Openpolis - Argomento: identitàhttps://www.openpolis.it/2012-01-03T00:00:00ZMARINA STACCIOLI: LIBERALIZZAZIONI, “OK AL RICORSO CONTRO LO SHOPPING NO STOP” 2012-01-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it622835Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Toscana (Gruppo: Misto) <br/><br/>Locci e Staccioli, “Sugli orari dei negozi siamo d’accordo con Enrico Rossi”
“La Regione Toscana esprima un no compatto alle liberalizzazioni selvagge messe in atto dal Governo Monti”. Sullo shopping no stop i consiglieri regionali Dario Locci e Marina Staccioli (Gruppo Misto) si schierano a favore del ricorso promosso dal Presidente Enrico Rossi presso la Corte costituzionale. “Nonostante le nostre posizioni spesso differiscano – spiega il capogruppo Locci – in questa battaglia non possiamo che essere dalla parte di Rossi. Non possiamo permettere che il consumismo si mangi anche la nostra identità collettiva, le nostre abitudini e le tradizioni”. “Oltretutto – aggiunge – quello al riposo è un diritto costituzionale come il diritto al lavoro”. “Tenere aperti i negozi aperti 24 ore su 24 – fa eco Staccioli – è controproducente, va a danno esclusivamente delle attività a conduzione familiare, mentre favorisce inopinatamente la grande distribuzione. Sono felice che Rossi finalmente si sia accorto dell’importanza di tutelare le piccole e medie imprese”. “La deregolamentazione – concludono i consiglieri – non è la strada giusta per crescere. Anzi, la via maestra in un momento come questo è proprio quella di chiarire le regole del gioco e farle rispettare a tutti gli attori del sistema economico, grandi o piccoli che siano”. (f.p.) <br/>fonte: <a href="http://www.consiglio.regione.toscana.it/politica/comunicati-stampa-dei-gruppi-politici/comunicato/testo_comunicato.asp?id=8761&filtro=">www.consiglio.regione.toscana.it</a>Anna FINOCCHIARO: «La Dignità delle donne riguarda tutti»2011-02-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557988Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Non ricordo, negli ultimi anni, un così vasto movimento di opinione, una così ricca produzione di documenti pubblici, una così numerosa serie di iniziative come quella che in questi giorni si manifesta tra le donne italiane. Perché stavolta non è in gioco né il destino di una legge - per quanto definitiva sotto il profilo sostanziale e simbolico - come fu quella sulla violenza sessuale, né resistono divisioni politiche e di concezione di vita e di ruolo, come accaduto con la legge sul divorzio. Stavolta in gioco c'è l'identità stessa delle donne.
<p>L'essere donne italiane così come in lunghi decenni esse hanno definito - nella più strabiliante delle diversità - se stesse. Chepoi la rappresentazione mediatica risulti un'altra è altro affare. Attiene al fatto che, per ritardo culturale, perdurante ottusità e manifesto condizionamento da parte della potente macchina mediatica a disposizione del berlusconismo, le donne italiane sono raramente rappresentate per quelle che sono, relegate invece, se va bene, al ruolo di vittime, deboli, soggetti minori. Ma le donne sono altro. Conciliano lavoro, figli e impegno. Studiano perché vogliono imporsi nella società, non puntano tutto sulla loro avvenenza, molte amministrano bene pubblico senza aver dato niente in cambio. Basterebbe guardarle, appena guardarle con sollecita curiosità (e sono oltre la metà della popolazione), per verificare di quale stupefacente innovazione esse sono state capaci: nell'istruzione, nel lavoro, nell'ovviare ad un welfare insufficiente e arretrato, nella propria libertà, nella rottura di schemi e ruoli giovando alla società italiana, al suo benessere, alla sua crescita e sviluppo, alla sua stessa sprovincializzazione. Oggi affidiamo la formazione dei nostri figli a insegnanti donne, la cura della nostra salute a medici donne, la guida delle imprese, i nostri diritti e i nostri interessi amanager, magistrati e professionisti che sono donne.
<p> Con percentuali, peraltro, destinate a crescere, poiché le diplomate e le laureate superano già statisticamente i maschi . Anche per questa ragione, oggi, proprio oggi, le donne italiane avvertono che la misura è colma e pretendono che la propria identità non sia manipolata.
<p>Oggi, in questi giorni e in queste ore, le donne cercano visibilità per pretendere rispetto e ottenere il riconoscimento della loro dignità. Si tratta di una questione politica, non privata. Capiamo bene che questa pretesa, la consapevolezza di sé che l'accompagna e la competizione che le donne ormai praticano in campi tradizionalmente maschili, possa far paura. Che induca timore di perdere ruolo e posizioni, in particolare nelle classi dirigenti maschili del nostro Paese. E si capisce che la condivisione, il dover mettere a disposizione almeno la metà delle occasioni e delle opportunità economiche (di lavoro, di carriera e di potere) irrigidisca chi oggi le detiene prioritariamente. Ed allora, è preferibile per alcuni fare finta di niente. Evitare di guardare e di vedere.Ed è naturale che il Presidente Berlusconi, che del potere ha concezione arcaica, totemica e illimitata, non possa comportarsi che come fa. Ammettendo, ai luoghi delle opportunità come graziosa concessione, solo le donne che lui stesso sceglie, certificandone ad un tempo avvenenza e capacità.
<p>Quanto alle altre, esse sono archetipo delle donne che non infastidiscono, ma "allietano" soltanto. Con l'esibizione dei loro corpi in tivù, con lo sfruttamento del loro corpo in uno spazio che non è più solo privato, perché, per quanto se ne lamenti, la separazione tra pubblico e privato è stata frantumata dallo stesso Berlusconi, che dell' esibizione della sua fisicità ha fatto uso politico, e dei suoi affari privati e familiari ha fatto elemento di discussione pubblica. Ma,appunto, le donne italiane reclamano oggi di essere raffigurate, e di raffigurarsi a loro volta, per quello che sono. E non è più la rivendicazione della signoria su se stesse, per quanto così precaria si sia rivelata in questi anni la signoria di ciascuna sul suo proprio corpo. Oggi è altro: è la pretesa, perentoria, di essere rappresentate, come genere collettivo, per quello che si è e si è diventate. E stimate, e rispettate per davvero, per quello che, liberamente, si è scelto di essere.
<p>Trastullo per nessuno, oggetto di sfruttamento per nessuno, soggetto invece dignitoso e libero, riconosciuto nella sua dignità e nella sua libertà. Tutte. Se fossimo abituate a pensarlo, forse ci renderemmoconto anche di quale potente strumento di integrazione questo potrebbe diventare per le donne che in Italia vengono da altri Paesi, da altre culture, da altre religioni. Mi colpiva, nella conversazione avuta qualche giorno fa con una giovane donna velata, intelligente e simpatica, il fatto che mi confidasse quanto le mancasse la possibilità di frequentare una piscina per praticare il nuoto. In Italia, diceva, sono tutte promiscue, e la mia religione mi chiede di non frequentarle. E aggiungeva che forse solo una cooperativa di donne avrebbe potuto offrire, a sé ed alle sue sorelle, quella possibilità. Non ci conoscevamo,male era venuto spontaneo pensare che solo altre donne avrebbero potuto riconoscerle quel bisogno e quella occasione.Nonè un caso. Ma in quello che sta avvenendo in questi giorni c'è anche altro di nuovo. Ce lo racconta il fatto che ogni appello, ogni lettera, ogni documento venga riconosciuto, e firmato, da chi a sua volta ne ha scritto un altro e firmato altri ancora. E che questo accade spontaneamente, con la naturalezza con cui si risponde ad un'urgenza, con cui la si condivide. Non c'è fatica politica, ma c'è, in ciò stesso, un fatto politico.
<p>Donne diversissime hanno compreso che, appunto, questo è il momento e confidano, giustamente, nella forza di una massa critica in cui non hanno spazio ortodossie da difendere, diversità da ostentare. Così in piazza il 13 febbraio ci saranno, ci saremo, tutte. Bene. Molto bene. Questo ci dice anche che la forza e la fatica spese negli anni, da tante e tante donne per se stesse e per le altre, non si sonoconsumate e disperse,comea volte abbiamo temuto, ma anzi, hanno dato sicurezza di sé a nuove generazioni di donne e si manifestano oggi, di fronte all'urgenza, come coscienza collettiva. Ancora di più,come coscienza nazionale. Se mai fosse stata solo questo, oggi non è piu' una questione di genere, un rivendicare diritti e spazi.
<p>L'interlocuzione e le adesioni di tanti uomini alle tante manifestazioni, testimonia di un tema che si impone, finalmente, come generale. La dignità delle donne comecartina di tornasole della crescita, dell'identità, del futuro italiano: c'è in quello che sta avvenendouna importante assunzione di responsabilità collettiva che deciderà della reale modernità del nostro Paese.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.unita.it/italia/finocchiaro-dignita-donne-riguarda-tutti-1.271642">l'Unità</a>Cesare DAMIANO: Basta opacità. Il Pd deve scegliere da che parte stare.2011-01-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it556977Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Sulla Fiat i democratici hanno discusso, come deve avvenire in un partito aperto. <br />
Ma poi bisogna arrivare a sintesi chiare e condivise su questi che sono i veri contenuti, altro che alleanze. Oggi e domani si svolge a Torino il referendum tra i lavoratori Fiat sull’accordo di Mirafiori. Nel Pd, attorno a quest’intesa, si è sviluppato un dibattito forte che ha visto emergere un arco di posizioni, alcune delle quali contrapposte.
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In un partito democratico è normale che questo avvenga. Non è normale, invece, che non si arrivi ad una posizione di sintesi riconosciuta.<br />
Su questo tema la direzione del partito si deve esprimere. Definendo il proprio giudizio sui contenuti dell’intesa, sul rispetto dell’esito del referendum e, soprattutto, delineando un indirizzo chiaro su temi come la rappresentanza sindacale messa in discussione nell’accordo di Mirafiori e sul diritto di sciopero, a proposito del quale vanno chiarite tutte le possibili ambiguità interpretative: il suo esercizio non può essere impedito al singolo lavoratore.
<p>Al di là della questione Fiat, il punto è che il Pd si trova oggi in una posizione di difficoltà - confermata dai sondaggi che non lo vedono decollare nonostante il fallimento del centrodestra e di Berlusconi - perché sconta, a mio avviso, un grave errore dall’inizio, quando ci siamo cullati nella convinzione che l’unità interna potesse essere raggiunta cancellando le identità di partenza. Abbiamo fatto arbitrariamente coincidere il richiamo alle radici con la volontà di ritornare al passato, mentre nessuno lo propone. Sarebbe un’idea anacronistica.
<p> Ciò che accade, come conseguenza di quella scelta, è sotto gli occhi di tutti.<br />
Ciascun esponente del partito si sente autorizzato a esprimere le proprie opinioni al di fuori delle sedi appropriate, dimenticando la necessità di trovare, sempre e comunque, una sintesi. In queste ultime settimane abbiamo assistito alle più svariate prese di posizione: una richiesta di congresso anticipato, poi smentita;<br />
la convocazione di una direzione parallela promossa dai cosiddetti “rottamatori”; <br />
l’annuncio preventivo di un voto di dissenso rispetto al partito sul tema del biotestamento;<br />
la candidatura a sindaco di Torino di Roberto Tricarico con primarie “fai da te”, nonostante una decisione sulle regole assunta dal PD provinciale.
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E potremmo continuare. Avanti così e siamo alla frutta. La sintesi è essenziale per l’azione politica di un partito pluralista, ma richiede la disponibilità al confronto. Il Pd non lo deve temere, anzi lo deve ricercare anche quando è duro ed esplicito. Lo scontro è benefico se porta a una sintesi di maggioranza riconosciuta da tutti come vincolante.
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Il nemico è l’ambiguità, l’indeterminatezza, la fumosità delle schermaglie di schieramento. In sintesi, l’opacità del nostro profilo. In quest’ottica si deve anche prendere atto che, dall’ultimo congresso, si sono rimescolati gli equilibri a livello nazionale e territoriale. È giunto il tempo di ridefinire un nuovo patto unitario tra le diverse sensibilità politiche per uscire dall’impasse.
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Per perseguire quest’obiettivo il partito deve impegnarsi in una riflessione che abbia al centro non formule astratte ma temi concreti. Prima della discussione sulle alleanze è necessaria quella sui contenuti. Le priorità da affrontare si chiamano occupazione, rilancio dell’economia, fisco, politica industriale, sostenibilità del welfare, diritti. Il Pd, però, non possiede ancora la bussola necessaria per orientare il proprio cammino.
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C’è una crisi economica, ancora non risolta, da fronteggiare. Dobbiamo sciogliere il nodo delle relazioni industriali nell’era della globalizzazione e acquisire competitività. Ma quali sono i nostri riferimenti? Io guardo con interesse alla (controversa) riscoperta di Keynes e non amo gli economisti liberisti della scuola di Chicago. Sostengo Crouch, il teorico della concertazione, e non condivido Olson che ha fornito negli anni Ottanta, su questo tema, l’argomento intellettuale a sostegno del liberismo e della deregolazione.
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Che idee abbiamo per la ricomposizione del conflitto capitale- lavoro? Di questo vorrei discutere. Anche gli strumenti di cui finora il Pd si è avvalso - come le primarie - rischiano di degenerare diventando sempre più un fine utile soltanto per l’affermazione individuale anziché strumento di democrazia e di iniziativa politica.
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Su tutti questi temi urgono risposte e decisioni, anche perchè il tempo stringe.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WOMCJ">l'Unità - Cesare Damiano</a>Cesare DAMIANO: “Il progetto, poi le alleanze”2010-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548984Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Obiettivi e parole d’ordine condivise. L’11 dicembre, in piazza San Giovanni, il Partito democratico ha dato una grande prova di determinazione e, soprattutto, di unità. Sono bastate poche ore, però, perché dall’interno tornassero a levarsi molte voci tra di loro contrapposte. Veltroni, ad esempio, è tornato a reclamare un cambiamento di linea politica. Latorre ad auspicare l’ingresso di Vendola nel Pd.
<p> Altri hanno espresso critiche e condivisioni alla linea del partito. A scanso di equivoci ribadisco che tutto questo è assolutamente lecito. Ma l’impressione che si ricava è che, ancora una volta, si sia trattato della rimessa in discussione della solita unità di facciata, buona soltanto per una importante manifestazione del Pd.
Questo andazzo è pericoloso. Per il partito e, in prospettiva, per il paese. Che, oltre alla crisi economica e occupazionale, deve affrontare una crisi politica e di leadership sempre più grave e dagli sbocchi imprevedibili.
Non si tratta, come ho già detto, di imporre il silenzio.
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In un partito davvero democratico la libertà di espressione e di critica può essere praticata da chiunque e in qualunque momento. Il problema, però, è quello di affrontare questi argomenti preferibilmente nelle sedi appropriate. Per il Pd l’occasione per una riflessione profonda ci sarà alla direzione nazionale di gennaio.
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Bersani ha ragione quando indica al Pd la necessità di avanzare una proposta positiva per avviare una fase nuova nel paese. Dopo quanto è accaduto il 14 dicembre – la sanzione della fine dell’attuale maggioranza di centrodestra – non possiamo sottrarci a questo compito.
Abbiamo l’obbligo di indicare una strada per garantire crescita e lavoro e per riformare la repubblica. Non possiamo consentire a questo moncherino di maggioranza di continuare a galleggiare. Dobbiamo portare l’Italia fuori dalle secche nelle quali il berlusconismo l’ha trascinata.<br />
In quest’ottica si è proposta un’apertura, non esclusiva, nei confronti del Terzo polo.
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Franceschini, in modo ancora più esplicito, alludendo a Fini e Casini, ha parlato di necessità di compiere un pezzo di strada anche con persone e con forze politiche provenienti da storie diverse. La tesi è chiara: siamo in una fase di emergenza democratica acuta e sono necessarie risposte di emergenza. A fronte di questa discussione sulle alleanze io credo, invece,che sia nostro dovere avanzare prima di tutto una proposta politica che parta dai nostri contenuti e dalla nostra identità.
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È su di essi e con essi che dobbiamo confrontarci con gli altri partiti di opposizione per un progetto di alleanze. È questa la priorità. La discussione non deve avvenire partendo dalle formule. Ma i contenuti si possono definire solo avendo ben chiaro chi siamo e cosa vogliamo. Devono basarsi su uno sforzo condiviso di compromesso tra le varie anime del Pd che ci consenta di avere una visione politica, alternativa all’attuale maggioranza, che sia credibile per il paese.
Questo è il punto. Abbiamo compiuto un grave errore nel nostro passato. Nella costruzione del Pd abbiamo annullato i riferimenti ai valori delle diverse identità costituenti nella convinzione che rappresentassero un ostacolo all’unità del nuovo partito. Questa rimozione ha finito con l’autorizzare ciascun esponente democratico a esprimere le proprie opinioni – talvolta senza senso del limite – come fossero imprescindibili per l’azione politica, dimenticando la necessità di trovare sempre e comunque una sintesi. È ora di voltare pagina.
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Non si tratta di ricostruire il Pci o i Ds, la Dc o la Margherita. Non c’è alcun automatismo in tal senso (come taluni, strumentalmente, pretenderebbero).
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Identità significa riscoprire i valori fondanti delle nostre storie diverse per proiettarli, oltre i vecchi recinti ideali, in una sintesi nuova. Non si tratta di un discorso astratto. Il momento che stiamo vivendo richiede scelte tempestive e concrete. Definire la nostra identità significa dotarci degli strumenti necessari per operare queste scelte.
I temi sono noti. Dobbiamo affrontare questioni urgenti come quelle dell’occupazione, dei diritti, del lavoro, del sistema fiscale, della sostenibilità del welfare.
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Servono, su queste (e altre) materie provvedimenti legislativi riformatori. Ma ancora non possediamo la bussola necessaria per orientare la nostra direzione di marcia. Parliamo di economia. Siamo con Keynes o con Friedman e la sua scuola di Chicago? Quale ruolo attribuiamo alla presenza dello stato nell’economia? Parliamo di relazioni industriali e di nuovo patto sociale.
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Siamo con Colin Crouch, il teorico della concertazione, o con Mancur Olson, il suo avversario? Se dobbiamo superare il conflitto tra capitale e lavoro, qual è la nostra idea per una sua ricomposizione ? In una parola, quali sono le nostre proposte? Massimo D’Alema ha sostenuto che, da sola, la socialdemocrazia non basta più per affrontare le sfide dell'oggi. Se vuole avere un futuro, deve rassegnarsi ad essere solo una delle componenti delle coalizioni progressiste e, soprattutto, deve trovare strade nuove. Concordo. Ma se questa ricerca vale per qualsiasi identità storica, a maggior ragione deve valere per un partito che assomma in sé valori e tradizioni diverse.
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Abbiamo già perso troppo tempo. Dobbiamo iniziare a lavorare subito in questa direzione. Con la più ampia disponibilità al confronto e con la più ferma determinazione di giungere a una sintesi che faccia da guida riconosciuta alla nostra azione futura, senza rimuovere le nostre identità di partenza.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WBDRN">Europa</a>Ignazio Roberto Maria MARINO: «Quella di Bersani è una strategia fallimentare» - INTERVISTA2010-12-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548998Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Da Bersani? Quella annunciata è una strategia fallimentare.<br />
Bisogna seguire un percorso opposto, ma, penso che sia un dirigente intelligente e si renderà conto che i nostri sostenitori non condividono l'idea di un'unione di Centrodestra mentre vogliono, al contrario, un partito il più ampio possibile».
<p> Ignazio Marino, senatore del Pd, membro della Commissione igiene e sanità e Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, nonché ex candidato alle primarie per la segreteria nazionale del Pd in competizione proprio con Bersani e Franceschini, è netto.
<p> «Il partito Democratico? Non può rincorrere il Terzo Polo, sarebbe un errore fatale».
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<b>Senatore, dopo la proposta di "matrimonio" fatta da Di Pietro ai democratici e a Vendola, Bersani sembra disposto a nuovi scenari, in sostanza sceglierebbe il Terzo polo e sarebbe pronto a sacrificare le primarie. Cosa ne pensa?</b>
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Le primarie sono uno dei caratteri distintivi di modernità e di innovazione che il Pd ha avuto il coraggio di introdurre nello scenario politico italiano e, se vogliamo, anche europeo. Ritengo che siano uno strumento insostituibile attraverso il quale chi si sente all'altezza di candidarsi per un ruolo di leadership può ma soprattutto "deve" indicando il programma che intende realizzare. Questo consente di ottenere un confronto aperto, trasparente, attraverso il quale, con un meccanismo di democrazia partecipata, i potenziali lettori possono scegliere il candidato e, soprattutto, il progetto per il Paese che sentono più in sintonia con la propria cultura e con le proprie convinzioni.
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<b>Uno strumento indispensabile, dice, eppure Bersani sostiene che se ne potrebbe anche fare a meno in vista di possibili nuove alleanze...</b>
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Penso che Bersani è un dirigente intelligente e si renderà conto che i nostri sostenitori non condividono l'idea di un'unione di centrodestra mentre, al contrario, vogliono un partito ampio.
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<b>Comunque, i recenti sondaggi danno i Democratici in deficit di consenso, non crede che questa nuova strategia politica annunciata da Bersani aumenterà ancor di più questa forbice?</b>
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E' evidente che la strategia annunciata e condivisa solo da pochissimi dirigenti che sono chiusi all'interno dei loro palazzi con scelte che si sono succedute in questi utimi due anni non farà altro che diminuire ancor di più il consenso nei confronti del Partito Democratico.
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<b>Lei cosa suggerisce?</b>
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Credo che bisogna seguire un percorso opposto e, per farlo, suggerisco a Bersani di leggere i commenti sul blog del Pd o, se non si fida del blog del partito, di leggere quelli dei tanti simpatizzanti del Pd. Propongo di indire un referendum tra gli iscritti per vedere davvero se esiste una larga condivisione su un'eventuale unione "a destra".
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<b>Non pensa che anche le dimostrazioni degli studenti, dei ricercatori, dei precari dimostrino quanto sia indispensabile che la sinistra, ora extraparlamentare, torni ad avere una sua rappresentanza?</b>
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Per questo immagino un Pd ampio con un'idea chiara del Paese. Ad esempio un Pd che crede nella scuola pubblica, nella ricerca, nei diritti e negli stessi diritti per tutti, che vuole proteggere i lavoratori che li hanno acquisiti ma che vuole anche conquistare nuovi diritti per i precari e per i giovani di oggi. E' all'interno di questo progetto che, sono convinto, arriveremo ad includere altri disposti a seguire un progetto politico ed anche ad allargare la nostra base; ma, ripeto, è necessario avere un'identità precisa. Identità e progetto e, solo dopo, cercare di capire chi è intenzionato ad allearsi. E' questo che credo sia oggi indispensabile per il Partito Democratico.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.liberazione.it/news-file/Ignazio-Marino---Quella-di-Bersani---una-strategia-fallimentare----LIBERAZIONE-IT.htm">Liberazione - Castalda Musacchio</a>ALBERTO CIRIO: Ecco cosa faremo2010-04-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it498848Alla data della dichiarazione: Consigliere Provincia Cuneo (Lista di elezione: PdL) - Assessore Regione Piemonte (Partito: PdL) - Consigliere Regione Piemonte (Lista di elezione: PdL) <br/><br/>Quale sara' il punto forte del suo programma? «Sull'Istruzione dobbiamo tenere aperte le scuole nei piccoli centri di montagna e di pianura, perche' rappresentano anche un presidio sociale, elemento d'identita'. Sul fronte Sport, invece, e' essenziale che il pubblico dia una mano all'associazionismo penalizzato dal calo delle sponsorizzazioni private». La sua prima azione? «Un monitoraggio di quel che c'e': scuole, impianti sportivi e strutture turistiche. Soprattutto di quel che e' stato iniziato e mai finito. Fondamentale sara' spendere bene i soldi che ci sono, non sprecare e finire tutto quel che s'inizia». E sul Turismo? «Per le migliaia di imprenditori che hanno investito negli ultimi 10 anni serve una vera strategia di comunicazione e promozione internazionale».<br/>fonte: <a href="http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=10343813">La Stampa</a>GIANCARLO GALAN: «Mestre è destinata a diventare la grande capitale del NordEst»2009-12-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it474477Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Veneto (Partito: FI) - Consigliere Regione Veneto (Lista di elezione: FI) <br/><br/><br />
«Mestre è destinata a diventare la grande capitale di questa zona d’Italia. È al centro di quella grande città metropolitana che fa parte di una delle regioni più sviluppate del mondo.
<p>Mancava un grande museo e adesso finalmente possiamo costruirlo.» Il presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, firma con grande soddisfazione il protocollo d’intesa tra Regione, Comune, Soprintendenza e Fondazione Venezia per l’M9, il museo del Novecento a Mestre. Ieri a palazzo Balbi la firma che segna il via libero definitivo alla progettazione.
<p>Fra 4 anni l’intero complesso che comprende l’ex Distretto di via Poerio e la zona dell’ex caserma dei carabinieri di via Pascoli, sarà rifatta a nuovo. Già pronto il progetto per l’ex Distretto, progetto che prevede la copertura con una grande vetrata del chiostro di quello che nel Seicento fu un convento di suore.
<p>M9 è la più grande scommessa culturale di Mestre e Giuliano Segre, il presidente di Fondazione Venezia, mette le mani avanti: «Non sarà un museo tradizionale. Sarà più un Museo della scienza interattivo e se proprio devo scegliere una immagine, dico che sarà molto più simile a Gardaland che a un museo».
<p>Significa che l’M9 diventerà un posto da vedere. E dove si torna. «È un passo fondamentale per la riqualificazione della città - ha spiegato il sindaco Massimo Cacciari - Non c’è città al mondo che possa vantare tante iniziative. Basta che pensiamo ai due mega interventi, quello del quadrante di Tessera e la riqualificazione di Porto Marghera.
<p>E poi c’è anche l’area dell’ex Umberto I e fra un po’ presenteremo il progetto per la nuova piazza Barche. Insomma noi ragioniamo come una metropoli che comprende Padova e Treviso e sappiamo che una grande città non esiste senza un grande polo culturale. Che deve diventare il museo del Novecento perchè Mestre è il simbolo del Novecento, ma non un museo incartapecorito, un museo vivo, che mostra anche il futuro. Dunque un museo rivolto soprattutto ai giovani. «Dunque - analizza Galan - Mestre non è più la città periferica nata alle spalle della città che tutto il mondo conosce, Mestre è la città baricentro del Veneto». Una capitale che rinasce dalla sue ceneri, con uno spazio importante finalmente restituito alla città - ha spiegato Giuliano Segre, mentre Renata Codello, Soprintendente ai Beni ambientali ed architettonici avverte che «Questo è un progetto molto ambizioso perchè punta a dare un contributo essenziale per definire una identità di Mestre.
<p>Un progetto capace di generare altre relazioni culturali con l’intera regione». L’accordo di programma firmato ieri riguarda un’area di 6.900 metri quadri tra via Poerio e via Brenta Vecchia. L’accordo di programma significa una approvazione automatica del cambio di destinazione d’uso degli spazi. Significa che gli spazi dell’ex Distretto (ed ex caserma Matter e prima ancora convento delle suore) saranno utilizzati a scopi direzionali e commerciali, mentre nella zona dell’ex caserma dei carabinieri di via Pascoli sarà realizzato il museo, abbattendo l’edificio esistente.<br />
<br/>fonte: <a href="http://carta.ilgazzettino.it/MostraStoria.php?TokenStoria=136130&Data=20091216&CodSigla=VE">Il Gazzettino - Mestre-Venezia - Maurizio Dianese</a>Rosanna FILIPPIN: L'intervento da neosegretario del Pd Veneto.2009-11-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it419032Alla data della dichiarazione: Assessore Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD) - Assessore Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD) <br/><br/><br />
Cari amici,
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la nostra assemblea ha una responsabilità grande.
Oggi si chiude un percorso, quello del nostro congresso.
Trasformare questo traguardo in un nuovo punto di partenza dipende solo da noi.
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Quando penso alle primarie del 25 ottobre, penso sempre che quel giorno è successo qualcosa di straordinario. Nessun partito, né in Italia né in Europa, riesce a coinvolgere milioni di persone nella scelta del suo progetto politico e della sua leadership.<br />
Il Partito Democratico riesce a farlo. Possiamo e dobbiamo esserne orgogliosi. Questa è la nostra carta d’identità. Ciò che ci distingue.
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Abbiamo dimostrato a tutto il paese che non abbiamo perso la sintonia con il nostro popolo. E abbiamo anche dimostrato che i nostri iscritti e i nostri elettori non vivono su due pianeti diversi.
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Gli elettori delle primarie sono il nostro patrimonio più prezioso, il nostro maggiore punto di forza. Tre milioni di italiani. Quasi 180 mila veneti. La loro fiducia non va tradita.<br />
L’orgoglio per quello che abbiamo fatto è sacrosanto. Ma da solo non basta. Serve anche il coraggio. Il coraggio di scelte chiare per il futuro.
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Certamente dobbiamo partire da noi: da quello che siamo e da quello che vogliamo fare. Ma la sfida più importante non è quella per il governo del partito, ma quella per il governo del Veneto. Dobbiamo decidere con quali parole nuove rivolgerci agli elettori della nostra Regione.
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Io ho una mia idea sul tipo di Partito Democratico che dobbiamo costruire. La dico in tre parole. Ci serve un Partito Democratico che sia Veneto per davvero, cioé più simile alla nostra terra.<br />
Un partito concreto.<br />
Un partito innovatore.<br />
Un partito fiero delle sue radici.<br />
Un partito determinato nella sua autonomia, innanzi tutto sulle alleanze e le candidature.
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Credo che ci serva un partito popolare e vicino al cuore vero della nostra regione: il mondo produttivo e del lavoro.
E quando dico lavoro, intendo il lavoro in tutte le sue forme: da quello dell’operaio a quello dell’artigiano, da quello dell’insegnante a quello dell’imprenditore.
Perché il lavoro è la storia di questa terra, il segreto del suo successo nel passato e, soprattutto, l’unica speranza per il suo futuro.
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Non possiamo nasconderci dietro a un dito. Da qui alle elezioni regionali abbiamo compiti impegnativi da affrontare. E tempi molto stretti per farlo.
Questo richiede, da parte di tutti noi, uno scatto di determinazione e di coesione.<br />
In un congresso dividersi è normale. Ma da oggi in campo dobbiamo giocare come una squadra sola: quella del Partito Democratico.
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Dobbiamo anche cambiare passo, alzare lo sguardo. E tarare lo strumento-partito in funzione della nuova fase che si apre ora.
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Dalle elezioni regionali ci separano solamente 131 giorni.
È un tempo breve, brevissimo. Che dobbiamo usare al meglio. Innanzi tutto valutando attentamente lo scenario che abbiamo di fronte.
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Nel centrodestra si sta manifestando una competizione accesa.
Ad oggi non sappiamo se prevarrà l’attaccamento alle poltrone o se Lega e Pdl correranno divisi. Ma alcune cose sono invece già chiare:<br />
Il Partito Democratico è una delle tre principali forze politiche del Veneto. Governa 4 capoluoghi di provincia su 7. È la principale forza di opposizione. Non può rassegnarsi a giocare un ruolo da spettatore, né fare da stampella alle tattiche altrui.
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Le primarie ci hanno consegnato una forza importante. Quei 176 mila veneti che hanno votato il 25 ottobre si aspettano che il Partito Democratico giochi da protagonista la sua partita. Abbiamo il dovere di dare loro un nostro progetto di governo per il Veneto.
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Le forze con cui il Pd ha condiviso l’opposizione al centrodestra sono degli interlocutori naturali in vista delle prossime regionali. Ma non credo possano essere i nostri interlocutori esclusivi.<br />
Il 2010 non è il 2005. E noi dobbiamo avere la forza di fare scelte coraggiose.<br />
Credo che con il mondo delle liste civiche un confronto sia doveroso. Perché danno voce a un Veneto che non accetta le etichette delle appartenenze politiche nazionali, a un Veneto che ragiona sui problemi con concretezza e modernità. A un Veneto che non accetta padroni: né dogi berlusconiani, né condottieri con la camicia verde.
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Credo che anche con l’Udc un confronto sia possibile e necessario. E che il nuovo segretario del Partito Democratico debba farsene carico. Non si tratta di salvare il soldato Galan, ma di verificare tutte le convergenze utili ad evitarci il destino di un Veneto a trazione leghista.
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Non mi piace il partito degli affari berlusconiano.<br />
Ma non mi piace nemmeno la visione del mondo che ha la Lega. Una visione che non ha spazio per la solidarietà, che soffia sul fuoco delle paure, che strumentalizza i valori della nostra tradizione per una becera ricerca di visibilità.
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Credo infine che un confronto, al di là delle forze politiche e dei tavoli di trattativa, serva con la società reale. Perché tra il mondo reale e quello della politica c’è un distacco sempre più preoccupante. E tocca a noi costruire una proposta in grado di superarlo.
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Su alcuni grandi temi si decide il futuro della nostra Regione:<br />
Penso ad esempio alle politiche per la convivenza tra vecchi e nuovi veneti.
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La Lega propone un approccio sostanzialmente razzista ai problemi dell’integrazione. La vicenda della discussione regionale sul Fondo per la non autosufficienza è lì a dimostrarlo. Tocca a noi indicare un’alternativa. Perché senza una seria politica dell’integrazione, l’equilibrio sociale nelle nostre comunità è destinato a saltare.
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La Lega ha illuso gli elettori con il suo “pacchetto sicurezza”. Cioè meno risorse per le forze dell’ordine e più chiacchere sulle ronde e la sicurezza fai da te. Quello che serve al Veneto, invece, è un serio “pacchetto convivenza”.<br />
E tocca a noi realizzarlo.
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Oppure pensiamo al sistema socio-sanitario.
In una società che invecchia, come la nostra, questo tema sarà sempre più decisivo.<br />
Il ruolo della Regione è centrale: la grande parte del bilancio regionale va in spesa sanitaria. Eppure, proprio su questo fronte, il centrodestra ha fallito. A tutt’oggi manca un serio piano socio-sanitario. Sarà impossibile approvarne uno, fino a quando la sanità sarà terreno di competizione tra la lottizzazione leghista e quella del Pdl.
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E che dire delle scelte sull’energia e sul nucleare?
Mentre in tutto il mondo i governi si attrezzano per rilanciare lo sviluppo attraverso la green economy, il nostro governatore ha offerto il Veneto per la costruzione di una centrale nucleare.<br />
Anche su questo fronte, dobbiamo indicare una chiara alternativa. In primo luogo perché contestiamo la scelta del nucleare: sul piano della sicurezza, della compatibilità ambientale e pure su quello della convenienza economica.
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E in secondo luogo, perché il Veneto non è una proprietà del suo governatore. E non tocca a Galan decidere a mezzo stampa il destino delle comunità locali.
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Ma un'altra nota dolente è quella delle infrastrutture e delle reti di collegamento della metropoli veneta.
Un polmone industriale e produttivo come quello veneto ha bisogno di un sistema di infrastrutture moderno. Ma non basta un’opera come il Passante per risolvere i problemi.
In questi anni, ancora nulla è stato fatto di concreto per rilanciare il progetto di un sistema metropolitano di superficie. Manca una strategia sull’intermodalità.
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E mentre il governo nazionale ha derubato il Veneto di quel primo esperimento di federalismo autostradale costruito grazie anche al governo Prodi, in Veneto quasi ogni nuovo progetto infrastrutturale è realizzato in project financing, cioè con un costo pagato dai cittadini.
Questo è il bilancio del federalismo in salsa leghista: condoni permanenti per i Comuni amici del governo del premier, come quello di Catania, e pedaggi da pagare per i cittadini del Veneto.
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Per non parlare degli altri contenuti del federalismo fiscale.<br />
Come sanno bene i nostri amministratori, l’abolizione dell’Ici non è stata compensata da un vero federalismo. E mentre la spesa dei ministeri romani è esplosa negli ultimi anni, il Patto di stabilità impedisce persino ai comuni virtuosi di spendere i soldi che hanno in cassa. È così che l’economia locale viene paralizzata. E tre ministri veneti nel Governo Berlusconi non sono serviti a cambiare questo dato di fatto.
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Ma i fallimento del centrodestra regionale non si fermano qui. Anni di chiacchere sul federalismo non hanno portato nulla alla montagna veneta. Toccherà al Partito Democratico farsi carico di questo tema. Servono misure decise: con l’applicazione di un regime fiscale di vantaggio per le attività economiche dei territori che scontano la concorrenza delle regioni a statuto speciale.
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Su nessuno dei temi che ho citato, Lega e Pdl parlano con una voce comune. E i risultati sono sotto i nostri occhi: nessun piano socio-sanitario regionale, un piano regionale dei trasporti fermo a 20 anni fa, scelte contraddittorie sulle politiche per l’energia, una riforma dello statuto al palo da anni. E un consiglio regionale con tassi di assenteismo e improduttività che farebbero impazzire il Ministro Brunetta.
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In tempi in cui la rapidità delle scelte è tutto, la competizione tra Lega e Pdl ha prodotto una paralisi impressionante dell’attività politica e amministrativa.
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In tempi in cui il futuro di un’azienda veneta è condizionato anche dalla politica economica che sarà decisa in Germania o dalla concorrenza di competitori usciti magari dalle regioni della Cina profonda, la Lega offre solo il localismo, come se di fronte a una tempesta bastasse chiudere gli occhi, anziché cambiare rotta.
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In tempi in cui la società affronta sfide mai sperimentate prima sul fronte della convivenza, tra italiani e stranieri, tra giovani e anziani, tra lavoratori protetti e lavoratori precari, il centrodestra offre il vicolo cieco della paura, come se un esorcismo cancellasse i problemi. Invece non è così. I problemi si affrontano con politiche adeguate. Non voltando la testa da un’altra parte.
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Il centrodestra regionale è una casta in cerca di conservazione.<br />
Il Veneto merita di più e questo perché, come questa estate hanno scritto in un loro documento i nostri Sindaci dei comuni capoluogo, il Veneto è “la più avanzata frontiera di sperimentazione dei processi di trasformazione del nostro paese”.
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Credo che quel documento riassumesse bene le sfide che la nostra terra deve affrontare e che una proposta politica seria deve raccogliere.
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La prima sfida è quella del lavoro e dell’impresa: sfide che in una regione come la nostra, dove le piccole e medie imprese sono la fibra del tessuto economico, vanno di pari passo. Inevitabilmente.
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La sfida di questo mondo deve essere la nostra sfida. La nostra proposta di governo non deve saper parlare soltanto ai nostri elettori. Deve saper parlare al mezzo milione di aziende che operano in Veneto. E ai loro lavoratori. Se non c’è prospettiva per questo tessuto di imprese, non c’è futuro per il Veneto, né coesione possibile per le nostre comunità.
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A livello regionale dobbiamo batterci per usare gli strumenti che il centrodestra ha paralizzato. Penso a Veneto Sviluppo, una finanziaria regionale rimasta bloccata dalla competizione tra Lega e Pdl proprio quando più necessario sarebbe stato un suo intervento a sostegno delle Pmi.
E a livello nazionale, dobbiamo batterci per interventi che riducano il costo del lavoro, per una riforma dell’Irap che non penalizzi chi investe sull’occupazione, per un sistema fiscale che non incentivi la rendita e per un sistema del welfare che tuteli i lavoratori privi di tutele: non solo i precari, ma anche, ad esempio, i piccoli artigiani.
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Ma il Veneto è una frontiera anche per i problemi delle autonomie locali. Ormai è chiaro quanto poco concreto sia il federalismo voluto dalla Lega Nord. Proprio quando dovrebbero dare un impulso all’economia locale, con un piano di piccole opere immediatamente cantierabili, i nostri comuni, che sono comuni virtuosi, sono soffocati dalle maglie strettissime di un patto di stabilità irrazionale, che impedisce di usare risorse anche a chi è capace di risparmiare.
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E il Veneto è una frontiera delle politiche di sostenibilità ambientale. Siamo una regione che deve raccogliere la sfida della green economy. Perché la ricerca nel campo del risparmio energetico, delle energie rinnovabili, dell’edilizia eco-compatibile, possono rappresentare altrettante opportunità di sviluppo: per le nostre aziende e per il nostro sistema di formazione e ricerca universitaria.
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E siamo una regione in cui serve una scelta chiara: per la riqualificazione del territorio, contro il suo consumo incontrollato.
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Il Veneto, infine, è una frontiera della convivenza.
In pochi anni, abbiamo assorbito un’immigrazione di proporzioni europee. Quella che altri paesi hanno accumulato in decenni. È inevitabile che questo crei tensioni e problemi. Una politica di governo deve gestire queste tensioni, non fomentarle. Occorre investire sulle politiche di integrazione, a partire dal mondo della scuola e anche cercare soluzioni più avanzate sul nodo della cittadinanza: considerando ad esempio il passaggio dallo ius sanguinis allo ius solii.<br />
Altrimenti non sarà mai possibile stabilire quell’equilibrio necessario tra il valore di regole valide per tutti e l’idea di una società aperta, che non teme chi è diverso da noi.
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Il Partito Democratico deve essere il garante di questa idea di società, aperta ai diritti di tutti, inclusiva verso le diversità, coesa sulle regole che consentono una convivenza davvero civile tra tutti i cittadini.
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Se sono nuove le sfide da affrontare, nessuno, né il centrodestra, né noi, può pensare semplicemente di riproporre le ricette di ieri.<br />
Ecco perché serve, anche da parte nostra, il coraggio di osare. E la capacità di ritornare ad ascoltare la nostra Regione portando il nostro partito là dove la gente sta. In fondo, per riuscire a vincere in una terra che non politicamente vicina, è questo che hanno fatto i nostri Sindaci.
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Per tornare a vincere in Veneto, ci serve la stessa sintonia con il territorio che hanno saputo conquistare i nostri amministratori. Per questo credo che il loro ruolo, nel futuro del Pd Veneto, non possa essere limitato alla testimonianza. Da segretaria, spero che questi Sindaci accettino di essere a mio fianco. Perché loro rappresentano la nostra più concreta esperienza di governo. ed è da qui che dobbiamo ripartire.
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Tra l’assemblea regionale del 15 novembre e le elezioni del 27 marzo non ci sono nemmeno 20 settimane.<br />
Dobbiamo muoverci rapidamente.<br />
Ritornare da subito al lavoro nei territori, provincia per provincia.<br />
Riallacciare un dialogo con le forze vive della nostra regione: il mondo del lavoro e dell’impresa, quello dell’associazionismo e della cooperazione, il mondo delle autonomie locali, quello della formazione e dell’innovazione. Per costruire la proposta del Pd a partire dall’ascolto del Veneto reale.
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Ci serve un partito all’altezza dei tempi. E questo richiede la chiarezza di alcune scelte. Innanzi tutto relative allo “strumento-partito”.
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C’è una nuova generazione da coinvolgere e responsabilizzare.<br />
Ci sono organismi dirigenti da far funzionare al meglio.<br />
Un esecutivo regionale snello, che concili l’esigenza del pluralismo con la rappresentanza dei territori.
Una direzione regionale più leggera ed efficiente.
E dato che su questo punto è necessaria una modifica dello statuto, credo sia indispensabile avviare questo iter immediatamente: con l’istituzione di una commissione incaricata di redigere una proposta di revisione, da sottoporre per l’approvazione all’Assemblea regionale al massimo entro 30 giorni.
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C’è un rapporto più stretto da costruire tra la segreteria regionale e quelle provinciali.<br />
A pochi mesi dalle elezioni regionali, ci servono contatti più frequenti e regolari.<br />
E anche scelte chiare sull’uso delle risorse, per assegnarne il 50% all’attività dei circoli e delle strutture provinciali.<br />
C’è un patrimonio da mettere a frutto: quello dei nostri amministratori, che sono stati capaci, anche in anni difficili per il nostro partito, di costruire, nei fatti e non a parole, il modello di un Pd capace di vincere.
E infine c'è un percorso da tracciare verso le regionali, che richiede in tempi rapidi, io credo non più di 30 giorni, decisioni da parte della direzione regionale.
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Abbiamo un partito vitale. E abbiamo un rapporto solido con gli elettori delle primarie.<br />
Sono due nostri punti di forza. E credo che dobbiamo usarli:
- Per costruire liste competitive alle prossime elezioni regionali, con candidati scelti attraverso una larga consultazione degli iscritti.<br />
- E per scegliere un candidato al ruolo di Governatore che riceva da elezioni primarie la forza di un’autentica investitura popolare. Quella che mancherà ai nostri avversari, rassegnati a subire il baratto romano sulle candidature.
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Noi siamo il Partito Democratico.<br />
Siamo quelli che non sono condannati a scegliere il meno peggio tra due alternative entrambe sbagliate.<br />
Siamo quelli che non sono condannati ad attendere le mosse altrui.<br />
Siamo quelli che, con l’orgoglio della propria storia, hanno avuto il coraggio di incamminarsi lungo una rotta nuova.
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Il 27 e il 28 marzo, per il Veneto, si aprirà in ogni caso una nuova pagina politica.<br />
Cosa sarà scritto in quella nuova pagina, adesso, dipende da noi.
Non dobbiamo dimenticarcelo mai.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/primopiano.asp?ID=74">partitodemocraticoveneto.org</a>Paolo GIARETTA: «Riappropriarsi del Leone di San Marco e della vera eredità della Serenissima»2009-11-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it419031Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Riappropriarsi del Leone di San Marco e della vera eredità della Serenissima, che i leghisti da troppo tempo hanno scippato ai veneti, falsificando la storia e asservendola alla loro ideologia».
<p>È l’appello che Paolo Giaretta, senatore e segretario uscente del Partito Democratico del Veneto, ha mosso ai partecipanti della Scuola Veneta di Politica, nel suo discorso di apertura dei lavori, questa mattina ad Asolo (TV).
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«Come oggi con il film Barbarossa, che ha falsificato la vicenda della lotta dei Comuni del Nord Italia contro l’imperatore Federico I, così la Lega, fin dalle sue origini, ha indebitamente fatto propria l’eredità storica della Repubblica di Venezia, che non ha niente a che fare con il leghismo – ha spiegato il senatore del Pd alla platea.
<p>La forza della Serenissima è sempre stata la sua estrema apertura, ai commerci e alle genti, senza la quale non avrebbe dominato il Mediterraneo per secoli. È stata una repubblica multiculturale e federalista ante litteram, il cui motto era “governare molto e amministrare poco”, a differenza di quanto fa la Regione Veneto oggi che amministra troppo e governa poco».
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«La storia della Serenissima è stata dunque una storia di apertura, non di chiusure; di coraggio, non di paure, perché le paure non sono mai state il motore della storia – ha concluso Giaretta – Questi sono i grandi insegnamenti che lascia al Veneto d’oggi la storia la Repubblica di Venezia, ed è inserendoci con consapevolezza in quel solco che possiamo costruire un futuro di prosperità, di giustizia e di pace, rifiutando le patacche storiografiche e politiche “vendute” per oro dal leghismo».
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Alla Scuola Veneta di Politica del Partito Democratico, giunta alla seconda edizione, si sono iscritti quest’anno 160 persone, in larga parte giovani e giovanissimi.
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Le lezioni continuano nel pomeriggio con le relazioni di Roberto Grandinetti, docente dell’Università di Padova, sul tema “Vedi alla voce lavoro: il dna dell’economia dalla emarginazione al benessere”, di Guglielmo Frezza, direttore de La difesa del popolo, che affronterà il tema “All’ombra del campanile: le radici di una fede popolare”, e di Giampiero Dalla Zuanna, docente dell’Università patavina, sul tema “Una nuova carta d’identità del popolo veneto: l’anagrafe di una regione da un mondo chiuso a un mondo plurale”
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L’edizione 2009/2010 è monografica, interamente dedicata allo studio del Veneto. Le prossime giornate di formazione si terranno il 28 novembre, il 12 dicembre, il 16 e il 30 gennaio a Padova.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=1117">partitodemocraticoveneto.org</a>Donatella PORETTI: Doppio cognome per i figli. Sì alla legge ma si lasci libertà di scegliere ai genitori»2009-10-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it418237Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Sostiene il doppio cognome per i figli ma è contraria all`imposizione di quella che, a suo parere, dovrebbe invece essere una libera scelta. Donatella Poretti, senatrice Pd e prima firmataria di una proposta di legge proprio sul doppio cognome, non ha alcun dubbio: “Si alla legge, ma si lasci libera scelta al genitori. La legislazione è arretrata, la Corte Costituzionale chiede una legge, occorre adeguarci ai trattati internazionali, ma la legge occorre cambiarla nella direzione più liberale possibile, non passando dal modello patriarcale a quello statalista paritario”.
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<b>Senatrice, nel testo base della Presidente della commissione Giulia Bongiorno è comunque previsto il doppio cognome per tutti....</b>
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Si sostiene che altrimenti non ci sarebbero cambiamenti, la donna continuerebbe ad essere discriminata e il cognome prevalente sarebbe quello paterno. Però, siccome stiamo parlando di un cambiamento culturale, imporlo per legge, anche se va nella direzione auspicata, è a mio parere sempre pericoloso.
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<b>
Perchè è cosi importante portare anche in Italia la cultura del doppio cognome?</b>
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Perchè, innanzitutto, un figlio nasce scuramente da una madre e ha solitamente due genitori. Non capisco, dunque, perchè il cognome da portare debba essere solo quello del padre. Un figlio, anche geneticamente è composto da due identità, non è giusto che una di queste debba scomparire. Sono ovviamente regole che ci siamo dati in una società che ha certi pregiudizi, certi preconcetti e un tipo d`impostazione culturale maschilista e patriarcale. <br />
La ragione è solo questa.
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<b>È un po` una battaglia femminista se vogliamo....</b>
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lo credo di si. Tutte le convenzioni internazionali che richiedono la parità nel cognome fanno riferimento alla parità dei diritti uomo-donna. È scritto poi anche nella sentenza della Corte Costituzionale che il cognome paterno rispondeva soltanto ad una società patriarcale non più esistente.
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<b>Non teme che una rivoluzione anagrafica di questa portata possa portare con sè dei problemi a livello anche pratico?</b>
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Assolutamente no, perchè in tutti i Paesi dove il doppio cognome è in vigore non ci sono, stati dei problemi e quindi non si capisce perchè noi italiani dovremmo essere una sorta di strano Paese in cui gli uffici dell`anagrafe dovrebbero impaurirsi di fronte a qualcosa che già avviene in tutti i Paesi del mondo. Ovviamente la prima obiezione un po` ingenua che viene sollevata subito è che dopo un paio di generazioni ci sarebbero 17 cognomi da portare. La soluzione invece è semplice: ogni volta che si tramanda un cognome basta scegliere fra i due e il problema è risolto. Quindi non si andranno ad aumentare da una generazione all`altra. E poi, in una direttiva dell`Interno c`è la richiesta di rispettare gli stranieri che vengono in Italia mantenendo il loro doppio cognome. Quindi in parte i nostri uffici anagrafe si sono già dovuti adeguare.
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<b>Qual è la posizione dei suoi colleghi maschi?</b>
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Viene sminuita subito con un “non è una priorità”, nella migliore delle ipotesi. L`archiviano nei cassetti delle cose da valutare, ma dopo ben altre cose più importanti da fare. Si tratta, invece, secondo me, di piccole rivoluzioni culturali che portano con sè tante altre cose. Si rimette in discussione proprio il senso della società. <br />
Anche perchè sono tante di quelle cose importanti da fare per quanto riguarda la parità dei diritti uomo-donna. Questa è una piccola cosa, a costo zero, con la quale si va a consolidare il concetto che gli uomini e le donne sono uguali. <br />
Anche in un cognome che si eredita e che permette di portare avanti l`identità di una famiglia.
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<b>Ma veniamo ai tempi. Quanto ancora dovremo aspettare?</b>
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Come si sa in politica per fare una legge può servire una settimana come un decennio. Io mi auguro che i tempi siano brevi, ma purtroppo non è la prima volta che la questione viene calendarizzata nelle aule parlamentari il disegno di legge sul doppio cognome. Anche durante la scorsa legislatura eravamo arrivati in aula, c`era stato un impegno che faceva ben sperare. <br />
E invece quel disegno di legge si arenò. I freni erano sempre quelli: l`impostazione era di dare un contentino alla donna, nel senso di applicare anche il suo cognome, ma con l`obbligo di stabilire che quello da tramandare rimaneva quello del marito. Nonostante questo la legge non andò in porto.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=NNT8N">La Discussione - Fabiana Cusimano</a>Emma BONINO: Islam: a nessuno è concesso di celare la propria identità.2009-10-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it418072Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato <br/><br/><br />
"E' da tempo immemorabile che sostengo che indossare il burqa o il niqab integrale in pubblico viola, non solo le leggi dello stato in materia di sicurezza, ma soprattutto un concetto base della democrazia e dello stato di diritto, quello della piena assunzione della responsabilità individuale.
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Per questo a nessuno è concesso di celare la propria identità, anche se in nome di usanze tribali. Di questo si tratta e non di Islam, come da anni ci spiega l'Imam Tantawi ed altre alte cariche della sunna islamica, compreso in questi stessi giorni. Cosa c'entri poi il fatto di garantire la libertà religiosa, come affermato da qualche collega del PD, è un mistero."
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Lo afferma Emma Bonino, Vice Presidente del Senato, in riferimento al dibattito che si è sviluppato in queste ore attorno alla proposta di legge presentata oggi dalla Lega sul divieto dell'uso del burqa in Italia. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.radicali.it/view.php?id=147261">Radicali.it</a>Andrea RONCHI: Blocco delle moschee dell'Ucoii, contro il terrorismo non possiamo abbassare la guardia; Europa è rimasta troppo silente, servono valori condivisi; Italia testa di ponte su Israele e questioni mediorientali2008-12-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382995Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) - Ministro Politiche comunitarie (Partito: PdL) <br/><br/>Si dimostra che la nostra battaglia era giusta. Noi non chiediamo il blocco di tutte le moschee, ma solo il blocco delle moschee dell`Ucoii e chiediamo di accendere la luce su quella marea di centri culturali islamici dove i terroristi si possono infiltrare.<br />
<br />
<b>Quindi basta chiudere le moschee di una particolare comunità islamica e il terrorismo in Italia sparisce, ministro?</b> <br />
Noi sappiamo che c`è una minoranza di fiancheggiatori che cerca in tutti i modi di fare proselitismo. Però il problema è a monte, evidentemente. Occorre creare l`isolamento culturale di costoro. Io punto il dito contro certe amministrazioni locali come la Toscana. o come i Comuni di Bologna o Genova che, con troppa superficialità danno il via a moschee enormi rispetto al numero dei musulmani presenti nella comunità.<br />
<br />
<b>C`è un salto di qualità nel terrorismo in Italia, secondo lei?</b><br />
Maroni ha detto che esiste una mappa delle moschee, soprattutto nel Nord, dove si fa proselitismo. Ciò vuol dire che esiste opera di fiancheggiamento. E` stato perquisito il Centro "Pace" di Macherio, allora vuol dire che qualcosa sotto c`è. Accanto ai sermoni di tenore moderato c`erano le riunioni con accenti fondamentalisti. Comunque sì, in Italia c`è un salto di qualità del terrorismo. E questo ci preoccupa. Non possiamo abbassare la guardia. E io ritengo che l`Europa anche qui sia stata silente. Non ha fatto ciò che doveva fare.<br />
<br />
<b>Che avrebbe dovuto fare l`Europa?</b> <br />
Avrebbe dovuto cercare un più stretto coordinamento con le Forze dell`Ordine, con l`Interforze. il ministro Maroni fa bene ad andare in America. Ancora una volta l`Italia si pone come testa di ponte avanzata e l`Europa deve battere un colpo. E deve prendere una volta per tutte una forte posizione a favore di Israele. <br />
<br />
<b>Lei vuole dire che l`Italia, in questo senso, ha fatto da apripista?</b><br />
Sì. Noi abbiamo messo Hamas all`indice, ci siamo espressi con grande durezza contro il ricorso al nucleare da parte dell`Iran e ci siamo pronunciati contro tutti i fondamentalismi. Vogliamo il dialogo interreligioso e che i moderati islamici abbiano il diritto di rappresentare la maggioranza. Le comunità islamiche devono avere le loro moschee, non ci sogneremmo mai di bloccarle. Ma vogliano evitare i grandi insediamenti gestiti da chi nega l`esistenza dello Stato d`Israele. Questo è un dogma di fronte al quale noi non possiamo transigere. Che errore fece l`Europa, si parlava allora della Convenzione. quando rifiutò la proposta di Fini di richiamare le comuni radici cristiano-giudaiche. Quella mancanza di sensibilità dimostra che l`Europa non può avere una risposta omogenea se non ha un`idealità di valori condivisi. Contrapporre alla violenza una visione culturale fatta di idealità e di valori. Questo è i] solo modo che io conosca per battere il terrorismo.<br/>fonte: <a href="http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=33733421">Rassegna stampa del Governo Italiano</a>Antonio POLITO: Ecco il nuovo Riformista, in lotta contro l’Italia che fa il passo del gambero. - INTERVISTA2008-10-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375779<br /><b><i>Da oggi in edicola</i></b><br /><br />
ROMA - Oggi «il Riformista» cambia veste e si presenta in edicola come un
giornale non più a otto pagine ma a trentadue. Un quotidiano grande come gli
altri e però diverso nell’approccio ai problemi e nelle idee.<br />
<b>Polito, siete diventati grandi?</b><br />
«Abbiamo sei anni. L’asilo è finito, abbiamo imparato a parlare bene, ci siamo
tolti il grembiulino e da stamattina c’avviamo alla scuola elementare».<br />
<b>Con il tempo pieno?</b><br />
«Con un giornale completissimo».<br />
<b>Con il maestro unico?</b><br />
«No, quello no. In un giornale grande, c’è bisogno del contributo di tutti. E non ci
può essere il pensiero unico».<br />
<b>Politicamente come sarete?</b><br />
«Il nostro obiettivo è la modernizzazione del Paese. L’Italia si muove al passo del
gambero, anche se la nostra crisi è nascosta dalla crisi generale del mondo. E
noi, a colpi di idee e di notizie, faremo di tutto per essere in controtendenza:
riformisti e fautori del cambiamento».<br />
<b>Col rischio di apparire un po’ lunari?</b><br />
«L’altro giorno, parlavo con Franco Debenedetti e ci dicevamo: questo sarà il
giornale di quelli che non vogliono morire democristiani».<br />
<b>Cioè?</b><br />
«L’Italia scivola verso lo statalismo, e stanno ritornando gli anni ’80. Mentre noi
daremo voce a quella parte del Paese che non vuole fare il grande balzo
all’indietro».<br />
<b>Dunque, bipartisan?</b><br />
«Parliamo a tutte le forze che si battono per la modernizzazione. Ma
conservando un’anima di sinistra liberale. Proprio per questo, siamo
profondamente delusi per come è venuta fuori la ciambella del Pd».<br />
<b>Un giornale nuovo in tempi di crisi non è follia?</b><br />
«Tutt’altro. La crisi non è la fine di tutto. Non è il crollo, come pensavano i
comunisti e infatti Bordiga parlava di ”crollismo”. Per noi liberali, la crisi è
trasformazione. Racconteremo come cambia l’Italia lungo questi anni e come
sarà nella post-crisi. Ammesso che la superi e la superi bene».
<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JLGM3">Il Messaggero - M.A.</a>LUCA ZAIA: Così ho salvato il riso !2008-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it359563Alla data della dichiarazione: Ministro Politiche Agricole e Forestali (Partito: Lega) <br/><br/>"Al Wto volevano uccidere il riso italiano. Ho contribuito alla sua difesa battendomi per i dazi e per una filiera virtuosa anche perché "protetta"".
(...)
Così ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia questa mattina salendo su una mietitrebbiatrice e inaugurando la stagione della trebbiatura del riso.
"Il rilancio di questo settore, che vede l'Italia leader in Europa con 224.000 ettari coltivati e un giro d'affari di 491 milioni di euro - spiega Zaia - passa attraverso la difesa in ambito comunitario di una nuova Pac. Noi siamo contrari a una regionalizzazione dei contributi e crediamo che il nostro modello agricolo debba essere un punto di riferimento per l'Europa. Un'Europa che è stata protagonista di molte scelte dannose per la nostra agricoltura. Mi batterò in prima persona perché questo non accada più".
"La storia e l'identità sono il valore aggiunto della nostra agricoltura e vanno difese, ha aggiunto ancora Zaia. La nostra agricoltura ha i geni giusti. In Italia non dobbiamo inventarci una vocazione agricola come fa qualcun altro, la nostra vera multinazionale è quella dei contadini che per troppo tempo sono stati abbandonati da una politica miope e distratta."
"Agricoltura -ha proseguito Zaia - significa produzione, identità sicurezza alimentare: elementi sempre più importanti in un contesto, come quello internazionale, che ha visto proprio in questi giorni centinaia di aziende giapponesi coinvolte nello scandalo della compravendita di riso avariato da parte della Mikasa".
"Per quel che riguarda l'agropirateria alimentare - ha infine concluso - è iniziato il periodo della tolleranza zero. Per noi il cittadino va difeso fino in fondo, in questo modo si premiano anche i produttori seri e che rispettano le regole".<br/>fonte: <a href="http://www.agricolturaitalianaonline.gov.it/contenuti/attualit/attivit_ministro/italia/cos_ho_salvato_il_riso?eZSESSIDagriconline=4562750d4f72ef41b5549979f28372a1">AIOL - Agricoltura Italiana Online</a>Anna FINOCCHIARO: DOBBIAMO LAVORARE ANCORA SULLA NOSTRA IDENTITA'.2008-05-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it355578Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
"Occorre lavorare, e molto, su un doppio binario: quello dell'ascolto del Paese e quello del radicamento e della <b>costruzione dell'identita' del Pd</b>.<br />
Insisto su questa parola".<br />
Lo scrive Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, in un articolo apparso oggi sull'Unita'.<br />
Anna Finocchiaro si dice convinta che il Pd stia "scontanto la giovane eta'" ed "errori circa la proposta organizzativa", ma si chiede anche: "c'e' altro di sostanziale, di strutturale?". <br />
"Veniamo alla questione della natura politica del Partito Democratico - scrive - Ci siamo detti molte volte che e' quella di una forza nazionale riformista. <br />
Una grande forza di cambiamento dell'Italia. Il risultato dell'incontro delle grandi culture riformiste della storia politica italiana.<br />
<b>Pensiamo che in sei mesi si sia gia' conclusa l'opera di costruzione del PD?</b> <br />
Non possiamo pensare che la ricerca di quella identita' culturale e valoriale che abbiamo cominciato a delineare si esurisca nell'aver scritto una carta dei valori, uno Statuto e un codice etico. <br />
<b>Io credo ci sia molto ancora da fare.</b> <br />
Credo sia arrivato il momento di lavorare per una piu' compiuta identita', che sia nuova sintesi e non compromesso tra le nostre diverse anime, che riesca ad intercettare il respiro di quella parte dell'Italia che davvero vuole rimettere in moto il Paese.<br />
Per fare questo ci vuole tenacia, fatica, tempo e sedi proprie. Abbiamo cinque anni di tempo e <b>sgombriamo il campo dall'illusione che questo governo nel giro di pochi mesi imploda.</b><br />
Lavoriamo - sottolinea Anna Finocchiaro - con umilta' e senza pensare, come spesso purtroppo accade, che l'efficacia di una scelta politica si esaurisca nel giro di sei mesi o ad ogni tornata elettorale".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.agi.it/news/notizie/200805141040-cro-rt11034-art.html">AGI</a>Raffaele LOMBARDO: Verso le elezioni: Lombardo, è emergenza alloggi2008-04-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it331383Tra i temi della campagna elettorale di Lombardo anche l’emergenza alloggi che ormai da tempo assilla Palermo e le altre città siciliane. “E’ drammatica – dice Lombardo – la situazione delle famiglie che hanno contratto mutui a tassi variabili perché vi sono almeno cento mila sofferenze e questa difficoltà crescerà nei prossimi mesi. Serve un piano casa per il quale vi siano risorse a iosa. Basta tagliare gli sprechi”.
[..] prosegue polemica a distanza con la candidata del centrosinistra Anna Finocchiaro. A lei, che in catanese aveva dedicato al suo concorrente il detto “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” Lombardo ha replicato con ironia: “L’autonomia fa proseliti. La senatrice Finocchiaro comincia a usare il dialetto, parte importante della nostra identità”. L’ex presidente della Provincia di Catania ha così ribadito il suo no ad un confronto televisivo con la Finocchiaro perché “non vogliamo contribuire ad illudere gli elettori con slogan e frasi fatte”.<br/>fonte: <a href="http://www.ecodisicilia.com/verso-le-elezioni-lombardo-e-emergenza-alloggi.htm">Eco di Sicilia</a>