Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Pier Paolo BARETTAhttps://www.openpolis.it/2013-06-23T00:00:00Z“Settimana europea dell’energia sostenibile” a Mestre2013-06-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it692193<br />
Il sottosegretario all'Economia e Finanze ha preso parte ieri mattina - 23 giugno, a Mestre - all'inaugurazione della “Settimana europea dell’energia sostenibile”, organizzata dall'<a href="http://www.nordestsudovest.org/energia_sostenibile.php">associazione culturale <b>NordEstSudOvest</b></a>.
<p>“È particolarmente significativo che il governo sia presente in questa iniziativa per assicurare che questa è la strada giusta. È una strada che facciamo fatica a imboccare con l’urgenza che richiede. Rappresenta un’idea di sviluppo del paese e del mondo che ha bisogno di essere recuperata rapidamente, non per scelta ma per necessità”.
<p>Il sottosegretario ha poi sottolineato che “ci vuole una forte integrazione di lavoro tra istituzioni nazionali e locali, associazionismo e aziende”.
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“Dobbiamo lavorare per allentare il patto di stabilità, che limita i comuni sul fronte del rinnovamento energetico, del dissesto idrogeologico e della manutenzione delle scuole. Intanto il Governo ha prorogato gli incentivi per la ristrutturazione edilizia e questa scelta dovrebbe divenire di carattere strutturale”.
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Il sottosegretario ha precisato anche che il tema della sostenibilità impatta concretamente sulla realtà veneta, “una regione piena di industrie che cercano lo sviluppo in questa direzione. È necessario integrare un piano generale con la capacità di favorire quelle realtà industriali che ripensano sé stesse, non rinunciando alla competizione ma proponendo anche un cambiamento di mentalità. La verità è che stiamo parlando di qualità della vita: dobbiamo pensare che l’energia sostenibile è un pezzo della nostra vita e dello sviluppo economico”.<br />«Subito credito d'imposta per ricerca e sviluppo» - INTERVISTA2012-11-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656724<br />«Ci batteremo per cancellare del tutto la franchigia sulle spese sanitarie».
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Dalla nuova impostazione della manovra «potremo recuperare per il 2013 un miliardo di euro da destinare al taglio del cuneo fiscale. La priorità, e su questo c'è un'intesa di maggioranza, deve essere il lavoro».
<p>Pier Paolo Baretta (Pd), uno dei due relatori alla legge di stabilità (l'altro è Renato Brunetta del Pdl), non ha dubbi su quale debba essere la destinazione di una parte della dote derivante dal mancato intervento sull'Irpef.
<p><b>Brunetta vorrebbe che le risorse finissero tutte sul tavolo della produttività.</b>
<p> Penso che bisogna distinguere tra il 2013, in cui abbiamo a disposizione 4,2 miliardi di euro recuperati dallo stop alla riduzione delle prime due aliquote dell'Irpef, e il 2014, quando avremo un incremento importante che ci consentirà di dire che la manovra è in crescita Se dai 4,2 togliamo 1,15 miliardi che servono a evitare l'aumento dell'Iva agevolata dal 10 all'11%, un ulteriore miliardo per cancellare la retroattività del taglio delle agevolazioni fiscali, che potrebbe salire fino a 1,9 miliardi se, come chiediamo, si stralceranno del tutto il tetto e la franchigia, si scende a 1-1,2 miliardi e io credo che dobbiamo concentrare la platea dei beneficiari.
<p><b>Non c'è spazio per un intervento a favore delle imprese già dall'anno prossimo?</b>
<p>Non ci sono le risorse. Penso che l'operazione da fare per le aziende nel 2013 sia di dare subito il credito d'imposta su ricerca e sviluppo da finanziarsi con le risorse che si ricaveranno dal "Piano Giavazzi". E' una richiesta che Confindustria ha avanzato in commissione e ritengo sia una cosa giusta, da prevedere subito. Il discorso sarà invece diverso nel 2014.
<p> <b>Ci saranno più risorse?</b>
<p>Il miliardo per i lavoratori può raddoppiare nel 2014 se i sindacati raggiungeranno l'accordo sulla produttività che spero venga fatto. A quel punto sarà possibile porsi il tema degli autonomi e ipotizzare anche un intervento sull'Irap. Intanto partiamo nel 2013 con lo sgravio per i redditi da lavoro a cui si aggiunge un altro miliardo per il sociale.
<p><b>Chi ne beneficerà?</b>
<p> Nella manovra non sono considerati indigenti e pensionati. Le risorse del fondo ad hoc che fa capo a Palazzo Chigi non saranno più indistinte, ma bisognerà fissare con tabelle e cifre dove andranno questi soldi.
<p> <b>II Governo, però, non ha ancora deciso se accettare la proposta di stralciare del tutto il tetto e la franchigia su detrazioni e deduzioni fiscali...</b>
<p> L'Esecutivo si è riservato di rispondere quando abbiamo posto la questione. Ci sono due tasselli da considerare. In primo luogo una valutazione di quantità perché la manovra deve garantire saldi invariati. E poi c'è una valutazione sul merito.
<p><b>In che senso?</b>
<p>Prendiamo, per esempio, il nodo dei mutui. E' di tutta evidenza che aver messo i costi sostenuti per i mutui prima casa dentro il tetto di 3 mila euro per gli oneri detraibili è uno strafalcione e che il Governo ha tutta la volontà di correggerlo. Ma è chiaro che l'Esecutivo è prudente nel dire aboliamo tutti i tetti (mutui e spese per le famiglie) perché ciò equivarrebbe a un ridimensionamento del tema C'è una questione di politica fiscale e questo aspetto va approfondito.
<p><b>Un altro punto al centro del prossimo confronto con il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli. Avete già deciso quando vi vedrete?</b>
<p>Da lunedì ogni giorno è buono. Ci aspetta una settimana di lavoro in commissione per arrivare a fine settimana con il testo da presentare all'aula.
<p> <b>Al Mef proporrete anche l'eliminazione della franchigia sulle spese sanitarie?</b>
<p>Noi siamo per toglierla. Se al lavoratore sottraiamo il vantaggio che era collegato alla riduzione delle aliquote Irpef e gli lasciamo la franchigia, la mazzata fiscale si rivela rilevante. Per questo ci batteremo affinché sia eliminata. <br />
Il governo non riesce a distinguere tra sprechi e tagli.2012-10-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it655718<br />La legge di stabilità per il 2013 si presenta come una "mini" manovra che, da un lato, si muove all'interno dei vincoli tendenti al raggiungimento del pareggio di bilancio, a prezzo, però, di tagli su settori sensibili quali la sanità e la pubblica amministrazione; dall'altro getta un sasso nello stagno le cui onde (lunghe!) possono avere effetti positivi sulla economia.
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Cominciamo da queste ultime ed in particolare dalla introduzione, nell'agenda del governo, della riduzione della pressione fiscale. È un segnale che va incoraggiato.
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In tal senso, mi hanno stupito le dure riserve sollevate da una parte del sindacato che, pure, ha fatto, in questi mesi, del fisco la propria battaglia. Anche perché la detassazione dei contratti di produttività, che la legge di stabilità riconferma, va incontro al buon esito del confronto aperto tra le parti sociali.
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Semmai, nel corso dell'esame parlamentare, andrà valutato se la quantità stanziata (circa 5 miliardi), non sia meglio destinarla alle detrazioni per la famiglia, il lavoro e l'impresa, anziché all'Irpef dalla cui riduzione, individualmente modesta, finirebbero per goderne tutti, poveri e ricchi.
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Va aggiunto nell'elenco degli aspetti interessanti l'attuazione della direttiva sui pagamenti della pubblica amministrazione. Ma, questa scelta opportuna, oltre che dovuta, dovrebbe portare il governo, non solo a "rottamare" il patto di stabilità, ma anche, per il principio dei vasi comunicanti, a non insistere ancora sui tagli ai servizi pubblici, pena o la inapplicabilità della direttiva (con conseguenti sanzioni) o un incremento delle tasse locali che finirebbe (come è già successo per il primo modulo fiscale di qualche anno fa) per vanificare la riduzione fiscale, a qualsiasi titolo venga erogata. E, a proposito di tasse, va nella giusta direzione anche quella sulle transazioni finanziarie. Un intervento che segna il ritorno della politica per penalizzare non i mercati, ma la rendita e fa assumere all'Italia un ruolo traino in Europa.
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Queste luci, pur con i necessari aggiustamenti, non cancellano le ombre dei tagli. La sanità, innanzi tutto. Ciò che il governo non riesce a fare è distinguere tra sprechi e tagli. Così la logica positiva della spending review rischia di diventare una incompiuta che lascia spazio a tagli lineari di difficile sopportazione.
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Il governo, dunque, sia disponibile a cercare strade alternative. Lavoriamo per rafforzare la strada della dismissione degli immobili (che si avvia, finalmente), della lotta alla evasione (il tesoretto da non sprecare, né nascondere) e alla corruzione e delle altre scelte che ci consentano di garantire, nel rigore, quella equità che finora ha scarseggiato nelle scelte del governo.
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Il confronto parlamentare che ora si apre, e quello indispensabile con le parti sociali, dovrà essere capace di muoversi dentro questi sentieri, senza farli diventare un labirinto. L'Italia non è ancora fuori dal tunnel e l'eco dei problemi della Spagna e della Grecia risuona ancora nei nostri bilanci. Ma, i sacrifici di quest'anno, pesanti e troppo ineguali, ci hanno evitato il baratro ed ora è arrivato il momento della verità.
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La legge di stabilità per il 2013, dunque, più che una manovra di stampo classico, deve assolvere al compito di dare il segno della svolta e di far sì che quei sacrifici non siano stati vani. <br />
Superare il patto di stabilità e ridurre il cuneo fiscale per ripartire2012-09-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650302
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"Il pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo positivo che allenta la morsa sul debito e consente di orientare le scelte del governo sulla crescita, evitando una manovra bis o un nuovo aumento delle tasse e dell’Iva. La strada c'è: dismissioni, con la creazione di un grande fondo nel quale far confluire il patrimonio pubblico da gestire nel mercato; superamento del Patto di stabilità, per consentire agli enti locali di investire; riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. La discussione sulla Legge di stabilità è imminente, e ci chiamerà ad un compito arduo: riuscire a coniugare crescita e austerità, come ricordato anche oggi dal Presidente Napolitano".<br />
“Macché rottamazioni, alle primarie voto Bersani e spiego perché” 2012-09-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650121<br />
Voterò Bersani. Innanzitutto perché lo scopo di queste primarie è scegliere il candidato a Presidente del Consiglio e Bersani è, in questo contesto, la persona adatta.<br />
So bene ed apprezzo che importanti democrazie (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) abbiano, anche recentemente, portato al governo giovani, forze fresche ed intraprendenti e la Storia è piena di esempi di giovani condottieri. In Italia più che altrove, è urgente rinnovare le classi dirigenti (e non solo politiche!). Dunque, la giovane età non è un argomento contro Renzi, ma in verità, nemmeno a favore… “a prescindere”.
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La questione non è anagrafica, ma politica. Il nostro Paese è in recessione, immerso in una grandiosa crisi globale ed ha bisogno, proprio nei 5 anni di governo “politico” che ci attendono, di continuare a perseguire e consolidare (con maggior determinazione e respiro!) le scelte di politica economica, fiscale e sociale già impostate dai Riformisti e dal Pd. I drammatici errori del governo di centrodestra e la conseguente necessità di un governo di emergenza non hanno consentito di sperimentare appieno la nostra strategia.<br />
L’efficace, ancorché fastidioso slogan sulla totale rottamazione della attuale classe dirigente, va ben oltre le facce, ma è accompagnato da un esplicito azzeramento delle politiche, di tutte, senza distinzioni, come se centro destra e centro sinistra avessero le stesse responsabilità o compiuto gli stessi errori (si legga, in proposito, l’istruttivo e bel discorso di Clinton a favore di Obama).
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I limiti del Pd sono evidenti: di comunicazione, di indecisione, di gestione, e, ahimé, di non coesione interna. Sono limiti seri che vanno corretti e ben vengano gli stimoli, ma se guardiamo alle proposte di merito, sui tre famosi nodi, irrisolti, di questa fase: rigore, crescita ed equità, non è che – per ricordare un altro famoso toscano – “è tutto sbagliato, è tutto da rifare”. Non è un ragionamento consolatorio o giustificazionista, questo. Al contrario è un riferimento severo ai programmi ed alle quotidiane fatiche del lavoro politico, che, dopo le campagne elettorali, si misura, con le risorse da trovare, gli equilibri da rompere, le mediazioni da costruire.
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La mancata considerazione di ciò, in nome di una semplificatoria efficacia mediatica, può apparire come una qualità del comunicatore che si propone come “nuovo”, ma è un grave limite per il politico che si appresta a governare.
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Le dinamiche del consenso hanno le loro regole, ma gli statisti (questo deve essere, sia pure con la necessaria tolleranza, il nostro metro di misura) debbono saperle sovvertire. Una delle novità che qualifica una moderna politica, rispettosa del cittadino informato, deve consistere nel far emergere la realtà, oltre al sogno.
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La quasi cocciuta distinzione che Bersani fa da tempo, tra “prima l’Italia e poi il resto” e la rinuncia a mettere il proprio nome sulla scheda elettorale, sacrificando spesso la forza mediatica di messaggi emozianali, potrà talvolta non soddisfare l’agone affamato di certi media, ma rappresenta una solida certezza nei difficili passaggi che ci attendono. Quante volte si è detto di Prodi che, soprattutto al confronto col grande comunicatore, non sapeva comunicare (e non era vero!), eppure, il suo primo governo, è stato il migliore degli ultimi vent’anni.
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La crisi attuale ha bisogno di risposte coraggiose ed innovative, ma soprattutto, di esperienza di Governo nazionale che Bersani ha dimostrato di avere (l’unico progetto di crescita è ancora oggi quell’Italia 2015 di Bersani e le sue “lenzuolate” sono state più coraggiose di quelle di Monti!). Lo abbiamo visto proprio col Governo dei tecnici, che pure ha fatto un importante lavoro, cosa vuol dire avere ministri che non conoscono la “macchina”.
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C’è poi un secondo motivo. Bersani ha scelto di fare le primarie. Non era tenuto e nessuno poteva imporle. Lo Statuto, infatti, prevede che il segretario sia il candidato premier. E lo Statuto non può essere, come troppo spesso accade, un’opinione che si gestisce a piacimento, ma un “patto” solenne di convivenza. <br />
Una cultura positiva dello Statuto farebbe tanto bene ad un partito giovane come il nostro. Eppure Bersani le ha volute. E’ una decisione controversa, ma serve anche, a rispondere alle difficoltà della politica e dei partiti. La crisi della rappresentanza ha bisogno, nella frantumata società della conoscenza, di coinvolgimento popolare e di nuova “militanza”. Le primarie sono uno strumento ambiguo (quali regole le presiedono? chi ha diritto al voto? quanto costano?), ma, indubbiamente, sono popolari e partecipative. Il loro abuso può essere fatale, compresa l'idea che servano ai candidati perdenti per farsi una rendita di posizione, ma, in assenza di valide alternative, che pure andranno pensate, lo scossone all’apatia ed alla disaffezione crescente vale la candela.
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Infine. Non si può, ovviamente, pretendere di conoscere personalmente i leader, e dunque, bisogna affidarsi alla immagine pubblica che ci viene proposta dai media. <br />
E’ un aspetto importante di democrazia e trasparenza, tuttavia è a senso unico: semplifica, schematizza. Raramente dà conto della complessità delle persone in carne ed ossa. Vale per Renzi, che, certamente, sarà meno spigoloso di come ci appare e vale per Bersani. Resta il fatto che io conosco personalmente Bersani da anni e lo stimo anche per la sua rettitudine personale. Nello scarto che c’è tra la domanda di moralità e la risposta impacciata che dà la politica, non è poco per uno a cui devo affidare il mio e il nostro portafoglio.<br />
“No a manovra bis o all’aumento di tasse o Iva” 2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650120<br />
“Il pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo positivo che allenta la morsa sul debito e consente di orientare le scelte del governo sulla crescita, evitando una manovra bis o un nuovo aumento delle tasse e dell’Iva”.
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“La strada c’è: dismissioni, con la creazione di un grande fondo nel quale far confluire il patrimonio pubblico da gestire nel mercato; superamento del Patto di stabilità, per consentire agli enti locali di investire; riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. La discussione sulla Legge di stabilità è imminente, e ci chiamerà ad un compito arduo: riuscire a coniugare crescita e austerità, come ricordato anche oggi dal Presidente Napolitano”.
<p><i>Lo ha dichiarato il capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera.</i><br />
Baretta: sull'art.18 il referendum arma a doppio taglio 2012-09-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it649709<br />
La norma è il risultato di un lungo lavoro...<br />
[...]il referendum è un'arma a doppio taglio, meglio affidarsi al negoziato, meglio affidarsi all'accordo fra le parti [...]<p>
<b><i><a href="http://youtu.be/08RxvWwo1qw">by Youdem Tv</a></i></b> <br />“Nuovo organismo per blindare i conti, ecco i criteri per la sua istituzione” 2012-09-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it649710<br />
L'ipotesi a cui si sta lavorando è quella di creare un organismo snello raccogliendo le migliori conoscenze del paese, pescando dall'ISTAT, dalla Ragioneria dello Stato e dagli uffici di Camera e Senato.<br />
Alla nuova struttura il compito di monitorare l'andamento dei conti.<br />
Baretta: serve urgentemente un nuovo piano industriale per il Paese 2012-09-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it649708<br />
"Dobbiamo trovare la formula per combattere il debito pubblico da una parte e stimolare gli investimenti per incentivare la ripresa dall'altra"<p>
<i><a href="http://www.youtube.com/watch?v=MjuwrWliwww&feature=youtu.be"><b>by Youdem Tv</b></a></i> <br />Spesa pubblica, tagliare si può2012-08-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648090<br />
Il primo atto della spending review si è concluso. Ma non l’intera opera. La revisione della spesa pubblica, infatti, non finisce qui. Il provvedimento approvato ieri dalla camera era già il terzo (dopo la nomina del commissario e le dismissioni) e sono in cantiere altri importanti capitoli: agevolazioni fiscali; contributi pubblici; politica e associazioni. La efficacia di questo iter dipenderà dalla disponibilità reciproca di governo e parlamento a collaborare preventivamente e non solo a decreti varati. Ma la sua bontà, che segnerà il vero successo o l’insuccesso di questa stagione politica, dipenderà dalla capacità di tutti di rendere chiaro il disegno complessivo e gli obiettivi che si intendono raggiungere.
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Tagliare gli sprechi, infatti, è giusto. I cittadini, che stanno facendo pesanti sacrifici, chiedono – ed hanno diritto di farlo – che arrivino loro messaggi espliciti che si fa sul serio. E, finalmente, il governo ha cominciato. Contenere e razionalizzare la spesa pubblica non è solo giusto, ma assolutamente necessario. La crisi economica è grave, ed è urgente la necessità di recuperare risorse per abbassare il nostro debito pubblico, ma anche per attenuare l’impatto sociale. Vedi il caso degli esodati che, nonostante i positivi passi in avanti, non è ancora risolto! E, per favorire la crescita e gli investimenti è importante, in tal senso, la introduzione delle agevolazioni fiscali per la ricostruzione nelle aree terremotate. Servono, dunque, nuove ed ingenti risorse. Ma, la strada di agire sulle entrate è esaurita. Non si può più imporre agli italiani, almeno a quelli che le pagano, ulteriori tasse. La pressione fiscale è sin troppo alta e, semmai, è arrivato il momento di pensare alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro e l’impresa. Ecco, dunque, l’importanza di una buona revisione della spesa.
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In quest’ottica è significativa la scelta fatta di sostituire l’aumento dell’Iva con i tagli di spesa. La revisione e la razionalizzazione della spesa pubblica è, infatti, un obiettivo ambizioso, che interferisce con la diffusa rete di servizi pubblici che assicurano la risposta a bisogni essenziali della popolazione. Per questo non va assolutamente praticata la strada dei tagli lineari. Soprattutto quando parliamo di sanità e di patto per la salute, che rappresenta un pezzo forte della <i>spending review</i>.
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La spesa sanitaria è cresciuta molto in questi anni, ma, complessivamente, abbiamo una sanità che assicura standard internazionalmente invidiabili ed invidiati. Si proceda, dunque, al risanamento, ma si dimostri di essere capaci di distinguere, “rigorosamente”, tra sprechi e servizi, tra virtuosi e viziosi. L’accordo con le regioni, chiamate alle loro responsabilità dalla produzione di dati certi e dettagliati, non è un limite alla decisione, ma una condizione di praticabilità dell’obiettivo. O, quando parliamo di enti locali, a cominciare dai comuni, così tartassati in questi anni ed intrappolati in un patto di stabilità che impedisce ai migliori di operare e deresponsabilizza i peggiori. In questo provvedimento si è operato un intervento calmieratore, ma sono le regole che non vanno. È arrivato il momento di modificare il patto.
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Molto delicata è anche la questione dell’università e della ricerca. Non servono molte parole a chiarire il concetto. Ieri, su Marte è sbarcata un po’ di tecnologia italiana e una immagine di Leonardo. Pochi giorni fa le cronache, non solo scientifiche, si sono occupate del contributo italiano alla scoperta del bosone di Higgs. Ebbene, il tema è semplice: quale progetto abbiamo per il futuro del nostro paese. A quale livello competitivo lo vogliamo collocare nel mondo? E, di conseguenza, quanto intendiamo investire per la nostra scuola, per la educazione dei nostri giovani, per la loro specializzazione universitaria? Insomma, per il loro futuro? Negli anni la spesa pubblica è aumentata in quasi tutte le voci, salvo che nell’istruzione… Dovremo, anche nel campo della revisione della spesa, saper scegliere le nostre priorità...
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Abbiamo espresso, dunque, un voto favorevole, sincero ed onesto. Siamo convinti della importanza e della ineludibilità della strada da percorrere; della linea generale che il governo Monti porta avanti; ma, siamo anche in grado di affrontare lucidamente i problemi, rimuovere gli ostacoli ed apportare correzioni nella rotta da seguire. Da protagonisti e non da spettatori di questa importante fase di cambiamento e di riforme. <br />
Spending review. Revisione non si esaurisce con questo atto.2012-08-07T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648072<br />
Voteremo a favore perché contenere e razionalizzare la spesa pubblica non solo è giusto, ma anche urgente e necessario. Gli impegni europei sono stringenti. Il governo sotto nostro stimolo ha fatto molto, ma non basta: nessuno può rimanere sotto pressione. Servono nuove e ingenti risorse, ma la via delle tasse non è più praticabile. La pressione fiscale è fin troppo alta, semmai è arrivato il momento di ridurre il cuneo fiscale, sul lavoro e sull'impresa. La revisione della spesa non si esaurisce con questo atto; sono già in agenda altri importanti capitoli relativi alle agevolazioni fiscali e ai contributi pubblici. Rendiamo trasparenti ai cittadini gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Il nostro voto favorevole è dunque sincero e onesto, ma anche lucido nelle correzioni di rotta da apportare.<br />“Carta d’intenti: nuovo civismo e democrazia viva e rinnovata” 2012-08-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647898<br />
Guidare l’economia fuori dalla crisi; ridare autorevolezza alle istituzioni; rilanciare l’Europa”: è un buon programma, questo lanciato ieri da Bersani, che consente di finirla con ‘l’eccezionalismo italiano’ e di dar vita ad un nuovo civismo e ad una democrazia viva e rinnovata, che parli innanzi tutto ai giovani. Per noi, dunque, ‘Lavoro’ e ‘Uguaglianza’ vogliono dire opportunità, solidarietà e responsabilità. Un Paese moderno che vuole impostare il suo futuro oltre la crisi ha bisogno di una guida politicamente solida e capace di innovazioni. Questo è il compito del Pd, che aspira giustamente a governare l’Italia.<br />
“Ilva, grave ritardo. Bisogna conciliare il lavoro ed il rispetto dell’ambiente” 2012-07-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647691<br />
“Ilva, grave ritardo. Bisogna conciliare il lavoro ed il rispetto dell’ambiente” <br />
“Europa, la crisi si batte con risposte globali e più attenzione all’economia reale” 2012-07-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647692<br />
“Europa, la crisi si batte con risposte globali e più attenzione all’economia reale” <br />
“La buona politica e i soggetti della Democrazia” 2012-07-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647693<br />
C’è un luogo comune che, da sempre, accompagna la politica: e cioè che sia cinica, senza scrupoli morali, tendenzialmente disonesta. Un ambiente infestato di squali.
Ronald Reagan non ci ha certo girato attorno quando dichiarò al Chicago Tribune (1975) che la politica viene definita come “la seconda più antica professione del mondo. Certe volte – aggiunse – trovo che assomigli molto alla prima”.
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Più generosamente Henry Kissinger, la divise in due categorie, sottolineando come “il 90% dei politici rovina il buon nome dell’altro 10%”. Le percentuali non sono confortanti, ma è già uno spiraglio…
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Come se non bastasse, George Orwell entrò nel merito e disse – per finire con questa bordata di citazioni - che in politica “gli utopisti [vivono] con la testa tra le nuvole, i realisti con i piedi nel fango”.
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Insomma, la politica è sporca: punto esclamativo o punto di domanda?<br />
Il mosaico della ripresa2012-07-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647482<br />
La buona notizia è che, secondo Bankitalia, nel 2013 la nostra economia riprenderà. Per intanto il Pil viaggia verso meno 2% e la disoccupazione a meno 11%. Ma, c’è da augurarsi che abbia ragione la nostra Banca centrale, perché la notizia cattiva è che la speculazione non smette di insidiarci.
<p>Il diffuso timore che il mese di agosto rappresenti una occasione ghiotta per gli speculatori sta assillando il governo e accentua la incertezza del quadro nel quale siamo chiamati ad operare e che il ministro Grilli non ha nascosto nel suo intervento alla camera. Come se non bastasse, il presidente Monti ha dichiarato, nei giorni scorsi, che più ci avviciniamo alle elezioni più l’attacco speculativo contro l’Italia aumenterà. Il che sposta esplicitamente sul quadro politico la querelle finanziaria.
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Ciò che appare più preoccupante, per noi, infatti, non è tanto la adozione di politiche rigorose di risanamento, che condividiamo, ma lo scarto, che c’è, tra le fatiche che stanno facendo i governi e i popoli per risanare i conti e rilanciare l’economia e il non riconoscimento di questi sacrifici da parte dei mercati. Ogni sforzo sembra insufficiente a placare la loro sete di guadagno o le paure di rimetterci.
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Ad ogni risultato raggiunto (il pareggio di bilancio, l’aumento dell’età pensionabile, la flessibilità) che sembravano gli obiettivi inderogabili da raggiungere, la posta aumenta, ci si propone un nuovo, più sofisticato livello. Viene davvero in mente l’esempio del videogioco più volte citato da Tremonti, il quale, però, ha dimostrato di non saperci giocare. Questa spirale va spezzata con una strategia europea ed italiana più aggressiva, coraggiosa, non subalterna alla arbitrarietà dei criteri di Moody, ma, al tempo stesso, attentissima ai segnali che gli investitori ci mandano.
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Innanzitutto facendo fino in fondo la nostra parte per abbattere il debito e risanare i conti. Il nostro 123% è insostenibile e almeno in parte dobbiamo risolvercelo da soli , prima di ricorrere, eventualmente, al fondo salva-stati. L’approvazione in questi giorni, nel parlamento italiano del fiscal compact (mentre la Germania lo rinvia), il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, una più coraggiosa politica di riduzione e riqualificazione della spesa pubblica e di dismissioni del patrimonio, sono i capisaldi di questa linea.
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Contemporaneamente, è ormai inderogabile adottare una politica di investimenti pubblici e di incentivi per quelli privati per invertire la tendenza recessiva in atto. Dunque: ci si accontenti del pareggio di bilancio e si destini alla crescita l’avanzo previsto; tutto ciò che si recupera dall’evasione vada subito a ridurre il peso delle tasse su impresa e lavoro; si estendano ad altri settori, a partire dalle infrastrutture, incentivi fiscali come il 50% per l’edilizia; ampliare alle reti di impresa i project bond, destrutturare il patto di stabilità... le idee non mancano.
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Infine, bisogna tenere alta la pressione italiana nei confronti dell’Europa per favorire una maggiore attenzione alla crescita ed adottare nuove regole europee di controllo dei mercati finanziari, sull’onda di quanto si fa in America sui derivati e istituire, finalmente, una agenzia europea di valutazione. Serve dunque, un disegno unitario. Affrontare i vari decreti uno per volta è una esigenza tecnica, ma, ormai, ci vuole il quadro generale. Il tempo passa e le elezioni si avvicinano.
<p> Dunque, dobbiamo chiedere a Monti, Grilli, Passera, Fornero & Co. di mettere tutto sul tavolo. Spending review 1, 2, 3; salva e cresci-Italia, delega fiscale, esodati e pubblico impiego, Province e dintorni, ecc. sono tutti tasselli di un unico mosaico che dovrà approdare alla ormai imminente legge di stabilità.
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Se tenere insieme crescita economica, stabilità finanzaria e politica è la sfida che ci viene lanciata dai mercati nel nuovo livello del grande videogioco il cui traguardo è la governabilità, noi, che vogliamo governare, solo così facendo possiamo sperare di vincere, non solo le elezioni.<br />Contro la povertà serve (anche) un po' di speranza2012-07-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647440<br />
Sui dati Istat relativi alla povertà: “Per rilanciarsi serve un po’ di speranza: serve che tutti quelli che da tempo hanno smesso di cercare lavoro attivamente (e sono davvero tanti) ricomincino a farlo; serve che le banche inizino di nuovo ad erogare prestiti agli imprenditori; e serve che gli imprenditori abbiano il coraggio di scommettere sul futuro come facevano fino a qualche anno fa”.<br />
Dalla Parte dell'Italia 2012-07-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647441<br />
Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio, oltre alla infelice frase sulla concertazione, confondendola con consociativismo, ha anche detto che, mano a mano che ci avviciniamo alla elezioni l’attacco speculativo nei nostri confronti aumenterà.
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Questa affermazione è stata, contrariamente a quell’altra, sottovalutata. Ed, invece, pone una rilevante questione economica e politica, del tutto inevasa, ma, ogni giorno che passa e i nostri guai non diminuiscono, del tutto ineludibile: e, cioè, il rapporto tra la politica, la democrazia ed i mercati.
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Un anno e mezzo fa, circa, in occasione di un seminario del gruppo parlamentare, approfittando della presenza e della esperienza di governo di Prodi ed Amato, feci loro una domanda un poco provocatoria: “quando la politica deve o può litigare coi mercati e quando andarci d’accordo?”. Devo ammettere che non ho avuto risposta e, forse, era già tardi per porre la domanda.
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Fatto sta che il quesito è sempre più, drammaticamente attuale. Lo dimostra tutte le vicende economiche di questi tempi, lo conferma la insensata dichiarazione di Moody’s di ieri, ma anche la positiva risposta dei risparmiatori; il che propone anche una riflessione più concreta su cosa, poi, sia davvero questo “mercato”. Il mercato non è un’entità metafisica e Moody’s non è l’Arcangelo Gabriele…
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Come la globalizzazione ci dice che non c’è un solo capitalismo, ma tanti, diversi capitalismi, che mutano, evolvono in continuazione; così i mercati non sono ununicum e, se la un lato c’è chi specula e va combattuto, dall’altra parte c’è chi investe e favorisce la crescita. Questa parte dei mercati va aiutata e sostenuta.
Ma, è troppo evidente che lo scarto tra i sacrifici richiesti ai cittadini e alle famiglie, la buona volontà dei governi, gli sforzi per risanare i conti pubblici e rilanciare la crescita e non trovano corrispondenza nella reazione dei mercati, che, anche quando non speculano, non concedono nulla e non riconoscono questo immenso sforzo collettivo in atto in paesi come la Grecia, la Spagna, l’Italia.
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Non si tratta di perorare alcuna indulgenza. Gli errori ci sono stati nel passato, gravi, da parte dei governi ed in generale da parte di un sistema economico e sociale che ha confuso il bene prezioso del benessere diffuso con il mito della crescita infinita.
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E, forse, è da qui che dovremo ripartire, da una coraggiosa riflessione sul modello di crescita che l’Europa e l’occidente vuole per sé. Ecco, perché trovo sbagliato mettere in contrasto la urgenza del risanamento dei conti pubblici con la necessità dello sviluppo. Il rigore è l’austerità sono sbagliati se sono iniqui e depressivi, non se consentono di liberare risorse bloccate dall’eccesso di spesa pubblica e da burocrazie miopi..
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Ma una politica espansiva che ricalcasse l’errore del modello di sviluppo attuale ci porterebbe rapidamente verso nuove disastrose crisi.
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In tale ottica l’equilibrio del bilancio è una virtù non una colpa, la capacità didistinguere tra benessere e spreco, tra consumi e consumismo, tra stato sociale universale e universalismo di Stato è una risorsa e non una rinuncia.
Le persone, le famiglie, le comunità hanno ben chiaro questo snodo, spesso di più dei loro rappresentanti sociali e politici; ma non sanno come fare. Anche perché non vedono futuro.
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In un’ epoca dove la crisi economica è accompagnata da una crisi di valori e grandi ideali, la reazione alle difficoltà, all’impoverimento, al disagio non si traduce in protagonismo propositivo, ma in disaffezione, assenteismo ed in qualche minoritario ribellismo.
Spetta a noi, e quando dico noi, intendo proprio noi, il partito democratico e le forze dei centro sinistra; le associazioni d’impresa e sindacali, liberate dai rischi di corporativismo che, inevitabilmente, si annidano nelle pieghe del disagio, rispondere a questa grande sfida.<p>
Certo non il centro destra che ricandidando Berlusconi ci ripropone proprio quel modello culturale ed economico che, oltre ad essere abagliato, non ha nemmeno funzionato.
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La prospettiva di futuro, la speranza che dobbiamo offrire non è la negazione del lungo periodo di transizione che ci attende, ma la idea di un popolo in cammino, attraverso il guado di difficili momenti, verso una prospettiva di serenità, prima ancora che di comodità.
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Per questo la domanda da cui sono partito deve trovare una risposta. Non solo perche dell’attuale condizione di difficoltà generale le responsabilità non sono solo dei governi, ma anche proprio dei mercati finanziari che hanno gonfiato, più volte, lebolle sino a quella che ancora pesa su di noi con la attuale crisi. .
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Ma, anche perché, contrariamente ad una opinione che, scontando un inutile senso di colpa, propone ai riformisti e ai progressisti solo cautela, penso che Hollande, Bersani, Obama, potranno consolidare le nostre politiche di governo solo se affrontiamo questo nodo del rapporto tra politica democrazia e mercati.
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La Democrazia è lenta, troppo lenta e va rinnovata, ma senza democrazia non c’è eguaglianza e trasparenza. La politica è fiacca e va rigenerata, ma senza politica non c’è futuro. L’Europa è divisa e va unita, perché senza Europa non c’è globalizzazione.
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Ciò significa che il dibattito sul Montismo oltre Monti o sull’alternativa a Monti, che sembra appassionarci rischia - come ha detto Bersani nella sua relazione - di essere fuorviante se non parte dalla chiarezza definitiva che dalle elezioni dovrà scaturire il governo politico del paese e che il nuovo governo (il governo Bersani per essere chiari) dovrà da un lato continuare scelte che si stanno facendo ora – il nostro appoggio a Monti non è strumentale – ma, al tempo stesso dovrà ampliare l’orizzonte nell’ottica di equilibrio a cui ho prima accennato. Ed è esattamente quell’orizzonte che distingue tra un governo tecnico ed uno politico.
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Ma, contano molto allora i messaggi che in questo tempo daremo ai cittadini. Un messaggio univoco, omogeneo. Contano le politiche che proponiamo. E, io penso che nei prossimi mesi il Pd, in Parlamento e nel Paese, debba proporre in anticipo le soluzioni ai problemi, senza aspettare che vengano varati i decreti, ma condizionandoli prima. Nel merito di queste proposte non entro perché ne ha parlato il Segretario nella sua relazione, Mi limito a richiamare alcuni titoli: Un programma di dismissioni ragionate del patrimonio pubblico da dedicare alla riduzione del debito; la distribuzione dei risultati della lotta all’evasione fiscale (poca o tanta che sia) alla riduzione delle tasse sull’impresa e il lavoro; una efficace contenimento e riqualificazione della spesa pubblica…
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Ho insistito su questa parte non perché sottovaluti la questione dei diritti, sulla quale condivido la impostazione offertaci da Bersani nella relazione, o priorità della riforma elettorale, che dobbiamo assolutamente perseguire, o la discussione sulla scelta dei rappresentanti, che deve trovare una coerenza proprio con la nuova legge elettorale che verrà definita, ma perché avverto che, nel dibattito dei circoli (ai quali, diciamolo francamente, vanno dati più strumenti informativi ed economici), nelle discussioni dei nostri dirigenti locali e dei militanti, prevale la comprensibile tendenza a discutere soprattutto di partito, di primarie… di noi, cioè.
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Lo ripeto: tutto ciò è comprensibile, giusto; ma se, come penso, la frase di Monti che ho riportato ha un significato ed i prossimi mesi saranno ancora più difficili, dobbiamo attrezzare il nostro partito a tutti i livelli a reggere una campagna elettoraleche sarà piena di insidie sul piano economico e sociale.
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La nostra discussione interna è importante e va fatta tutta; ma, al di fuori, laddove i redditi calano ed il lavoro non c’è, laddove le famiglie continuano ad essere il principale ammortizzatore sociale e la emergenza giovani si scontra con la emergenza anziani, il nostro messaggio non può essere affidato esclusivamente alle apparizioni pubbliche televisive o alle interviste dei nostri vertici nazionali, ma dipenderà molto dalla fiducia e dalla tenacia della nostra gente.
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Sarà questo il modo migliore per rispondere alla crisi della politica, sarà questa la miglior risposta attesa dai cittadini.<br />
Riforma del Lavoro - INTERVISTA2012-07-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647442
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Sullo sfondo di una riforma "complessivamente utile" che però deve essere considerata "una prima riforma, un avvio", resta un problema di fondo: "distinguere il lavoro dipendente da quello che non lo è" e soprattutto affermare: "culturalmente un nuovo sistema di relazioni tra le parti. Un modello più partecipativo di relazioni."
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<b>Onorevole, un suo giudizio complessivo sulla riforma</b>
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Complessivamente a me sembra che sia una riforma utile perché ha finalmente preso in mano una materia che si era distorta da tempo. Il nostro mercato del lavoro era diventato pieno di "buchi"; in particolare l'esplosione della figura dei precari aveva alterato sia gli equilibri economici che sociali, di conseguenza era necessario ed urgente affrontare questo problema. Inoltre la drammaticità della crisi che stiamo attraversando ha reso acuta la questione delle protezioni: molti lavoratori non avevano tutele sufficienti, la precarietà dei contratti coincideva con l'assenza di protezioni sociali e quindi l'idea di intervenire mettendoci le mani è stata certamente buona. Ovviamente per ragioni legate alle difficoltà finanziarie generali del Paese, nonché per i ritardi accumulati, questa può essere considerata una prima riforma, un avvio. Sarebbe sbagliato considerarla definitiva, ma bisogna prenderne i punti positivi, come ad esempio aver scelto il contratto a tempo indeterminato come asse portante del nostro mercato del lavoro; aver definito l'apprendistato come il contratto più rilevante per l'ingresso nel mondo del lavoro; aver affrontato la questione delle coperture per quanto riguarda l'allargamento degli ammortizzatori sociali; aver affrontato più in generale il tema della riforma degli ammortizzatori sociali, e sulla base di queste cose positive andare avanti per migliorare ulteriormente e, se serve, correggere anche alcuni punti.
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<b>L'iniziativa dalla quale è scaturita la riforma del nostro mercato del lavoro è stata dettata dalla Bce, da una banca. Eppure si tratta non di scelte tecniche, ma squisitamente politiche che hanno avuto ed hanno un forte impatto sociale. Senza mettere in discussione il ruolo della Bce si tratta comunque di un'iniziativa di carattere politico ma fortemente voluta da un istituto finanziario, come si spiega questa distorsione?</b>
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Che si tratti di una distorsione è fuori di dubbio. Si spiega col fatto che la Bce è intervenuta a seguito di tre anni di disastri economici. Noi abbiamo accumulato tre anni di ritardo con il governo Berlusconi e Tremonti senza affrontare alcun problema e sottovalutando la crescita drammatica della crisi; di conseguenza abbiamo offerto il destro alla Bce per spiegarci quale era la strada da imboccare se volevamo provare a risanare la nostra economia. Se poi alcune autorità internazionali abbiano più o meno abusato del loro ruolo, questa è una discussione interessante, ma abbastanza accademica, perché resta il fatto che l'errore era al nostro interno. Ci siamo posti nella condizione di venire criticati in maniera così vigorosa.
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<b>Secondo lei con un governo di centro sinistra quella lettera, in particolare con quei contenuti, diretti cioè alla richiesta di una maggiore flessibilità nel nostro mercato del lavoro e ad una riforma della contrattazione che rendesse più rilevante quella aziendale, non ci sarebbe stata?</b>
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Questo non lo so, anche perché noi abbiamo scelto di non accelerare verso le elezioni e di chiedere a Monti di gestire una così difficile fase di transizione. Se lei intende dire che il centro sinistra ha delle tensioni interne e una rappresentazione diversificata dei problemi sociali che potevano renderlo più prudente su questi argomenti può essere un'osservazione comprensibile e ragionevole. Resta il fatto che noi, in questi mesi, abbiamo sostenuto con linearità e coerenza il governo Monti, quindi non me la sento di dire che in caso di un governo Bersani o di un governo comunque di centro sinistra avremmo fatto magari un po' meglio su alcune cose. Di certo non avremmo rinunciato a risolvere quei problemi che il Governo sta affrontando. Come nel caso della riforma del lavoro, rispetto alla quale la lettera della Bce dà indicazioni generali e che in alcuni casi non trovano rispondenza nel testo finale- Ad esempio la soluzione adottata sull'articolo 18 è molto equilibrata e c'è stato un grande contributo del Partito Democratico perché si arrivasse a questa soluzione diciamo "alla tedesca". Se avessimo dovuto prendere alla lettera la Bce nei punti in cui si parla di flessibilità in uscita, beh qualcuno aveva interpretato quella proposta in maniera molto più esasperata.
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<b>In effetti, all'inizio si pensava che proprio la flessibilità in uscita sarebbe dovuta essere al centro degli interventi.</b>
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Al di là dei giudizi di merito e delle singole soluzioni sui vari aspetti, quella della Bce resta un'agenda seria, i punti che sono stati rilevati sono stati più o meno tutti affrontati, e la domanda che ci dobbiamo porre è se lo abbiamo fatto perché ce lo ha chiesto la Bce o perché dovevamo farlo comunque. Semmai la Bce ci ha dato uno stimolo perché la situazione era quella che ho descritto.
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<b>Entrando più nel merito della riforma, sulla flessibilità in entrata, cioè su tutte le forme contrattuali che permettono l'ingresso nel mercato del lavoro, vige una presunzione di subordinazione. Secondo lei questa presunzione non può rischiare di limitare le possibilità di ingresso al mercato del lavoro, ed in particolare, con riferimento al contratto a tempo determinato averlo voluto "disincentivare" non può creare effetti contrari a quelli voluti, cioè creare una maggiore precarizzazione?</b>
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Il punto è che per quando riguarda la flessibilità e le modalità di ingresso questa è una riforma a metà. Perché su questo aspetto sarebbe stato sufficiente semplificare a quattro o cinque le tipologie contrattuali, mettendo bene in evidenza che c'èra una tipologia prioritaria ed ordinaria, quella cioè a tempo indeterminato, dopo di che c'èra un area d'ingresso ordinata intorno all'apprendistato. Poi gli stagionali, che in alcuni campi devono continuare ad esistere, penso ad esempio a tutto il mondo del turismo e i contratti a chiamata, perché anche questi rispondono ad esigenze reali. Quattro o cinque tipologie contrattuali avrebbero consentito di tenere in equilibrio sia la presunzione di subordinazione, sia quelle esigenze di reale flessibilità che effettivamente esiste nel mercato del lavoro e rappresenta anche una fonte di opportunità. In questo senso io penso che uno degli errori, degli equivoci che c'è in questa riforma è l'aver voluto equiparare al massimo dei contributi previdenziali i contratti a progetto. I contratti a progetto sono una delle componenti importanti del nuovo mercato del lavoro, sono stati anche una delle tipologie più soggette ad abuso, perché intorno all'idea di progetto si è costruita una forma di flessibilità impropria, però per contrastare i contratti a progetto impropri e falsi non si può penalizzare quelli buoni e veri che riguardano spesso molti giovani. Il problema è distinguere il lavoro dipendente da quello che non lo è, su questa distinzione bisogna focalizzare l'attenzione, piuttosto che su quella tra subordinato o meno. Esiste un lavoro dipendente e c'è un lavoro indipendente ed autonomo; queste due fisionomie hanno entrambe la loro legittimità nel mercato del lavoro, e bisogna distinguerle per mantenerle in equilibrio. Su questo la riforma fa dei passi in avanti ma sconta alcuni limiti.
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<b>A proposito di Semplificazione, la nostra normativa sul lavoro è particolarmente complessa. La semplificazione potrebbe rappresentare una riforma a costo zero capace di rendere più attraente per gli investimenti il nostro mercato del lavoro. La Riforma varata semplifica?</b>
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Non come sarebbe stato necessario, penso che noi ci portiamo dietro un'incrostazione burocratica nella nostra struttura legislativa complessivamente intesa. Si pensi anche alla semplificazione necessaria per le imprese; qualcosa si è fatto, ma bisognerebbe essere molto più drastici nel rendere più semplice l'approccio al nostro mercato del lavoro. L'equivoco sta nell'idea che la semplificazione sia assenza di regole, invece no: poche regole chiare sono anche più controllabili di tante farraginose. Questo è un terreno sul quale i governi futuri, una volta fatte le riforme di struttura, come quella del sistema pensionistico - diciamo le "fondamenta" del nuovo edificio - dovranno assolutamente dedicarsi a semplificare, creando un impianto moderno su cui fondare un'idea nuova di Lavoro.
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<b>Un altro aspetto critico del nostro sistema è quello dei contenziosi. Una criticità questa riconosciuta da più parti. Abbiamo un mercato del lavoro caratterizzato da un elevato numero di contenziosi, particolarmente lunghi e dall'esito incerto. Come interviene la Riforma su questo punto, la centralità assunta dalla magistratura del lavoro viene diminuita?</b>
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Qui c'è un aspetto contraddittorio, fatto assolutamente in buona fede, perché la stessa soluzione sull'articolo 18 (che io considero valida), nell'accentuare il ricorso al giudice aumenta, e non riduce, il rischio dell'intervento della magistratura. Non è detto che aumenti il numero dei contenziosi, ma sicuramente sarà così per i ricorsi alla magistratura in materia di lavoro. Penso che questa tendenza possa essere, diciamo, attenuata, se si afferma culturalmente un nuovo sistema di relazioni tra le parti. Un modello più partecipativo di relazioni. Dentro un modello partecipativo si affrontano anche i contenziosi e se ne risolvono molti riducendo drasticamente il ricorso al giudice. Questa è la strada da praticare.
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<b>Si riferisce alla possibilità di aumentare la flessibilità interna, sullo sfondo del tanto citato modello tedesco? La possibilità di una gestione più aziendale dei rapporti di lavoro?</b>
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Si, senz'altro. Si parla e si è parlato molto di modello tedesco, dimenticando di sottolineare che questo è fortemente partecipativo, addirittura con un eccesso rispetto alla situazione italiana: li c'è la partecipazione per legge. Se si sceglie la strada del modello tedesco bisognerebbe avere la coerenza di sceglierlo in tutte le sue parti. C'è chi obietta che il modello partecipativo sarebbe anti-competitivo perché somiglierebbe ad una sorta di eccesso di concertazione. Ma la Germania è un Paese competitivo, è una delle grandi potenze industriali del mondo, e lo fa con un modello che dal dopo guerra in avanti vede i lavoratori nei consigli di amministrazione. Non è detto che in Italia bisogni arrivare a quel livello ma francamente la teoria che dice che la partecipazione è antitetica alla competitività è una tesi fasulla che non sta in piedi.
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<b>Ma nella direzione della contrattazione aziendale andava l'articolo 8 della manovra di ferragosto dello scorso anno. Perché allora ha trovato così tante resistenze?</b>
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La contrattazione aziendale deve essere libera. Deve essere affidata alle parti ed anche le sue regole devono essere gestite e stabilite dalle parti. La legge interviene già troppo. Ben vengano le riforme, ma attenzione, il legislatore dovrebbe sempre mettersi nell'ottica di cogliere il contributo libero che danno le parti, perché le parti stesse sono dei regolatori, in quanto conoscono sul campo il mercato del lavoro, ed anche dal conflitto dalla loro dialettica poi emerge un punto di equilibrio molto democratico, perché costruito sul campo. In questo senso le obiezioni a quell'intervento nascevano dal fatto che si trattava di un provvedimento fortemente impositivo nei confronti delle logiche autonome della contrattazione.
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<b>Le sue parole ricordano quelle del senatore Torelli all'epoca dell'approvazione dello "statuto dei lavoratori". Anche allora la Cisl difese il principio dell'autonomia sindacale nei confronti del legislatore. Ma salvaguardando il principio dell'autonomia sindacale, lei non crede che nella prima fase di confronto sulla riforma, quella tra governo e parti sociali, ci si stata una sorta di deresponsabilizzazione di alcuni partiti politici che restavano in attesa di quello che avrebbero deciso i sindacati, rischiando di addossare a questi ultimi anche responsabilità di politica generale?</b>
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Per quanto riguarda la gestione di materie come quella della disciplina dei licenziamenti e di quelle tipiche della contrattazione non mi pare che ci sia un interesse generale per il quale le trattative possano travalicare i poteri del parlamento o dei partiti. Io penso che la buona politica sia anche quella che sa raccogliere le istanze dei diversi soggetti. La democrazia moderna è molto complessa, fondata sulla ricerca di equilibrio. Esiste la necessità di equilibrio tra i poteri esecutivo, legislativo, giudiziario; si è affermata la necessità di garantire il potere d'indipendenza dell'informazione, della stampa; così come esiste il potere delle parti sociali. Io privilegio un'idea della democrazia a maglie larghe, che non significa che sia incapace di decidere. Per esempio lo strumento dell'avviso comune lo trovo un metodo molto interessante, che è stato adottato più volte da diversi governi al di là del colore politico. Cioè il legislatore individua un tema e lo indirizza alle parti, chiedendo loro un contributo. Se le parti lo danno è sempre consigliabile che il legislatore lo raccolga, poi ovviamente il parlamento è sovrano, ma è consigliabile che sia almeno vagliato; se invece le parti non riescono a dare questo contributo è legittimo che decida il legislatore. Ma questo lo dico anche in riferimento ad altre questioni, penso ad esempio alle liberalizzazioni, in quel caso il governo avrebbe dovuto in maniera più efficace rivolgersi anche alle componenti corporative; ai tassisti, ai farmacisti, ad esempio, offrendo loro dei paletti e chiedendo loro entro tali limiti di offrire una possibile riforma. Mentre invece si crea spesso un gioco delle parti per il quale si aspetta sempre che il governo faccia il passo, specifichi la proposta, dopodiché si ci mette in una posizione di critica. La responsabilizzazione delle parti sociali non significa deresponsabilizzare la politica. Il problema attiene alla concezione che si ha della democrazia; certo la democrazia è fatica, perché comporta l'organizzazione del consenso, ma il risultato è la stabilizzazione del sistema.
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<b>Costo del lavoro: con la riforma secondo lei si riesce a diminuirlo?</b>
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No, non dipende da questa Riforma. La verità è che noi stiamo affrontando in maniera separata delle riforme che dovrebbero essere un capitolo unico: quella delle pensioni, quella del mercato del lavoro, quella fiscale, sono un unico problema. In verità la riforma fiscale ha poi altri "pezzi" a se collegata, comunque, faccio un solo esempio, che attiene alla riforma delle pensioni ma che incide direttamente sul mercato del lavoro, che è per l'appunto armonizzazione dei contributi previdenziali. Quando con la riforma si è alzato il contributo previdenziale dei lavoratori a progetto si è intervenuti su una questione che attiene anche direttamente alla riforma previdenziale in senso lato. Io penso, ad esempio, che finché non si armonizzano i contributi, ma non ad aumentare, abbassando invece il 33% perché è troppo alto, e finche si mantengono i contributi separati, si lascia spazio a manovre in penombra. Da questo punto di vista è giusta l'idea di uniformarli, perché negli anni passati una delle cause della precarietà andava ricercata esattamente nel costo del lavoro: il fatto che tutta una serie di contratti costassero molto di meno di quello a tempo indeterminato stimolava l'imprenditore ad utilizzarli, perché se in maniera legale posso assumere al 20% invece che al 33% ovviamente assumo al 20%. Allora, il 33 è troppo, il 20 è troppo poco; bisogna trovare un punto di equilibrio che garantisca da un lato la sostenibilità del sistema previdenziale e dall'altro eviti un utilizzo diciamo "forzato" di determinate tipologie contrattuali.
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<b>Però con la Riforma per gli iscritti alla gestione separata Inps si alza la contribuzione di sei punti lasciandoli fuori dalla copertura dell'ASPI.</b>
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E' un doppio errore. È un errore averli alzati al 33% ed è ancora più grave se si pensa che non hanno avuto in cambio le protezioni dei nuovi ammortizzatori sociali.
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<b>Un'ultima domanda. Torniamo al contratto a tempo indeterminato, pur considerando che ora non dovrebbe costare di più rispetto agli altri. Però, alla luce dei fenomeni di globalizzazione, siamo oggi di fronte ad un modello di produzione molto diverso da quello del nostro recente passato. La fabbrica tradizionale, quella del '900 per intenderci, è evidentemente sempre meno centrale e le aziende oggi sono legate a fattori di produzione estremamente variabili, legate a commesse spesso limitate nel tempo, mentre si aprono nuovi mercati come quello dell'est europeo ed ora, dopo le primavere arabe, anche del nord Africa, tutti Paesi con un costo del lavoro molto basso e tassi di crescita molti alti . Secondo lei in questo contesto flessibile, è possibile pensare che il contratto a tempo indeterminato possa essere davvero il contratto dominante?</b>
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Io penso che le due questioni non siano in contraddizione. Che andiamo verso un mercato globale è fuori discussione, che questo accentui anche la mobilità è altrettanto evidente; che ci sia una competizione con un mondo emergente, caratterizzato non solo da grandi numeri, ma anche da molti giovani è una delle sfide più complicate da gestire, ma questo porta acqua al mulino della stabilità. Dove può competere un Paese come il nostro? Sul costo del lavoro? Assolutamente no, sarebbe comunque perdente. Sulla quantità? Nemmeno. Tantomeno può competere sul rinnovamento generazionale, anche se in parte dovrà farlo comunque, visto che il gap rispetto al numero della popolazione giovanile è enorme, penso alla Turchia per esempio. Allora deve competere sulla qualità. La qualità del prodotto, la qualità della competizione e la qualità delle relazioni, non c'è un buon prodotto in un ambiente non buono. Non c'è buona qualità in un ambiente non collaborativo fondato sul rispetto delle risorse umane. E allora da questo punto di vista il contratto a tempo indeterminato è quello che stabilizza, che fidelizza il rapporto tra dipendente ed azienda, che garantisce il reddito, che consente di avere prospettive solide. E' la condizione per chiedere al lavoratore stabilizzato e all'impresa l'innalzamento della qualità. Questa è la sfida. Per cui, da questo punto di vista, se il nostro Paese vuole competere, deve innalzare la qualità del prodotto, ma per farlo deve innalzare anche quella del processo che porta alla produzione e dell'ambiente che ne è alla base, su cui il prodotto è costruito.<br />
Spending review, tagli o risparmi? 2012-07-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647444<br />
“Siamo fortemente impegnati per cambiare la spending review, per migliorarla. Bisogna che ogni ente interessato ai tagli si responsabilizzi, dandosi degli obiettivi da raggiungere. Noi siamo contrari alla corsa al taglio, ma se non si fa bisogna intervenire su altre voci: visto però che la pressione fiscale è al top, bisogna inevitabilmente intervenire sulla spesa. Per non farlo in modo irrazionale, ognuno faccia proposte per sè, non per gli altri”.<br />