Openpolis - Argomento: redditihttps://www.openpolis.it/2016-04-30T00:00:00ZFRANCO MIRABELLI: Le risposte di Parisi sono imbarazzanti2016-04-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it769108Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/>“Le risposte di Parisi su Chili cominciano ad essere imbarazzanti. Non posso credere che il candidato del centrodestra non capisca la differenza tra rendere conto agli elettori e garantire trasparenza e la possibilità di recarsi alla camera di commercio. Non spetta a noi fare chiarezza sui suoi affari”. Così il senatore del Partito democratico Franco Mirabelli in risposta alle dichiarazioni di Stefano Parisi.<br/>fonte: <a href="http://agiellenews.it/comunali-mirabelli-le-risposte-di-parisi-sono-imbarazzanti/111332">AGIELLE NEWS</a>FRANCO MIRABELLI: Milano, Mirabelli a Parisi: trasparenza è garanzia per cittadini2016-04-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it769107Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/>"Leggo che Parisi di fronte alle richieste di trasparenza e di pubblicare i propri redditi e chiarire la situazione della sua società risponde dicendo che la sua è una azienda privata e lui deve rispondere agli azionisti. Non è così! Se uno si candida sindaco deve raccontare quali sono i rapporti e i vincoli che potrebbero derivare anche dalla sua attività privata per chiarire se e come questi potrebbero condizionare anche la sua attività pubblica". Lo ha scritto su Facebook il senatore democratico Franco Mirabelli, aggiungendo che "serve la trasparenza perché i cittadini siano informati e possano scegliere a ragion veduta e possano avere la garanzia che chi li amministrerà lo farà solo guardando all'interesse pubblico".<br/>fonte: <a href="http://www.askanews.it/regioni/lombardia/milano-mirabelli-a-parisi-trasparenza-e-garanzia-per-cittadini_711799407.htm">Askanews</a>Pier Paolo BARETTA: «Subito credito d'imposta per ricerca e sviluppo» - INTERVISTA2012-11-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656724Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />«Ci batteremo per cancellare del tutto la franchigia sulle spese sanitarie».
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Dalla nuova impostazione della manovra «potremo recuperare per il 2013 un miliardo di euro da destinare al taglio del cuneo fiscale. La priorità, e su questo c'è un'intesa di maggioranza, deve essere il lavoro».
<p>Pier Paolo Baretta (Pd), uno dei due relatori alla legge di stabilità (l'altro è Renato Brunetta del Pdl), non ha dubbi su quale debba essere la destinazione di una parte della dote derivante dal mancato intervento sull'Irpef.
<p><b>Brunetta vorrebbe che le risorse finissero tutte sul tavolo della produttività.</b>
<p> Penso che bisogna distinguere tra il 2013, in cui abbiamo a disposizione 4,2 miliardi di euro recuperati dallo stop alla riduzione delle prime due aliquote dell'Irpef, e il 2014, quando avremo un incremento importante che ci consentirà di dire che la manovra è in crescita Se dai 4,2 togliamo 1,15 miliardi che servono a evitare l'aumento dell'Iva agevolata dal 10 all'11%, un ulteriore miliardo per cancellare la retroattività del taglio delle agevolazioni fiscali, che potrebbe salire fino a 1,9 miliardi se, come chiediamo, si stralceranno del tutto il tetto e la franchigia, si scende a 1-1,2 miliardi e io credo che dobbiamo concentrare la platea dei beneficiari.
<p><b>Non c'è spazio per un intervento a favore delle imprese già dall'anno prossimo?</b>
<p>Non ci sono le risorse. Penso che l'operazione da fare per le aziende nel 2013 sia di dare subito il credito d'imposta su ricerca e sviluppo da finanziarsi con le risorse che si ricaveranno dal "Piano Giavazzi". E' una richiesta che Confindustria ha avanzato in commissione e ritengo sia una cosa giusta, da prevedere subito. Il discorso sarà invece diverso nel 2014.
<p> <b>Ci saranno più risorse?</b>
<p>Il miliardo per i lavoratori può raddoppiare nel 2014 se i sindacati raggiungeranno l'accordo sulla produttività che spero venga fatto. A quel punto sarà possibile porsi il tema degli autonomi e ipotizzare anche un intervento sull'Irap. Intanto partiamo nel 2013 con lo sgravio per i redditi da lavoro a cui si aggiunge un altro miliardo per il sociale.
<p><b>Chi ne beneficerà?</b>
<p> Nella manovra non sono considerati indigenti e pensionati. Le risorse del fondo ad hoc che fa capo a Palazzo Chigi non saranno più indistinte, ma bisognerà fissare con tabelle e cifre dove andranno questi soldi.
<p> <b>II Governo, però, non ha ancora deciso se accettare la proposta di stralciare del tutto il tetto e la franchigia su detrazioni e deduzioni fiscali...</b>
<p> L'Esecutivo si è riservato di rispondere quando abbiamo posto la questione. Ci sono due tasselli da considerare. In primo luogo una valutazione di quantità perché la manovra deve garantire saldi invariati. E poi c'è una valutazione sul merito.
<p><b>In che senso?</b>
<p>Prendiamo, per esempio, il nodo dei mutui. E' di tutta evidenza che aver messo i costi sostenuti per i mutui prima casa dentro il tetto di 3 mila euro per gli oneri detraibili è uno strafalcione e che il Governo ha tutta la volontà di correggerlo. Ma è chiaro che l'Esecutivo è prudente nel dire aboliamo tutti i tetti (mutui e spese per le famiglie) perché ciò equivarrebbe a un ridimensionamento del tema C'è una questione di politica fiscale e questo aspetto va approfondito.
<p><b>Un altro punto al centro del prossimo confronto con il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli. Avete già deciso quando vi vedrete?</b>
<p>Da lunedì ogni giorno è buono. Ci aspetta una settimana di lavoro in commissione per arrivare a fine settimana con il testo da presentare all'aula.
<p> <b>Al Mef proporrete anche l'eliminazione della franchigia sulle spese sanitarie?</b>
<p>Noi siamo per toglierla. Se al lavoratore sottraiamo il vantaggio che era collegato alla riduzione delle aliquote Irpef e gli lasciamo la franchigia, la mazzata fiscale si rivela rilevante. Per questo ci batteremo affinché sia eliminata. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/rassegna_stampa/pdf/2012110423063954.pdf">Il Sole 24 Ore | Celestina Dominelli</a>Cesare DAMIANO: «Caro Monti, ora basta con le tasse» - INTERVISTA2012-04-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626605Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«La riforma del lavoro c'è, gli ammortizzatori sociali cambieranno, ma a pagare il conto saranno ancora una volta gli italiani. Che per finanziare le misure messe in campo dal premier Mario Monti e dal ministro Elsa Fornero dovranno mettere mano al portafogli. Per sborsare, ad esempio, due euro di tassa aeroportuale di imbarco in più o, nel caso di proprietari di immobili che non abbiano scelto la cedolare secca del 20% sui redditi da affitto, per vedersi applicare una maggiorazione del 10% dell'imponibile.
<p>Oppure per assistere alla riduzione della deducibilità delle polizze assicurative Rc auto. Tasse, insomma, e ancora tasse, come anche Cesare Damiano, responsabile lavoro dei Democratici e già ministro nell'ultimo governo guidato da Romano Prodi, ammette chiaramente. «Monti si è insediato e ha promesso rigore, sviluppo ed equità. Il primo si è visto anche troppo, ma per lo sviluppo e l'equità il ritardo comincia a essere sensibile», dice a ItaliaOggi. «Bisogna quindi fare rotta con decisione sulla crescita economica., altrimenti il cocktail di tagli alla spesa, di maggiori tasse, di riduzione della domanda di beni di consumo e di aumento della disoccupazione produrrà effetti micidiali».
<p><b>Teme che il governo Monti finirà, con le sue cure drastiche, per uccidere l'economia italiana?</b>
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Uccidere è una parola grossa, e comunque mi auguro che nessuno possa mai riuscirci. Aggiungo che il governo non vuole certo distruggere l'economia. Detto questo, non si può certo continuare all'infinito con l'aumento della pressione fiscale e con il rigore cieco dei tagli lineari.
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<b>A proposito di fisco. Una delle misure di copertura del ddl lavoro firmato oggi (ieri per chi legge, ndr) dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano prevede per i proprietari di immobili che non abbiano scelto la cedolare secca, un aumento del 10% dell'imponibile Irpef per i redditi da locazione. Che ne pensa?
</b>
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In linea di principio sono d'accordo sulla necessità di colpire chi non paga le tasse. Ma se il proprietario di una casa in affitto non è un evasore, e ha scelto di versare la sua imposta non la cedolare secca del 20% ma con la denuncia dei redditi, non si vede perché dovremmo obbligarlo a optare per la prima soluzione. Insomma, la cedolare secca conviene, ma costringere ad adottarla anche chi non ha convenienza mi sembra una forzatura impropria.
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<b>Ma da qualche parte comunque i soldi bisognerà pur trovarli per finanziare questa riforma. O no?</b>
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Certo, finanziare lo stato sociale è indispensabile e trovare le risorse per farlo funzionare è doveroso se si vuole rilanciare lo sviluppo dell'economia. Ma, ripeto, non si può pensare di farlo con continui aumenti di tasse o con i tagli lineari stile Giulio Tremonti. Ci vuole altro, e Monti deve mettere in campo tutto quello che può per rilanciare la crescita. Finora rimasta purtroppo in ombra nella sua azione di governo. <br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1D9IJO">Italia Oggi - Giampiero Di Santo</a>Alberto Suppa: Muggioresi, una razza selezionata?2011-03-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it769175Alla data della dichiarazione: Consigliere Consiglio Comunale Muggiò (MB) (Gruppo: PD) <br/><br/>In un convegno di rilevanza sovracomunale tenutosi a Muggiò venerdì 4 marzo, il sindaco di centrodestra ha messo a punto ed illustrato uno dei punti fondamentali della sua azione amministrativa: “Purtroppo Muggiò – sostiene il sindaco – è abitata sempre più da persone con redditi bassi e spendiamo 2 milioni e 600 mila euro in servizi sociali. Non voglio fare macelleria sociale, ma i redditi delle famiglie che vengono a Muggiò sono un problema”. Ecco perché, nelle sue intenzioni, servirebbero politiche urbanistiche che, attraverso abitazioni vendute a prezzi sufficientemente alti, possano attrarre solamente ricche famiglie facoltose, gente che non deve chiedere niente a nessuno, men che meno al Comune.
Tuttavia rimane in piedi un quesito: cosa fa il Comune ogni anno con 2 milioni e 600mila euro? Scartabellando un po’ di dati si può scoprire che servono per i disoccupati e le famiglie in difficoltà, i disabili, i minori abbandonati, gli anziani non autosufficienti, gli asili nido e via dicendo.
È il welfare muggiorese per i più bisognosi, per gli ultimi. Ma non solo, servono anche per famiglie “normali” che si rivolgono al Comune per usufruire di servizi preziosissimi come molte giovani coppie che ricorrono agli asili nido per consentire ad entrambi i genitori di lavorare. Il welfare a Muggiò non è solo una questione di elemosina, ma un importante strumento che racchiude in sè elementi di competitività economica, sostegno al reddito e inclusione sociale.
Ma per il primo cittadino tutto ciò rappresenta una zavorra di cui farebbe volentieri a meno, per questo bisogna tenersi i poveri e i bisognosi che ci sono, ma fare di tutto, attraverso opportuni provvedimenti, perché non ne arrivino altri.
Muggiò, e le statistiche lo dimostrano, ha un buon indice di benessere economico nell’ambito dei Comuni dell’area del nord Milano e della Brianza. Ma per il centrodestra non basta. D’altra parte, virtù civiche come l’onestà, il rispetto delle regole e l’intraprendenza non serviranno più ai prossimi nuovi muggioresi: bisogna essere ricchi, perché il reddito, e nient’altro, sarà l’unico fattore di “selezione” per chi vorrà venire a vivere nella nostra città. <br/>fonte: <a href="http://pdmuggio2009.blogspot.it/2011/03/muggioresi-una-razza-selezionata.html#comment-form">PD Muggiò</a>Nichi VENDOLA: «Gerações serão perdidas se Berlusconi não for derrotado, diz aspirante da esquerda ao governo da Itália» - INTERVISTA [trad. dal brasiliano]2010-12-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548779Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
“Nichi Vendola, governatore della regione Puglia, un passato nell’antimafia, è uno dei possibili sfidanti di Berlusconi alle prossime elezioni, che vista la crisi di governo in corso potrebbero tenersi ben prima della fine naturale della legislature. Leader di Sinistra Ecologia e Libertà, nato dalla frammentazione di Rifondazione Comunista, Vendola sembra raccogliere consensi anche al di fuori della sua base elettorale. A livello regionale ha battuto per due volte il Partito Democratico nelle primarie della coalizione, diventando così il candidato di tutto il centro-sinistra.
Ora vuole replicare l’esperienza a livello nazionale, non senza mettere in imbarazzo la dirigenza del PD, primo partito dell’opposizione, che non riesce a esprimere candidati che incontrino il consenso popolare. I detrattori di Vendola fanno notare che una sua candidatura allontanerebbe i voti dei cattolici e dei moderati, ma il leader di SEL, gay e cattolico, crede di poter aggirare i possibili ostacoli.
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In questa intervista a Opera Mundi, Vendola spiega la sua visione della crisi politica e culturale che sta attraversando l’Italia, l’impatto che ha avuto Berlusconi sulla vita politica italiana, e racconta perché per uscire da questa situazione occorre ripartire da un programma di governo che torni a occuparsi dei problemi sociali. Per lui la sinistra – che oggi sconta un calo di consensi in tutto il continente europeo – debba porsi come un’alternativa concreta alla crisi mondiale.
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<b>Qual è l’origine dell’attuale crisi italiana e cosa si può fare per invertire questa tendenza?</b>
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Il berlusconismo funziona come un’autobiografia dell’Italia di oggi. Il lavoro è stato completamente estromesso dal dibattito pubblico, così come la scuola. Come non accorgersi che il berlusconismo ha cominciato a vincere quando la scuola pubblica ha cominciato a perdere e una certa tv ha cominciato ad emergere come educatore unico, vero e proprio incubatore di sogni e paure privati? Oggi ci troviamo a vivere uno stato di transizione. Occorre congedarci dal berlusconismo, invertire questa tendenza, cambiare l’immaginario diffuso, intervenire nella formazione delle idee generali di questo paese. Ciò vuol dire assumere impegni sociali fondamentali come interlocutori di lotta e di costruzione di una nuova immagine del futuro, ad esempio contribuendo all’unità a sinistra, la più ampia possibile, per dare la risposta più larga possibile alla domanda di cambiamento che c’è in questo paese.
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<b>La sinistra italiana è ossessionata da Berlusconi. Il presidente del consiglio è davvero l’origine di tutti i mali del paese?</b>
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Noi abbiamo letto il conflitto d’interessi come una peculiarità italiana, Berlusconi come un’anomalia, un fenomeno pre-politico, una transizione folcloristica e frivola, una superfetazione di qualcosa che aveva a che fare più con il Bagaglino che con la società italiana. Abbiamo sbagliato, perché non ci siamo accorti che Berlusconi aveva cominciato a vincere vent’anni prima che apparisse sulla scena pubblica, nella misura in cui si intensificava una visione sempre più subalterna della politica come amministrazione, che non può mai essere costruzione di antagonismo o di idee alternative, ossia la politica dentro il recinto di condizioni predeterminate. E poi perché in Italia si sono sfaciati i partiti di massa, delle grandi narrazioni, si è sfasciata l’Italia delle famiglie. La sinistra non ha saputo usare le lenti giuste per leggere i cambiamenti epocali e per intervenire con una proposta autorevole, di società e di sviluppo.
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<b>Quale sarà l’eredità del berlusconismo?</b>
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Il berlusconismo non finirà il giorno dopo un’eventuale sconfitta alle urne di Berlusconi. La sua cultura, la sua idea di società, le pulsioni repressive e l’oltranzismo padronale e razzista che esprime dovranno essere debellate con impegno e dedizione, per mezzo della buona politica e di una profonda innovazione culturale, al fine di sradicare di quei cattivi semi dall’immaginario profondo degli italiani.
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<b>La sinistra vive una crisi di identità in Italia e più in generale in tutta Europa. Che significa nel XXI secolo essere di sinistra?</b>
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Il Partito Sinistra, Ecologia e Libertà ha un senso se ha come obiettivo la sinistra del futuro, la sinistra del ventunesimo secolo. Come il seme, per dare i propri germogli, muore, così noi dobbiamo vivere il partito come uno strumento, invece di farne un feticcio. L’obiettivo è la sinistra, l’obiettivo è l’Italia, è il cambiamento, è la trasformazione della società. Essere di sinistra significa ristabilire un nesso virtuoso tra lavoro, libertà e conoscenza; significa costruire una critica pratica di un economicismo che ingoia nel processo produttivo tanta umanità, che degrada la dignità e la vita in nome del profitto.
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<b>Si parla insistentemente di “paese bloccato” e di fuga di cervelli. L’Italia è un “paese per vecchi”? Qual è l’orizzonte per le giovani generazioni, cresciute nell’idea che non conserveranno lo standard di vita dei loro genitori?</b>
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Se non si interviene immediatamente, si profila un orizzonte opaco, qualcosa che brucerà due, forse tre generazioni. Le politiche scellerate degli ultimi anni in Italia, in un campo fondamentale come quello della formazione, hanno costituito una vera e propria mannaia per le speranze dei giovani, considerati più come un problema, che come una risorsa. La ricerca e l’università nel nostro paese vivono una crisi profonda, perché percepiti dalla classe dirigente come un lusso insostenibile e, con un atto di estrema miopia politica, subiscono il bisturi dei governo ad ogni documento di programmazione economica. Un atto miope perché non si comprende che la ricerca, il sapere sono settori strategici per il futuro produttivo, economico e sociale del paese. Credo sia un dato incontrovertibile e inconfutabile questo. Nonostante ciò, molti giovani sono costretti a nascondere nei loro curricula l’alto livello di formazione raggiunto, per poter accedere a posti di lavoro precari e non esattamente corrispondenti alle loro aspirazioni.
Se non assumiamo come concetto fondamentale che la formazione, la cultura, il sapere sono gli elementi chiave per il futuro dell’Italia, credo che difficilmente si potrà realizzare quel cambiamento che in molti chiedono.
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<b>In un ampio strato della popolazione si è diffusa una sensazione di impotenza, frustrazione e diffidenza verso la classe politica. Qual è il suo progetto per questo pezzo di Italia?</b>
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Partiamo da un dato fondamentale: se abbattiamo la precarietà lavorativa, si riduce anche quella esistenziale. Rimettere al centro dell’agenda politica il lavoro, questa è la ricetta. Conciliare sapere e lavoro. Se abbiamo in mente un obiettivo chiaro e lavoriamo per raggiungerlo, ci potremmo anche perdere durante il tragitto, ma poi ritroveremmo la strada che porta inevitabilmente alla tutela dei diritti e allo sviluppo economico. Se gli obiettivi sono altri, se gli interessi di pochi diventano preminenti rispetto a quelli collettivi, allora continueremo a contorcerci su noi stessi senza mai discutere della vera natura dei nostri problemi.
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<b>L’Italia esce da un ventennio di politiche che hanno messo in discussione (e di fatto smontato) lo stato sociale a destra come a sinistra. Il risultato di queste politiche, tuttavia, non ha prodotto un paese economicamente più dinamico. È possibile coniugare una visione solidaristica dello Stato a una gestione virtuosa delle finanze pubbliche?</b>
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Alla morte del welfare, voluta sottolineo, si è aggiunta la crisi che ha investito il pianeta, figlia del fallimento storico delle politiche liberiste. Il Paese non può essere dinamico da un punto di vista economico perché in Italia non ci sono regole nel mercato, perché lo Stato non è ciò che dovrebbe essere, cioè il punto di vista dell’interesse globale. È su questo che deve indirizzare i finanziamenti alle attività produttive. Il profitto non è nato per provvedere alla sorte di chi si trova in difficoltà, ma per arricchire chi è già ricco. Perciò la virtuosità dei privati, che pure esiste, non può sopperire all’assenza di uno stato sociale. Il governo taglia la spesa sociale come mai è stato fatto prima, mentre continua a crescere la spesa pubblica. È un paradosso. In Italia la politica di contenimento del debito è stata messa in atto come fuga dalla crescita, mentre c’è bisogno di ripensare il welfare, non come spesa passiva, ma come motore dello sviluppo, pensato per i giovani e per la loro formazione. Ne è prova il fatto che l’Italia è ormai uno degli ultimi paesi europei a non prevedere, ad esempio, un reddito di cittadinanza.
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<b>La crisi che stiamo vivendo è solo l’inizio di una crisi più strutturale? O è un evento in grado di aprire nuovi scenari per il futuro?</b>
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In molti paesi la crisi ha già fortemente intaccato importanti settori strutturali dell’economia, fagocitando la produzione e i redditi. In Italia ad esempio, stiamo tutt’ora assistendo ad un pericoloso smottamento sociale, per cui intere famiglie, lavoratori dipendenti e tutto il settore delle piccole e medie imprese rischiano di entrare nella fascia delle nuove povertà. Negli ultimi anni, ben dieci punti di Pil sono passati dalle tasche dei lavoratori, ai profitti e alle rendite. I dati in crescita della povertà ci dicono che questa sofferenza sociale non può essere considerata come un dato ornamentale di vacui discorsi sociologici. La povertà è un dato strutturale dell’Italia e dell’Europa, e penso che le politiche che vanno messe in campo debbano avere come priorità la lotta per la tutela delle persone, dei bambini, dei vecchi, delle famiglie. Uscire dalla crisi richiede uno sforzo deciso, e scelte politiche chiare orientate alla ristrutturazione del welfare, dei diritti e del reddito per i ceti medio-bassi. La crisi costituisce quindi una grande opportunità, se affrontata con antidoti adeguati e se si coglie il monito che ne proviene.
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<b>La crisi economica ha messo in evidenza le falle del modello di sviluppo occidentale. È possibile un modello diverso? E l’azione di governo di un singolo paese quanto può incidere su questa dinamica internazionale?</b>
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Un modello diverso è urgente, non solo possibile. La parabola del neocapitalismo ci racconta di un mondo sottomesso alle logiche predatorie di pochi, polarizzato nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze. Un mondo in cui i valori della finanza hanno sopraffatto il valore del lavoro come elemento di coesione sociale e di produzione di ricchezza. La tecnologia è stata messa al servizio del capitale, e non del lavoro. La globalizzazione, poi, ha completato il quadro, cancellando i diritti dei lavoratori e proponendo un modello basato sullo sfruttamento selvaggio delle risorse. Abbiamo ancora negli occhi le immagini del disastro che ha colpito il Golfo del Messico, quella marea nera è stato un avvertimento chiaro al genere umano. Ebbene, bisogna ripartire da un modello in cui la tecnologia sia un elemento che aiuti ad abbattere quote di fatica fisica, piuttosto che cancellare il lavoro umano.<br />
Dobbiamo cercare un compromesso avanzato fra crescita economica ed ecologia, avendo il coraggio di impegnare su questi temi tutta la governance globale.”
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<br/>fonte: <a href="http://operamundi.uol.com.br/entrevistas_ver.php?idConteudo=130#">Opera Mundi - Graziano Graziani</a>Pietro ICHINO: «Meglio Marchionne o Gomorra?» - INTERVISTA2010-09-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it506300Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«In Campania il lavoro è in mano alla criminalità, e la sinistra pensa piuttosto alle deroghe per Pomigliano. L'ad della Fiat ci sta facendo un favore perché ci indica i difetti del nostro sistema industriale».
<p>«<a href="http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-vangelo-di-marchionne/?printpage=undefined"><b>Marchionne</b></a> ci sta facendo un favore», dice Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare Pd. E aggiunge: «Ci indica quali sono i difetti del nostro sistema delle relazioni industriali, che ostacolano l’attuazione del suo piano industriale. Le altre multinazionali che stanno alla larga dal nostro Paese non perdono tempo a dircelo».
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<b>Professore, ma il favore lo fa ai lavoratori o lo fa soprattutto alla Fiat?</b>
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Certo che lui agisce nell’interesse della Fiat: è il suo amministratore delegato. Ma l’Italia è, almeno da due decenni, il fanalino di coda in Europa per capacità di attirare gli investimenti stranieri: peggio di noi fa soltanto la Grecia. Ed è anche interesse nostro, di tutti i lavoratori italiani, fare una diagnosi del male oscuro che causa questa nostra pessima performance.
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<b>Qual è la diagnosi secondo lei?</b>
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Finora ci siamo crogiolati nell’idea che sia colpa soltanto dei difetti delle nostre amministrazioni pubbliche, delle nostre infrastrutture, dei costi troppo alti dei servizi alle imprese. Ora Marchionne ci avverte che una delle cause, e non ultima per importanza, è anche l’inconcludenza del nostro sistema delle relazioni industriali: il fatto che non si possa avviare un piano industriale innovativo senza il consenso di tutti i sindacati; il potere di veto che il sistema di fatto dà ai sindacati minoritari.
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<b>In che cosa consiste questo potere di veto?</b>
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Innanzitutto nel fatto che se il piano industriale richiede una deroga rispetto al modello di organizzazione del lavoro, di struttura della retribuzione, di distribuzione dei tempi di lavoro, stabilito dal contratto nazionale, questa deroga è valida ed efficace nei confronti di tutti i lavoratori solo se l’accordo aziendale è sottoscritto da tutti i sindacati. Poi c’è il problema della clausola di tregua.
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<b>Qual è il problema?</b>
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Una delle parti essenziali dell’accordo di Pomigliano è il 18mo turno, che è reso possibile da un’ora e mezza media settimanale di straordinario. Ora, i Cobas hanno proclamato lo sciopero dello straordinario fino al 2014. Secondo la nostra prassi consolidata, qualsiasi lavoratore può aderire a questo sciopero in qualsiasi momento nonostante la clausola di tregua contenuta nell’accordo.
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<b>Secondo Fausto Bertinotti la vecchia borghesia considerava spazi di conflitto, il “marchionnismo”, invece, non discute ma dice: «Queste misure sono inevitabili. Si fa così e basta».</b>
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Quando siano rispettate le leggi dello Stato, negoziare le condizioni di lavoro è compito del sindacato, non dei politici. L’accordo di Pomigliano non viola nessuna legge; ed è stato firmato da una coalizione sindacale che in quello stabilimento è maggioritaria, e che sa il fatto suo. Certo che su quell’accordo hanno influito in modo determinante le condizioni imposte dal contesto planetario. <br />
Ma chi decide su che cosa è accettabile e che cosa no, in un piano industriale, Bertinotti o il sindacato cui i lavoratori in maggioranza hanno dato il mandato di trattare?
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<b>Bertinotti dice che, se la sinistra si “marchionnizza” è spacciata.</b>
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La sinistra, finora, ha accettato tranquillamente qualche cosa di molto peggio: il lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori campani descritto da Roberto Saviano, nei sottoscala controllati dalla Camorra, a 700 euro al mese senza contributi, per dieci ore al giorno, senza alcun diritto. Questa è la “deroga allo standard nazionale” che si pratica normalmente da decenni in quella regione, altro che le deroghe chieste da Marchionne. <br />
E sono tutte aziende che potrebbero essere chiuse dall’oggi al domani, solo incrociando i tabulati dell’Inps con quelli dei consumi elettrici. Se fin qui non lo si è fatto è per paura della disoccupazione che ne sarebbe derivata.
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<b>Scusi, ma un ragionamento così costruito - o Marchionne o la Camorra, senza alternative - sembra dare ragione al Bertinotti che parla di dittatura del mercato.</b>
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Se la politica vuole dare una mano agli operai colpiti dalla concorrenza internazionale, incominci a detassare i redditi di lavoro fino a 1000 euro mensili, che possono considerarsi oggi una soglia di povertà. I 110 euro che gravano su di una busta paga di 1000 euro sono una vera e propria ingiustizia legalizzata.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/259763/">Il Riformista - Alessandro Calvi </a>Pietro ICHINO: «Tutti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile» - INTERVISTA2010-07-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it502941Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
L’uomo che quindici giorni fa le Brigate Rosse hanno chiamato “assassino” in un’aula del Tribunale di Milano, per avere progettato una riforma del diritto del lavoro, parla con voce bassa e tranquilla da una poltrona del suo studio di Milano. A Pietro Ichino, 61 anni, senatore del Pd, avvocato e docente all’Università di Milano, obbligato a vivere sotto scorta da otto anni, non dispiace descrivere i contratti del futuro con questa formula: tutti assunti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile.<br />
Per ora, lavoratori con il contratto “buono” e lavoratori precari sono caste separate da una barriera invisibile. La casta senza certezze è anche la più giovane.
«È un vero regime di apartheid, aggravato da altre prepotenze della nostra generazione», dice Ichino. <br />
«Lo Stato spende ogni anno circa 70 miliardi per riequilibrare il bilancio pensionistico dell’Inps, cioè per continuare a pagare pensioni ai cinquantottenni o ai sessantenni. E intanto prepariamo un futuro pensionistico poverissimo per i nostri figli. Per la mia generazione era abbastanza
facile aspettarsi di entrare nel ceto medio, per la loro accadrà più sovente di esserne espulsi».
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<b>Come se ne esce?</b>
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Oggi le sole due misure efficaci sono queste: la detassazione di redditi bassi, perché è indecente che
si prelevino 110 euro su una busta paga di mille; e un miglioramento incisivo del servizio scolastico a
tutti i livelli. <br />
Comincio dal mio, quello dell’università, dove paghiamo lauti stipendi anche a migliaia
di professori e ricercatori che non hanno pubblicato una riga negli ultimi cinque anni.
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<b>Lei ha proposto una riforma del diritto del lavoro ispirata al modello della “flexsecurity” nordeuropea. Come funziona?</b>
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L’idea è che d’ora in avanti tutti vengano assunti a tempo indeterminato, ma nessuno sia inamovibile.<br />
A chi perde il posto per ragioni economiche o organizzative si garantisce un forte sostegno del
reddito e un robusto investimento per la sua riqualificazione professionale. <br />
In Danimarca i lavoratori
ricevono il 90 per cento dell’ultima retribuzione nel corso del primo anno dopo il licenziamento, l’80 per cento il secondo e il 70 per cento il terzo, se non si ricollocano prima.
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<b>Costosetto.</b>
<p>
Alle imprese italiane costa di più il regime attuale, che ritarda molto la possibilità effettiva di licenziare i lavoratori in esubero, mentre l’Inps spende per la Cassa integrazione, anche quando è senza speranza,
fiumi di denaro che potrebbero essere spesi molto meglio, sotto forma di trattamenti di disoccupazione.<br />
Per offrire un sistema di tipo danese ai nostri lavoratori basterebbe che le imprese si incaricassero
di coprire il 10 per cento dello stipendio durante il primo anno di disoccupazione, perché
l’80 per cento lo paga già l’Inps. Nel secondo e nel terzo anno invece il costo graverebbe tutto sulle
aziende, ma già ora otto licenziati su dieci trovano un altro lavoro nel giro di 12 mesi. <br />
Migliorando i servizi di ricollocamento, si potrebbe arrivare facilmente a nove su dieci. Per le imprese sarebbe un costo sostenibile. Inoltre, se sono le imprese a pagare, esse avranno un forte incentivo a controllare la qualità dei servizi di assistenza e ricollocazione professionale e la cooperazione dei lavoratori nella ricerca della nuova occupazione.
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<b>Sembra ragionevole. Perché non si fa?</b>
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I parlamentari Pd hanno presentato quattro disegni di legge su questo argomento, due dei quali firmati da me. Il consenso trasversale c’è. Se molti parlamentari del centrodestra non li hanno firmati è perché da un anno ormai il ministro Sacconi li ha invitati a soprassedere, preannunciando un suo progetto. Che però finora non si è visto.
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<b>La Confindustria? I sindacati?</b>
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L’interesse è alto, ma le grandi organizzazioni fanno fatica a prendere posizioni innovative. Emma Marcegaglia si dichiara d’accordissimo, ma il corpaccione di Confindustria resiste. In un’ottica un po’ miope, il sistema attuale per loro può anche andar bene: infatti la flessibilità nel sistema c’è, anche se è metà della forza lavoro a portarne tutto il peso. <br />
Con il sindacato è lo stesso: molti dirigenti, anche della Cgil, giudicano ositivamente la mia proposta, le idee si muovono. Però il sindacato nel suo complesso non se la sente di violare il tabù dell’articolo 18.
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<b>Quello che rende quasi impossibile licenziare i dipendenti. Diventeremo una società di licenziabili?</b>
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Siamo già per metà una società di licenziabili, senza alcuna garanzia. Gli 800mila che hanno perso il posto durante la crisi lo hanno perso senza preavviso, senza indennizzo e senza alcuna possibilità di ricorso al giudice. Il mio progetto non tocca la posizione di chi oggi è protetto dall’art. 18, ma per tutti i rapporti di lavoro che nasceranno da qui in avanti predispone una protezione diversa, che possa veramente applicarsi a tutti.
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<b>Che cosa pensa dell’accordo proposto dalla Fiat a Pomigliano, rifiutato dalla Fiom-Cgil?</b>
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Penso che quell’accordo non violi affatto le nostre leggi.<br />
Ai sindacati è stato chiesto di rinunciare a un regime di conflittualità permanente, alla situazione in cui chiunque può proclamare lo sciopero in qualsiasi momento contro il contratto. Se il contratto prevede 80 ore di straordinario per ciascun dipendente e il sindacato che non l’ha firmato proclama uno sciopero dello straordinario, salta un ingranaggio importante della nuova organizzazione del lavoro. <br />
Dovremmo darci una regola di democrazia che consente alla coalizione sindacale più forte di contrattare con effetti generali. Oggi non si può.
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<b>Il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori è il prezzo da pagare per essere competitivi?</b>
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I carichi di lavoro sono e devono restare una materia di competenza della contrattazione sindacale. La politica non deve interferire. Capirei che la Fiom dicesse: “Non siamo d’accordo perché non accettiamo il lavoro a ciclo continuo dal lunedì al sabato”. Sarebbe una valutazione opinabile, ma di sicura competenza
del sindacato. <br />
Quello che non mi sembra giusto è rifiutare pregiudizialmente l’accordo solo per le clausole sui picchi anomali di assenze e per la clausola di tregua: sono due clausole legittime e per molti aspetti opportune.
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<b>La pensione a 60 anni per le donne era un ingiusto privilegio?</b>
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No: era il risarcimento per gli stipendi più bassi e per il maggior carico di lavoro casalingo, ma l’Unione europea ci chiedeva ormai da 25 anni di voltar pagina rispetto a questo equilibrio sostanzialmente discriminatorio nei confronti delle donne. Invece che lamentarci, dovremmo approfittare di questa sollecitazione per dare un colpo di reni.
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<b>In che modo?</b>
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Per ogni euro risparmiato con l’equiparazione dell’età pensionabile, dobbiamo stanziarne quattro per i servizi alla famiglia e per detassare il reddito di lavoro femminile. Le donne fanno dei conti molto precisi sul se e quanto conviene loro andare a lavorare o restare a casa: 100 euro al mese di differenza potrebbero, per esempio, spostare una fascia del 10 per cento di donne dalla scelta del lavoro domestico a quella del lavoro di mercato. È un investimento pubblico che renderebbe molto.
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<b>Che cosa c’è di pericoloso nelle sue idee? Perché lei deve vivere sotto scorta?</b>
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Per chi desidera che i problemi non si risolvano, che le contraddizioni scoppino in cataclismi palingenetici
come la rivoluzione proletaria, creare canali di comunicazione e di accordo, fare funzionare delle moderne relazioni industriali è un pericolo. <br />
Il concetto stesso di relazioni industriali è l’esatto opposto di quello che i brigatisti rossi considerano il bene della società. Loro vogliono che i lavoratori prendano le armi contro i padroni.
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<b>È ancora questo il progetto?</b>
<p>
Progetto è una parola un po’ troppo nobile. È un’utopia, un mito rivoluzionario più ottocentesco che novecentesco. Se si guarda da dove vengono i brigatisti, otto su dieci vengono dal posto fisso e da famiglie
borghesi, non si può certo sostenere che siano espressione del disagio sociale, della crisi dei giovani.
<p>
<b>Nel 2003 lei scrisse una famosa lettera aperta ai terroristi, chiedendo di incontrarli e “guardarli negli occhi”. Le ha risposto qualcuno?</b>
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A parte quelli che mi manifestarono pubblicamente solidarietà, come Sergio Segio, ho avuto due contatti, ma sotto vincolo del segreto.
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<b>Questi contatti hanno confermato la sua idea che il confronto diretto tra le persone sia capace di disinnescare la minaccia della violenza?</b>
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Direi di sì. La maggior parte di loro rifugge dal contatto personale perché sanno che non riuscirebbero a mantenere il loro progetto di aggressione il giorno in cui incominciassero a guardare l’avversario negli occhi e a discutere con lui. Quando si discute con una persona non la si ammazza. <br />
Agli imputati del processo
che si è concluso nei giorni scorsi, accusati di avere preparato un’aggressione contro di me, l’ho chiesto fin dall’inizio. <br />
Ero pronto a rinunciare alla costituzione di parte civile nel processo contro di loro se avessero accettato di stringermi la mano e riconoscere il mio diritto di esistere, ma non hanno mai accettato neppure
questo. D’altra parte, il non costituirmi parte civile avrebbe significato acconsentire a una banalizzazione di quanto è accaduto.
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<b>Riesce a smettere di pensarci ogni tanto?</b>
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Oh certo, nella vita capitano tegole peggiori. <br />
E poi ho un dispositivo di protezione che mi consente di stare tranquillo. Non sono preoccupato. Non per me, almeno.
Ma in un Paese in cui chi discute dei problemi del lavoro dev’essere protetto, c’è qualcosa che non funziona.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pietroichino.it/?p=9225">pietroichino.it | gioia.it - Monica Ceci</a>Cesare DAMIANO: REDDITI: ISTAT;SCAJOLA VUOLE NASCONDERE REALTA’2010-01-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it475355Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/>Scajola vuole nascondere la realtà.’Il 4 gennaio, il ministro Scajola aveva rassicurato gli italiani affermando che ‘il potere di acquisto dei cittadini non e’ stato penalizzato dalla crisi e che anzi, in molti casi, e’ aumentato. Oggi l’Istat ci presenta invece un quadro molto diverso: secondo l’Istituto il potere d’acquisto delle famiglie e’ mediamente diminuito dell’1,6%. Occorre aggiungere che questa media nasconde, come sempre, le sue differenze: chi ha redditi bassi e’ maggiormente penalizzato perche’ i consumi di base valgono per tutti, indipendentemente dalla ricchezza; chi e’ in cassa integrazione o percepisce l’indennita’ di disoccupazione (e parliamo di ben piu’ di un milione di persone!) vede drasticamente ridotta la sua capacita’ di spesa. In questo caso stiamo parlando di oltre il 25% se consideriamo che un lavoratore con 1.200 euro netti mensili puo’ passare, con la cassa integrazione, a circa 800/900 euro. Le parole di Scajola, non dissimili da quelle soporifere di quasi tutti i suoi colleghi dimostrano che il Governo degli annunci e delle rassicurazioni ha colpito ancora, ma non e’ con dosi quotidiane di camomilla che si risolvono i problemi reali del paese. E’ l’ora che i ministri la smettano di nascondere la realta’. Il Pd ribadisce la necessita’ di diminuire la pressione fiscale sui redditi da lavoro e da pensione come una delle strade per la ripresa dei consumi e il superamento della crisi.
<br/>fonte: <a href="http://cesaredamiano.wordpress.com/2010/01/11/redditi-istatscajola-vuole-nascondere-realta/">http://cesaredamiano.wordpress.com</a>Renato BRUNETTA: «Il Pdl? Non è di centrodestra»2009-05-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391338Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro PA e innovazione (Partito: PdL) <br/><br/><br />
«Il Pdl è di centrodestra? Sbagliato. La maggioranza degli operai vota per noi. Siamo interclassisti, eredi del grande centrosinistra che cambiò l’Italia». Lo sostiene il ministro della Pubblica amministrazione e innovazione Renato Brunetta in un'intervista al settimanale Oggi in edicola da mercoledì (e online su www.oggi.it).
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Brunetta parla degli stipendi bassi, accusando anche le imprese («La colpa è dei governi di sinistra e Cgil che hanno voluto moderazione salariale, ma anche della miopia delle imprese, perché retribuzioni basse danno bassa produttività e competitività»), ma salva gli speculatori («Speculare non è una brutta parola. Viene dal latino e significa studiare e capire, per approfittare.<br />
La speculazione è una scienza che fa fruttare i talenti. I gestori dei fondi, che tutti adoravamo finché ci facevano guadagnare, lavorano moltissimo: si devono informare per investire nei settori giusti. Gli speculatori sono molto intelligenti e preparati. Solo i tardo-cristiani li disprezzavano»).
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Sulla crisi afferma: «Paradossalmente ha reso più ricchi trenta milioni di italiani: tutti i lavoratori dipendenti e pensionati con i redditi saliti automaticamente del quattro per cento, mentre l’inflazione è al due. Il loro potere d’acquisto, dunque, è aumentato».
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E assicura: «Cambieremo questo Welfare scassato, che costa tanto e protegge solo i pensionati, poco i giovani e pochissimo le famiglie».
<p><br/>fonte: <a href="http://www.corriere.it/politica/09_maggio_26/brunetta_oggi_pdl_centrodestra_8f83fb2a-4a10-11de-8785-00144f02aabc_print.html">Il Corriere.it</a>Giampaolo FOGLIARDI: Studi di settore: «Prorogare i termini per la dichiarazione dei redditi. Il Software non è ancora aggiornato»2009-05-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391282Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Impossibile compilare i nuovi studi di settore, commercialisti nel caos. L'Agenzia delle Entrate intervenga».
<p>L'on. Giampaolo Fogliardi (PD) è intervenuto oggi in Commissione Finanze alla Camera dei Deputati a nome del gruppo del Partito democratico per chiedere la proroga dei termini della presentazione delle dichiarazioni dei redditi dato il grande disagio causato dal mancato aggiornamento da parte dell'Agenzia delle Entrate del sistema informatico GERICO per la compilazione degli studi di settore che paralizza il lavoro di professionisti e intermediari (commercialisti).
<p>
«La situazione è insostenibile - tuona il deputato, Segretario della Commissione Finanze - dato che mancano i parametri per compilare le dichiarazioni dei redditi. Gli studi di settore sono stati aggiornati, ma non GERICO, il software che permette ai professionisti di operare. Di conseguenza non si riesce neppure a chiudere i bilanci delle società: i contribuenti non possono sapere quanto dovranno pagare!»
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«Continuano a contattarmi professionisti - prosegue Fogliardi - che non riescono a svolgere il proprio lavoro e si trovano in uno stato d'impasse. L'Agenzia delle Entrate deve metterli in condizione di lavorare»
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«Per questo - conclude Fogliardi - ho chiesto al presidente della Commissione, on. Conte, che venga immediatamente sollecitata l'Agenzia delle Entrate e che si valuti quanto tempo serve per aggiornare GERICO e sulla base di questo considerare l'ipotesi di una proroga dei termini per le dichiarazioni dei redditi. Il presidente si è impegnato a inviare urgentemente una comunicazione al direttore dell'Agenzia delle Entrate e al Ministro dell'Economia riguardo alla questione»
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=825">Uff. Stampa - Pd Veneto - Sito Ufficiale</a>Paolo GIARETTA: Rapporto OCSE. «Nuovo ciclo di sviluppo solo con salari più alti»2009-05-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391260Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Sono dati, quelli dell’OCSE, che confermano quanto il Partito Democratico sta dicendo da tempo e cioè che l’eccessiva disparità nella distribuzione dei redditi, in modo particolare la perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, è una questione centrale della politica economica. Non potrà mai esserci un nuovo ciclo di sviluppo se non cresce la quota di reddito disponibile delle fasce più deboli del Paese».
<p>
Lo afferma Paolo Giaretta, senatore e segretario regionale del Partito Democratico Veneto, commentando i dati del Rapporto OCSE 2008 sulla tassazione dei salari che piazza l’Italia al 23esimo posto (su 30) quanto a valore del salario medio annuo.
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«Il governo – rincara Giaretta - preferisce ignorare questo aspetto, ma è un gravissimo errore. I dati dell’OCSE confermano che l’Italia sta perdendo posizioni su tutti i parametri che qualificano la forza economica e sociale del Paese. Le proposte del PD sono sul tavolo e finora il Governo le ha ignorate, non riuscendo però a proporre niente di convincente. Basti un dato per tutti: per fronteggiare la crisi economica l’Italia ha fatto interventi per poco meno di 2,8 miliardi di euro, cioè lo 0,2% del PIL, vale a dire un decimo della media degli stanziamenti anticrisi dei maggiori Paesi. Negli aiuti alle famiglie lo sforzo maggiore lo ha fatto la Germania con 20 miliardi di mancate entrate per la riduzione delle aliquote fiscali, segue la Spagna con 14 miliardi.<br />
Sono dati del FMI, di sicuro non un covo di comunisti».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=823">Uff. Stampa - Partito Democratico Veneto</a>Fausto BERTINOTTI: La politica non si condanni all'inutilità2009-05-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391255<br />
Il Sole 24 Ore, chiedendosi se la crisi finanziaria "muterà in radice" oppure no il nostro mondo, apre un dibattito sul suo futuro. <br />
Guido Tabellini nel saggio d`apertura s`interroga sulle cause che hanno innescato la crisi e indaga le riforme considerate necessarie perché essa non si ripeta. <br />
Le tre questioni (le cause della crisi, la sua natura e il che fare per uscirne) sono effettivamente cruciali e interrogano non solo l`economia, ma direttamente la politica e le scienze umane.
<p> Il fatto che nell`apertura del dibattito Tabellini dia una risposta che tende a circoscrivere il campo d`azione della crisi e quindi delle reazioni da adottare per uscirne, non riduce la portata dei quesiti ai quali credo si possa (e si debba) dare risposte assai diverse da quelle prospettate. Questa crisi non è la manifestazione di un`ordinaria turbolenza quanto piuttosto un terremoto imprevisto dai governi e dai principali attori dell`economia e dalle conseguenze ancora largamente imprevedibili. La sua espansione nelle diverse sfere in cui è organizzata la società e la sua estensione nel mondo la rendono imparagonabile a tutte quelle che si sono succedute negli ultimi decenni.
<p> La crisi è sempre una transizione dolorosa da una condizione a un`altra da essa diversa e, quando si manifesta nell`economia, sempre ne propone un processo di riorganizzazione e di ristrutturazione. Ma la crisi del 2008 non ha nulla che faccia pensare solo a un avvallamento temporaneo terminato il quale si tornerà ai livelli previsti. Il suo carattere strutturale ha fatto sì che, esplosa nella dimensione finanziaria, essa ha immediatamente e direttamente investito, con un`imponente massa d`urto, l`economia e la società in tutte le sue articolazioni. Il suo carattere globale è stato messo in evidenza da come la crisi ha investito il mondo intero. <br />
Né si può trascurare che la crisi si manifesta, anche nei paesi a più alto tasso di sviluppo, all`interno di una coesione sociale già largamente compromessa. Su di essa irrompono orale conseguenze della crisi. <br />
La diffusione senza precedenti del lavoro precario compie un salto con la messa a rischio, per una parte rilevante della popolazione lavorativa, dello stesso posto di lavoro. Il contesto sociale e politico, del resto, ha visto assai indebolite tutte le difese sociali. In una strisciante crisi di civiltà, la perdita di futuro e lo smarrimento di senso fanno dell`incertezza il suo tratto più caratteristico. <br />
La paura prevale sulla speranza. La solidarietà sociale è spezzata dalla produzione di meccanismi d`esclusione e dalla crescita di un individualismo mercantilistico alimentato anche dall`eclissi della politica. Parlare in queste condizioni, alla stessa stregua, della crisi come rischio e come opportunità diventa tutt`altro che innocente. Per trasformare questa crisi in opportunità ci vorrebbero tante cose che oggi non ci sono, a partire dalla politica.<br />
La prima dovrebbe essere l`acquisizione della natura profonda, di società della crisi. <br />
Guido Rossi ha descrittivamente parlato di una crisi del capitalismo finanziario globalizzato.<br />
Si potrebbe sostenere che le cause della crisi sono le medesime che ne avevano determinato il successo: la finanziarizzazione pervasivi, l`unificazione di mercati non governati, la crescita delle disuguaglianze quale volano dello sviluppo. Lucio Caracciolo ha definito gli Usa un "impero a credito". La contraddizione, insita nella definizione, è diventata un potente fattore di crisi ma, prima, ha costituito la possibilità d`immettere, anche attraverso la spesa pubblica in disavanzo, nell`economia, potenti dosi dì denaro decisive per quella spinta all`innovazione tecnico-scientifica, alla sua applicazione e all`aumento della produttività. Senza la crescente finanziarizzazione dell`economia non ci sarebbe stata la rivoluzione digitale.
<p>La relazione che si è venuta realizzando tra le economie occidentali e la crescita imponente di quelle asiatiche, a partire dalla Cina, non avrebbe avutolo stesso svolgimento: uno svolgimento così imponente da configurare già nella crisi la transizione, uno spostamento del baricentro dello sviluppo a Oriente (la Cinamerica). <br />
Se verso l`esterno gli Usa hanno funzionato come un impero a credito, sul mercato interno hanno realizzato una soluzione del problema della domanda interna non meno gravida di contraddizioni, con lo stesso complice consenso delle altre aree economiche del mondo. Un brillante economista come Riccardo Bellofiore ha parlato, a questo proposito, della creazione d`una figura economico-sociale particolarmente rilevante a quel fine, quella del consumatore indebitato.
<p>Quando Ford progettò il modello T (l`annuncio della produzione di serie per il consumo di massa) considerò la necessità di alti salari. L`economia della globalizzazione ha preteso sistematicamente di farne ameno, sostituendoli con l`indebitamento privato. È impossibile non vederne il rapporto con la creazione della bolla e con l`esplodere della crisi finanziaria. La teoria di Minsky sull`instabilità si prende così una rivincita sull`oscuramento a cui è stata condannata e rivela la prevedibilità della crisi. <br />
È la conferma, la possibilità di prevederla analizzando il funzionamento di questa economia, che si tratta di una crisi sistemica. Invece non rappresenta ancora un`ammissione di questo stato di cose il fatto che sia in corso la rinuncia, di fatto, da parte delle principali economie occidentali di uno degli assunti fondamentali teorizzati nel ciclo del "turbocapitalismo": <br />
lo stato non è la soluzione dei problema, bensì il problema.<br />
<p> Lo stato viene potentemente richiamato in servizio, il mercato chiede soccorso alla politica. L`ordine di grandezza dell`intervento pubblico è sconvolgente. L`intervento dello stato configura delle nazionalizzazioni di fatto in gangli strategici delle economie. Eppure non è né un ritorno al keynesismo dei "30 anni gloriosi" né, tanto meno, la prefigurazione di un`uscita dalla crisi verso un modello economico e sociale diverso. Non basta lo spiazzamento, che c`è, sia delle culture neo-liberiste che di quelle "modernizzatrici". <br />
Vale la lezione di Bauman secondo cui il capitalismo crea problemi che non sa risolvere e per risolverli deve negare anche propri dichiarati fondamenti per uscire dalla contraddizione. La capacità d`innovarsi non viene certo meno nella crisi. Lo sarà anche in questa crisi così profonda, strutturale e drammatica. <br />
Ma in quale direzione? La discussione su quale modello economico vada perseguito è il centro reale della contesa in questa crisi. <br />
Se la politica non lo vede si condanna all`inutilità. <br />
Non c`è nulla d`astratto, di separato dai problemi concreti in questa consapevolezza. La spesa pubblica in disavanzo è una necessità, ma quel che incide della direzione di marcia è a cosa viene finalizzata, se o non si accompagna a una riqualificazione produttiva, aura conversione della produzione, dei servizi e della composizione dei consumi. L`intervento pubblico per salvare le banche e le imprese strategiche è una necessità, ma decide la sua natura la strada che intraprende, se cioè, contemporaneamente, si modificano o no gli assetti proprietari; se s`introducono o no forme inedite di democratizzazione dell`economia.
<p>Il rafforzamento e la generalizzazione degli ammortizzatori sociali vanno bene, ma decide della qualità dell`intervento pubblico su questo terreno il non lasciare mano libera sui licenziamenti, come una significativa redistribuzione a favore dei bassi redditi, come la restituzione ai lavoratori di un reale potere di contrattazione e di controllo sull`organizzazione del lavoro e sulle scelte dell`impresa. <br />
Ha ragione Delors quando parla contro l`arroganza del "brevitempismo". Riaprire, nella crisi, un discorso sulla programmazione e sullo spazio pubblico significherebbe mostrare di aver inteso la sfida della crisi, se è la crisi di un intero modello economico e sociale. L`Europa dovrebbe intenderlo prima e più di altri.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=LYVJ2">Il Sole 24 Ore - Fausto Bertinotti</a>Pietro ICHINO: Per un welfare più mirato al bisogno reale, più inclusivo e universale2009-04-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391078Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Dobbiamo smettere di pensare che welfare significhi soltanto pensione per gli anziani: il bisogno vero non coincide necessariamente con l'età avanzata.<br />
<br />
Nel 2008 lo Stato italiano ha destinato oltre 79 miliardi di euro per far fronte al fabbisogno dell’Inps, dei quali più di 40 per riequilibrare il bilancio del nostro sistema di previdenza pensionistica. È questo il modo migliore in cui interpretare il fondamentale debito di sicurezza dello Stato verso i suoi cittadini più deboli? Certamente no.
<p> Le situazioni di maggior debolezza e bisogno coincidono solo in parte con le situazioni nelle quali tipicamente vengono erogate dall’Inps le pensioni di anzianità e di vecchiaia (un discorso a parte andrebbe fatto per molte di quelle di invalidità). È davvero difficile sostenere che meritino un sostegno del reddito a carico della fiscalità generale i cinquantottenni o sessantenni in quanto tali, senza distinzione tra chi svolge un lavoro manuale o usurante e chi no; eppure, è anche per consentire a questi ultimi di andare in pensione precocemente che lo Stato versa quelle molte decine di miliardi ogni anno; col risultato, oltretutto, di contribuire a mantenere patologicamente basso il nostro tasso di occupazione nella fascia di età tra i 55 e i 65 anni.
<p>
Lo Stato stesso è invece inerte di fronte a situazioni nelle quali l’intervento pubblico a carico della fiscalità generale sarebbe giustificatissimo, anzi indispensabile: si pensi, per esempio, alle famiglie che devono dare assistenza continuativa a un proprio membro non autosufficiente, oppure alle situazioni di povertà infantile, che sono destinate a segnare in modo per lo più irreversibile il destino di centinaia di migliaia di futuri adulti. Su entrambi questi fronti si potrebbe fare fin d’ora moltissimo con le risorse che si otterrebbero mediante un aumento di uno o due anni dell’età del pensionamento di anzianità. In particolare, con 7 miliardi all’anno (meno di un decimo di quello che lo Stato spende oggi per far fronte al fabbisogno dell’Inps!) si potrebbe incominciare a imitare seriamente il sistema di assistenza domiciliare agli invalidi non autosufficienti di Paesi avanzati come la Svezia o la Norvegia, mettendo in moto un meccanismo di formazione e lavoro nel settore dell’assistenza che, a regime, darebbe lavoro a circa 100 mila persone, in prevalenza donne, e non necessariamente in forma di lavoro alle dipendenze di enti pubblici. Con lo stesso stanziamento si potrebbe attribuire a tutte le persone di età fino a 16 anni una sorta di primo “reddito di cittadinanza” fruibile in servizi di assistenza e istruzione. Non sarebbe questo un modo migliore di spendere il denaro pubblico oggi destinato al sistema del welfare?
<p>
Poi c’è il problema del sostegno del reddito di chi perde il posto di lavoro: oggi dei lavoratori dipendenti meno della metà gode di un trattamento di disoccupazione degno di questo nome. <br />
Qui, però, la questione non è soltanto – e neppure principalmente ‑ quella del reperimento delle risorse necessarie per il sostegno del reddito. Qualsiasi potenziamento di un trattamento di disoccupazione presenta il problema del suo possibile effetto, su chi lo riceve, di “addormentamento” dell’attività di ricerca della nuova occupazione.
<p>
“Universalizzare” il sostegno del reddito per il lavoratore dipendente che perde il lavoro è necessario, sia dal punto di vista della sicurezza sociale, sia da quello della stabilizzazione del ciclo economico: la sicurezza data al disoccupato significa, infatti, anche stabilità della domanda di beni e servizi alle famiglie nella congiuntura economica negativa. Ma una strategia credibile di generalizzazione del trattamento di disoccupazione deve saper coniugare il sostegno del reddito con servizi di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, che consentano un controllo efficace dell’attività di ricerca svolta dal lavoratore e della sua disponibilità effettiva per le occasioni che gli si presentano. Oggi nel nostro Paese il trattamento di disoccupazione è condizionato a questa disponibilità soltanto in linea teorica: in realtà i servizi pubblici nel mercato del lavoro non sono in grado di garantire l’effettività di questo carattere “condizionale” del trattamento. Si pone dunque la questione cruciale: come rendere davvero sostenibile l’“universalizzazione” del sostegno del reddito ai disoccupati, dando vita in tempi non geologici a un sistema di servizi nel mercato del lavoro davvero efficiente?
<p>
Una soluzione credibile di questo problema, in Italia oggi, non sembra poter passare attraverso un potenziamento dei servizi pubblici di collocamento e formazione professionale, che sono sottoposti alla competenza legislativa e amministrativa delle Regioni: dopo un quarto di secolo di discussioni e impegni in proposito, i risultati in questo campo sono troppo scarsi. Una soluzione credibile può passare, invece, attraverso una responsabilizzazione forte delle imprese su questo terreno. Si può pensare a una prima fase sperimentale, nella quale si consente alla contrattazione collettiva di attivare, nell’impresa o gruppo di imprese disponibili, un nuovo sistema di sicurezza di tipo nord-europeo: in cambio di una maggiore libertà nei licenziamenti per motivi economici e organizzativi, le imprese si impegnano ad assicurare ai dipendenti eventualmente licenziati, per mezzo di un apposito ente bilaterale o consortile, una forte garanzia di continuità del reddito e servizi efficienti di riqualificazione professionale e assistenza nella ricerca della nuova occupazione. Se il sistema di sostegno del reddito è interamente finanziato dalle stesse imprese, queste sono fortemente incentivate a porre in essere servizi di riqualificazione e collocamento efficienti, in modo che i periodi di disoccupazione ne risultino il più possibile ridotti. Dopo qualche anno di sperimentazione, questo nuovo assetto potrebbe essere generalizzato, obbligando tutte le imprese a consorziarsi per la costituzione degli enti bilaterali o consortili capaci di garantire a tutti i lavoratori sostegno del reddito e servizi ‑ necessariamente efficienti, proprio in conseguenza del sostegno del reddito – di assistenza nei processi di mobilità interaziendale.
<p>
In questa ottica appare evidente il nesso che corre tra universalizzazione del trattamento di disoccupazione e riforma della disciplina dei licenziamenti. La perdita del posto non costituisce più per il lavoratore una catastrofe economica, comportando perdita del reddito e dispersione di professionalità: nel nuovo sistema la continuità del reddito è garantita e il processo di aggiustamento industriale diventa un momento in cui si compie un cospicuo investimento sul capitale umano del lavoratore, al fine della sua migliore ricollocazione nel tessuto produttivo. Il lavoratore è “sicuro” che la soluzione occupazionale migliore non tarderà, anche perché sa che all’impresa un ritardo indebito costerebbe troppo.
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Questo, in estrema sintesi, è il progetto contenuto nel disegno di legge “per la transizione a un regime di flexsecurity”, presentato il 25 marzo scorso da 30 senatori: sostituire, per le nuove generazioni, al vecchio modello mediterraneo di sicurezza fondato sull’ingessatura del singolo rapporto di lavoro, un modello nord-europeo nel quale la sicurezza del lavoratore si fonda sulla garanzia di assistenza integrale nel mercato, quando i processi di aggiustamento del tessuto produttivo lo richiedono.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pietroichino.it/?p=2946">www.pietroichino.it</a>Dario FRANCESCHINI: Una tassa 'una tantum' sui redditi alti per aiutare i poveri e le famiglie in difficoltà2009-03-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390629Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Una tassa di circa 200 euro al mese per chi ne guadagna 10mila al mese. «Un contributo straordinario» solo per il 2009 di due punti percentuali sui redditi superiori ai 120.000 euro, cioè come quelli dei parlamentari, per finanziare 500 milioni da destinare al contrasto della povertà estrema. È questa la proposta del Pd annunciata dal segretario Dario Franceschini al termine di un incontro con le associazioni di volontariato che si occupano delle povertà. Franceschini ha detto che la proposta si tradurrà in un'iniziativa parlamentare.
<p>
Franceschini ha ascoltato una ventina di interventi di esponenti di associazioni di volontariato che hanno riferito della drammaticità della situazione della povertà che, hanno spiegato, va colpendo i ceti e le famiglie medie dopo l'esplosione della crisi economica. Nell'intervento conclusivo, il segretario del Pd ha nuovamente criticato il governo che «nega e nasconde la crisi», una linea, ha affermato, «poco onesta». Ha quindi spiegato la proposta dell'assegno di disoccupazione, pensato per impedire che chi non ha diritto agli ammortizzatori sociali «se perde il lavoro passi a uno stipendio zero, piombando nella povertà estrema».
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Franceschini ha quindi lanciato la sua nuova proposta: «Mettiamo nel 2009 500 milioni per il volontariato e i comuni per contrastare la povertà estrema, per chi non ha nulla. Per finanziare questa iniziativa possiamo introdurre un contributo straordinario di due punti sull'Irpef dei redditi alti, da quelli dei parlamentari in su, e cioè da 120.000 euro in su». «Chiediamo - ha aggiunto - a circa 150-200mila persone con redditi alti, compresi i parlamentari, di farsi carico di chi non ce la fa». Franceschini ha anche detto come indirizzare i 500 milioni: «Andrebbe rifinanziato il sostegno al Terzo settore previsto dalla legge quadro 328, nonché il Fondo sociale per i comuni che il governo ha tagliato di 300 milioni». Il leader Democratico si è detto «consapevole» del fatto che si tratti «di una risposta parziale, in attesa di una riforma strutturale». «Ma non possiamo dire alla gente 'in attesa delle riforme cavatevela da soli'».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.unita.it/news/82697/pd_una_tassa_una_tantum_sui_redditi_alti_per_aiutare_i_poveri_e_le_famiglie_in_difficolt#">l'Unità</a>Paolo GIARETTA: Fondo di solidarietà: «Necessario in questo momento di grande difficoltà delle famiglie»2009-03-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390627Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il fondo straordinario di 500 milioni di euro contro la crisi economica a sostegno delle fasce più deboli della popolazione, proposto ieri da Dario Franceschini, piace al Partito Democratico del Veneto, che ne sostiene l’idea.
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Il fondo verrebbe creato grazie ad un contributo straordinario (con l’innalzamento dell’aliquota Irpef dal 43% al 45% sullo scaglione di reddito più elevato per i redditi superiori ai 120 mila euro annui) chiesto ai cittadini italiani che hanno redditi annui superiori a 120 mila euro.
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«La proposta di Franceschini è legata alla situazione straordinaria di difficoltà in cui versano le famiglie dovuta alla crisi economica e alla sottovalutazione della medesima da parte del governo – commenta Paolo Giaretta, senatore e segretario del Partito Democratico veneto – Uno stato di difficoltà che per lungo tempo l’esecutivo ha ignorato e che accresce il disagio di una larga parte della popolazione italiana».
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Per far fronte alla crisi economica, secondo Giaretta, è necessario intervenire su due aspetti: «Da un lato, bisogna riqualificare la spesa pubblica, ridefinirne le priorità, eliminare gli sprechi e rifuggire dalla tentazione in cui questo governo è caduto spesso di distribuire le risorse dello Stato in modo clientelare - spiega il leader democratico – Dall’altro lato, va chiesto uno sforzo straordinario di solidarietà a chi ha di più a favore di chi ce non ce la fa, come giustamente ha proposto Dario Franceschini».
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<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=737">official web site - Partito Democratico Veneto</a>Donata GOTTARDI: Il punto sulle finanze pubbliche dell' Unione Europea2009-01-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388287Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: Gruppo socialista al Parlamento europeo) <br/><br/><br />
Ottimo il risultato ottenuto in aula sul rapporto Finanze pubbliche 2007 e 2008 di cui sono stata relatrice.
Un anno fa, in Commissione economica ho ottenuto di congiungere il rapporto tenendo conto dei due anni. I motivi erano almeno sostanzialmente questi: cercare di essere più tempestivi e tener conto dei segnali di cambiamento in atto. Non era ancora dato conoscere l’intensità del cambiamento, ma era già allora chiaro che analizzare insieme i due anni ci avrebbe consentito una analisi più completa e adeguata. Niente di più vero. Il rapporto che abbiamo votato è stato aggiornato costantemente. <br />
È evidente, infatti, lo strettissimo collegamento tra finanze pubbliche e crisi finanziaria ed economica. Basti pensare: alla destinazione di risorse per salvataggi (di banche e grandi imprese), al sostegno del sistema produttivo – tenendo conto della richiesta proveniente soprattutto dalle piccole e medie imprese – e alla protezione contro le ricadute negative della recessione per le cittadine e i cittadini. Tutti provvedimenti che sono all’attenzione delle istituzioni europee e dei singoli Paesi membri e che non dovrebbero però intaccare e indebolire le prospettive e il nostro impegno per le generazioni future.<br />
Il rapporto coinvolge almeno due piani: quello generale e stabile, a valere in ogni situazione, e quello della risposta urgente nei confronti della crisi.<br />
Rimane confermato, anzi rafforzato, il principio che finanze pubbliche di qualità e sostenibili sono indispensabili non solo per i singoli Paesi, ma per la tenuta dell’economia e del modello sociale europeo. <br />
Quanto alle entrate, occorre ampliare la base imponibile, senza indebolire il principio della progressività, e ridurre la pressione fiscale sul lavoro, soprattutto per i redditi medio-bassi e per le pensioni. <br />
Quanto alle spese, occorre valutare il contesto, le esigenze, la composizione della popolazione, con attenzione alle politiche di genere e ai cambiamenti demografici. Più che tagliare indiscriminatamente, occorre riqualificare la spesa, riallocare le poste di bilancio, ammodernare le amministrazioni pubbliche. <br />
Una utile metodologia è quella del gender budgeting, da tempo voluta e promossa dal Parlamento europeo, ma ancora lontana dal diventare di comune applicazione, pur consentendo di aumentare trasparenza, comparabilità, conoscibilità da parte della cittadinanza e, quindi, di incrementare fiducia e senso di responsabilità.<br />
L’instabilità, priva di precedenti, va affrontata con punti fermi. Se l’intervento del settore pubblico è (ri)diventato centrale ed essenziale, diventa indispensabile evitare di ripetere errori che sarebbero ancora più imperdonabili e piegare la crisi verso un nuovo modello di sviluppo, che sia davvero ambientalmente e socialmente sostenibile
Quando si parla di coordinamento a livello europeo, si deve pensare a vera e propria Governance, in funzione anticiclica e con impegni condivisi e unidirezionali, rafforzando la lotta all’evasione e ai paradisi fiscali, collegando i piani nazionali. <br />
In caso di interventi di sostegno alle imprese, vanno valutate le ricadute in relazione alla concorrenza, al funzionamento del mercato interno, al level-playing field, garantendo supervisione, accountability, limitazioni e comportamenti conseguenti.<br />
La revisione del Patto di stabilità e crescita consente una flessibilità controllata, da impiegare con attenzione e lungimiranza.<br />
Vanno rilanciate le politiche macreconomiche e di investimenti comuni, nei settori strategici e con strumenti quali gli Eurobond, con attenzione anche al livello sub-nazionale. <br />
Il rapporto ha ricevuto un ampio consenso già a partire dalla Commissione economica, dato il convergere della maggior parte dei gruppi politici su questa visione.
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<br/>fonte: <a href="http://www.delegazionepse.it/canali.asp?id=11543">web site - delegazione italiana PSE</a>Pier Luigi BERSANI: «Carroccio troppo incoerente, non potrà più raccontare favole al Nord» - INTERVISTA2009-01-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388247Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La Lega manda sotto il governo, ma la sua ambiguità è «insostenibile». Pierluigi Bersani, ministro ombra dell’Economia, avverte i leghisti: «Al Nord non potranno più raccontare favole».<br />
<b> Quel voto è un segnale preoccupante per il governo o una schermaglia di coalizione?</b><br />
«Io dico solo questo: non sarà consentito alla Lega di raccontare qualsiasi cosa al Nord, perché bisogna essere coerenti con le proprie decisioni. Va benissimo astenersi su un ordine del giorno, ma un ordine del giorno quanto vale? Nel decreto c’erano delle norme che la Lega ha votato e vanno a danno del Nord. Non si può mica aggirare questo punto. Invece di votare l’ordine del giorno, potevano votare l’emendamento che avevamo presentato. Invece di invocare a parole la liberalizzazione dei voli potevano votare le norme ad hoc che avevamo proposto: quella che liberalizza i voli Roma-Milano, quella che restituisce i poteri all’Antitrust. Io non faccio politicismi, bado al sodo. La Lega farà quel che vorrà. Se vuol stare con Berlusconi, starà con Berlusconi. Tenderei a richiamarla alla serietà del momento, tutto qui».<br />
<b> Bossi avrà le sue rivendicazioni...</b><br />
«Vedremo. Ogni giorno diciamo che siamo nel teatrino. Ognuno alza la sua bandierina, poi l’abbassa in cambio di qualcosa. Ma ripeto: la situazione è seria e la società non sopporterà questi balletti».<br />
<b> È un errore concedere la «franchigia» a Roma? È un comune che il centrosinistra ha governato per anni...</b><br />
«In tanti comuni abbiamo governato per anni. Il fatto è che tutta questa partita è cominciata con una falsità, dicendo che il centrosinistra lasciava Roma in dissesto senza precedenti. Non è affatto vero. Se andiamo a vedere il deficit pro capite, Roma non è in condizioni molto diverse ha quelle di altri grandi comuni, compresa Milano. Su questa leggenda si è imbastita una serie di normative "a favore", diciamo "ad personam", che suscitano ovviamente indignazione e disapprovazione da parte di tutti i comuni, di qualsiasi colore politico ed area geografica, che hanno gli stessi problemi. Anche questo è frutto del tempo in cui viviamo. Io dò una caramella a te, tu ne dai una a me, ma se sono regali sbagliati, gli errori si sommano, non si annullano».<br />
<b> Quanto deve dolersi il Nord di questa coalizione nordista?</b><br />
«Il Nord non ha portato a casa niente. Si ciancia di federalismo, che è un argomento serio, ma diventa una chiacchiera quando si limitano con norme di inedito centralismo le risorse locali. Questo governo ha cancellato l’unica imposta a carattere locale, l’Ici. Se ci aggiungiamo il caso Malpensa, il caso Expo, le scelte infrastrutturali, le condizioni di politica industriale per le piccole e medie imprese, è facile fare il bilancio. Anche al di là delle popolari sparate di Brunetta sul fannullonismo: che cos’è davvero migliorato nella pubblica amministrazione? Per il Nord è un bilancio di netta disillusione».<br />
<b> In teoria si dovrebbero aprire ampi spazi di manovra per il Pd...</b><br />
«In teoria sì, anche se la pratica è spesso diversa. Innanzitutto dobbiamo ripetere a noi stessi che nel Nord siamo una forza molto rilevante e poi combattere contro il modello di "assistenzialismo del Nord" di cui la Lega si è fatta interprete. Mi riferisco a quest’idea per cui "ogni cosa è buona purché arrivi qualcosa al Nord" e poi al Nord non arriva niente. Noi siamo quelli del lavoro, dell’economia reale, della piccola impresa. Del Nord fa parte a pieno titolo una Regione come l’Emilia-Romagna, che agli stessi problemi e le stesse tensioni delle altre. Noi non dobbiamo negare l’esigenza di rappresentare il Nord, ma inserire questa rappresentanza nel quadro nazionale e lasciare che siano i territori ad esprimere la classe dirigente».<br />
<b> Un giudizio in sintesi sul decreto anticrisi?</b><br />
«Tra il vacuo ottimismo del presidente del Consiglio e il fatalismo immaginifico del ministro dell’Economia, noi siamo fermi. Non c’è nessuna misura davvero significativa contro questa crisi. Noi del Pd abbiamo proposto non la rivoluzione, ma una manovra da un punto di pil, detrazioni per i redditi medio-bassi, ammortizzatori sociali rafforzati, accelerazione degli investimenti a partire da progetti locali subito cantierabili e accelerazione dei pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione».<br />
<b> Il governo interverrà ancora?</b><br />
«Guardi, avremo un decreto al mese. L’aver fatto "in modo nuovo" la finanziaria costringerà il governo a stare sempre sul pezzo, con continui aggiustamenti, anche minimi. Nessuno rimpiange riti del passato, ma non mi si dica che questa è la strada giusta».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KGWKH">Il Gazzettino - Andrea Bianchi</a>Pietro ICHINO: «Fatale sottovalutare. Vanno detassati i redditi bassi» - INTERVISTA2009-01-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383327Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Pietro Ichino, professore di diritto del lavoro nell’Università di Milano, senatore del Pd, condivide in pieno l’allarme lanciato sia dal Presidente della Repubblica che dal Papa, sulla lotta alla povertà in aumento: «È in gioco la coesione dell’intero sistema. Oltre un certo limite, nessuna vera democrazia può tollerare l’assottigliamento del ceto medio e l’aumento della parte della cittadinanza che cade in condizioni di grave bisogno. Un fenomeno che con la crisi economica ha assunto dimensioni davvero preoccupanti. Al punto che dovrebbero incominciare a occuparsene seriamente non solo le forze politiche di sinistra, ma anche quelle di destra, là dove sono al governo».<br />
<b> Crede che il 2009 possa essere l’anno della svolta per il dialogo tra maggioranza e opposizione, come auspica il Capo dello Stato?</b><br />
«A me sembra che, in realtà, tra maggioranza e opposizione si siano già creati spazi di confronto utile in questi primi otto mesi della legislatura, anche se ancora insufficienti».<br />
<b> Quali?</b><br />
«Il governo ha accolto molte idee e proposte del Pd sia nel disegno di legge sulla valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche sia nel decreto sulla scuola. Lo stesso non è accaduto, invece, per le politiche del lavoro: è qui che il 2009 potrebbe portare novità importanti. Finora il governo si è mosso nella direzione opposta a quella necessaria».<br />
<b> Cosa occorre, secondo lei?</b><br />
«La detassazione drastica dei redditi di lavoro fino a 1000 euro al mese, la detassazione aggiuntiva del reddito di lavoro femminile, e misure incisive per il superamento dell’apartheid tra lavoratori protetti e non protetti».<br />
<b> È possibile, con la riforma degli ammortizzatori sociali, estendere le tutele occupazionali ai precari senza compromettere i conti pubblici?</b><br />
«Il progetto per il superamento del dualismo del mercato del lavoro e la transizione al sistema della flexsecurity, a cui sto lavorando con alcuni colleghi parlamentari, non prevede l’esborso di un solo euro a carico dello Stato. Per i dettagli, rinvio al mio sito: www.pietroichino.it.»<br />
<b> Il Papa invita a non fare ”rattoppi” e chiede una revisione radicale del "modello dominante di sviluppo". Non è un’utopia ritenere che la crisi economica possa essere l’occasione per combattere le disuguaglianze sociali?</b><br />
«No: il New Deal americano nacque proprio dalla grande depressione dei primi anni ’30. Il welfare britannico nacque dalle rovine della guerra. E poi, la recessione si combatte soprattutto con forti misure di sostegno del reddito di coloro che dalla crisi sono più colpiti».<br />
<br/>fonte: <a href="http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20090102&ediz=NAZIONALE&npag=5&file=obj_158.xml&type=STANDARD">Il Mattino - Giusy Franzese</a>Paolo GIARETTA: Boccio il decreto anticrisi del governo2008-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382622Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Alcuni dei provvedimenti contenuti nel decreto anticrisi vanno della direzione giusta, ma il quadro complessivo della manovra non è adeguato alla gravità della crisi». Il segretario regionale Paolo Giaretta boccia il piano anticrisi varato dal governo, e lo fa nell’ambito di un convegno organizzato dalle associazioni dell’Artigianato Polesano, oggi pomeriggio a Rovigo.
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Tra i provvedimenti a favore delle imprese promossi da Giaretta, c’è il rafforzamento del sistema dei confidi e il finanziamento delle attività di ricerca e innovazione, peraltro misure raccomandate dal Partito Democratico nella sua proposta economica presentata di recente.
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Tuttavia, vista la portata della crisi in atto, il decreto del governo risulta insufficiente a sostenere i redditi delle famiglie italiane e la capacità di investimento delle imprese. «C’è bisogno di un intervento più robusto sia a favore delle famiglie che delle imprese– ha dichiarato il senatore democratico di fronte alla platea degli artigiani polesani – Gli interventi una tantum, come il bonus previsto per le famiglie, non incidono in modo strutturale sui loro redditi. Si è inoltre persa l’occasione per mettere in campo una riforma generale del sistema degli ammortizzatori sociali».
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Misure poco incisive, dunque, accompagnate da molti spot. «Si annuncia il blocco delle tariffe – ha esemplificato il leader del PD veneto – in un momento in cui le tariffe stanno già diminuendo per le dinamiche del mercato: pura propaganda».
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Errori di oggi, che si sommano a quelli fatti nel passato, in quella Finanziaria che «Tremonti continua a difendere in modo ideologico, pur essendoci spazio per manovre diverse». «Oggi paghiamo gli errori fatti, come il taglio dell’Ici sulla prima casa, che ha tolto risorse ai Comuni senza incidere in modo significativo sui redditi degli italiani, sia delle famiglie meno abbienti, per le quali l’esenzione era già prevista, sia di quelle più abbienti – ha spiegato ancora Giaretta – E paghiamo gli enormi tagli fatti alle Autonomie Locali, che sopportano i 3/4 della spesa per investimenti».
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Per il PD veneto occorre invece sostenere maggiormente i Comuni, modificando le attuali norme del patto di stabilità che mette dei vincoli pesanti alla spesa per investimenti.
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<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=547">official web site - Pd Veneto</a>