Openpolis - LE ULTIME DICHIARAZIONI DI Donato Renato MOSELLAhttps://www.openpolis.it/2010-09-23T00:00:00ZIl Governo eviti i luoghi patrimonio dell’Unesco per le scorie nucleari2010-09-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it507325«Il governo faccia chiarezza sulla lista della Sogin che individua i luoghi potenzialmente idonei ad accogliere i depositi di scorie nucleari. Non vorremmo, consultando la mappa di queste potenziali aree, che vi fossero compresi anche qualcuno tra i siti italiani Unesco patrimonio dell'umanità». Lo chiede Donato Mosella, deputato di Alleanza per l'Italia, in una interrogazione parlamentare al ministero dello Sviluppo Economico. «Ieri, Confindustria e Federturismo hanno illustrato il piano nazionale per il rilancio del turismo, sottolineando come i siti italiani dell'Unesco rappresentino una grande ricchezza per il paese - rileva Mosella - ricchezza però enormemente sottoutilizzata e sottovalutata». Oggi, secondo notizie di stampa «la Sogin, società pubblica del nucleare, avrebbe approntato una short list sulle aree del nostro paese idonee ad ospitare i depositi dei residui nucleari». I cinquanta comuni indicati «si troverebbero in Basilicata, Puglia, Lazio, Toscana, regioni che vantano un gran numero di siti Unesco - lamenta il deputato Api - e addirittura zone pregiate per il turismo come il viterbese, la zona di Siena».
Alla luce di ciò, «chiediamo al governo di sapere se tra le zone indicate dalla Sogin non vi siano siti che l'Unesco nel nostro paese ha individuato come patrimonio dell'umanità - conclude Mosella - si tratterebbe di una scelta gravissima e contro ogni logica, che oltretutto andrebbe nella direzione opposta a quella indicata dal governo, se e' vero quanto dichiarato dal premier Berlusconi quando auspicava un grande contributo del settore turistico al Pil nazionale».DDL corruzione2010-05-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499852 Donato Mosella dichiara "L'urgenza auspicata dal presidente Fini sulla discussione del ddl anti-corruzione è sacrosanta. Alleanza per l'Italia si era già dichiarata ieri favorevole ad una nuova calendarizzazione di una discussione approfondita su questo tema. Il problema è che il Pdl da questo orecchio non sembra proprio sentirci e, purtroppo per il presidente Fini - conclude Mosella - il suo rischia di rimanere un 'wishful thinking'".
Produzione della Fiat 500 elettrica2010-03-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499854<br />
"Perché non viene prodotta in Italia? <br />
Troverebbe terreno fertile in tutti i centri storici e aiuterebbe settori vitali per il nostro Paese, come quelli ambientali, energetici, occupazionali”.
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“Tra l’altro - continua l'esponente di Alleanza per l'Italia - la Fiat 500 elettrica esiste già, presentata quest’anno a MoTechEco l’11 febbraio a Roma: si tratta di una vettura motorizzata da Micro Vett, azienda leader nel settore che da anni produce veicoli industriali e per il trasporto di persone a trazione elettrica. È strano anche il fatto che questa iniziativa sia stata pensata in America e non in Europa, con i problemi ambientali ed economici in cui si trova”.
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“Il successo e le potenzialità dei motori elettrici – aggiunge ancora Mosella – sono evidenti anche agli occhi degli italiani, a cominciare dagli autobus che circolano per il centro storico romano, unico segno di un trasporto pubblico di superficie effettivamente funzionante, che furono una scelta della giunta Rutelli quasi dieci anni fa. Non si capisce per quale motivo debbano essere gli altri Paesi a risolvere i problemi legati alla mobilità, risparmiando su costi ed energia e guadagnando in termini economici, d’immagine e d’impatto ambientale, mentre noi - ha concluso - continuiamo a sperperare denaro inutilmente in ecoincentivi e contributi statali”.<br />
Dichiarazioni sulla nascita Alleanza per l' Italia2009-12-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499853Dichiarazione Mosella sulla nascita di API“Il nostro grande progetto è un sogno politico che si sta realizzando sulla spinta di migliaia di persone del mondo politico e della società che vedono in quest’ esperienza nascente una possibilità per migliorare il nostro Paese.” 1 minutoe 20secondiProventi dello scudo fiscale per alleviare le condizioni di difficoltà delle famiglie 2009-10-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499844L'onorevole Mosella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/2714/191.
DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, dico subito che con questo ordine del giorno sostanzialmente vogliamo affermare un principio semplice, ossia che i <b>capitali illeciti vadano ad essere utilizzati per un sostegno sociale alle categorie più deboli.</b>È un po' come i beni che vengono sequestrati alla mafia e alla camorra e vengono poi destinati ad un uso sociale. Spiego rapidamente i motivi che ci hanno spinto a questo tipo di valutazione.
Noi pensiamo che rimettere in circolazione nel normale circuito monetario legale denari provenienti da attività illecite si possa definire in termini di dizionario della lingua italiana «riciclaggio». Il modo in cui questa legge è strutturata con la garanzia dell'anonimato e la franchigia che concede a chi, manipolando quel denaro, si è reso reo di violazioni del codice civile e anche penale configura una sorta di riciclaggio di Stato, con cui lo Stato in cambio di una percentuale si pone in una condizione di collaborazione (e mi fermo a collaborazione) con chi ha violato le sue stesse leggi.
Forse con questa operazione diminuirà il deficit. Non lo so, qualche collega lo ha detto, non si sa quanto rientra, come, sotto quali forme, con quali possibili strumentali utilizzazioni da parte della delinquenza organizzata. Non lo so, non entro nel merito, vedremo. Probabilmente diminuirà il deficit della finanza pubblica, ma certamente aumenterà il deficit di etica di questo Governo. Pagare correttamente le tasse è il modo più diretto in cui ogni cittadino è chiamato a contribuire al bene comune. Premiare chi si è sottratto a questo dovere fondamentale, chi ha perseguito unicamente il vantaggio personale a scapito della collettività e per di più premiarlo riparandolo sotto il velo di una legge scritta appositamente per lui è uno stile di comportamento non nuovo per questo Governo. Non è il caso di stupirsi più di tanto, ma di indignarsi sì, almeno questo ci sia consentito.
Lo scudo - si dirà - recupera una parte del denaro occultato, facendolo affluire nelle casse dello Stato incrementandone le entrate. Ma la questione etica rimane, soprattutto se la riferiamo a quei milioni di cittadini che al fisco versano fino all'ultimo euro, sottraendolo ad uno stipendio e ad una pensione insufficiente. Sanare il danno economico e morale fatto alle persone richiede una riparazione dal nostro punto di vista più diretta che versare un obolo nelle casse dello Stato. Ecco perché siamo convinti che richiede un indennizzo certo e tangibile per ripristinare un minimo di decenza, se non di giustizia sociale. Quindi, noi con questo ordine del giorno desideriamo semplicemente affermare che almeno una parte dei proventi dello scudo vadano ad alleviare le condizioni di difficoltà delle famiglie e dei soggetti più esposti alla difficile congiuntura economica in atto.
Si tratta di quelle condizioni di difficoltà concrete. Lo vedremo, lo stiamo vedendo e le settimane che seguiranno ce ne daranno ragione, anche se al Governo piace nasconderle sotto il tappeto delle più rosee smentite. Quindi, la scelta di destinare parte di queste risorse che vengono dallo scudo fiscale alle famiglie, ai minori, ai migranti è pertinente, perché contribuisce ad alleviare i tagli apportati proprio dalle leggi finanziarie del Governo Berlusconi al complesso delle politiche sociali.
Sarebbe stato preferibile certamente che il Governo affrontasse tali soluzioni in un'ottica di programmazione al momento della preparazione dei documenti economici e finanziari, ma alla pervicacia del Governo nel volere a tutti costi uno scudo fiscale rispondiamo richiamando l'Esecutivo al senso di maggiore responsabilità, restituendo risorse laddove erano state tagliate e ragionando di tematiche che avrebbero dovuto essere affrontate con la stessa determinazione con la quale è stato affrontato lo scudo.
Concludo, signor Presidente. Noi pensiamo che vi sia la necessità di destinare parte delle risorse «scudate» alle famiglie, ai giovani, ai migranti per dare sostegno a settori dimenticati, trascurati, che sono normalmente lontani dalla sensibilità di questo Governo o almeno da una parte più estrema e condizionante di esso. La rete dei servizi sui territori rappresenta il paradigma in questo Paese di uno Stato attento alle esigenze delle persone e, quindi, è necessario da un lato finanziare servizi di qualità per tutti ad ogni latitudine del Paese, dall'altro consultori aperti e pronti ad avvicinare il disagio, non ad aspettare che il disagio vi si rivolga.
Occorre, inoltre, finanziare l'Obiettivo di Lisbona della copertura del 33 per cento delle esigenze connesse ai servizi per l'infanzia; sostenere i giovani, le famiglie, i migranti che lavorano nelle nostre case con dedizione, nelle nostre fabbriche e nelle nostre aziende e fanno lavori umili che nessun italiano più vuole fare.
È su questi obiettivi che apriamo il confronto e diamo corpo a un ordine del giorno che crediamo possa essere preso nella dovuta e giusta considerazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Nucleare2009-01-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499856"L'Italia ha bisogno di una politica energetica di lungo periodo a servizio delle imprese e dei cittadini; una<b> politica declinata non solo sull'atomo, ma che realizzi un mix energetico ottimale, attraverso la promozione delle fonti rinnovabili, dall'eolico al solare, all'utilizzo delle biomasse; una politica che investa massicciamente sulla ricerca scientifica e tecnologica e sulla formazione delle professionalità; una</b> politica lungimirante in grado di abbassare il peso della bolletta energetica per le famiglie e per le imprese.(...)Sui temi energetici il Parlamento, vale a dire la sede più alta della partecipazione democratica, deve poter aprire un dibattito ampio al fine di accertare le criticità del sistema e di condividere le priorità e i processi utili ad assicurare l'autonomia energetica del Paese. L'Italia ha bisogno di una politica energetica composita, degna di un Paese industrializzato e in grado di sostenere le imprese nelle sfide della competizione globale, di una politica che riduca inoltre i costi di approvvigionamento per i cittadini e per le famiglie.
Siamo lontani dal limitare ideologicamente il dibattito in favore di una fonte piuttosto che di un'altra, perché ciò significherebbe minare alla radice la bontà di una solida politica energetica, ma ci sia concessa qualche riserva: dopo anni di silenzio nel quale l'Italia ha perso il primato sul know how nucleare, sul lancio dell'ambizioso quanto immediato programma nucleare, di cui né il Parlamento né soprattutto l'opinione pubblica conosce gli indirizzi fondamentali, siamo preoccupati e crediamo che il Paese abbia bisogno di conoscere gli intendimenti del Governo. I motivi di apprensione non mancano, l'unico dato certo è che la fine naturale di questa legislatura dovrebbe coincidere con l'avvento del nucleare; allo stato il Paese ignora il modo in cui le scorie dei processi nucleari verranno trattate e custodite.
(...)Ci interroghiamo infine sulla<b> reale disponibilità delle tecnologie</b>. Pur volendo ammettere che oggi esistono tutte le tecniche in grado di costruire centrali sicure, ci chiediamo se sussista la possibilità di reperirle concretamente sul mercato, posto che pochissimi al mondo sono i soggetti specializzati in tali produzioni. Per queste ragioni la nostra posizione sul progetto nucleare è di estrema cautela, il Paese aspetta di conoscere dal Governo le soluzioni alle criticità connesse all'operazione.
Da parte nostra cogliamo questa occasione per chiedere al Governo di impostare una politica energetica strutturale, fondata sul mix ottimale tra le fonti disponibili. Sul capitolo nucleare, inoltre, riteniamo che vi siano delle priorità imprescindibili per maturare il traguardo nucleare: incentivare la ricerca sulle tecnologie di quarta generazione, sostenere la partecipazione dell'industria italiana allo sviluppo dei programmi nucleari internazionali. Su questi temi ci aspettiamo dal Governo risposte chiare ed impegni precisi."
rifiuti2008-12-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499843. L'onorevole Mosella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1875/15.
DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, il dibattito di questi giorni è solo l'ultima tappa di un lungo e complesso cammino che, da molti anni, anima i nostri lavori e probabilmente li animerà anche per il futuro.
Ecco perché, con questo ordine del giorno, proviamo a mettere alcuni punti qualificanti a questo percorso.
È indubbio che il tema dei rifiuti sia una questione di estrema complessità, perché investe diversi profili: il profilo sanitario, per quanto riguarda gli effetti sulla salute dei cittadini di una raccolta o di un trattamento da rifiuti non adeguato; profili economici, perché il trattamento dei rifiuti comporta costi rilevanti per le amministrazioni, che devono provvedervi in coerenza con le leggi di settore; profili di ordine pubblico, per l'aumento dell'incidenza dei reati ambientali e delle attività delle ecomafie; infine, profili di tutela ambientale, perché sono sempre di più i danni causati all'ambiente dallo smaltimento illecito dei rifiuti.
Sono aspetti che ormai tutti gli italiani conoscono un po' a memoria, anche per il meritorio lavoro che si svolge in quest'Aula. Per tutte queste ragioni, occorre andare oltre la decretazione d'urgenza; il dibattito sui rifiuti non può e non deve restare un tema residuale nell'agenda politica.
Ci appelliamo, quindi, alla sensibilità dell'Aula, soprattutto dei colleghi, della maggioranza, affinché il tema della gestione dei rifiuti possa essere sviluppato in modo strutturale, anziché affrontato con terapie che - l'esperienza ce lo ha mostrato con molta chiarezza - servono a risolvere le emergenze contingenti, non certo a prevenire quelle che inevitabilmente verranno.
Occorre, quindi, un lavoro attento, che promuova le migliori pratiche italiane, ma anche estere (ci sono modelli interessanti in giro per il mondo), affinché coloro che hanno la responsabilità della gestione pubblica possano avere esempi concreti sulla bontà e sulle opportunità, anche economiche, di avvalersi di validi processi in materia di smaltimento.
Una politica strutturale deve ottimizzare tutti i processi che intervengono nella filiera dei rifiuti, dalla produzione alla raccolta, dal trasporto al trattamento. Una politica strutturale deve promuovere il senso ed i benefici della raccolta differenziata, quale strumento per alleggerire, e quindi per migliorare, i processi di gestione dei rifiuti.
Una politica strutturale deve promuovere, ove possibile, le tecnologie e le modalità pratiche per il riutilizzo dei rifiuti e dei materiali di scarto. Occorre impostare la risoluzione della questione con politiche di lungo periodo, tali da trasformare i rifiuti, ove possibile, in una risorsa a beneficio delle comunità.
Anche il richiamo che in questi giorni, più volte, è stato fatto al senso civico, che deve essere il comune denominatore dei comportamenti di tutti i cittadini e degli amministratori, è un imperativo rispetto al quale trovo essenziale che anche tutto il tema dell'educazione ambientale, a partire dalla formazione nella scuola primaria, diventi tema di insegnamento, perché lo smaltimento corretto dei rifiuti diventi cultura nel Paese, a partire dall'inizio della catena sino alla fine del ciclo.
Con questo ordine del giorno, quindi, chiediamo al Governo di attivarsi affinché il tema dei rifiuti diventi oggetto di una politica articolata, di lungo periodo, che miri ad ottimizzare i processi di gestione dei rifiuti ed a favorire interventi atti a diminuire anche la pericolosità dei rifiuti stessi .Ordine del giorno politiche di sostegno per i giovani e le famiglie2008-07-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499842L'onorevole Mosella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/52.
DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, signori del Governo, questo ordine del giorno vuole evitare una forma di strumentalizzazione, che pure è facile, visto l'argomento. Il decreto-legge in oggetto, all'articolo 81, prevede l'istituzione di un fondo destinato agli acquisti di generi alimentari e al soddisfacimento delle esigenze primarie per le categorie più disagiate.
Si è scritto molto in questi giorni sul tema. Con l'ordine del giorno in discussione, vorremmo accendere una luce sull'argomento. Vorremmo mettere in evidenza, infatti, come il Governo, in questa circostanza, in maniera anche alquanto sorprendente, si stia muovendo in modo disordinato. Abbiamo ascoltato in Commissione i diversi Ministri che si occupano dell'ambito sociale e sanitario; abbiamo preso atto delle loro buone intenzioni e, negli interventi che ne sono seguiti, vi sono state anche attestazioni positive da parte nostra. È chiaro però che, di fronte a provvedimenti di questo tipo, anche le migliori intenzioni di un'opposizione costruttiva vengono a mancare.
Il testo del decreto-legge in esame, all'articolo 81, comma 29, recita che il fondo successivamente può essere destinato anche ad esigenze energetiche e sanitarie. Quel «successivamente» la dice lunga su come sia concepito l'argomento e quale sia l'approccio che il Governo ha sui temi della marginalità, ponendo in essere quasi una sorta di graduatoria tra le esigenze primarie delle persone, per cui quelle relative alla salute sono meno importanti di altre.
La sensazione che abbiamo forte, ci sia consentito di sottolinearlo, è che si tratti di un approccio in ordine sparso, senza un filo conduttore e su simili temi crediamo si tratti di un errore molto grave. Per un Paese che voglia dirsi evoluto - tanto più che siede al tavolo del G8 ed ha una serie di responsabilità - ragionare di correttivi in termini di una carta dei poveri non vuol dire varare una politica sociale ma semplicemente concedere una forma di elemosina. È qualcosa di umiliante - ci sia consentito dirlo - non tanto per chi, spinto dal bisogno, l'elemosina è costretta ad accettarla, quanto per chi, in questo modo, ritiene di mettersi a posto la coscienza. Vorremmo che fosse, in queste ore, messo in evidenza quanto ciò sia umiliante per l'immagine del nostro Paese, il quale, con tale misura, proclama qual è la bussola che lo guida e dice che è tarata sull'egoismo sociale piuttosto che sul senso di solidarietà e si allontana dall'essere un Paese moderno. Eppure non mancherebbero gli indicatori dei settori più bisognosi di intervento e delle criticità che gravano sulle giovani generazioni e sulle famiglie, che sono oltretutto ben note al Parlamento.
L'onorevole Lucà ha presieduto, durante la scorsa legislatura, la Commissione affari sociali, che ha condotto un'indagine conoscitiva sulla famiglia. L'indagine ha evidenziato: perdita del potere di acquisto dei redditi, precarietà del lavoro, sistema fiscale non commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, discriminazioni nel lavoro, carenze soprattutto nel Mezzogiorno dei servizi di assistenza, difficoltà di conciliazione tra i tempi di lavoro e la vita affettiva o familiare, che costringe molte donne a scegliere di non lavorare o peggio ancora a lasciare il tanto desiderato posto di lavoro.
Chi può credere davvero che la soluzione riposi in un certificato di povertà, qual è la carta per fare la spesa o pagare le bollette? Siamo convinti - e su questo vorremmo richiamare il Governo con il nostro ordine del giorno - che occorre procedere secondo politiche di sistema, integrate e coordinate tra di loro. Occorre incidere strutturalmente su criticità che corrono il rischio di cronicizzarsi. Questa è la bussola di un Paese come il nostro e su questo ordine del giorno noi chiediamo davvero, anche ai colleghi della maggioranza, una riflessione per mettere sul giusto binario l'intera materia.
sport e giovani2008-07-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499847DONATO RENATO MOSELLA. Signor presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti alla signora ministro, perché è riuscita a fornire un quadro ampio, problematico, ma anche alcune proposte che, al momento, mi lasciano soddisfatto. La domanda che mi pongo è come poi vigilare, man mano che il suo navigare va avanti, al solo fine di svolgere il ruolo responsabile di opposizione e anche per incalzare il ministro in alcune direzioni.
Svolgo una prima considerazione veramente a caldo, senza alcuna pretesa di approfondire, riferita al rapporto con gli altri Ministeri e ministri. Un rapporto che ritengo di per sé pregevole, ma critico, in quanto bisogna guardare cosa sta accadendo con i tagli a cui si è costretti, soprattutto in alcuni settori, per motivi legati alla Finanziaria. Questi tagli contraddicono un po' quanto ci è stato poco fa illustrato. Ad esempio, mi riferisco <b>ai tagli che sono stati operati nei confronti dello sport di promozione, dello sport sociale, dell'associazionismo sportivo, che, tenete conto, rappresenta meno dell'uno per cento del bilancio dello sport nazionale.</b>Vanno bene le Olimpiadi, vanno bene i campionati mondiali, va bene commuoversi per il podio e per le bandiere, però, dietro alle politiche giovanili esiste un tema su cui ci dobbiamo interpellare: i giovani, quelli meno fortunati (parlo del comparto sportivo, ma il discorso potrebbe essere generalizzato), che praticano lo sport e che non arrivano a risultati lusinghieri, sono la stragrande maggioranza. Tra chi ha la possibilità di diventare un «campioncino», magari senza arrivare alle Olimpiadi, e la massa dei praticanti, il rapporto è di 1 a 10 mila. Ebbene, gradirei che un Ministero come il suo, anche con il taglio che lei giustamente ha dato al suo piano di lavoro, tenesse conto, anche in questa ottica, di chi ha di meno.
È pertanto giusto erogare i soldi per lo sport italiano e per le Olimpiadi, però mi domando quando nascerà finalmente (forse il suo Ministero in questo potrebbe fungere da provocatore, anche rispetto agli altri colleghi) un aiuto e un sostegno a quelle attività che stanno morendo. Siamo un Paese ad altissimo tasso di associazionismo relativo a tutte le culture e tutte le sensibilità, abbracciando tutto l'arco costituzionale, ma molto di questo patrimonio si sta disperdendo, impoverendo e inaridendo. Non è che scompare, ma si dà regole e meccanismi che lo portano ad autofinanziarsi. Quando, per sopravvivere, ci si deve autofinanziare, si perde di vista l'obiettivo prioritario di tipo sociale. Si fanno pagare quote, o rette; si chiede una contropartita economica che spesso, nelle fasce dei meno abbienti e dei giovani che sono più lontani dal meccanismo educativo, non trova accoglimento.
Molti giovani preferiscono spendere 50 euro in attività magari meno educative, piuttosto che nella propria promozione sportiva, artistica e culturale. Dato questo meccanismo, credo che lei potrà richiedere ai suoi uffici di mostrarle alcuni indicatori che dipingeranno un quadro molto preoccupante. Esiste un patrimonio, che lei ha citato con sigle, che testimonia lo spirito di relazionarsi e di instaurare rapporti e che però, se continua a inaridirsi e a spegnersi, ci costringerà a reinventarlo, con costi sociali molto elevati.
In questo meccanismo che lei ha raccontato, voglio solo sottolineare un passaggio che forse può tornare utile alla riflessione. «I giovani per i giovani»: mi è sembrato un filo che ha condotto un po' tutta la sua articolata esposizione. È anche vero, però, che c'è in questo Paese una necessità: di solito il Ministero della gioventù nasce o perché abbiamo una povertà generale del meccanismo giovanile (credo che in Italia sia nato per questo motivo, nel senso che si vedevano gli indicatori e si capiva che dovesse esserci qualcuno incaricato di guardare con occhio attento e continuativo al mondo giovanile), oppure perché, come è avvenuto in altri Paesi europei, esiste una super produzione di iniziative e di attività, che è bene coordinare.
Per noi prevale la motivazione più preoccupante, anche se è vero, come lei ha raccontato, che ci sono tante iniziative in corso, che vanno coordinate e migliorate.
Tuttavia, la verità è che oggi abbiamo un ministro che si occupa dei giovani perché i nostri giovani si trovano in difficoltà. I motivi lei li ha spiegati e i colleghi sono già intervenuti al riguardo.
Ciò che tendo a proporle è una sorta di patto intergenerazionale: sono un cinquantenne che è nato e cresciuto alla scuola di educatori che sono stati giovani adulti oppure adulti anche anziani. A loro ho legato pezzi della mia vita: nello sport, nella politica, nell'associazionismo.
Credo che una delle mancanze, oggi, sia rappresentata da un'autosufficienza che, spesso, non riesce a innescare, come lei ha indicato, il meccanismo educativo.
Ebbene, si valorizzino in questi percorsi anche i patti intergenerazionali. Si ritorni a ossigenare un Paese che è molto invecchiato. Tanti anziani dismettono l'attività lavorativa e potrebbero, in questa direzione, trovare uno sbocco, sebbene si sia in presenza di un deficit di riconoscimento.
I giovani, oggi, fanno fatica a riconoscere nel rapporto con l'altro una forma di necessità e di apporto. Noi li andavamo a cercare, eppure all'epoca avevamo famiglie abbastanza ordinarie. L'educatore, per noi, costituiva l'oggetto di una ricerca che compensava, in alcuni ceti sociali, anche la mancanza del genitore e della famiglia, diventava modello di riferimento. Oggi questo meccanismo si sta perdendo.
Passando ad altro, lei non ha sottolineato che il nostro è un Paese «a macchia di leopardo». Non voglio rievocare il discorso delle differenze tra nord e sud (che poi c'è anche un sud al nord e un nord al sud), però, riguardo ai giovani, rileviamo una situazione molto diversificata.
Su tutti temi trattati, dal lavoro, al tempo libero, alla cultura, abbiamo un Paese in cui i problemi si differenziano «a macchia di leopardo». Mi piacerebbe immaginare, nel suo lavoro, anche un'attenzione a queste diversità.
A me stanno a cuore di più i giovani della marginalità, quindi i giovani che prevalentemente vivono e crescono nel sud del paese, o nelle aree periferiche, che lei conosce molto bene, per quanto riguarda Roma, dove effettivamente il taglio ai temi che lei ha trattato - dal lavoro al tempo libero - è un po' diverso e particolare: lì ci sono segni di disperazione molto forti, ma anche di grande speranza. Laddove le difficoltà sono più grosse, nascono testimonianze straordinarie che potrebbero essere incanalate e valorizzate. Credo che sia molto importante tenerne conto nei piani, altrimenti si rischia di agire in maniera generale e di non cogliere la sacca di maggiore difficoltà.
È vero che esiste una povertà giovanile e una difficoltà anche negli ambienti economicamente molto agiati; basta vedere alcune città del nord come Modena, o altre città, dove il tasso di suicidi giovanili è alto. Non possiamo più parlare di fasce sociali deboli, perché effettivamente il fenomeno è complesso e su questo ci si deve interrogare.
Tuttavia, mi sembra che rispetto a piani che portano all'avviamento del lavoro, come ad esempio il prestito d'onore, immaginarli per una periferia di una grande metropoli è cosa diversa che immaginarli per una città con redditi pro capite e tenore di vita accettabili. Si tratta di approcci e di dimensioni diverse. Mi fermo qui, ringraziando nuovamente il ministro.
ATTIVITA' CULTURALI, QUALITA' DELLA VITA E SPORT 2005-11-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499850 Politiche dello sport<br />
di Donato Renato Mosella, Giuseppe Scalera<br />
C’è in Italia una crescente domanda di attività sportiva, ben evidenziata dai numeri dell’ISTAT. Se nel 1997 i cittadini che praticavano sport con continuità rappresentavano il 17,9% della popolazione, nel 1999 erano il 18,1%, nel 2001 il 19,2% e nel 2003 il 20,8%, pari a circa 11 milioni e mezzo di persone con più di tre anni. Nello stesso 2003 gli Italiani che svolgevano attività fisiche, motorie e sportive leggere, a carattere saltuario/occasionale erano il 37,6%, pari a circa 21 milioni di individui.
Questo aumento della domanda di sport rispecchia un modo nuovo di concepire e vivere <b>l’attività sportiva da parte dei cittadini, che si indirizza principalmente verso forme che però non trovano riscontro nell’ordinamento sportivo vigente</b>. L’aumento dei praticanti riguarda infatti solo marginalmente lo sport di prestazione legato alle attività delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN) e Discipline Associate (DA) riunite nel Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Nel 1997 gli atleti tesserati alle FSN e alle DA erano circa 3,3 milioni, diventati poco più di 3,5 milioni nel 2003.<br />
Questi numeri stanno a dimostrare due cose:
1. che lo sport facente capo alle Federazioni e Discipline Associate cresce a ritmo inferiore rispetto a quello che si colloca al loro esterno;
2. che lo sport a prevalenti fini agonistici è diventato negli anni di gran lunga minoritario rispetto allo “sport per tutti”, termine che sta ad indicare un’attività sportiva legata solo marginalmente o per nulla alla prestazione, e che piuttosto si caratterizza come diritto di ogni cittadino a fruire dei benefici della pratica sportiva a prescindere dall’età, dal censo, dalle abilità psicofisiche, dalle condizioni di salute e dall’area geografica di residenza.
Diverso, se non in antitesi, è l’impatto sociale di questi due modi di concepire lo sport, poiché:
- lo sport a prevalenti finalità agonistiche è sport di selezione: ricercando chi possa conseguire medaglie e record, deve necessariamente basarsi sulla selezione e l’addestramento dei più bravi, dei talenti; e chi non ha le qualità indispensabili ne resta fuori;
- lo sport per tutti si basa invece sul principio dell’inclusione, puntando a fare entrare nelle sue fila il maggior numero possibile di persone, senza guardare alle loro potenzialità agonistiche.
L’orizzonte europeo dello sport per tutti
Lo sport per tutti disegna l’orizzonte sportivo verso cui tende da tempo l’Europa comunitaria, che molto ha contribuito a precisare i contenuti di questo tipo di sport, dalla Raccomandazione 588 del 26 gennaio 1970 dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, alla “Carta europea dello sport per tutti” approvata il 20/21 marzo 1975 in seno al Consiglio d’Europa stesso, alla “Dichiarazione sullo sport” annessa al Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, fino alla “Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle sue funzioni sociali in Europa nell’attuazione delle politiche comuni”, annessa al Trattato di Nizza, del 7/9 dicembre 2000.
Lo sport per tutti vi è considerato come uno strumento efficace per la realizzazione di finalità sociali importanti, quali l’educazione giovanile, la tutela sanitaria della popolazione, l’inclusione e la coesione sociale, il contrasto alla sedentarietà e la riscoperta attiva dell’ambiente. Esso si colloca ormai come espressione del diritto di cittadinanza e attività che concorre a realizzare il nuovo Welfare.
La riflessione su compiti e finalità dello sport per tutti si è molto sviluppata anche in Italia. Importanti indicazioni da recepire nella realizzazione di un valido quadro di riferimento per lo sport per tutti sono state espresse nel dicembre 2002 dal Forum del Terzo Settore con la “Carta dei principi dello sport per tutti”.
In definitiva, le premesse teoriche dello sport per tutti sono state ampiamente delineate. Rimane da ammettere che un sistema sportivo moderno, funzionale ai bisogni attuali della popolazione e del Paese, deve promuovere e sostenere con pari impegno tanto lo sport di selezione e a prevalenti finalità agonistiche, quanto lo sport di inclusione e a prevalenti finalità sociali.
Le lacune dell’ordinamento sportivo vigente
Purtroppo in Italia così non è, per via di un ordinamento sportivo nato nel 1942 - quando si poteva concepire unicamente lo sport olimpico - e in seguito modificato solo marginalmente.
L’Italia è oggi l’unico paese occidentale in cui la funzione di promuovere e organizzare lo sport nel suo insieme è affidata non già ad un’agenzia o a un’istituzione pubblica ma al Comitato Olimpico Nazionale, che gestisce la totalità dei fondi derivanti da concorsi e lotterie sportive destinati a sostenere lo sport. <b>Aver dato il monopolio dell’organizzazione sportiva al Comitato Olimpico Nazionale ha indirizzato ed indirizza il nostro sistema sportivo quasi esclusivamente verso lo sport di selezione e di prestazio</b>ne. Ne fa prova che per decenni e fino a pochi anni fa il CONI destinava all’associazionismo di promozione sportiva meno dell’1% dei propri introiti, percentuale oggi accresciuta, ma comunque inferiore al 5%.
Ci sono stati nel tempo tentativi di portare il CONI a riconoscere e a farsi realmente carico dello sport per tutti, ma è innegabile che ogni volta essi siano rimasti lettera morta per il disinteresse o l’ostilità del CONI stesso. Basti citare le occasioni rappresentate dalla 1^ “Conferenza nazionale dello sport”(10-13 novembre 1982), o la costituzione del Comitato nazionale per lo Sviluppo delle Sport (a metà anni Ottanta) e del Comitato Nazionale Sport per Tutti (a metà anni Novanta).
Si può dire perciò che lo sport per tutti si sia affermato nel Paese, fino a coinvolgere oggi milioni di cittadini, per evoluzione spontanea del costume sportivo e per libera iniziativa di quella parte dell’associazionismo facente capo ai cosiddetti Enti di promozione sportiva, fino a pochi mesi fa tenuti fuori dal CONI, anche se da esso riconosciuti. Nei tempi più recenti ha concorso ad affermare lo sport per tutti l’offerta di impianti e club privati sviluppatasi per rispondere alla nuova domanda sportiva.
All’affermazione dello sport per tutti hanno contribuito gli Enti Locali e le Regioni, dopo che il DPR 616/77 (art. 56 comma b) poneva tra le competenze ad esse attribuite «la promozione di attività sportive e ricreative e la realizzazione dei relativi impianti ed attrezzature, di intesa, per le attività e gli impianti di interesse dei giovani in età scolare, con gli organi scolastici». Ciò restando ferme «le attribuzioni del CONI per l'organizzazione delle attività agonistiche ad ogni livello e le relative attività promozionali».
Oggi abbiamo una situazione ancora più complessa e confusa in fatto di competenze sullo sport per tutti. Nell’ottobre 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione ha indicato nella politica sportiva materia di legislazione concorrente, ovvero posta nelle mani delle Regioni, fermo restando che spetta allo Stato dare le necessarie linee di indirizzo. Successivamente, però, la modifica dello Statuto del CONI, voluta dal Governo Berlusconi (Decreto Legislativo 15/2004), ha riconfermato che «Il CONI è la Confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate». Le associazioni che si occupano di sport sociale e di sport per tutti, nonostante in totale abbiano circa gli stessi tesserati delle Federazioni, sono state escluse volutamente da questa dicitura.
Vero è che esse hanno ottenuto una rappresentanza minima nel Consiglio Nazionale (CN) e nella Giunta CONI, ma il timone del sistema sportivo italiano continua ad essere nelle mani dello sport di prestazione.
Lo stesso statuto CONI del 2004 disegna così i compiti dell’Ente: «L'ente cura l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali…. Cura inoltre… la promozione della massima diffusione della pratica sportiva».
La lacuna è evidente. Da nessuna parte è indicato chiaramente che tra i compiti del CONI, accanto alla preparazione olimpica, vi sia la promozione dello sport per tutti. Ma anzi si specifica che la funzione peculiare o prevalente del CONI è selezionare e preparare gli atleti di alto livello che possano gareggiare nelle competizioni internazionali. Ciò nonostante si afferma che al CONI spetta organizzare l’insieme dello sport nazionale, così bloccando la strada a qualsivoglia altro soggetto che possa farsi carico dei compiti di governo dello sport per tutti.
Da questo equivoco, di cui le Regioni si sono ampiamente lamentate, perché di fatto vanifica la titolarità della materia sportiva assegnata loro dalle modifiche al Titolo V, è tempo di uscire. Non è possibile che il CONI, anche trincerandosi dietro il suo nuovo Statuto, da un lato rivendichi la titolarità esclusiva della gestione di tutto lo sport italiano e dall’altro pretenda di continuare ad essere soltanto la Confederazione delle Federazioni. Dal canto loro le Regioni hanno dichiarato a più riprese la loro indisponibilità a far parte di organismi di coordinamento e di indirizzo dello sport per tutti che siano posti all’interno del CONI e quindi ad esso subordinati.
Le società sportive non profit motore dello sport sociale
La conseguenza, grave in termini sociali, è che lo sport per tutti, in quanto terra di nessuno dal punto di vista legislativo e finanziario, sta scivolando sempre più nelle mani del mercato, dei club profit dove si accede solo se si può pagare.
Il moltiplicarsi di palestre e di centri fitness risponde comunque a un forte e generalizzato bisogno di salute, e dunque sarebbe un fenomeno da accogliere positivamente se il loro diffondersi non stesse avvenendo al di fuori di qualsiasi regolamentazione quanto a standard di qualità e di sicurezza.
Anche in questo campo appare necessario un intervento legislativo, considerando che un’attività fisica svolta secondo criteri improvvisati, con strumenti non calibrati alle condizioni reali del fruitore e alla sua storia sanitaria, può mettere a repentaglio la salute di questi invece che salvaguardarla e migliorarla. Punto fondamentale di una regolamentazione dovrebbe essere proprio il porre ogni centro di questo tipo sotto la responsabilità di un laureato in Scienze motorie, con il vantaggio, tra l’altro, di assicurare a tali laureati quegli sbocchi professionali che la scuola da sola non può garantire. Altrettanto necessario è prevedere controlli nei circuiti di palestre e centri di body-building, visto che le ricerche indicano che sono proprio questi i luoghi dove più alto e il rischio di assunzione di integratori di incerta provenienza e composizione, nonché di anabolizzanti.
Manca comunque nelle palestre e nei centri fitness commerciali la propensione a svolgere attraverso le attività motorie e sportive quelle mission sociali caratteristiche dell’associazionismo di volontariato.
Affinché la pratica sportiva sia per i cittadini un’occasione di educazione, di prevenzione sanitaria, di socializzazione, di contrasto alla marginalità giovanile, di integrazione dei diversamente abili e di altre cose altrettanto importanti, c’è bisogno che essa si svolga, nel quadro di riferimenti legislativi certi, ad opera di società sportive vere; dove non si acceda come semplici clienti; che siano comunità di persone che condividono un’esperienza di vita, e che vedono nelle attività sportive un mezzo per raggiungere finalità umane e sociali rilevanti.
Si pensi ai giovani, che nella società sportiva autentica hanno modo di svolgere percorsi importanti di ricerca di identità, sperimentando relazioni significative con gli adulti e con i pari, il rispetto delle regole democratiche che impostano la vita in comune, la cooperazione, il volontariato, l’assunzione di responsabilità (spesso questi ragazzi diventano essi stessi allenatori e dirigenti…).
Secondo le ricerche, abbiamo un grande patrimonio, fatto di molte decine di migliaia di società sportive non profit (tra 80.000 e 100.0000), tutte basate sul volontariato e molte delle quali espressione di un associazionismo a spiccata sensibilità sociale.
È un patrimonio da utilizzare al meglio, nonché da sostenere per evitare che esse stesse ed i loro operatori tradiscano la loro vocazione originale per orientarsi al mercato remunerativo.
Le condizioni per lo sviluppo di uno sport di alto profilo sociale
Abbiamo bisogno di una pratica sportiva di alto profilo sociale, che aiuti a migliorare la qualità della vita delle persone, che restituisca senso e speranza ai giovani, che educhi a diventare cittadini rispettosi delle regole e del prossimo. Sono compiti che lo sport, e in particolare lo sport per tutti, può svolgere, ma occorre creare le condizioni affinché le svolga:
- facendo chiarezza con una legge quadro che dica quali sono diritti e doveri di ogni componente (compresa la Scuola), e come queste si raccordano tra di loro;
- aiutando le società sportive tradizionali nel loro lavoro svolto nelle pieghe del sociale, evitando che questo patrimonio associativo (che solo in Italia esiste così ricco, e che altri paesi ci invidiano) si snaturi e si converta alla corsa al mercato (le norme per le Società sportive dilettantistiche, legge n. 289/2002, varate dal Governo Berlusconi sono di scarsa utilità per le piccole società sportive di paese e di quartiere, che sono poi la maggioranza). È discutibile, quindi da rivedere, anche il colpo di mano con cui il registro delle società sportive dilettantistiche, che inizialmente il Governo aveva intenzione di istituire presso le Regioni, è stato poi affidato al CONI rafforzandone il ruolo di unico gestore nazionale del fenomeno sportivo. Ne deriva che il CONI, essendo il solo soggetto deputato a concedere il riconoscimento dello status di società sportiva dilettantistica, di fatto decide anche quali società possono fruire di finanziamenti pubblici o dei vantaggi concessi dalla Legge 289/2002;
- incoraggiando e rimotivando il volontariato sportivo, che resta il motore di qualunque progetto di sport a forte vocazione sociale;
- istituendo un’Agenzia nazionale, nella quale confluiscano tutti i soggetti da coinvolgere nella promozione dello sport per tutti, quale organismo che dia gli indirizzi di una politica sportiva di settore, coordini interventi specifici, svolga funzioni di ricerca e di vigilanza. E poiché la materia passa attraverso le competenze Regionali, analoghi organismi andrebbero costituiti, a cascata, a livello regionale;
- prevedendo che nella costruzione o riadattamento di impianti sportivi sia data la precedenza ad impianti di base polivalenti da mettere a disposizione dello sport per tutti; e che, ove manchino le condizioni per realizzare tali impianti, si proceda all’adeguamento come aree attrezzate di quota degli spazi pubblici disponibili, quali i parchi e le zone destinate a verde.
Dall’Infanzia alla Terza Età
Nella già citata “Carta dei principi dello sport per tutti” licenziata dal Forum del Terzo Settore, si dice che: «lo sport costituisce un elemento irrinunciabile della dimensione educativa, per il ruolo che esso svolge nella formazione del fanciullo e dell’educazione continua degli adulti.
È una indicazione rilevante, perché indica nella pratica motoria e sportiva estesa dall’infanzia alla Terza Età uno strumento che concorre alla formazione continua della persona.
All’inizio di questo percorso si innesta il grande problema dello sport scolastico. La scuola potrebbe svolgere un ruolo importante nella promozione della pratica sportiva e per l’affermazione di una cultura radicata dello sport agito in prima persona. Purtroppo finora essa è stata la grande assente nello sviluppo dello sport in Italia.
L’educazione motoria e pre-sportiva deve avere un sicuro “peso specifico” già presso gli allievi della scuola primaria, per poi rafforzarsi ulteriormente nelle fasce di età successive.
Il problema del settore, comunque, non si risolve pesando le ore di educazione fisica. Il nodo vero è riuscire a far nascere e decollare un associazionismo sportivo scolastico efficace, destinando a ciò le risorse economiche ed umane necessarie. Già oggi sul territorio si fanno sporadicamente cose egregie quando si trovano forme di collaborazione tra lo sport scolastico e l’associazionismo sportivo locale: questo rapporto fecondo di cooperazione è nelle corde della scuola dell’autonomia, va solo stimolato e sostenuto, anche perché potrebbe essere uno strumento efficace per contrastare la dispersione scolastica. Tenendo ben presente, anche qui, che se lo sport nella scuola è indirizzato alla performance, alla selezione precoce dei migliori, non avrà effetti di inclusione ma di esclusione, diventando, all’opposto, elemento che potenzialmente aumenta la dispersione.
Al capo opposto del percorso si colloca lo sport per la Terza Età. Il progressivo invecchiamento medio della popolazione pone nuovi problemi in prospettiva e sempre più ne porrà in futuro. Sarà importante che il maggior numero possibile di cittadini arrivi alla Terza Età, e in essa proceda, nelle migliori condizioni di salute possibili, anche per frenare l’incidenza della spesa socioassistenziale e sanitaria.
Cosa può fare in questo campo lo sport è stato chiaramente enunciato dalla Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che ha indicato nella sedentarietà una delle maggiori cause di malattie cardiovascolari, di diabete e di obesità. Circa l'80% delle cardiopatie coronariche precoci sono dovute all'associazione di una cattiva alimentazione, inattività fisica e tabagismo. Secondo l'OMS perfino un terzo dei tumori (attesi) potrebbe essere evitato associando una sana alimentazione con una attività fisica praticata regolarmente nel corso della vita.
Si tratta di una condizione che purtroppo in Italia non trova riscontro. Le rilevazioni ISTAT mostrano che la pratica di attività sportiva continuativa cala drasticamente e progressivamente dopo i 40 anni: comprende il 16,1% dei cittadini di 40-49 anni, 11,1% dei cittadini di 50-59 anni e appena il 4,7% della popolazione dai 60 anni in su.
Vanno create le condizioni per un’inversione di tendenza, tenendo conto che la popolazione anziana, in gran parte costituita da pensionati, è proprio quella che meno può permettersi l’accesso a club fitness privati e che ha bisogno di un livello di assistenza e di competenza maggiore da parte degli operatori sportivi.
Le “marginalità” dello sport
L’analisi per ripartizione geografica dei dati ISTAT sulla pratica sportiva mostra come l’Italia meridionale e insulare sia ben al di sotto delle medie nazionali. Altri indicatori evidenziano come dai potenziali benefici dell’attività sportiva restino tagliate fuori particolari aree di “povertà”, tra cui le popolazioni dei quartieri a rischio delle grandi città, e non solo per la mancanza di impianti e di zone verdi.
Esistono dunque aree sociali e geografiche di sottosviluppo sportivo, di “marginalità” verso cui vanno effettuati interventi specifici, incentivando le amministrazioni locali e l’associazionismo di settore a farsene carico. Così per:
• i disabili, poiché, nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi anni, i diversamente abili non hanno accesso ad un gran numero di impianti, e ancor meno a strutture attrezzate a misura dei loro problemi;
• gli immigrati, e soprattutto i loro figli per accelerare attraverso lo strumento condiviso dello sport quell’integrazione che incontra palesi difficoltà anche nella scuola;
• i giovani dei quartieri a rischio, per i quali lo sport diventa occasione per togliersi dalla strada e per crescere in un gruppo di pari all’interno di un progetto educativo condotto da un adulto.
Lo sport professionistico
Da questo quadro di rinnovamento resta fuori lo sport di prestazione, che ha anch’esso i suoi problemi. È innegabile che il grande sport svolga esso stesso un’importante funzione sociale, contribuendo con le sue vittorie a rafforzare l’identità nazionale (il tricolore scende in piazza quasi soltanto con le grandi vittorie sportive) e con i suoi campioni a fornire esempi positivi ai giovani.
Un certo inaridimento etico (e quindi svuotamento di senso) di questo sport è però altrettanto innegabile, attestato com’è da tanti fatti di cronaca: scandali, fallimenti, casi doping, liti giudiziarie ne fanno testimonianza.
Sembra necessario operare per ripristinare per quanto possibile la coesione interna del sistema, legandola ad un rinnovato patto di mutualità tra componenti “ricche” e “povere”. Da questo punto di vista sta succedendo nello sport (nel calcio anzitutto) ciò che il Governo Berlusconi ha lasciato accadesse nel resto del Paese: pochi diventano sempre più ricchi, molti diventano sempre più poveri.
La bellezza dello sport è anche la sua aleatorietà. Un sistema in cui vincono sempre gli stessi, che si suddividono la grande maggioranza delle risorse, lasciando agli altri le briciole e il compito di fare da sparring partner, è industria dello spettacolo ma non è più competizione leale, e perciò non è più sport.
È da rivedere la Legge ’91 sul professionismo sportivo. È davvero imbarazzante che, nell’attuale momento difficile del Paese, in cui tanti lavoratori dipendenti non sanno come arrivare a fine mese, si debba ammettere che gli sportivi professionisti siano considerati lavoratori dipendenti a tutti gli effetti, con contributi previdenziali ENPALS e ritenute IRPEF a carico dei Club. Più equo è che tornino ad essere riconosciuti per ciò che in realtà sono: liberi professionisti dello spettacolo, che mettono all’asta le loro prestazioni sul mercato internazionale tramite agenti specializzati. Se tornassero ad essere considerati liberi professionisti l’onere di versare contributi e tasse sarebbe loro, e verrebbe tolto ai club, cancellando il principale motivo di fallimento di questi. Sono tutti motivi per ripensare lo status dello sportivo professionista.
Più in generale occorre cominciare a fissare i parametri per evitare che il nostro sistema sportivo agonistico salti sotto la pressione di quella sua parte votata al business dello spettacolo. È questo un rischio che allarma da tempo gli organismi comunitari europei. Nel documento «Evoluzione e prospettive dell’azione comunitaria del settore sport», opera della “Direzione Generale 10 Cultura e sport della Commissione Europea”, pubblicato nel settembre 1998, già si diceva che: «il sistema sportivo europeo rischia di scoppiare sotto la pressione dei gruppi economici che desiderano ispirarsi a formule per lo sport agonistico già sperimentate in altre parti del mondo, in particolare negli Stati Uniti. Un eccesso di commercializzazione, peraltro, potrebbe rimettere in discussione la solidarietà esistente fra sport professionistico e sport dilettantistico e fra le varie discipline sportive, con il rischio di far scomparire le discipline sportive considerate poco redditizie».
Ciò nonostante la strada intrapresa sembra essere proprio questa.
Disegno di legge Veltroni sulle società sportive dilettantistiche, le associazioni e gli enti di promozione1998-02-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it499851Donato Mosella presidente nazionale del Csi (Centro sportivo italiano) il più rappresentativo degli enti, «anche se pone alcuni vincoli come la presentazione del bilancio al Coni e la centralità di questo ente nellassegnazione dei finanziamenti. Per chi è impegnato nella promozione dello sport sociale, il riconoscimento giuridico significa consolidare il rapporto con la società, attraverso convenzioni con la scuola e gli enti locali per la gestione autonoma degli impianti sportivi. Fino a oggi il riconoscimento del Coni verso gli enti è stato aleatorio e incerto, questo ha influito negativamente sulla nostra azione sportiva quotidiana. Chiediamo soprattutto trasparenza nella concessione dei finanziamenti che servono andare a sostegno unicamente di quei progetti sportivi che avranno una reale incidenza sociale».