro che crescita. Se così non fosse dopo il 2002 l'economia italiana sarebbe dovuta andare malissimo e invece è successo il contrario. Anzi la difesa dell'articolo 18 è stata un elemento positivo della nostra economia e questo dovrebbe fare pensare e riflettere destra e anche sinistra. Abolire l'articolo 18 serve solo a scatenare lo scontro sociale.
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<b>Tremonti, però, ha citato come un fatto importante l'elenco dei punti presentato al governo dalle parti sociali firmato da Confindustria e dai sindacati, Cgil compresa. Come può la Cgil difendere ancora quella piattaforma comune?</b>
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Quel documento era ambiguo e annunciava principi astratti senza scendere nel concreto. Ma col passare del tempo si sta creando una vistosissima divergenza tra organizzazioni che rappresentano interessi opposti. Ed è normale che sia così, il contrario non è dato in natura. Ai sindacati, e in particolare alla Cgil, non resta altro da fare che prendere le distanze dalle ipotesi del governo e ricominciare a mobilitarsi.
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<b>Susanna Camusso non ha escluso l'ipotesi dello sciopero generale.</b>
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Ci sono tutte le condizioni per deciderlo.
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<b>Ma Bonanni ha già detto di no.</b>
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Per me anche la forma conta. La Cgil deve mettere sul piatto tante azioni di contrasto, compreso lo sciopero generale. In questo contesto credo che anche per la Cisl di Bonanni sarà difficile tirarsi indietro.
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<b>Insomma, non è più il caso di tentare di mantenere un fronte comune con Confindustria, neppure per nobili ragioni come quella di cacciare Berlusconi e provare a immaginare un futuro senza Cavaliere?</b>
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Quel percorso aveva come suo presupposto una forte discontinuità rispetto a questo governo. Invece da un punto di vista delle politiche economiche si rischia di andare nel senso opposto. E Berlusconi è sempre lì.
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<b>Dal 2002 sono cambiate molte cose, quale sponda politica può avere la mobilitazione dei sindacati? Che deve fare il Pd?</b>
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Credo che nessuna organizzazione progressista possa digerire le misure annunciate dal governo. Sono in gioco le condizioni di vita e di lavoro di una larga parte dei cittadini rappresentati anche dal Pd, e sono in gioco equità e giustizia sociale. Si tratta di valori costitutivi. Il ruolo di un partito di sinistra, o centro sinistra, in un momento di crisi così grande, deve essere quello di mettere in campo questi valori, non di annacquarli. Cercando di proporre soluzioni concrete, ma anche conseguenti ai propri principi.<br />
«Prima tutti zitti, ora tutti in guerra» - INTERVISTA2011-03-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it559497<br />
«Guerra umanitaria, «intervento armato», «partecipazione attiva ad una missione militare». La conversazione che segue inizia con una trattativa sul termine da usare, come si fa con un sindacalista. Anche se Sergio Cofferati non è più il segretario della Cgil da quasi dieci anni. «Io la chiamo guerra, punto», è la sua prima risposta. «E la condivisione di una guerra è un errore molto grave. Peraltro destinato a creare conseguenze non tutte prevedibili, che pagheremo».
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<b>Ci sarebbero, oltre le altre, persino ragioni di opportunità per evitare di partecipare alla guerra in Libia?</b>
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Sì. Sono contrario all'uso della guerra come strumento per definire i rapporti fra i paesi o per stimolare la democrazia in un paese. E <b><i>aderisco alla manifestazione del 2 aprile</i></b>. La via deve essere sempre quella della diplomazia. Ma in questo caso ci sono anche novità preoccupanti: abbiamo accettato la risoluzione Onu senza battere ciglio, non vedendo che contiene un paio di grandi contraddizioni. La prima: non è esplicito cosa si vuole ottenere, e questo lascia aperte varie interpretazioni. La seconda: nella risoluzione c'era già la guerra. «No-fly zone» è una definizione di un atto militare e di guerra. Aggiungo che la ritorsione avviene dopo un periodo non breve durante il quale non si sono tentate le altre vie possibili, come l'interposizione.
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<b>Secondo lei cosa bisognava fare quando i fedeli di Gheddafi hanno cominciato a minacciare gli insorgenti?</b>
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Non accetto questa domanda. A quel punto non si doveva arrivare. E si poteva. Gheddafi è un dittatore sanguinario, e non dalla scorsa settimana. E quelli che oggi sono i più determinati nella guerra sono gli stessi che non solo sono stati zitti sulla mancanza di democrazia in Libia, ma lo hanno armato. Una connivenza oggettiva.
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<b>Tra i quali l'Italia.</b>
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Sì. E questo mette in luce il nostro enorme problema di politica estera. Quella italiana, supina alle regole della realpolitik. Faccio un esempio: siamo silenti nei confronti della Cina, dove non c'è democrazia né libertà. Abbiamo rimosso Tienanmen. Trattiamo la Cina come se fosse un paese normale, perché è un grande mercato. E invece prima o poi, in qualche maniera, la democrazia e la lotta di classe anche lì arriveranno. E noi ci 'sorprenderemo', senza che aver fatto nulla per accentuare quelle contraddizioni e aiutare la democrazia. Il silenzio sulla Libia è ugualmente dettato da rapporti economici.
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<b>Molti commentatori sostengono che il pacifismo, questa volta, sia stato più debole. Le voci contro la guerra in oggi sono più isolate di altre volte?</b>
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Credo che quelli che da tempo hanno attenzione al tema della pace, in questo caso abbiano sottovalutato le dinamiche che si stavano innescando. Questo ritardo ha portato all'esplosione della fase cruenta, e cioè quando Gheddafi aggredisce i rivoltosi. L'afasia della galassia pacifista nasce da lì. Il tema della pace, normalmente, «riesplode». Non avendo una struttura organizzata, il pacifismo non è in grado di indicare per tempo i fenomeni che possono portare a una guerra. O li indica, ma poi non riesce a costruire azioni di intervento.
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<b>C'è, credo, un altro elemento determinante nell'isolamento dei pacifisti: il fatto che il presidente della Repubblica Napolitano si sia posto dall'inizio come garante del nostro intervento militare.</b>
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Sì, è possibile che la posizione netta e convinta del presidente della Repubblica abbia giocato una parte. Anche perché in questi anni ha svolto un ruolo saggio e delicatissimo di garanzia per il Paese. Per questo oggi distinguersi dalle sue posizioni è più difficile di altre volte.
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<b>Il Pd si è schierato per la risoluzione dell'Onu, con pochissime eccezioni.</b>
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Io, nel parlamento europeo, ho votato contro il testo che faceva riferimento alla risoluzione Onu. Intanto perché vi era già il tema della guerra, con la no-fly zone; poi perché sul tema umanitario non c'era nulla. E non penso solo all'aiuto per i rivoltosi, ma anche sull'accoglienza a chi sarebbe scappato. Da parte degli europarlamentari italiani, dire che l'Europa non ci aiuta è giusto. Ma allora non si deve votare a favore di quel provvedimento. Comunque, oggi tutto è superato: in Libia siamo ai carrarmati, che certo non volano. E intanto il nostro credito internazionale è bassissimo, il nostro ruolo marginale. E lo paghiamo: il dramma di Lampedusa è in parte anche frutto delle contraddizioni del nostro governo. Se gli immigrati sono da contrastare, quando arrivano perché gli altri governi di destra dovrebbero aiutarti? Il governo Berlusconi è vittima delle sue insensate teorie.
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<b>Cofferati, la pace, Pomigliano e Mirafiori, l'adesione al Pse. Poco fa ha parlava della lotta di classe in Cina. Le sue non sono opinioni diffuse, nel suo partito. C'è una domanda di sinistra, nel Pd?</b>
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Penso di sì. Che fa fatica a interloquire con le altre culture che sono nel partito.<br />
Penso che nel Pd e, per capirci. nella sensibilità di una sinistra storica, le opinioni più moderate debbano avere anche altri interlocutori. I quali debbono trovare la voglia di presentarsi e la disponibilità ad essere ascoltati. Non mi rassegno all'idea che alcuni valori debbano essere rappresentati solo fuori dal Pd. Perché devo delegare ad altri, a Nichi Vendola per esempio, la loro rappresentanza? Sono valori anche miei. Miei e, credo, di tanti altri.<br />
Fiat «Sfruttamento inaccettabile» - INTERVISTA2011-01-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it556962<br />«Un accordo che lede i diritti e peggiora le condizioni»
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<b>Sergio Cofferati, da sindacalista abituato a fare accordi a sindaco di Bologna accusato di vocazioni da sceriffo. Oggi è schierato con i duri della Fiom e non con la sua Cgil, perché?</b>
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«Per il merito dell’intesa. C’è un peggioramento delle condizioni materiali delle persone. Ho sottoscritto accordi che prevedevano l’aumento dell’uso degli impianti (sabato lavorativo, nuovi turni), ma il corrispettivo era una riduzione dell’orario e un aumento del salario. Nel caso della Fiat avviene l’opposto: aumenta il lavoro degli operai e diminuisce la loro paga oraria. L’uso maggiore degli impianti non produce un calo della fatica e del tempo della fatica, ma un incremento della fatica e del tempo di lavoro. Peggiorano le condizioni umane e si limitano i diritti individuali e collettivi. E’ cominciata con Pomigliano: malattia e sciopero. A Mirafiori si negano anche i diritti sindacali a chi non ha firmato l’accordo».
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<b>Sta facendo una battaglia sui diritti, ma quando era sindaco firmò una ordinanza per tenere aperti i negozi il primo maggio...</b>
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«Mai fatto nulla del genere. E’ una bufala. Il primo maggio vanno garantite le attività essenziali, non certo il commercio».
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<b>Torniamo alla Fiat. Con l’accordo arrivano investimenti, si salvano posti di lavoro...
</b>
<p>«Gli investimenti sono sempre positivi, ma qui avvengono a discapito dei lavoratori».
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<b>Lei, europarlamentare del Pd, sul caso Fiat è in minoranza rispetto alle linea del partito.</b>
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«Sono in robusta minoranza. Trasecolo quando una persona di sinistra mi spiega che l’aumento dello sfruttamento ha aspetti positivi. Solo in uno stato di necessità possono mutare in peggio le condizioni materiali delle persone».
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<b>La Fiat può dire che lo stato di necessità è il calo delle vendite.</b>
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«C’è un calo record per tutti, ma la Fiat perde 15 punti in più rispetto ai suoi concorrenti europei. Il fatto è che gli altri, tedeschi e svedesi, ad esempio, hanno investito robustamente in innovazione. Hanno nuove auto da mettere sul mercato, i diritti delle persone non sono in discussione e le retribuzioni sono quasi il doppio di quelle Fiat. I problemi della Fiat sono la qualità e la gamma dei prodotti offerti. Marchionne non vuole discutere con nessuno il piano industriale. Trovo singolare che governo, sindacati, partiti non si chiedano dove stia andando la Fiat. Obama si è occupato della Chrysler in prima persona. Non mi pare che Berlusconi sia interessato alla Fiat».
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<b>La sua idea di politica industriale non ha gran seguito nel Pd...</b>
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«C’è una distrazione sui temi della globalizzazione. Qualche settimana fa a Bruxelles abbiamo votato a maggioranza il piano per l’Europa del 2020. I contenuti, per quanto concerne la competitività, guardano a conoscenza, innovazione, formazione. Considerano invece sbagliato il modello delle competizione legata solo ai costi. Abbiamo votato per la linea esattamente opposta a quella di Marchionne. Oltre alla carenza di analisi, nel Pd ci sono orientamenti tattici, la paura di scontrarsi».
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<b>Se lei fosse ancora il segretario generale della Cgil, si comporterebbe come la Camusso?</b>
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«Non voglio sostituirmi a nessuno. Ho ricordato solo una cosa a cui tengo moltissimo: la Cgil ha uno statuto che vieta accordi che ledono i diritti individuali e collettivi. Le intese su Pomigliano e di Mirafiori non sono firmabili».
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<b>Se al referendum passano i no, Mirafiori potrebbe chiudere; se passano i sì, la Fiom resta senza rappresentanti. Esortare Landini ad essere meno intransigente non significa chiedergli di accettare il male minore?</b>
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«I lavoratori voteranno secondo coscienza. Altra cosa è l’organizzazione. La Fiom non può legittimare la cancellazione dei diritti».
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<b>Come si esce da tutto questo?</b>
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«Con una battaglia per riconquistare i diritti».
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<b>Ricorrendo alla magistratura, come vuole fare la Fiom?</b>
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«Sì. Sono stupito dalla sottovalutazione di quanto sta avvenendo da parte delle altre grandi organizzazioni sindacali».
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<b>Lei sta facendo una battaglia assieme a Bertinotti con cui non è mai andato granchè d’accordo...</b>
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«Vero, abbiamo moltissimo discusso, ma mai sui diritti».
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<b>E dice le stesse cose di Vendola. Sta pensando a un approdo diverso per il futuro?</b>
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«Assolutamente no. Sono iscritto al Pd e alla Cgil. Ci tengo a esprimere la mia posizione senza infingimenti».<br />
«Innovazione Fiat? Vuole solo sfruttare di più gli operai» - INTERVISTA2011-01-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549555<br />
Sergio Cofferati ha espresso una critica severa al patto di Mirafiori dopo aver bocciato all'epoca l'accordo di Pomigliano.
<p> <b>Cofferati, in quale veste esprime la sua opposizione al piano Fiat?</b>
<p> «Sono nettamente contrario in tutte le vesti possibili: come iscritto alla Cgil, come iscritto al pd, come parlamentare europeo. È giusto quando si hanno opinioni divergenti da quelle dei gruppi dirigenti del partito e dell'organizzazione non nasconderle ma esplicitarle».
<p> <b>Lei afferma che la Fiom non può firmare nemmeno "tecnicamente" il patto di Mirafiori. Perchè?</b>
<p> «Il problema non si pone, la questione della firma è surreale. La Fiom non può firmare, glielo vieta lo statuto della Cgil. La delibera numero 4 attuativa dello statuto Cgil vieta all'organizzazione di presentare piattaforme o firmare accordi nei quali siano contenute lesioni ai diritti contrattuali o di legge come è nei casi di Pomigliano e Mirafiori».
<p> <b>Marchionne dice che se vincono i no, la Fiat non investe. Come se ne esce?</b>
<p> «La situazione è molto difficile, i problemi sono gravi e rilevantissimi. La questione oggi è politica: Marchionne ha un atteggiamento inaccettabile. Nega il confronto e la dialettica sui luoghi di lavoro, e devo dire che non è molto rispettoso di quelle organizzazioni che hanno firmato quando mette in dubbio che non siano maggioritarie in fabbrica. Il caso Fiat è politico perchè è lo spartiacque tra lavoratori e impresa, nella cultura del lavoro e nei diritti».
<p> <b>Ma Marchionne affascina anche i suoi colleghi del pd, c'è chi suggerisce di votare sì.</b>
<p> «Vuol dire che la sinistra è cambiata molto, in profondità. Sono sorpreso da certe dichiarazioni, da chi vede una "parte buona" in questo accordo. Ma dove? Agli operai di Mirafiori si promettono 30 euro lordi al mese perchè aumenta il loro sfruttamento. Si impone agli operai di lavorare di più, anche il sabato notte, con lo straordinario obbligatorio e il modesto aumento, una miseria, deriva dalle regole dei turni, non c'è altro. La Fiat punta solo ad aumentare lo sfruttamento. La politica, le istituzioni dovrebbero chiedere conto alla Fiat del piano industriale, ma Marchionne non vuole dare i dettagli. Le sue affermazioni sono gravissime e non vengono contestate.<br />
Marchionne non si permetterebbe questo comportamento arrogante negli Stati Uniti».
<p> <b>Cosa c'è di diverso negli Usa?</b>
<p> «L'atteggiamento delle istituzioni. Marchionne non si è permesso di dire a Obama "non ti dico cosa voglio fare della Chrysler", ha avuto aiuti sulla base di ipotesi discusse e condivise con l'amministrazione Usa».
<p> <b>In Italia, invece?</b>
<p> «In Italia Marchionne dice: faccio quello che voglio. Le istituzioni devono farsi carico delle conseguenze delle scelte Fiat. Tocca alle istituzioni occuparsi di Termini Imerese dopo che la Fiat ha incassato tutti gli incentivi possibili, dopo aver chiesto soldi, rottamazione, cassa integrazione. Quando una fabbrica non serve più la Fiat se ne libera, scarica le conseguenze sulla comunità, dà uno schiaffo alle istituzioni».
<p> <b>Ma la Fiat chiede una nuova organizzazione del lavoro per investire e recuperare competitività.</b>
<p> «La Fiat ha un modello di competizione che passa dalla sistematica, esclusiva riduzione dei costi. Non ci sono ricerca, innovazione, conoscenza sui prodotti e sui modelli organizzativi del lavoro. Chi nel pd e nel sindacato aveva sostenuto che l'accordo di Pomigliano andava firmato perchè era un'eccezione dovrebbe leggersi il documento di Mirafiori e riflettere. E dovrebbe confrontare la strategia Fiat con il documento di Lisbona 2000 e col piano europeo di sviluppo 2020: il modello Marchionne va contro le politiche europee sostenute dalla sinistra italiana. Il pd non può avere due teste: se stiamo con l'Europa non possiamo stare con Marchionne».
<p> <b>E gli industriali italiani cosa fanno?</b>
<p> «Il silenzio di Confindustria è fragoroso, sta accettando la distruzione dell'accordo 1993, un modello efficace di relazioni industriali. Le imprese pagheranno un prezzo alto dalle scelte della Fiat».
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<b>Cosa direbbe a un operaio di Mirafiori che si appresta a votare?</b>
<p> «Gli spiegherei perchè la Fiom è contraria, perchè l'accordo è sbagliato. L'operaio deve votare come meglio crede ma deve sapere che la Cgil è contraria. Le grandi organizzazioni sono autorevoli e rispettate quando difendono le regole e le loro posizioni sono trasparenti e credibili».
<p> <b>Cosa sarà della Fiat?</b>
<p> «Mi pare stia diventando un polmone della Chrysler, la Fiat è sempre più marginale. In Europa il mercato è andato male, ma la Fiat perde 15 punti in più degli altri. I numeri sono impietosi»<br />
«Anche io non avrei firmato. La Fiom ha fatto bene il proprio lavoro». - INTERVISTA2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549310<br />sc
«Suggerisco di mettere in calendario lo sciopero generale a prescindere».
<p>«La Fiom? Ha fatto bene il proprio lavoro. Io avrei fatto lo stesso»: a parlare non è un esponente della sinistra più radicale, ma un riformista moderato come Sergio Cofferati, ora europarlamentare del Pd, che nella sua stagione da segretario generale della Cgil con la Fiom ebbe molto da discutere. E che ora suggerisce al leader del sindacato Susanna Camusso, d’indire uno <a href="http://www.openpolis.it/dichiarazione/549296"><b>sciopero generale</b></a>, non soltanto per <i>l’affaire</i> Fiat.
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<b>Perché uno sciopero generale?</b>
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Pochi giorni fa, Confindustria ha rivisto i dati economici del 2010 in oprevisione del 2011, concludendo che la crescita sarà più bassa di quanto stimato in precedenza e affermando, nel silenzio di troppi, che la disoccupazione crescerà per tutto il prossimo anno. <br />
D’altra parte, ha ragione Draghi quando afferma che la disoccupazione è ben sopra l’11%, visto che al dato Istat vanno aggiunti i cassintegrati in scadenza che non rientreranno a lavoro perché quell’impiego non esite più.<br />
Siamo sopra ai tre milioni di persone. E temo che le previsioni di confindustria siano ottimistiche. Con la crescita l’1%, infatti, non si crea alcuna occupazione aggiuntiva e dunque a queste stime vanno aggiunti i numeri dei giovani che dovrebbero entrare nel mercato del lavoro. <br />
E non trovano spazio: la disoccupazione giovanile è oramai prossima al 25% e nel 2011 la tendenza peggiorerà. Di fronte a un quadro così, il sindacato non può stare fermo, non in assenza di politiche che proteggano il lavoro e rovescino l’andamento economico. Di queste, nel Governo non v’è traccia.
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<b>In questo quadro quanto pesa la vicenda Fiat?</b>
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Ho suggerito di mettere in calendario lo sciopero generale a prescindere dal caso Fiat. I problemi del Paese sono di ordine generale, appunto, è la vicenda Fiat ne è un corollario delicatissimo sul tema della competitività e diritti. Pomigliano e Mirafiori confermano di non essere eccezioni, come sosteneva qualcuno, ma una strategia della Fiat che personalmente considero sbagliata, e che prevede come unica leva per competere sul mercato, la riduzione dei costi. Così, retribuzioni, condizioni di lavoro, diritti sono ridimensionati perché considerati costi. Si tratta di un modello di competitività bassa, vecchio di mezzo secolo.<br />
Bisognerebbe invece competere su qualità, innovazione e ricerca. E che la linea Fiat sia perdente, lo dimostrano i dati sulle immatricolazioni in Europa, calate per tutti, ma per Fiat di 15 punti percentuali più degli altri.<br />
Il problema non è dunque il costo, ma la qualità.
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<b>Insomma, dopo tanto confliggere si ritrova sulle stesse posizioni della Fiom.</b>
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In questi mesi, però, la Fiom ha fatto bene il suo mestiere. Lasciamo perdere per un attimo il caso Fiat dove, con il supporto costante del Governo, si è cercato sistematicamente l’accordo separato. Altrove gli accordi li fa, e tanti. In Emilia Romagna li fa pure separati, nel senso che è l’unico firmatario. Hanno rinnovato le rappresentanze e, piaccia o non piaccia, convincono. Per me, al tavolo Fiat la loro posizione negoziale era ragionevole e moderata. In qualche modo si sta ripetendo quel che accadde con l’articolo 18: si addita come radicale chi difende i diritti. <br />
E la rottura c’è stata proprio sulla difesa dei diritti collettivi.
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<b>Fassino però non la pensa come lei.</b>
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Non ne ho parlato con Piero. Rispetto la sua opinione, ma dissento. Anzi, aggiungo che bisogna fare attenzione quando si parla di referendum nelle fabbriche. I diritti individuali non possono essere limitati dall’azione sindacale o assoggettati a valutazione referendaria. Pensi al diritto di sciopero. Non si può votare su questo, si violerebbe la Costituzione.
<p>
<b>Così però si apre l’ennesimo dibattito interno al Pd.</b>
<p>
Almeno noi discutiamo. Se la politica non affronta questi temi fa un errore grave. Anzi, avrebbe dovuto farlo per tempo e non a valle di un accordo. Non è un’idea radicale, ma la ragionevolezza riformista.
<p>
<b>Ma al posto di un operaio Mirafiori, lei che voterebbe?</b>
<p>
Preferirei mi domandasse che avrei fatto se fossi stato un dirigente sindacale. E avrei fatto il possibile per non arrivare a questo punto. Come? Negoziando. Però, nel caso di Mirafiori, è sorprendente come non ci sia stato alcun negoziato. Un’innovazione regressiva, con la discussione fatta su carte scritte su cui la Fiat non ha cambiato una virgola. L’azienda agli enti locali dice: fatevi gli affari vostri che la politica industriale la faccio io. <br />
Mentre il Governo resta silente a svolgere un ruolo ancillare, dopo aver versato tanti soldi pubblici alla Fiat, per le rottamazioni come per le cassintegrazioni. <br />
Ecco, se su Mirafiori mi fossi trovato al posto della Fiom, non avrei firmato.<br />
Nasce "Lavoro e Libertà" a sostegno della Fiom2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549319<p><br />
Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti, Fausto Bertinotti, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi
<p>Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.
<p>
<b>La prima ragione</b> <b>della nostra indignazione</b><br />
nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.
<p>
<b>La seconda ragione della nostra indignazione</b>, quindi,<br />
è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
<p>
L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
<p>
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.
<p>
<b>Ci indigna</b> infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.
<p>
Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
<p>
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. <br />
La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
<p>
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.
<p><b>L'adesione di Ferrero e Fantozzi</b><br />
«La nascita dell'associazione "Lavoro e Libertà" è un fatto di grande importanza. L'indignazione dei promotori è la nostra stessa indignazione». Così Paolo Ferrero e Roberta Fantozzi (segretario e responsabile lavoro Prc-Se) in un comunicato nel quale annunciano la loro adesione. <br />
«L'espropriazione violenta della democrazia, la cancellazione dei diritti e della dignità del lavoro, la negazione del valore progressivo del conflitto sociale richiedono, come abbiamo auspicato in questi giorni, la massima capacità di contrasto, la più ampia unità delle forze di sinistra e l'attivazione di percorsi di mobilitazione determinati e durevoli a partire dalla convocazione dello sciopero generale. A questi obbiettivi l'associazione "Lavoro e libertà" può dare un contributo di grande rilevanza».
<p>Per aderire all'associazione "Lavoro e libertà" si può inviare una mail all'indirizzo fgaribaldo@gmail.com oppure collegarsi al sito http://web.me.com/garibaldof/Sito
<br />
A sostegno della Fiom l'associazione «Lavoro e libertà»2010-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549496<br />
Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.
<p> Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti.
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<b>La prima ragione</b> della nostra indignazione nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.
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<b>La seconda ragione</b> della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
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L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.
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Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.
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Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno. <br />
«Molte e forti ragioni per proclamare subito lo sciopero generale» - INTERVISTA2010-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549296<br />
Solo chi non lo conosce può pensare che sia una persona "seriosa", austera, poco incline alla battuta. Ma non è così. Infatti, quando lo si raggiunge al telefono, esordisce, senza neanche bisogno di domande: «L'accordo separato? Il meglio che si potesse ottenere, strappato al termine di una trattativa serratissima. Dove Cisl e Uil hanno fatto l'impossibile per portare a casa qualche risultato...». <br />
Sergio Cofferati, 63 anni fra un mese, è a Genova, per le feste. Ex segretario generale della Cgil, ex sindaco di Bologna, ora è parlamentare del piddì in Europa. Anzi, fa parte di quel gruppo dal nome lunghissimo (Alleanza Progressista dei Socialisti & Democratici al Parlamento Europeo), escamotage linguistico che serve a tenere insieme democratici e socialisti a Bruxelles.
<p>
<b>A parte gli scherzi, Cofferati: che significa il diktat di Marchionne?</b>
<p> Rivela esattamente la sua idea di competitività, rivela la filosofia che ispira il gruppo. Idea che si fonda su due elementi strettamente connessi: il peggioramento, drammatico, delle condizioni di lavoro e la drastica riduzione dei diritti sindacali. Il tutto ovviamente con un obiettivo molto chiaro e per altro dichiarato esplicitamente: la riduzione dei costi di produzione. Che secondo Marchionne può avvenire solo per questa via. Mettendo da parte tutto ciò che riguarda la qualità, l'innovazione del prodotto e dei processi produttivi. Di tutto ciò non si è neanche provato a discutere. Vogliono competere risparmiando. Davvero una drammatica regressione.
<p>
<b>Qualcuno direbbe che è "tutto nella norma", nella tradizione delle imprese italiane. Non è così?</b>
<p> E sbaglierebbe. Perché certo anche nei decenni passati, a più riprese, la Fiat ha puntato a ridurre i costi di produzione. Ma se ci pensi, in qualche modo, ci si è sempre occupati di innovazione e soprattutto non si sono mai attaccati i diritti sindacali. Pensa a qualche anno fa, all'accordo per lo stabilimento di Melfi...
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<b>Anche se molti pensano che pure quell'accordo violasse i diritti sindacali...</b>
<p> Ed è una valutazione errata. L'accordo di Melfi non ha mai messo in discussione alcun diritto individuale o collettivo. Sfido chiunque a sostenere il contrario.
<p>
<b>Torniamo a Marchionne. Secondo te la Fiat ha davvero dichiarato guerra anche alla Confindustria?</b>
<p> Messa così la domanda dovrei risponderti di no. Non credo che dal punto di vista delle linee politiche ed economiche ci siano contrasti così laceranti. Però, attenzione: è vero che la Fiat si è candidata a diventare la capofila delle imprese. E questo, inevitabilmente, la porta in rotta di collisione non solo con la Confindustria ma con la stessa Federmeccanica.
<p>
<b>E se questo è il quadro che dovrebbe fare il sindacato? La Carnusso, ancora l'altro giorno, in un'intervista tergiversava sullo sciopero generale.</b>
<p> Che dovrebbe fare un sindacato come la Cgil? Proporre a Cisl e Uil la proclamazione dello sciopero generale...
<p>
<b>Sembra improbale, visti i rapporti fra le confederazioni, non trovi?</b>
<p> La forma è sostanza, anche in questi casi. E la Cgil è e resta unitaria. Quindi, proporre alle altre due confederazioni lo sciopero generale e poi, davanti ad una risposta negativa di Cisl e Uil, organizzarlo da sola.
<p>
<b>Sei d'accordo con la Fiom, insomma.</b>
<p> Guarda che quando parlo di sciopero generale non penso solo alla vicenda Fiat. Io credo che lo sciopero generale vada fatto a prescindere dall'accordo separato. Perché i dati ci raccontano che la disoccupazione è arrivata ormai a livelli insostenibili e perché la Finanziaria - o legge di stabilità come si chiama adesso - prevede dei tagli al Welfare, prevede il prosciugamento dei fondi destinati agli enti locali che da qui a breve si tradurranno nell'azzeramento dei servizi sociali alle persone. C'è un drammatico impoverimento di questo paese, insomma. Che il sindacato, la Cgil deve contrastare.
<p><b>Le ultime domande riguardano temi che immagino, tu faccia un po' di fatica affrontare. La prima è sul piddì.</b>
<p> Nessun problema a discuterne. Io penso che un partito di sinistra...
<p><b> Perché il pd lo è?</b>
<p> Lo so che molti, te compreso, non lo vedono così ma per me lo è. Comunque io penso che, in generale, compito di tutte le forze politiche sia quello di dotarsi di proprie proposte sul lavoro e l'economia. Questo diventa assolutamente indispensabile se appunto ci si riferisce ad un partito di sinistra. Dico di più e parlo dell'oggi: penso che una vicenda come quella dell'accordo separato debba indurre i democratici a rilanciare la propria iniziativa unitaria. Insomma, io penso che l'involuzione dettata da Marchionne vada fermata e per farlo ci vuole una forte consapevolezza...
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<b>Eppure il tuo partito è lacerato. C'è addirittura chi plaude all'intesa senza Fiom e c'è chi - penso all'ex ministro Damiano - sostiene che l'accordo va bene sulla parte industriale e che invece è da correggere solo per ciò che riguarda i diritti sindacali.</b>
<p> Posizione assolutamente incomprensibile. E' evidente a chiunque abbia un minimo di dimestichezza coi problemi del lavoro che il peggioramento delle condizioni di lavoro è strettamente connessa alla negazione dei diritti sindacali. Le due cose si tengono, marciano insieme, sono state pensate una in funzione dell'altra.
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<b>Per finire, la Fiom. Sempre la Camusso ha detto che in ogni caso un sindacato deve saper riflettere sulle proprie sconfitte. E, almeno cosi sembra di capire, lei attribuisce una minima parte di responsabilita di quel che è avvenuto anche alla Fiom. Con percentuali ridottissime, certo, ma vede colpe anche in quel sindacato di categoria. Che ne pensi?</b>
<p> Penso che il metodo sia giusto. Il sindacato deve saper riflettere quando va incontro ad una sconfitta. Peccato però che in questo caso non siamo di fronte ad una sconfitta.<br />
Hanno voluto un accordo separato, l'hanno scritto e se lo sono firmato. Come si fa a parlare di sconfitta? <br />
«Diritti negati a chi non sigla il contratto» - INTERVISTA 2010-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548997<br />
L'ex leader della Cgil: stravolto tutto il sistema delle relazioni sindacali.
<p>«Chi pensava che il caso di Pomigliano fosse un´eccezione e che le violazioni dei diritti che quell´accordo produceva fossero dettate dalla necessità, oggi è servito. Diventa chiaro il tentativo di stravolgere tutto il sistema contrattuale e delle relazioni sindacali. La Fiat, con la sua fabbrica simbolo, si pone come punto di riferimento negativo, con un accordo autolesionista per chi l´ha firmato».
<p> Sergio Cofferati, ex leader Cgil, ex sindaco di Bologna e oggi parlamentare europeo Pd, non usa mezzi termini per bocciare l´accordo per il rilancio di Mirafiori tra Fiat e i sindacati Fim, Uilm, Ugl e Fismic, cui manca la firma della Fiom.
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<b>Presentando l´accordo, Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat, ha parlato di "salto di qualità" che permetterà di far partire gli investimenti. Questo rilancio non è una buona notizia per i lavoratori?</b>
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«Altro che innovazione, qui si torna indietro di decenni, siamo di fronte a una regressione bella e buona. Si cancella un accordo che ha fatto storia come quello del ´93».
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<b>Anche il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha parlato di «intesa positiva», migliore rispetto a quella di Pomigliano...</b>
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«Gli investimenti sono sempre apprezzabili ma qui avvengono a discapito dei diritti dei lavoratori. Ci sono due passi indietro, nella direzione sbagliata, un secco peggioramento rispetto a Pomigliano».
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<b>Perché?</b>
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«Prima di tutto perché a Mirafiori non si applicherà mai più il contratto nazionale e questa è la fine del contratto. <br />
In secondo luogo per la negazione di qualsiasi diritto sindacale a chi non firma il contratto. Con un colpo solo si cancella il contratto e si negano diritti fondamentali sanciti dalle leggi che il contratto richiama».
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<b>Quindi anche lei, come Antonio Di Pietro, pensa che questo accordo sia anticostituzionale?</b>
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«I profili di incostituzionalità è probabile siano più di uno».
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<b>Siamo di fronte a un "precedente" che può fare scuola?</b>
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«Si tratta di un inedito gravissimo nel panorama delle relazioni industriali, perché si punta a cancellare qualsiasi forma di rappresentanza sindacale per chi non condivide le risoluzioni dell´azienda. Gli effetti che questo può produrre sono evidenti a tutti».
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<b>Pensa che la Fiom abbia fatto bene a non sottoscrivere l´accordo, anche se questo la isola?</b>
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«La contrarietà della Fiom è del tutto condivisibile».
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<b>E gli altri sindacati?</b>
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«Trovo incomprensibile che si possa arrivare a una cancellazione di diritti individuali e collettivi di questa natura con il consenso di sigle sindacali. Questi accordi sono autolesionisti per chi li firma».
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<b>Adesso che succederà?</b>
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«È auspicabile che ci sia una forte iniziativa politica di contrasto a quanto è successo a Torino». <br />
«Noi subalterni a un'Europa senza modello sociale»2010-11-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547645<br />
«Hanno discusso di governance per modificare il Patto, cancellando la crescita. E l'Italia non prova nemmeno ad avere un ruolo». Per l'eurodeputato la strada scelta dall'Unione è sbagliata. A guidare è la Germania che problemi di crescita non ne ha».
<p>Bruxelles. Siamo alla «destrutturazione del modello sociale europeo» e l'Italia, in questo percorso, agisce in «completa subalternità ai Paesi che decidono». A Sergio Cofferati quello che i Governi europei stanno facendo per rinnovare il Patto di Stabilità e Crescita proprio non piace, fatica a trovarci qualche aspetto positivo e quando lo fa parla di "qualche goccia" in un bicchiere che è difficile vedere anche come mezzo pieno.
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Ne parla a lungo, con passione, mentre viaggia verso un dibattito pubblico a Rocchetta di Vara, un piccolo comune nell'Appennino spezzino «che già sessanta anni fa parlava d'Europa», chiedendo un «patto federale tra le nazioni democratiche».
<p> «Non era una cosa del tutto comune», dice l' eurodeputato pensando a quella delibera comunale del 1950. Oggi l'ex leader sindacale, l'ex sindaco di Bologna, ha una poltrona a Strasburgo, dove lavora davvero ed in particolare lo fa nella Commissione speciale creata per analizzare la crisi economica e finanziaria.
<p>«Il problema dell'accordo al Consiglio europeo è che hanno discusso di governance per modificare il Patto, cancellando la crescita - spiega -. Tutta la discussione è stata centrata sul risanamento e il controllo delle dinamiche finanziarie, ma l'impianto originale del Patto di Stabilità e di Crescita anche nel linguaggio è diventato solo Patto di Stabilità».<br />
E questo non basta, perché «la stabilità era finalizzata alla crescita, che era l'obiettivo».
<p> Qualcosa che non è nell'accordo dei Governi è bene che non ci sia però: «Hanno eliminato l'automatismo delle sanzioni e la negazione del diritto di voto per gli Stati che violano le regole. Erano i provvedimenti punitivi più pesanti, ed anche forieri di problemi di non poco conto per molti Paesi, tra loro e nei rapporti con 1' Unione».
<p>Cofferati non disconosce però il valore delle sanzioni, «il problema - dice - è che senza incentivi non producono risultati consistenti».
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«Volendo trovare qualche goccia di buono in questo bicchiere - continua - c'è il fatto che l'Europa finalmente produce uno sforzo per trovare soluzioni tutta insieme. All'inizio di questa crisi ognuno provvide per se. E uno sforzo che non va assolutamente sottovalutato, anche se la strada è sbagliata». Non solo è sbagliata, ma è anche la strada privata di qualcuno, perché, spiega «le soluzioni trovate non sono pensate insieme, c'è chi le guida», e qui accenna alla Germania, che problemi di crescita non ne ha. Per rendere più efficiente lo sforzo comune, dunque, «bisogna, con incentivi mirati, ridare dignità e credibilità alla crescita, ed è questo che può fare il Parlamento europeo, riequilibrando il modello di governance, introducendo il tema "economia e società". La stabilità infatti è importante, ma all'origine aveva una finalità, senza la quale sembra essere solo una categoria dello spirito». Cofferati insiste: «Lo sforzo perla crescita è importante, perché l'Ue è in una difficoltà economica e sociale che non ha ancora raggiunto il punto più alto. Benché ci qualche molto piccolo sintomo di ripresa, non generalizzato, tolta la Germania tutti sono in difficoltà, e per gli economisti questi valori di crescita non sono sufficienti a creare occupazione aggiuntiva».
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Forse perché è stato un sindacalista, forse perché dall'osservatorio privilegiato del Parlamento ha molti strumenti di analisi, Cofferati ha tre grosse preoccupazioni per il futuro, che non vede affrontare dai Governi.
<p> «In primo luogo aumenta la disoccupazione e in particolare quella giovanile. Questo è già un dramma sociale in Italia, dove siamo al 26,4% e in Spagna, con il 41 %. In secondo luogo c'è il pesante aumento della povertà, che è meno evidente ma non meno grave: nel 2008 in Europa i poveri erano il 17%, 85 milioni di persone; ora, nel 2010, stiamo superando 20%, e sono principalmente giovani e anziani. Semplicemente stanno destrutturando il modello sociale europeo. Terzo punto è che siamo davanti ad un processo di deindustrializzazione in tutta Europa, dove chiudono le industrie più mature. Un'emergenza che non è percepita né dai Governi né dalla Task force di Herman van Rompuy, che si limita a formulazioni del generico più ovvio».
<p>Il lavoro, sostiene Cofferati, deve essere quello di «porre la crescita come precondizione, trovando risorse aggiuntive, in un momento nel quale tutti i Paesi sono in difficoltà perché scontano una caduta delle disponibilità per effetto della crisi». Qui entra il ruolo che ha già iniziato a giocare il Parlamento, che in questa materia ha il diritto di codecisione con i Governi. Senza il "sì" dei deputati non si va avanti.
<p> «Bisogna ripartire da Keynes - dice Cofferati - con interventi materiali e immateriali. Il tema è: dove trovare le risorse. Il Parlamento ha avanzato delle proposte molto concrete come l'introduzione degli eurobond e la tassa sulle transazioni fmanziarie, due cose alle quali il Consiglio neanche accenna, confermando la sua mancanza di attenzione. Ora dobbiamo trasformare queste che sono proposte politiche in proposte legislative».
<p>I Governi hanno deciso di lavorare a una revisione del Trattato, che «è una cosa possibile, ma non si capisce esattamente cosa vogliano fare, c'è tanta approssimazione, mi preoccupa. Che si crei un Fondo permanente è importante, ma bisogna chiarire quali sono i reali obiettivi perché quando apri quella porta dietro ci sono molti rischi».
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E l'Italia che fa? «Siamo di fronte all'inazione più clamorosa, non succede nulla. Il ministro dell'Economia ha sempre detto che stiamo meglio degli altri, ma intanto precipitano i fondamentali economici e cresce la disoccupazione. Nei prossimi mesi la situazione peggiorerà, ci saranno nuovi giovani alla ricerca di una lavoro e finiranno per tanti gli ammortizzatori sociali. Questo inverno e la prossima primavera saranno drammatici».
<p> Anche in Europa l'Italia non agisce. «Se accetti un irrigidimento delle politiche di bilancio che tra l'altro rischi di non reggere - spiega -, nella situazione in cui sei devi chiedere in cambio uno straordinario aiuto per la crescita.
<p>Invece niente, sembra che ci sia una completa subalternità ai Paesi che decidono, tra i quali l'Italia non c'è, siamo in Europa senza neanche la voglia di esercitare un ruolo».
<p>Non si è capito, a Roma, che le cose stanno cambiando nel rapporto con l' Ue. «Il Trattato di Lisbona - dice Cofferati - cambia sensibilmente il quadro, ma in Italia nessuno sembra tenerne conto». <br />
«Fiat non rispetta la Costituzione. Progressisti, unitevi» - INTERVISTA 2010-08-31T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it505345<br />
Proprio ora che «la Fiat sta provando a forzare la Costituzione e le leggi dello Stato» il Pd dovrebbe trovare la forza di rilanciare una coalizione ad alto potenziale progressista. Bisogna partire subito con le primarie secondo Sergio Cofferati. Dalla partita della leadership pero lui si tira subito fuori «Il nostro candidato è Bersani» Ma attacca la strategia di Marchionne con la stessa fermezza e il piglio di quando guidava la Cgil: «La Fiat vuole tornare al passato. La strategia punta da una parte a superare la rappresentanza e il rapporto collettivo di lavoro per arrivare alla contrattazione individuale Dall'altro si punta a trasformare i sindacati da soggetto negoziale in soggetto che eroga servizi e abbandona la propria autonomia» Cofferati nutre tuttavia ben poche illusioni sulla possibilità di tornare ai fasti del 2003 quando al Circo Massimo a Roma riuscì a portare in piazza tre milioni di persone «Oggi il conflltto è frammentato, ridimensionato. Manca consapevolezza. In questa fase la Fiat tiene sotto minaccia anche Confindustria».
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<b>
Berlusconi è comunque al capolinea?</b>
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«Il Governo sta bollendo, dilaniato dai continui conflitti istituzionali. E la cosa più grave è che la crisi economica non è gestita, prevale la divisione»
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Come giudica la posizione assunta da Fini all'interno di questa maggioranza?</b>
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«Credo che il camblamento di collocazione di Fini sia sincero, rappresenti il frutto di un'evoluzione. Questo è un processo positivo perchè si profila una destra europea e moderna ma non va fatta assolutamente confusione. Fini è di destra, con lui è più facile confrontarsi che con Berlusconi, ma chi dice "Fini è uno di noi" non svolge una funzione utile. Il nostro problema non può essere trovare una convergenza con Fini, ma ridare forza al Pd e rilanciare uno schieramento progressista»
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Del progetto deve far parte anche l'Udc?</b>
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«Io il progressismo non lo calcolo sulla base delle vecchie identità. Alle elezioni ci dovremo presentare con una coalizione che potrà avere efficacia se assume il Pd come punto di riferimento centrale. Un'alleanza che converga su pochi e ben definiti temi. Non è più tempo di programmi sconfinati»
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<b>Quindi, basta con la vocazione maggioritaria che Veltroni ha rivendicato pochi giorni fa?</b>
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«Velroni è uno dei padri fondatori ma è sbagliato pensare che vocazione maggioritaria significhi andare da soli. E' evidente che nel centrosinistra nessuno può vivere da solo. Anche un partito a vocazione maggioritaria può avere bisogno degli altri. Non c'è una contraddizione»
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<b>
Pensa a una coalizione che tenga dentro anche i partiti non più in Parlamento come Verdi e Rifondazione?</b>
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«Non dobbiamo fare la vecchia Unione. Il limite era la mancanza di obiettivi condivisi.L'unico collante era sconfiggere il berlusconismo, che era scopo nobilissimo, ma da solo non sufficiente. Bisogna ritornare al merito del programma. In una coalizione ci stanno solo quelli che condividono la proposta».
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<b>
Il leader di questa eventuale coalizione dovrebbe essere scelto tramite primarie?</b>
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«Le primarie sono uno strumento efficace e al momento giusto andranno fatte»
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<b>Nel 2006 ha rischiato di essere il leader del centrosinistra, è pensabile una sua candidatura alle primarie?</b>
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«No assolutamente no.Questa è un'altra fase e non ci sono più le condizioni, ora faccio lo stesso mestiere. Rispetto al 2006 è cambiata la politica e le scelte che ho fatto mi hanno portato in un'altra posizione»
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<b>E chi vedrebbe bene come leader?</b>
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«Abbiamo molte risorse nel centrosinistra, che al momento opportuno dovremo mettere in campo. Il Pd il suo candidato alle primarie di coalizione ce l'ha già ed è PierLuigi Bersani»
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<b>Passando alla questione Fiat, a cosa sta puntando Marchionne con le vertenze di Melfi e Pomigliano?</b>
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«L'idea di fondo è consegnare alle aziende il potere di considerare lo sciopero legittimo o meno. Il braccio di ferro nasce proprio da qui: mettere in discussione il diritto di sciopero, come è stato concepito sinora. La Fiat mette in discussione la Costituzione e il contenuto di leggi importanti»
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<b>In che modo si intendono le relazioni industriali?<br />
Negli ultimi giorni si è aperto anche il fronte scuola. Due insegnanti precari stanno facendo lo sciopero della fame per chiedere un incontro al Governo.</b>
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«Quelle della Gelmini sono politiche involutive che non hanno nessun tratto riformista»<br />
Appalti sporchi «Al posto di Rosa avrei lasciato» - INTERVISTA2008-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383169<br />«Quando si scelgono gli assessori si ha una responsabilità politica ben precisa»<br />
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Ci sono valutazioni e criteri che in politica devono precedere l’accertamento delle responsabilità penali e il lento cammino della giustizia. Queste valutazioni e questi criteri avrebbero spinto Sergio Cofferati a dimettersi «un’ora dopo aver appreso che tre o quattro miei assessori fossero stati indagati». Alla stessa maniera, ci sono valutazioni e criteri che dovrebbero spingere lo stato maggiore del Pd ad interrompere ogni discussione «sul problema della leadership: il leader è Veltroni che ha avuto una legittimazione plebiscitaria. Punto. E poichè sento parlare di Congresso subito dopo le europee, io - che pure avevo chiesto che si svolgesse addirittura prima del voto - invito il partito a evitare di costruire, anche inconsapevolemente, le condizioni perchè quelle elezioni diventino, impropriamente, una sorta di sede congressuale». Per il resto, a dir la verità, più ancora che per le vicende che riguardano il Pd, Sergio Cofferati appare preoccupato (magari per un riflesso da antico leader sindacale) dalla crisi in arrivo: «Il Natale passerà, e porterà via le ultime spese e un po’ di conforto morale... Gennaio, febbraio e marzo saranno mesi durissimi.».<br />
<b>Però cominciamo dal Pd, signor sindaco, e dalla cosiddetta questione morale manifestatasi al nord, al centro e al sud. Bologna e l’Emilia ne sembrano immuni. Perchè?</b><br />
«La ragione non è solo nelle persone che amministrano o dirigono il Pd, secondo me: è nella loro cultura politica e nel radicamento di cui il partito gode. Dove il Pd è più strutturato, di solito l’azione politica e amministrativa è più efficace, e questo - assieme ad alti livelli di partecipazione, che vuol dire anche controllo - rende più difficili le degenerazioni. In più, la buona politica ha bisogno di buoni esempi e di ideali forti: quando l’idealità - non l’ideologia - è forte, i rischi di corruzione sono assai minori. E l’Emilia e la Romagna, non lo si dimentichi, sono la culla del riformismo...».<br />
<b>Lei dice che di fronte a degli inquisiti si sarebbe dimesso. Ma al sindaco di Napoli la magistratura non avanza contestazioni...</b><br />
«Lo so, ed infatti il discorso è complesso. Dunque, parlo per me, senza la pretesa di dare indicazioni. Se tre o quattro dei miei assessori venissero incriminati, però, io sentirei l’obbligo di dimettermi per una ragione semplice: quegli assessori li ho scelti io, guardandoli negli occhi. Se commettono un errore o un’illegalità, devono essere sanzionati ma io mi sentirei responsabile della scelta errata. E parlo naturalmente di responsabilità politiche, non penali». <br />
<b>
L’ultima Direzione del Pd ha affrontato, tra gli altri, anche questo problema: lo ha fatto, secondo lei, con la necessaria nettezza?</b><br />
«Non ho potuto essere a Roma perchè ho in corso la sessione di bilancio al Comune di Bologna: e mi spiace esser mancato perchè avrei voluto avere un’idea del clima, visto che molte volte il clima vale più di tante parole... L’approdo, però, è stato unitario e al centro della discussione c’è stata più la necessità di strutturare il partito che altri temi. Concordo: radicare il Pd è la più urgente delle questioni che abbiamo di fronte». <br />
<b>
Sul tipo di partito da costruire Veltroni è parso oscillante, in questi mesi: prima partito liquido, leggero; poi partito pesante, di massa, con iscritti... Che le pare?</b> <br />
«Che al radicamento territoriale non c’è alternativa possibile. E che fatte tutte le differenze e tenuto conto di tutte le novità, il modello cui dobbiamo guardare - lo dico addirittura provocatoriamente - è quello del partito ottocentesco: partito di massa, radicato, con molti iscritti. Una volta si diceva che nei più piccoli comuni italiani c’erano sempre almeno la caserma dei carabinieri, la chiesa e una sede del sindacato. Ecco, io vorrei che ci fosse anche quella del Pd. E mi pare superfluo doverlo dire, considerando che a dirigere il partito c’è Walter, appunto».<br />
<b>
In che senso, scusi?</b><br />
«Nel senso che Veltroni usava Internet, cioè ne aveva capito la potenza innovativa, già quindici anni fa. Ma io ricordo bene come ha fatto il sindaco di Roma: ha incontrato ogni giorno, per anni, un numero impressionante di persone. Internet va benissimo: ma l’autorevolezza di Veltroni è cresciuta nel dialogo quotidiano con la gente, e grazie a una rete di rapporti davvero enorme». <br />
<b>Tutto questo per dir cosa?</b><br />
«Che mi pare surreale stare a discutere se fare iscritti oppure no. Non solo bisogna farne, ma occorre dare loro anche maggior peso e potere rispetto agli elettori, come del resto è scritto nello statuto. Bisogna rafforzarne le funzioni: anche perchè, se le differenze svaniscono, si finisce per rinunciare ad iscriversi».<br />
<b>
Diceva all’inizio delle sue preoccupazioni per la crisi in arrivo...</b><br />
«Per la crisi in arrivo e per il ruolo che avrà il Pd: dobbiamo connotarci per una pratica di opposizione visibile e forte. Far questo potrebbe aiutarci anche a risolvere la cosiddetta questione delle alleanze: se sei forte, gli altri hanno tutto l’interesse ad allearsi con te... Poi, certo, c’è bisogno di idee per provare ad arginare le crisi». <br />
<b>Che pare preoccuparla molto, è così?</b><br />
«Sono appena stato al pranzo di solidarietà annuale ospitato dalla brigata Friuli: rispetto all’anno scorso, la platea dei bisognosi era visibilmente cambiata. Passato il Natale, faremo i conti con una crisi che ha pochi precedenti. Occorrerebbe uno sforzo unitario, di tutto il Paese, qualcosa che facesse ripetere i miracoli che l’Italia ha già fatto: penso alla crisi petrolifera negli anni ‘70 e all’impegno durissimo per entrare nel gruppo di testa della nuova moneta europea».<br />
<b>Le sembra che il governo si stia muovendo con efficacia?</b><br />
«E’ stata approvata una Finanziaria che non tiene conto affatto di tutto quel che sta accadendo. Ma c’è ancora modo di intervenire. Al nuovo mercato del lavoro, segnato da una grande flessibilità, vanno accompagnati nuovi diritti e soprattutto strumenti di tutela sociale. E’ il primo compito che abbiamo davanti. Tutti: governo, opposizione e sindacati, che sotto gli effetti della crisi, vedrà, saranno costretti a ritrovare la loro unità». <br />
"Tra la nostra gente sale la rabbia chi è inquisito si faccia da parte" - INTERVISTA2008-12-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382763<br />
"Liti e inchieste mettono in gioco la credibilità del partito
Sarebbe opportuno non condizionare altri alle proprie legittime esigenze di difesa"
<p>BOLOGNA - "Chi è coinvolto in indagini delicate, farebbe bene a valutare l'opportunità delle proprie scelte. Se toccasse a me, mi farei da parte". E' allarmato Sergio Cofferati per l'affiorare di una questione morale anche nel Pd ("Cinque o sei casi rilevanti sono una faccenda seria"), per le risse interne ("Siamo al livello di guardia, la nostra gente prima ci guardava litigare con fastidio, ora ci dice "basta" e se non l'ascoltiamo rischiamo grosso"), per l'avanzare di proposte di alleanze con il Carroccio ("Scherziamo, con la Lega?"). Il sindaco che ha rinunciato a ricandidarsi per la famiglia, parla del suo partito da battitore libero di lusso.<br />
<b>
Sindaco Cofferati, da Firenze alla Campania, passando per l'Abruzzo, le inchieste giudiziarie scuotono il Pd.</b><br />
"Sono casi diversissimi tra loro e le specificità non vanno sottovalutate. Ma è giusto domandarsi quale quadro compongono queste tessere, perché l'opinione pubblica se lo chiede".<br />
<b>Appunto. Quanto è grave la questione morale nel suo partito?</b><br />
"Quando i casi sono più d'uno, e di rilievo, è bene riflettere, verificare se c'è un clima che può far venire meno il necessario rigore e farvi fronte".<br />
<b>In che modo?</b><br />
"Recuperando i valori costitutivi, puntando sul rispetto rigoroso delle regole e praticando la trasparenza".<br />
<b>Nessuna sanzione? Non sarebbe ora di sospendere qualcuno?</b><br />
"All'azione preventiva del partito che difende se stesso, preferisco l'assunzione di responsabilità dei singoli".<br />
<b>
Si deve dimettere Bassolino?</b><br />
"Non voglio giudicare i singoli casi".<br />
<b>E il sindaco Iervolino?</b><br />
"Rosa non è neppure indagata".<br />
<b>
Un indagato può correre per le primarie come avviene a Firenze?</b><br />
"Sono fedele al principio che chiunque è innocente fino a prova contraria. Però entrano in gioco anche valutazioni di opportunità. Non lo dico per altri, ma se fossi io farei un passo a lato. Per difendersi meglio e non condizionare altri alle proprie esigenze di difesa"<br />
<b>Anche al netto degli scandali, il Pd sembra una nave allo sbando con la ciurma perennemente azzuffata. Serve un nuovo capitano?</b><br />
"Ci mancherebbe. In una situazione così difficile, con una crisi di questa portata e le elezioni alle porte, è indispensabile che il gruppo dirigente faccia uno sforzo straordinario per ritrovare la coesione che serve ad affrontare l'emergenza".<br />
<b>
Già sentito. Ma a parte rari momenti di tregua, dal Piemonte alla Sardegna, è rissa permanente.</b><br />
"Non è un appello di rito, il mio. Ne va della nostra credibilità. Perciò bisogna voltare pagina con certi comportamenti, in modo visibile. A tutti i livelli".<br />
<b>A chi parla? A D'Alema e ai suoi Red?</b><br />
"Non è da lì che partono le polemiche. Parisi non è iscritto a Red".<br />
<b>Per Parisi Veltroni dovrebbe fare le valigie.</b><br />
"Sarebbe un disastro. Veltroni l'abbiamo chiamato in una fase drammatica, faceva il sindaco di Roma. E' stato eletto da una consultazione vastissima, chiamato in stato di necessità per la crisi del governo di centrosinistra. Ha avuto il mandato di guidare il partito alle elezioni nella condizione peggiore. E si è detto: quale che sia il risultato, costruirà il Pd".<br />
<b>
Nessuno può mettere in discussione il capo?</b><br />
"Per questo ci sono i congressi. Io, è noto, l'avrei fatto subito dopo il voto. Ora è fissato per l'anno prossimo. Quella è l'occasione. E io sosterrò la riconferma di Veltroni perché per formare un nuovo gruppo dirigente ci vuole tempo".<br />
<b>E se fosse Bersani il successore di Veltroni?</b><br />
"Al congresso si discuterà di uomini e programmi. Sono amico di Bersani, sta facendo bene, è uno dei più stimati e tutti i giorni mette i mattoni dove vanno messi, ma per realizzare un partito nuovo c'è bisogno di Veltroni".<br />
<b>Se il segretario si ritira, lei si mette in gioco?</b><br />
"Non c'è motivo perché si ritiri. Io sono a disposizione di un lavoro collegiale, ma con i limiti che ho già detto".<br />
<b>Magari farà il leader del Pd del Nord.</b><br />
"Il partito del nord è sbagliato, uno snaturamento del Pd. Si farà un coordinamento, come proposi in tempi non sospetti, e sarà affidato ai segretari regionali. Mi colpisce, però, la disinvoltura con cui si parla di Pd del Nord e di alleanze con la Lega".<br />
<b>Ce l'ha con Chiamparino?</b><br />
"Non condivido l'opinione chi immagina non convergenze su singoli temi, ma un'alleanza con chi è così distante da noi sullo Stato, la sicurezza, la solidarietà, l'accoglienza degli stranieri. Invece di inseguire il Carroccio, il nostro banco di prova al nord deve essere una proposta per fronteggiare la crisi e gli effetti che avrà sul lavoro e sulle aziende".
<br />
"Ma la mia non è una ritirata" - Colloquio2008-10-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375163<br />
Immaginiamo che a quest’ora la luce stia come sempre prendendo d’infilata l’ufficio, facendo brillare gli spessi vetri delle due scrivanie, una delle quali interamente ingombra dei piccoli regali accumulati in questi anni, stendardi, oggettini, libri e gadget: Ferrari, innanzitutto.
Quando nacque Edoardo - il bambino per il quale il sindaco ha deciso di rinunciare a rifare il sindaco - Luca Cordero di Montezemolo inviò delle piccolissime scarpine «rosso Maranello», con tanto di simbolo e di auguri. Immaginiamo siano ancora lì, in bella vista... Ora però che il dado è stato appena tratto, ora che il peso è sceso via giù per lo stomaco, la voce di Sergio Cofferati tradisce infine un’emozione. Racconta: «L’altra sera, come tento di fare tutti i mercoledì, sono scappato da Bologna a Genova per stare con lui e Raffaella almeno qualche ora. L’ho visto, finalmente, muovere il primo passo. Solo uno: poi ha sculettato ed è caduto... Non è giusto che cresca senza padre. E non è giusto che la madre, a 35 anni, sacrifichi il suo lavoro per me che ne ho sessanta...».
E dunque sì, ci si può credere: quella di Sergio Cofferati è una scelta «di carattere strettamente personale», un bimbo e una donna che prevalgono sulla politica, uno stile forse più scandinavo che italiano, Paese dove storie così - a torto o a ragione - sono più che rare, e dove certo qualcuno starà commentando «Cofferati dev’essersi rincoglionito». Il «cinese» - il leader freddo e duro, il Garibaldi dei tre milioni al Circo Massimo - rinuncia a ricandidarsi, invece, esattamente e davvero per le ragioni che dice: ma immaginare che sulla sua scelta «personale» la politica non abbia influito, sarebbe ingenuo. Prima ancora che sbagliato. Per reciproca ammissione, infatti, il sindaco non-bolognese e la città non hanno mai legato. Ed è proprio in questo clima di gelida diffidenza - diffidenza politica, progettuale, per certi versi perfino identitaria - che Sergio Cofferati ha purtroppo dovuto tentare di risolvere i suoi problemi «di carattere personale». Senza riuscirci, naturalmente.
Racconta: «Cominciarono a dire e a scrivere che lasciavo mia moglie perché avevo messo incinta una ragazza: aspettava due gemelli. Sì, certi salotti si divertirono... I gemelli, naturalmente, non nacquero: e allora dissero che la ragazza aveva abortito. Poi si scoprì che la ragazza non era tanto ragazza, che era una professionista con un buon lavoro a Genova e allora cominciarono a dire - e a scrivere - che stavo maneggiando per farla trasferire a Bologna, visto che aspettavamo - e quella volta era vero - anche un bambino. Fui costretto a querelare il “Corriere”, non servì a nulla. Le cattiverie continuarono, con il risultato di rendere impossibile un ricongiungimento con Raffaella e nostro figlio Edoardo. Per altro, ne arrivassero di nuovi professionisti come lei a dare una mano a quelli che già lavorano per i teatri bolognesi...».
A sentirlo così, mentre ragiona con qualche pudore intorno a certi privatissimi fatti suoi, la tentazione è di raccontare questa storia come l’epilogo dello scontro tra due amori: quello sbocciato tra Cofferati, la sua compagna e loro figlio, e quello mai nato tra un bel pezzo della città e il suo «sindaco straniero». Il cinese, naturalmente, ci ha messo come sempre del suo a complicare le cose. Un rapporto difficile con l’«universo Prodi» - che a Bologna conta eccome - generato dal fatto che il Professore si legò al dito la circostanza di esser stato informato della candidatura di Cofferati a cose fatte. Un rapporto pessimo con il mondo della sinistra cosiddetta radicale, uscita dalla giunta comunale sull’onda della coraggiosa (e allora inedita) affermazione del cinese che «la sicurezza non è un valore di destra». Più di un problema con i potentati economici della città, abituati da decenni a parlare col sindaco in dialetto, e in naturale sintonia sul che fare, a chi farlo fare e quanto pagare. E perfino difficoltà con lo stesso Pd, preoccupato dalla «vocazione maggioritaria» invocata da Cofferati per le prossime elezioni comunali: «Al voto ci andiamo da soli, governare con gli ex alleati non è possibile».
Questo amore mai nato ha contato nella rinuncia del sindaco: e lo si capisce, naturalmente, dalle soddisfazioni esplicite e dalle felicità nascoste che hanno fatto seguito all’annuncio del cinese. Ora, certo, il Pd è nei guai. «Ma mai nessuno - sussurra Cofferati - che si sia alzato per dire che su di me si scrivevano e si dicevano della maialate». Eppure, tutto questo sembra essere una pagina davvero già voltata. «Non potevo chiedere a Raffaella di sacrificare il suo lavoro - riprende - né potevo pretendere - per lei, apprezzata a Genova - che venisse comunque qui, magari per farsi dire in strada “ecco la fidanzata del sindaco, ecco la raccomandata”. Ci ho provato a fare il pendolare, in auto avanti e indietro, a volte con Edoardo, che però non può crescere su un’autostrada. Niente da fare, non reggeva. Dovevo scegliere, l’ho fatto: e non si tratta di una ritirata...».
Sarà. Per il sindaco quasi ex, si parla di una candidatura alle europee. Si vedrà, ma al momento è ben altro quel che incombe. «A Bologna si può vincere lo stesso - dice - a condizione che non comincino interminabili balletti e il gruppo dirigente individui subito il suo nome per le primarie». Inutile chiedergli se abbia informato Romano Prodi della decisione di lasciare. «È tanto che non lo sento...», dice. Tanto quanto? «Lo chiamai quando decisi di dare la mia disponibilità a concorrere per un secondo mandato. “Bene - mi disse -. Io me ne sto andando in Africa...”». Ora la grande famiglia del Professore è in fermento, come - del resto - tutto il Pd. Loro, si dice, avrebbero almeno un paio di candidati da mettere in pista. Si vedrà. Certo, sono in tanti a sembrar contenti. Per il sindaco pendolare, in fondo, forse una motivo per imboccare l’autostrada verso Genova con qualche senso di colpa in meno e un po’ di sollievo in più...
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