Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Francesco PARDIhttps://www.openpolis.it/2012-06-29T00:00:00ZRiforma costituzionale affossata, Repubblica salvata2012-06-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it646560<br />
Con tutti i problemi economici e sociali che abbiamo di fronte la questione della riforma costituzionale rischia di apparire un trastullo da specialisti. E, in effetti, nel disinteresse generale dell’opinione pubblica se ne sono occupati solo loro. I costituzionalisti, salvo eccezioni ridotte a poche unità, hanno espresso severe critiche, tra cui spiccavano quelle di vari presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Ma i partiti della maggioranza provvisoria hanno fatto finta di non sentirle.
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Il recente voto di mercoledì al Senato ha ottenuto il probabile effetto di affossare il tentativo originario prodotto dalla cosiddetta intesa ABC, Alfano-Bersani-Casini. Se così avverrà ci sarà solo da essere contenti: riforma affossata, repubblica salvata.
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Ma per arrivare a questa sintesi sbrigativa bisogna pur spiegare il cammino che l’ha prodotta.
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C’è in origine un progetto di riforma costituzionale elaborato dalla maggioranza ABC che si può riassumere in quattro punti fondamentali.
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<b>Primo.</b> Si propone una riduzione del numero dei parlamentari. E’ un trucco: i parlamentari non vogliono alcuna riduzione del loro numero, ma i partiti della maggioranza provvisoria la usano per rendere persuasiva di fronte ai cittadini la necessità della riforma costituzionale da loro adottata. L’argomento prevalente è: non si può modificare la legge elettorale se non si cambia in Costituzione il numero dei parlamentari. Non è affatto vero: si può cambiare la legge elettorale senza modificare il numero dei parlamentari. E la prova è proprio il Porcellum: legge elettorale cambiata e numero di parlamentari invariato.
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Al contrario si può benissimo ridurre il numero dei parlamentari senza essere obbligati a modificare la Costituzione in diversi punti essenziali. Anzi a essere seri si potrebbe solo ridurre il numero dei parlamentari e subito dopo scrivere una legge elettorale meno ingiusta del Porcellum. Ma modificare la Costituzione è proprio ciò che la maggioranza provvisoria vuole. Vedremo subito che la modifica è una brutta storpiatura. Ma a loro piace. Piace in particolare al Pd, incurante del dissenso diffuso nelle proprie file.
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Quindi si riduce il numero dei parlamentari ma nel modo meno incisivo possibile: circa un sesto del numero. Non è granché.
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<b>Secondo.</b> Bisogna superare il bicameralismo perfetto, secondo cui una legge modificata da una Camera deve tornare all’altra, e se l’altra a sua volta introduce modifiche la legge deve fare un nuovo cammino a ritroso. Lasciamo da parte pregi e difetti del bicameralismo perfetto, discussione troppo lunga e tecnica. Il fatto è che la riforma ABC non lo supera affatto. Anzi lo complica e lo rende ancora più farraginoso.
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Il cardine principale del bicameralismo è che entrambe le Camere sono elette a suffragio diretto e tenute a dare la fiducia al governo. Questa è l’origine della loro parità: entrambe hanno la stessa fonte di legittimità ed esprimono giudizio sull’attività di governo. Superare davvero il bicameralismo comporta togliere a una delle Camere l’elezione diretta e il rapporto fiduciario col governo; costituire una di esse (poniamo il Senato) con elezione indiretta (poniamo da parte dei Consigli Regionali) e fare di essa la Camera delle autonomie locali. La riforma ABC sceglie invece la via della distinzione di competenze: affari di Stato alla Camera, affari regionali al Senato. Strada già sperimentata con la famosa modifica del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, che ha costretto la Corte Costituzionale al superlavoro per distinguere competenze spesso indistinguibili.
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In termini più popolari: i senatori non vogliono essere declassati e anche se fanno finta di cedere resisteranno fino alla morte per mantenere il bicameralismo classico. Magari travestito, farraginoso e produttore di paralisi legislative.
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<b>Col terzo e quarto punto si entra nel vivo.</b><br />
Il punto di partenza l’ha espresso Berlusconi un sacco di volte: la Costituzione non dà a chi governa gli strumenti per farlo. Invece di rispondergli che era lui incapace di governare, anche con maggioranze truccate dal premio di maggioranza, il Pd tutto contento si accoda. Così al terzo punto abbiamo la corsia preferenziale per i disegni di legge del governo, che entro un breve periodo determinato le Camere devono approvare senza emendamenti. E’ il cosiddetto voto bloccato alla francese. Le Camere assistono da spettatrici impotenti all’attività legislativa saldamente ristretta nelle sole mani del governo.
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Ma non basta. Non più il governo ma il solo presidente del consiglio riceve la fiducia delle Camere. Così la natura collegiale del governo va in soffitta. Poi il presidente del consiglio aggiunge alla facoltà di indicare la nomina dei ministri anche quella di chiederne la revoca. C’è qui per generale ammissione una riduzione delle prerogative del Presidente della Repubblica e anche delle Camere che non possono più esercitare la sfiducia nei confronti di un singolo ministro. Ma il punto d’arrivo finale è la facoltà del presidente del consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere. Con minime differenze tecniche è il premierato forte già sonoramente bocciato dal referendum popolare del giugno 2006 sulla riforma costituzionale del centrodestra di allora.
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Incurante della bocciatura clamorosa, la maggioranza provvisoria ABC vuole imporre una riforma costituzionale che esautora le Camere e dà tutto il potere sostanziale al presidente del consiglio. La stessa sfiducia costruttiva (facoltà delle Camere di sfiduciare il presidente del consiglio a condizione di indicarne un sostituto entro ventuno giorni) si configura nella situazione italiana più come strumento di ricatto nelle mani del capo del governo contro le Camere che come mezzo in mano alle Camere per controllare l’esecutivo.
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Fin qui la riforma ABC, che il Pd ha sostenuto a spada tratta contro tutte le critiche interne ed esterne. Di più: senza fare il minimo tentativo di coinvolgere i suoi elettori nella discussione.
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E senza tenere conto dei precedenti: in particolare la fine ingloriosa della Bicamerale di D’Alema, quando l’accordo sul premierato forte già concluso con Berlusconi fu fatto saltare dall’arrivo inaspettato della Lega che, insieme a Berlusconi, fece prevalere il semipresidenzialismo alla francese: il presidente è eletto a suffragio diretto e universale e diventa perciò l’arbitro indiscusso di tutta la scena istituzionale e politica.
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Ora è chiaro a tutti che un sistema impostato sul premierato forte, per quanto indigeribile sia per molti palati, è comunque alternativo alla supremazia del presidente della repubblica eletto direttamente. Eppure la farsa della Bicamerale si è ripetuta: il Pd ha concluso e sostenuto il premierato forte e ha dovuto assistere in aula al capovolgimento prodotto dalla riunificazione degli alleati appena separati (PdL e Lega) che hanno imposto uno sgangherato Senato federale con l’obbiettivo di sostituire la prossima settimana il premierato col presidenzialismo.
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A questo punto qualsiasi riforma è inceppata. La proposta ABC, che poteva contare sulla maggioranza dei due terzi necessaria per evitare il referendum, è caduta. L’accoppiata Senato federale-presidenzialismo ha solo una maggioranza risicata che non raggiungerà mai i due terzi. Risultato: la riforma ABC è accoppata, l’altra nasce morta.
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Alla fine, per quanto paradossale, il risultato è positivo. Si può sperare che il Pd abbia capito la lezione? Anche Napolitano, che aveva fortemente incoraggiato la riforma ABC, sembra aver ripiegato su obbiettivi più circoscritti: riduzione del numero dei parlamentari e nuova legge elettorale. Programma sostenuto da tempo da IdV e dal protagonismo civile, ma allora considerato dagli altri partiti troppo minimalista. Ora invece sembra perfino troppo arduo per essere raggiunto. E la maggioranza silenziosa dei parlamentari si rallegra in silenzio.<br />
Legge Reale bis. Una proposta preoccupante.2011-10-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it617607<br />
Il giorno dopo la manifestazione degli indignati a Roma, rovinata dall’azione dei black block, tra le reazioni dei dirigenti politici spiccava quella di Di Pietro. Invocava una legge speciale contro gli autori di disordini e, a titolo d’esempio, indicava come possibile una Legge Reale bis.
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Poiché Di Pietro è il presidente del mio partito, l’affermazione mi preoccupa più che se fosse stata fatta da altri. In primo luogo, il termine “legge speciale” ha sempre, sotto il profilo costituzionale, connotati negativi. E infatti le leggi speciali vivono sempre sui confini della legittimità costituzionale. E’ anche perciò che nella polemica corrente si sostiene oggi, con fondamento, che le leggi ad personam di Berlusconi sono leggi speciali. In secondo luogo, sono trascorsi 36 anni e nessun giovane oggi può ricordare quella legge del 1975. Reale era repubblicano, ministro di Grazia e Giustizia nel quarto governo Moro.
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Per sommi capi, la legge ampliava la gamma dei casi in cui le forze dell’ordine erano autorizzate a usare le armi. Gli effetti diffusi furono così dirompenti che la moltiplicazione di “incidenti” mortali ha dato origine a una robusta bibliografia sull’argomento. La legge dilatava poi il ricorso alla custodia preventiva e stabiliva la possibilità di un fermo di polizia che poteva durare 48 ore ripetibili ed essere convalidato dal giudice entro le 96 ore. Si inaugurò allora un lungo periodo in cui il fermato era in balia degli uffici di polizia per 96 ore senza ausilio legale.
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La legge non è mai stata abrogata ma di anno in anno è stata applicata in forme più sfumate e talvolta modificate. Ma, per correre a esempi più recenti, la macelleria messicana della caserma di Bolzaneto a Genova 2001 può ricadere sotto la fattispecie del fermo di polizia stabilito dalla Legge Reale. E’ abbastanza per guardare con preoccupazione all’evocazione di quella legge, sia pure innovata dalla formula “bis”.
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La realtà per fortuna è diversa. Allo stato attuale, IdV presenterà un disegno di legge il cui obbiettivo essenziale è allargare le misure prese nei confronti della violenza negli stadi agli autori di violenze nelle manifestazioni. Ad esempio, divieto di manifestare a viso coperto, pene aggravate per chi esercita violenza su persone e cose. Niente fermo di polizia, niente arresti preventivi. Insomma l’evocazione di leggi speciali si limiterebbe a un espediente mediatico per sottolineare la drammaticità del momento. Ma resta assai discutibile anche solo per il contesto in cui la legge speciale verrebbe applicata.
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Strumento non in mano a un governo al di sopra di ogni sospetto, ma al contrario sotto la piena potestà di un esecutivo abituato da tempo a esercitare una duplice dittatura: quella della maggioranza sull’opposizione e quella del governo sulla sua stessa maggioranza. Un governo patogenetico in mano a un soggetto in preda a delirio egotistico di rilievo clinico, ormai scredidato sul piano internazionale, evitato come la peste dai capi di stato e di governo dei paesi democratici. Un governo guidato da un soggetto che ha già più volte evitato i rigori della giustizia solo perché ha modificato a proprio vantaggio le leggi che punivano i reati a lui attribuiti. Consegnare la gestione di leggi più severe a un governo abituato a calpestare la legalità non è il modo migliore per garantire il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” a tutti i cittadini che lo esercitano con mezzi pacifici.
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Due note finali. Il coro crescente di approvazione dell’operato di Maroni mi sembra assai poco convincente. Perchè Maroni non ha dato precise disposizioni per isolare prima i black block dai manifestanti pacifici? Eppure numerose testimonianze oculari hanno documentato la riconoscibilità preventiva di chi si preparava a rovinare la manifestazione.
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Le conseguenze della drammatizzazione ricadono ora sulle spalle di chi ha sempre garantito con fermezza l’agibilità democratica delle piazze: che senso ha confinare in un banale sit in la prossima manifestazione nazionale della Fiom?<br />
“Italia”, l’ignominia del nuovo simbolo di B.2011-01-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it556981<br />
Può darsi che si tratti di un’ipotesi pubblicitaria destinata a essere sostituita da un’altra. Ma l’idea di proporre come nuovo marchio del partito di Berlusconi un simbolo in cui il nome è la sola parola “Italia” dovrebbe costringere tutti al soprassalto, anche i più scettici. Con tutto ciò che si può pensare della “serva Italia” a nessuno può essere consentita la più sfacciata delle appropriazioni.
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Già, alle origini, Forza Italia aveva sequestrato il nome del paese, ma lì per lì il senso comune vi aveva letto soprattutto la mimesi col patriottismo calcistico. Un grido da stadio: sequestro vernacolare, di grado minore. Errore minimizzarlo come furbizia di lusinga calcistica (siamo gli Azzurri!) e trascurarlo nella sua natura espropriatrice.
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Nel passaggio successivo, lo slittamento dal Partito al Popolo della libertà esprimeva una brutale mistificazione: negare la propria natura di parte e millantare un’aspirazione universale. Non più partito ma popolo, non più porzione ma totalità. Incardinata su un rapporto prepolitico, di sangue, con il leader. Popolo e capo, anzi capo e popolo.
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Ora si colmerebbe la misura. Non basta più neanche il popolo. Ci vuole l’intero paese, la nazione, la Repubblica. “Italia” campeggia in alto nel campo azzurro sorretta dal perentorio “Berlusconi presidente”. Magari salterà su qualcuno a cantare le lodi della consueta genialità pubblicitaria. E certo l’insistenza con cui la scritta Berlusconi presidente ha riempito in questi anni tutti i manifesti del centrodestra, anche quelli sulle beghe di quartiere, risponde a precisa esigenza pubblicitaria.
<p>Così come i suoi monologhi alla stampa vanno in scena sotto l’enorme patacca circolare in cui sta scritto, per chi non ci credesse, che lì c’è il presidente del consiglio.
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Ma il simbolo con su scritto “Italia-Berlusconi presidente” va oltre il martellamento pubblicitario. Non è solo appropriazione privatistica di bene pubblico. E’ manifestazione conclamata di pulsione totalitaria. Sottrae la Repubblica al paese, la identifica col possesso monocratico.
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Se questa fantasia malata dovesse prendere corpo sarà necessario promuovere, oltre al ricorso agli strumenti giuridici, un’autentica rivolta culturale contro l’ignominia.<br />
Il caso Ruby tra menzogne e abusi di potere2010-11-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547665<br />
La decisione della Procura milanese circa la correttezza della procedura adottata in Questura per l’affidamento della "nipote di Mubarak" alla consigliera regionale Minetti non scioglie tutti i dubbi. Per esempio non è vero che non esistessero strutture di accoglimento: i giornalisti ne hanno accertate ben quattro nella sola Milano.
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Ma si può capire il senso essenziale della decisione. <br />
Io lo capisco così: l’asserita correttezza formale sottrae i funzionari di polizia alle conseguenze di una verifica che avrebbe potuto metterli in difficoltà per responsabilità non loro ma del presidente del Consiglio che ha esercitato su di loro una pressione illegittima e insinuante.
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Il fatto che funzionari di polizia non debbano subire gli effetti di atti indipendenti dalla loro volontà ricostituisce in questa vicenda, a tutti gli effetti indegna della democrazia, un minimo di giustizia sostanziale.
Con la consueta faccia di bronzo il presidente del Consiglio si è affrettato a sostenere che la decisione della Procura è l’inizio del riconoscimento che tutta la questione era una montatura di carta a suo danno. In realtà la correttezza della procedura non solleva in alcun modo il presidente del Consiglio dalle sue pesanti responsabilità.
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Egli ha mentito in modo plateale ai funzionari della Questura sostenendo che Ruby era nipote di Mubarak. Che abbia usato l’artificio retorico di non assumersi direttamente la paternità della notizia ingigantisce la sua ipocrisia e non elimina affatto il suo uso strumentale volto a mettere sotto pressione persone che solo con grande difficoltà avrebbero potuto sottrarsi al suo illegittimo imperio. Tra l’altro l’effettivo accertamento dell’identità dell’arrestata ha smentito all’istante la sua ipotetica parentela con il capo di stato egiziano. <br />
E in ogni caso la sua parentela non avrebbe potuto giustificarne il rilascio. Siamo nel regno della menzogna.
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Qui sta il punto principale: la menzogna è di per sé riprovevole nel contesto di una comunicazione ufficiale ma il suo peso è moltiplicato dall’abuso in atti d’ufficio esercitato con la coartazione di inferiori di grado impossibilitati a resistergli.
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L’atto illegittimo del presidente del Consiglio è aggravato dalla sua precisa consapevolezza che l’affidamento era falsato fin dall’inizio. Falsa la qualifica del soggetto incaricato: non esiste il ruolo di consigliere regionale con incarico alla presidenza del Consiglio. L’igienista dentale Nicole Minetti è per sua fortuna consigliera regionale ma per nostra fortuna non ha incarichi a Palazzo Chigi. Non solo. Il presidente del Consiglio sapeva benissimo (e forse qualche telefonata può testimoniarlo) che la Minetti avrebbe in breve scaricato l’affidata a terza persona, accusata in seguito di aver addirittura tentato di prostituirla. Dunque l’affidamento è servito solo a far uscire la giovane arrestata da una situazione in cui la sua permanenza era temuta dal presidente del Consiglio per sé stesso e non certo per lei.
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Una storia grottesca che a fatica si sarebbe potuta immaginare in una farsa di Totò ha aperto virtualmente una crisi diplomatica con l’Egitto e ha esposto l’intero paese di fronte alla critica irridente di tutta l’opinione pubblica mondiale. Peggiora il quadro l’affermazione di Bossi: non doveva telefonare in Questura, era meglio se chiamava me o Maroni. Si può capire che la Lega abbia il bisogno di parare le conseguenze delle azioni dissennate del presidente del Consiglio. E oramai non stupisce che il ministro per le riforme istituzionali le affronti come questioni di cortile.
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Più volte ci siamo chiesti se Berlusconi sia più pericoloso o più ridicolo. Anche in questo caso si è costretti a scoprire come la sua posizione al vertice del potere politico trasformi il ridicolo in pericolo. E lascia esterreffatti che nel contesto attuale qualche giornale possa ancora prendere sul serio la possibilità di un contratto davanti al notaio tra Fini e Berlusconi: al primo la guida del governo, al secondo il Quirinale. Già chiunque dovrebbe ribellarsi all’idea che queste cariche possano essere il premio di un patto privato, ma ancora più grave è l’idea che anche un solo giornalista in Italia possa ancora pensare che un soggetto così indegno possa aspirare alla massima carica dello stato. <br />
Dibattito | Beppe Grillo è un po' qualunquista? Dove sbaglia Beppe Grillo.2010-11-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547593<br />
La prima impressione che mi ha fatto la lettera di Grillo sulla manifestazione Fiom del 16 ottobre è che non vi abbia partecipato. La sua attitudine, solo contro tutti, produce un blando, sopportabile fastidio ma soprattutto colpisce la mancanza di conoscenza diretta: se ci fosse stato avrebbe visto non solo la sua vastità e intensità ma avrebbe dovuto ammettere la successione molteplice dei tanti interventi dal palco.
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Non solo dirigenti sindacali “dalle mani morbide” (Landini avrebbe tutto il diritto di arrabbiarsi) ma molti e diversi protagonisti di lotte sempre più difficili. E che un filosofo abbia parlato dallo stesso microfono è davvero sensato considerarlo negativo? I parlamentari poi erano pochi e nessuno di loro ha parlato. Avrebbero anche dovuto restare a casa? Si può teorizzare una forma coatta di pudore per cui i non-operai non possono solidarizzare con gli operai?
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Grillo dichiara con veemenza di stare con gli operai, solo con gli operai, e non nasconde di considerare parassiti tutti i non-operai che hanno partecipato alla giornata. Impossibile non ricordare che anche lui è un non-operaio. Dunque il suo merito, in quanto non-operaio, sarebbe non aver partecipato alla giornata?
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C’è poi, nella sua lettera, la ripetizione di un luogo comune di facile smercio ma di sempre più ambiguo significato: destra e sinistra sono uguali. Attenzione: i movimenti degli ultimi dieci anni, che non sono il prodotto di Grillo, hanno sempre criticato a fondo l’insipienza della classe dirigente di centrosinistra, che non ha saputo o, peggio, non ha voluto, le numerose volte in cui avrebbe potuto, impedire la resistibile ascesa di Berlusconi. <br />
Ma dire che i due schieramenti sono uguali significa non voler capire quanto siano diversi i due rispettivi elettorati. C’è una differenza fondamentale: quello di centrodestra ha fortemente creduto, oppure ha ritenuto utile credere, all’inverosimile carisma del protagonista della peggiore farsaccia italiana; quello di centrosinistra ha sempre criticato la propria inadeguata classe dirigente.
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Quando Grillo si adagia nel suo schema preferito fa torto al protagonismo civile che non è affatto distribuito in modo eguale nelle due parti. Come si può confondere chi crede alla panzana del family day celebrato dal testimone meno credibile al mondo (eufemismo) e chi difende i beni comuni come l’acqua contro l’intera batteria dei mezzi di comunicazione al servizio del padrone?
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In realtà Grillo vuole vedere il protagonismo civile come una moltitudine indifferenziata di cui si propone come rappresentante non ideologico. Esattamente come la folla dei suoi spettacoli di cui in una serata può rappresentare gli umori più irriverenti.
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Ma le forze sociali sono qualcosa di ben più largo e profondo del pubblico divertito e consenziente di una serata di spettacolo. Anche il cittadino che gli concede il credito incondizionato dello spettatore temporaneo ha, quando serve, il pieno possesso della ragione critica.
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E tutti i cittadini sensibili alla sua verve saranno in grado di misurare come il programma del movimento Cinque Stelle non abbia alcuna consonanza col liberismo finto (monopolismo reale) del centrodestra e abbia invece molti punti di contatto con le compatibilità ecologiche sostenute dal popolo di centrosinistra.
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Pancho Pardi
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Con la Fiom, perchè non possiamo non dirci di parte2010-10-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it546966<br />
Ci sono molte buone ragioni per partecipare alla manifestazione nazionale indetta dalla Fiom per il 16 ottobre. E sono state illustrate dai molti interventi a favore pubblicati da MicroMega.
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Ne aggiungo un’altra, per me decisiva: oltre ai valori simbolici che le riconosciamo, la lotta della Fiom rappresenta un preciso interesse di parte.
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Comportamento ormai fuori moda: i protagonisti della vita politica ed economica esibiscono sempre e comunque una retorica pensosità rivolta al bene comune. <br />
Sanno di prenderci in giro. Mentono e sanno di mentire.
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In questo gioco i grandi sindacati, che dovrebbero rappresentare gli interessi dei lavoratori, si sentono obbligati a recitare la parte degli interlocutori responsabili.
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Non c’è nulla di più falso dell’eguale responsabilità in un rapporto di forze del tutto asimmetrico: tra chi tiene il coltello dalla parte del manico e chi è costretto a stringere la lama. E il linguaggio si adegua alla falsità: chi usa ancora il termine “sfruttamento” viene guardato come uno fuori del tempo.
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Ma l’interesse generale esiste solo per chi può piegarlo a proprio vantaggio. E la società non è solo edulcorato confronto ma anche duro conflitto.<br />
E proprio sostenendo con decisione un interesse di parte si mostra come la società sia non un’unità dolciastra ma una dialettica tra le parti.<br />
Per questo motivo la determinazione della Fiom nel rappresentare un interesse di parte, fronteggiato da poteri più forti, assume un insostituibile valore costituzionale. <br />
«Berlusconi al Quirinale? Mai!» 2010-10-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it546637<br />
Le ultime notizie dal fronte televisivo sono chiare.
Berlusconi lascia l’interim del Ministero per lo Sviluppo Economico e la Comunicazione. L’aveva mantenuto per cinque mesi, durante i quali ha provveduto in tutti i modi a facilitare il destino di Mediaset: ostacoli a Sky nel digitale terrestre, regalo a sé stesso con la riduzione al 5% del contenzioso tributario accumulato per la sottrazione di Mondadori alla Cir di De Benedetti; 7 milioni invece di 180. Lascia l’interim e passa le consegne a Paolo Romani, già Viceministro e fedele esecutore da decenni di tutte le direttive berlusconiane in campo editoriale: un ministro ad personam.
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Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, con un colpo di mano toglie a Carlo Freccero la direzione di Rai 4. Non ci sono motivazioni ma la ragione è evidente. Non conta nulla che Freccero sia uno dei più apprezzati inventori di programmi televisivi. Anzi è probabile che sia un’aggravante: con l’avvicinarsi di una nuova campagna elettorale il dominio sul mezzo deve essere totale e non è tollerata alcuna indipendenza. Tramite Masi il padrone unico blinda la comunicazione televisiva a proprio vantaggio.
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Anche le notizie dal fronte politico sono chiare.
Nello stesso tempo la sua maggioranza gli confeziona uno scudo definitivo per le sue numerose vicende giudiziarie. E non solo prevede la sua immunità come Presidente del Consiglio ma aggiunge addirittura il prolungamento dell’immunità nel caso in cui divenisse Presidente della Repubblica. Avremmo così intoccabile al Quirinale il campione del falso in bilancio, l’ispiratore di dimostrate corruzioni di magistrati, il pluriinquisito e pluriimputato sfuggito ai suoi processi solo perché si è confezionato le leggi per garantirsi ripetute prescrizioni.
<p>Chi predica la necessità di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla magistratura diventerebbe presidente del Consiglio superiore della magistratura.
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Nell’opposizione molti tendono a non prendere sul serio il pericolo. Appare loro come un timore eccessivo. Ragionavano così anche quando rinunciavano a fare una legge rigorosa sul conflitto d’interessi. C’erano geni nel centrosinistra che, interpellati da colleghi giustamente in allarme, rispondevano: state tranquilli, lo teniamo per le palle. Indovinate l’autore della frase.
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Oggi molti, troppi, nell’opposizione contano sulla fronda di Fini e sulle obbiettive difficoltà di Berlusconi. Ma trascurano la sua potenza mediatica e la forza persuasiva dell’enorme ricchezza. Essere realisti oggi significa tenere conto che nelle condizioni date ha ancora la possibilità di scalare il Quirinale. Sarebbe un’ignominia incancellabile per la democrazia italiana. E’ necessario spiegare bene a tutti il pericolo e prima di tutto non nasconderlo, non considerarlo evanescente.
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Da qui alle nuove elezioni dobbiamo far ripartire un’opera di persuasione di massa: Berlusconi al Quirinale mai!<br />
Il patto necessario tra grillini e centrosinistra2010-10-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it526892<br />
Il successo della Woodstock di Cesena è indiscutibile. Tra i vari popoli delusi dalla politica i grillini si pongono come la porzione volontariamente più esposta nel rifiuto dei partiti. Questo atteggiamento nella situazione attuale tende a trovare sempre nuove motivazioni. E potrebbe attrarre perfino una parte degli elettori del Pd esterrefatti nel constatare l’incapacità del proprio partito a esprimere il massimo dell’unità nel momento in cui il dominio indiscusso di Berlusconi nel PdL è stato incrinato.
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Per i grillini non solo è importante ma è costitutiva della loro arte comunicativa la parola d’ordine “non siamo né di destra né di sinistra”. E potrebbero, se volessero, esibire l’approvazione di illustri protagonisti della politica come Cacciari.
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L’agilità dei grillini nello spaziare in lungo e in largo nel web può suggerire loro sensazioni di potenza estrema. <br />
Il concetto espresso sempre più spesso da Grillo (gli altri sono tutti morti viventi e saranno sommersi dalla marea montante nel web) ha la funzione di irrobustire l’entusiasmo per un futuro luminoso. Ma è difficile che i grillini possano davvero credere alla suggestione di una crescita illimitata fino a diventare maggioranza.
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Sfiorati dal dubbio realistico che ciò sia possibile i grillini potrebbero cominciare a chiedersi insieme a quali altri cittadini operare e progredire. La via per scegliere è partire dal proprio programma e controllare in giro le possibili affinità, le inevitabili contrapposizioni.
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Ora, è abbastanza evidente che il loro programma fortemente ancorato a criteri ecologici, dalla salvaguardia dei beni comuni alla sobrietà nei consumi, ha sicure affinità col sentimento diffuso nel popolo (nei popoli) di centrosinistra. Ed è parecchio distante sia dalla fascinazione della ricchezza esibita nel PdL sia dalla retorica secessionista della Lega.
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I partiti saranno anche tutti uguali. Non è per niente vero ma facciamo finta di crederlo per un momento. <br />
Ma le aspirazioni dei cittadini non sono tutte uguali.
Respingere le affinità è rifiuto autolesionistico.
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Quando si andrà votare i grillini di certo porteranno al voto persone che vi avevano già rinunciato. Recuperare l’astensionismo è cosa ottima. Ma poi bisogna chiedersi che fine faranno i molti voti recuperati. Con questa legge elettorale rischiano quasi tutti di finire al macero e i pochi eletti sopravvissuti alla mattanza non potranno che fare testimonianza.
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I grillini continuino pure a dire che i partiti sono tutti uguali ma al momento del voto trovino il modo di stringere un patto con gli elettori di centrosinistra, i cittadini con cui condividono molte delle loro aspirazioni.<br />
Il Pd, Profumo e il “Papa straniero”2010-09-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it507274<br />
Non si capisce bene chi abbia avuto l’idea geniale di immaginare una leadership bancaria per il Pd. Fatto sta che prima e dopo la crisi che ha defenestrato Profumo dalla sua poderosa creatura, Unicredit grande banca di caratura europea, sono cominciate le voci su una sua possibile collocazione al vertice del centrosinistra come candidato alla presidenza del consiglio.
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Conforta registrare posizioni critiche all’interno del Pd: essere cacciato dalla guida della propria banca non è davvero il titolo migliore per giustificare quella fantasia. Ma il fatto stesso che questa sia diventata notizia dimostra a che punto sia giunta la credibilità dei politici di professione. Pare che gli unici che non possono occuparsi di politica siano proprio loro.
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Altro mistero è come abbia potuto decollare il dibattito sull’opportunità di un "Papa straniero". E’ questa l’espressione usata in questi giorni per sostenere che la classe dirigente del Pd non ha al suo interno le risorse necessarie per produrre una leadership efficace. Misteri dell’affabulazione giornalistica: l’espressione risulterà incomprensibile ai più e contribuirà ad attribuire al Pd quella mancanza di chiarezza che impania allo stesso modo il suo linguaggio e le sue opere.<br />
Nel momento in cui Berlusconi e il suo governo sono incrinati dalla contestazione interna non sarebbe il momento di mostrare il massimo di unità e risolutezza?
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Non si capisce poi perché un partito così incerto sulla propria composizione e sul proprio destino debba ostentare - per fortuna non con tutti i suoi dirigenti - le più capziose riserve sul suo più sincero e convinto alleato, l’Idv. Un partito attestato sul 40% e per di più compatto potrebbe guardare dall’alto in basso gli alleati. Non sarebbe atteggiamento simpatico ma comprensibile. <br />
Ma nelle condizioni attuali il Pd farebbe meglio a misurare con realismo le proprie difficoltà e a guardare con maggiore fiducia a chi ritiene primario il compito di liberarsi dell’anomalia italiana e di praticare il genuino riformismo espresso nella carta costituzionale.<br />
Tg1«Quando Minzolini appare, i telespettatori cambiano canale»2010-09-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it505913<br />
«Quando Augusto Minzolini appare, i telespettatori cambiano canale. Con il direttorissimo alla guida, infatti, il Tg1 continua a perdere ascolti e credibilità. Il tutto a vantaggio della concorrente Mediaset. Ormai è chiaro il danno economico e di credibilità che Minzolini ha recato all'azienda e a quello che una volta era il miglior telegiornale italiano», hanno affermato in una nota congiunta il senatore Pancho Pardi, capogruppo in commissione Vigilanza dell'Italia dei Valori e il portavoce Leoluca Orlando.
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«Non è più tollerabile che Masi continui a difendere l'indifendibile. Masi deve rispondere ai cittadini che pagano il canone. Chiediamo al direttore generale un sussulto di dignità e che incominci a fare gli interessi dell'azienda e non quelli di Berlusconi. Siamo curiosi poi di sentire come Minzolini, quando sarà audito in Vigilanza, giustificherà la quasi cancellazione dell'Italia dei Valori dal suo telegiornale cosi come - hanno concluso gli esponenti dell'Idv - la cancellazione delle notizie sgradite al suo dante causa».
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RICOSTRUZIONE GOVERNO INCIDENTI [di piazza Navona] E' PURA FANTASIA2008-10-31T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it381852'La ricostruzione del governo e' totalmente inventata e offende l'intelligenza degli italiani''. Lo dichiara il senatore dell'Italia dei Valori Francesco Pardi che, riferendosi a quanto dichiarato oggi alla Camera dal sottosegretario Nitto Palma, sostiene che questi ''ha dato una spiegazione per nulla convincente e non credibile su come un camion carico di spranghe, bastoni e manganelli sia potuto arrivare indisturbato nella blindatissima Piazza Navona''.
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''Dalle numerose testimonianze - prosegue l'esponente dell'IdV - e dalle riprese televisive effettuate risulta che la polizia ha inspiegabilmente temporeggiato, anche di fronte alle pressanti richieste di alcuni docenti allarmati per l'incolumita' dei propri studenti; in un secondo momento, le forze dell'ordine si sono schierate nel punto sbagliato della piazza lasciando che aggressori squadristi attaccassero impunemente studenti pacifici. Solo dopo 5/10 minuti gli agenti hanno caricato indistintamente tutti i manifestanti''.
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''Oggi non e' piu' possibile mentire - sostiene Pardi - tutto e' visibile su internet: immagini, video, resoconti dei testimoni oculari e dei giornalisti presenti. Piuttosto e' assai preoccupante che quanto poi avvenuto sia stato misteriosamente anticipato in un'intervista dal presidente emerito Francesco Cossiga il quale si era spinto a dire che il modo giusto per trattare le manifestazioni di questi giorni era quello di infiltrare dei provocatori pronti a tutto''.DISCUSSIONE RIGUARDO AL DECRETO LEGGE SULLA SICUREZZA ( INCLUSO EMENDAMENTO BLOCCA PROCESSI)2008-06-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it357013Signor Presidente, in virtù di quale alchimia, il vice sindaco di Roma sedeva sui tavoli del Governo? Ma non è questo il tema.
L'editto presidenziale che siamo stati costretti ad ascoltare offende la potestà del Senato; contravviene all'articolo 111 della Costituzione, perché inceppa la ragionevole durata dei processi; contravviene all'articolo 25 della Costituzione, perché tende a sottrarre l'imputato al suo giudice naturale; nega il diritto delle parti lese. Tutta la maggioranza si fa sempre bella del fatto che le sue politiche sono a favore delle parti lese: qui c'è una palese e violenta negazione del diritto di tali parti. L'editto presidenziale pretende persino di fissare le udienze e di stabilirne i ruoli e cancella la formazione del libero convincimento del giudice in materia.
Assistiamo a qualcosa di inverosimile: il Presidente del Consiglio nella sua lettera afferma che questa è «una situazione che non ha eguali nel mondo occidentale». C'è solo una cosa che non ha eguali nel mondo occidentale: che la televisione sia direttamente al vertice del potere politico e che una persona ineleggibile e incompatibile con l'esercizio del potere politico possa disporre a proprio piacimento delle Assemblee elettive. (Applausi dai Gruppi IdV e PD).
FIDUCIA AL GOVERNO BERLUSCONI IV2008-05-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it356783La dimensione della vittoria del centrodestra, che è stata esaltata dal controllo della televisione e da una legge elettorale con rilevanti profili di incostituzionalità, non sana l'anomalia italiana del conflitto di interessi e l'opposizione non deve farsi narcotizzare da una retorica del dialogo che ha motivazioni essenzialmente tattiche. La possibilità del confronto si misurerà su temi quali l'indipendenza della Rai e la riforma della legge elettorale, mentre le modifiche costituzionali dovranno essere puntuali e rispettose della procedura di revisione disciplinata dall'articolo 138: la riduzione del numero dei parlamentari e il superamento del bicameralismo non possono costituire un pretesto per alterare il carattere parlamentare della Repubblica. (Applausi dai Gruppi IdV e PD. Congratulazioni).