Openpolis - Argomento: bipartitismohttps://www.openpolis.it/2009-11-25T00:00:00ZMarco PANNELLA: «I guasti di oggi, aggravati da Berlusconi, nascono sessant'anni fa. La Partitocrazia Porcellum» - INTERVISTA2009-11-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it446552<br />
Che rapporto c`è fra la legge elettorale, la funzionalità e la stabilità dei governi? Perché il bipartitismo in Italia non si è affermato in passato e non si afferma nemmeno ora? Perché le classi dirigenti attuali sono in larga parte di qualità scadente? Sono questi, davanti alla instabilità e divisione dei governi, gli interrogativi che oggi si pongono.
<p>Ne parliamo con Marco Pannella, da sempre sostenitore del bipartitismo. E che nella sua lunga vita politica ha avuto particolare attenzione per il funzionamento delle istituzioni.
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<b>Pannella, il governo Berlusconi, dopo poco più di un anno di vita, è paralizzato da uno scontro interno ormai quotidiano, pur avendo una maggioranza faraonica. Il governo Prodi ce l`aveva risicata ed era altrettanto e forse ancor più diviso. Da che dipende la maledizione della paralisi precoce?</b>
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Perché il sessantennio partitocratico antifascista si sta rivelando peggiore - se possibile - del ventennio partitocratico fascista. Siamo ormai in uno Stato in pieno disfacimento perché a onor del vero la cosiddetta Prima Repubblica - quella più antifascista dell`attuale - distrusse da subito il patto costituzionale e il Berlusconi adesso va in folle su un`autostrada in discesa. E come tutte le persone capaci davvero, ma davvero di tutto, sta per andare a sbattere. Noi - ed è questo il guaio peggiore - cerchiamo di evitare inutilmente che a sbattere ci vada tutto il paese. Ma, lo ripeto, sembra tutto inutile.
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<b>La legge elettorale c`entra qualcosa nel creare le condizioni di questa pericolosa deriva? <br />
O nell`enfatizzarne le conseguenze?</b>
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Lo Stato è antiliberale, quindi è il sistema tutto intero, non la sola legge elettorale, a causare questo sfascio. È un sistema senza regole che infatti cambiano in continuazione con il risultato di annullarle. San Benedetto intendo il laico Croce e non altri ai quali si potrebbe erroneamente pensare diceva: l`Italia è un paese che non avendo conosciuto la riforma non fa che produrre continuamente controriforme. Aveva ragione!
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<b>Pannella, lei è un convinto sostenitore del bipartitismo, ma in Italia sembra del tutto irrealizzabile?</b>
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Perché la partitocrazia non può tollerare il sistema anglosassone. In cento anni abbiamo assistito - fatta eccezione per una parentesi di una decina d`anni - a una cultura anti liberale, anti illuminista: tutte cose queste ultime che non ama il papa tedesco.
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Ma che c`entra il Papa?</b>
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Beh, non si può dimenticare che i Papi da Avignone sono tornati qui. E qui stanno. Noi credevamo di esserci salvati col Risorgimento, ma non è bastato. Il potere simoniaco in Italia è proprio sia di Cesare sia dello Stato vaticano. Questo paese si può salvare solo con la riforma Radicale che noi proponiamo.
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<b>Siamo andati molto lontani dall`argomento iniziale - abbiamo parlato di Benedetto Croce e di Papi - ma torniamo a ragionare dei problemi di più stringente attualità. Non ritiene che questa legge elettorale con premio di maggioranza e parlamentari completamente sganciati dall`elettorato nominati e non eletti abbia notevoli responsabilità nell`enfatizzare la crisi politica, le risse e le divisioni interne alla maggioranza?</b>
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Sì, questa - il Porcellum per intenderci - è una piccola controriforma elettorale che era stata preceduta da un`altra controriforma. In realtà nel 1993 il referendum, con una straordinaria maggioranza, aveva deciso il passaggio al sistema anglosassone. Subito dopo si fece il Mattarellum con un Parlamento e con una Corte Costituzionale che sono sempre più l`espressione della mafiosità partitocratica del nostro paese. Insomma il Porcellum fa schifo, ma non è la prima volta che si fa una controriforma che ha contraddetto la volontà dei cittadini, volontà liberalmente espressa in un referendum.
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<b>Lei continua a prendersela con tutto e tutti, ma che cosa si può fare per risolvere questa situazione? Per rimettere in moto la politica e rendere governabile questo paese?</b>
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Il nostro obiettivo, quello dei radicali, intendo, è chiaro: attraverso un`alternativa radicalmente non violenta e radicalmente estranea alla partitocrazia e alla cosiddetta cultura che ha elaborato durante oltre sessant`anni, vogliamo mandare in pensione questa classe dirigente che ormai è ridotta come vediamo. È uno spettacolo che passa tutti i giorni sotto i nostri occhi. Non c`è via di mezzo: per salvare il paese questi se ne devono andare in pensione.
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<b>Mi vuol descrivere più in dettaglio le caratteristiche di questa classe dirigente che lei vuol liquidare in blocco. Perché merita un pensionamento generalizzato?</b>
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Perché questa è una classe dirigente che non ha regole. Non le sopporta perché non riesce a rispettarle. La sua infatti è una cultura di potere e non di governo. Questa classe dirigente è il risultato della confluenza di tre culture carsiche, che hanno attraversato la storia d`Italia: quella fascista, quella clericale e quella comunista. Il nostro paese dopo il disastro ideologico, è arrivato anche al disastro idrogeologico: siamo ora sommersi da questo regime. Glielo ripeto, non c`è altra via d`uscita, occorre pensionare questa classe dirigente, altrimenti non ne usciamo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.radicali.it/view.php?id=149658">Liberal - Gabriella Mecucci</a>Massimo D'ALEMA: «Mi sento umiliato nel leggere la stampa estera» [Link: Le Monde]2009-07-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391796Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Umiliato nel leggere la stampa straniera, convinto che la sconfitta dei Democratici non sia dovuta a complotti, sicuro che il Pd vada liberato dal modello di leaderismo plebiscitario, persuaso che molti ingredienti del ciclo di liberismo antipolitico sfiorano le porte del nazismo, sicuro che siamo al declino del berlusconismo.
<p> Così Massimo D'Alema (Pd), nel suo intervento al convegno "Dopo la seconda Repubblica. Per un'alternativa di sistema politico", promosso da Centro di riforma dello Stato.
<p>«La vicenda di Berlusconi, che da noi viene occultata – ha detto D'Alema - si presenta sulla scena internazionale come un fattore, una metafora della decadenza del nostro paese.
<p>La lettura della stampa libera, come quella che si produce al di fuori dei confini del nostro paese, in me ha prodotto questa sensazione: all'inizio mi dava soddisfazione, oramai sento un sentimento di umiliazione».
<p> D'Alema ha sottolineato che se «oggi si legge il commento della seconda pagina di <a href="http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/07/g8-berlusconi-screditato_PRN.shtml"><b>Le Monde</b></a> (è un Berlusconi «screditato» sulla scena internazionale che si prepara a ospitare il G-8, n.d.r.), come cittadino italiano si sente umiliato, perché ha la percezione del dato vero che si ha di questo paese: un paese che appare ormai drammaticamente ridimensionato».
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Una fase estrema del berlusconismo, poi il declino.<br />
«Oggi ci troviamo in una fase estrema del berlusconismo. Estrema come massima espressione del suo potere personale, ma anche del suo declino». D'Alema sottolinea che «é difficile immaginare come lineare questo passaggio». E proprio per questo, «ho detto che avverrà non senza delle scosse, ma non é che annunciavo chissà quali eventi, la mia era soltanto analisi politica».
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Ci sono ingredienti simili a quelli che si registravano alle porte del nazismo. «Questo ciclo di liberismo antipolitico sta finendo, ma la fine dell'egemonia liberista non vuol dire la fine dell'antipolitica. La fine di questo ciclo sfocia a sinistra negli Usa, mentre in Europa sembra prevalere una nuova destra nazionalista e populista. Ci ricorda la grande crisi degli anni Trenta, quando c'era il New Deal dall'altra parte dell'oceano e in Europa cresceva l'antisemitismo, il nazionalismo... Non voglio dire che siamo alle porte del nazismo, ma molti ingredienti sono simili».
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La sconfitta del Pd non è dovuta a complotti. Pensare che la sconfitta del Pd sia dovuta
«ad apparati cattivi» e «complotti e barbarie interne» non porterà nulla di buono al Partito democratico. Secondo D'Alema i pericoli del partito che hanno portato «alla rapida successione delle rovinose sconfitte dell'ultimo anno e mezzo» sono «leaderismo e plebiscitarismo» ma «senza fare un'analisi seria» finisce che le sconfitte vengono interpretate «come frutto di un complotto interno, della barbarie interna, degli apparati: così il confronto si avvelena».
<p> Per D'Alema è necessario prendere atto «della lezione della storia, del fatto che il Pd non ha raggiunto il 40% di cui parlava Scalfari perchè se il ragionamento è che non abbiamo vinto le elezioni a causa degli apparati cattivi che hanno complottato contro lungo questa strada, si finisce male».
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Il Pd va liberato dal modello di leaderismo plebiscitario.<br />
«Spero che rinasca come partito anche dandosi delle regole da partito». D'Alema ha criticato l'impianto costitutivo del Pd che «tradisce un impianto anti-politico» e leaderistico.<br />
Ha detto che si deve andare verso un congresso fondativo «che liberi questo partito che è stato progettato su un modello di leaderismo plebiscitario».<br />
Dice di non credere nel bipartitismo. «Non credo nel bipartitismo, non perché sia un male in sé, ma perché non c'è nella realtà italiana. I partiti sono il frutto della storia, non li si può imporre per legge».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/07/dalema-pd-leaderismo-plebiscitario-nazismo_PRN.shtml">Il Sole 24 Ore</a>Emma BONINO: "Rinviare il referendum è una proposta eversiva"2009-04-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390973Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato <br/><br/><br />
"Da Radicali sosteniamo - e documenteremo con ancora più precisione nei prossimi giorni - che in Italia è in vigore (e non da oggi!) un regime per il quale, da destra a sinistra, l'illegalità e la negazione di leggi, obblighi e scadenze costituzionali, sono diventati pratica quotidiana per tutta la classe politica. Tutto, ma proprio tutto, viene piegato e subordinato alle convenienze tattiche di un'oligarchia autoreferenziale, sicché pare passare per "normale" proposta l'idea, letteralmente eversiva, che si possa rinviare il referendum di un anno solo perché "oggi" sarebbe scomodo sia per la destra che per la sinistra. In questo modo si calpestano la Costituzione, le leggi, i diritti dei cittadini, del comitato promotore e dei firmatari! E' "eccessivo" chiamarlo golpe?
<p> Se qualcuno tra qualche anno decidesse di rinviare le elezioni politiche perché scomode, o in quel momento inopportune, posso chiedere a D'Alema, Ferrero, Berlusconi e quant'altri come lo definirebbero? <br />
Sono una convinta sostenitrice del "NO" a questi referendum, perché credo ad un bipartitismo anglosassone fondato sul rapporto tra eletti e territorio e non sulle nomine dei capipartito, ma è inaccettabile che l'imbarazzo politico manovriero di alcuni, possa trasformarsi nella negazione dei diritti costituzionali di tutti. Niente di nuovo ahimè, ma, se ancora possibile, sempre peggio...".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.libertaegiustizia.it/primopiano/pp_leggi_articolo.php?id=2631&id_titoli_primo_piano=1">Libertà e Giustizia.it</a>Pier Ferdinando CASINI: «Ci candidiamo a governare. L'illusione bipartitica cadrà e noi ci saremo»2009-04-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390903Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) <br/><br/><br />
Assemblea nazionale dell'Udc: «Non svendiamo la nostra identità»<br />
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ROMA - Un partito della nazione che «non aspira unicamente a essere l'ago della bilancia della politica italiana» ma ha un programma «più impegnativo, un partito della nazione che verrà costruito con pazienza, equilibrio e responsabilità»: è l'obiettivo a cui punta l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Il leader centrista ha parlato all'assemblea nazionale del suo partito rivendicando con orgoglio il ruolo della sua formazione.
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«NON CI SVENDIAMO» - «Costruiremo un partito che si propone di governare quando si saranno spenti i fuochi fatui della propaganda e della demagogia. Quando la suggestione sarà finita noi ci saremo. Non dobbiamo avere paura - ha proseguito -, non dobbiamo avere fretta ma soprattutto non dobbiamo consentire a nessuno di svendere la nostra prospettiva per mettere il proprio sedere su qualche assessorato. È una cosa che non possiamo consentire a nessuno». Secondo Casini, «l'illusione bipartitica cadrà fin dalle prossime elezioni europee, noi siamo l'alternativa, quella vera e siamo pronti a concorrere al governo del Paese, ma non chiedeteci con chi stiamo perchè se facessimo una scelta di campo ora saremmo solo e semplicemente in contraddizione con noi stessi. È un passaggio difficile ma non smarriamo la bussola per non giocarci la nostra credibilità».
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PATTO GENERAZIONALE - Il leader dell'Udc ha poi insistito sulla necessità di costruire una politica nuova sulla quale invita i centristi a rischiare: «Costruire una politica nuova che non ricalchi vecchi pregiudizi ideologici della sinistra e proponga una ricetta di modernizzazione dell'Italia. Rifiutare il populismo e la demagogia, così come una certa deriva individualista e libertaria è il compito di chi pensa all'Italia e agli italiani indicando una meta, un grande disegno come quello dei padri che hanno costruito il nostro Paese». Casini propone quindi a giovani ed anziani un patto generazionale: «Prendiamoci per mano con un nuovo patto di solidarietà tra le generazioni perchè cambiare non è una possibilità ma un dovere per tutti. Siamo consci che le forze che puntano alla modernizzazione e al cambiamento sono una minoranza ma aiutateci a costruire una nuova casa, la casa degli italiani».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.corriere.it/politica/09_aprile_04/casini_patto_generazionale_udc_alternativa_bipartitismo_c1651ca0-2139-11de-94b6-00144f02aabc_print.html">Corriere della Sera.it</a>Pier Ferdinando CASINI: Pdl. «Il progetto non c’è, nasce e finisce con Berlusconi»2009-03-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390550Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) <br/><br/><br />
In Italia c'è stato il disegno di passare al bipartitismo e il "gravissimo errore" di Walter Veltroni è stato proprio quello di "assecondare Silvio Berlusconi" in questo progetto. Anche perché, la "differenza di voti è talmente forte" che avremmo "un monocolore berlusconiano sempre, fin quando Berlusconi è in campo".
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Ne è convinto il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini che spiega: "Il Pdl ha un inizio e una fine che si chiama Silvio Berlusconi. Questa è una constatazione oggettiva".
"La sua -insiste- è una leadership straordinaria, lui è il Pdl: il progetto non esiste, è imperniato solo su Berlusconi. E' un allargamento di Fi, anche se questo irrita An".
Il leader dell'Udc riafferma quindi la posizione alternativa del suo partito: "Io credo ai partiti e non ad un bipartitismo fondato sulla finzione di essi".
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"L'Udc - sottolinea- non può tradire il mandato dei propri elettori con i quali ha stretto un patto di fedeltà. Siamo collocati al centro e alternativi sia al Pd che al Pdl. Non possiamo quindi cambiare le carte in tavola. E continueremo così".
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Quanto allo "pseudo ricatto" di Ignazio La Russa (che ha ammonito i centristi sul fatto che "la politica dei due forni non paga") Casini lo respinge al mittente: "La Russa non è in condizione di dare nessun ultimatum all'Udc", sottolinea, osservando che "la politica dei due forni è la politica di chi cerca di lucrare dei posti dalle divisioni, ma la scelta di andare da soli ci fa perdere posti, non guadagnare. Forse La Russa si riferisce a qualcuno dei suoi alleati di oggi, a qualcuno del Pdl, quando parla di politica dei due forni".
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"Noi - ribadisce l'ex presidente della Camera- abbiamo un patto di fedeltà che ci lega ai nostri elettori, siamo andati al centro, alternativi al Pd ma anche a Berlusconi. Noi siamo fuori dal potere ma ci rimaniamo, e continueremo così sennò saremmo degli opportunisti della politica".
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Certo, precisa, "non abbiamo fatto voto di castità: nelle periferie dove si registrano novità positive, come a Trento, cerchiamo di appoggiarle. Se si alleano con noi in qualche parte in periferia non è per fare un favore a noi, ma per farlo a loro".
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<br/>fonte: <a href="http://www.liberal.it/colonnasinistra/casini_2009-03-05.aspx?altTemplate=Stampa">Liberal</a>Ignazio LA RUSSA: «L'UDC? O con noi o contro di noi» - INTERVISTA2009-03-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390549Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro Difesa (Partito: PdL) <br/><br/><br />
«Casini si faccia bene i suoi conti perché la politica dei due forni non paga. E tanto per essere chiari: se l`Udc dovesse appoggiare Renzi, il candidato del Pd a sindaco di Firenze, per noi sarebbe impraticabile qualunque altro tipo di accordo». Ignazio La Russa non ha bisogno di parafrasi. Il messaggio che il reggente di An, 6i anni, nonché ministro della Difesa e probabile triumviro del nascente Popolo della libertà invia ai centristi è chiarissimo. La doppia sfida elettorale di giugno - europee e amministrative - è aperta e i due poli guardano con interesse i movimenti al centro. «Anche sulla decisione della Lega di presentarsi in tutto il Paese bisognerà discutere». Anche perché il Pdl, oltre a guardarsi dagli avversari, deve tenere a bada gli alleati. La decisione della Lega di schierarsi su tutto il territorio nazionale è un segnale preoccupante per il partito di Silvio Berlusconi:<br />
«Non ne abbiamo ancora parlato ma è chiaro che se la Lega persiste in questa scelta se ne dovrà discutere», anticipa La Russa.<br />
<b>Casini rivendica la sua scelta terzopolista: sostiene il candidato del centro-sinistra Dellai a Trento, va da solo in Abruzzo e si allea con voi in Sardegna e a giugno...</b><br />
Io non discuto le scelte dell`Udc. Mi limito a osservare che il nostro approccio con gli elettori è diverso. Noi puntiamo sulla trasparenza, l`elettore deve poter votare conoscendo quali sono le conseguenze della sua scelta: il leader, la coalizione, il programma. L`Udc la pensa diversamente e per questo sostiene sistemi elettorali proporzionali come quello tedesco che consentono ai partiti di decidere a posteriori. È una differenza sostanziale, direi etica.<br />
<b>Una scelta che però non vi ha impedito di allearvi con Casini in molte realtà periferiche.</b><br />
Noi siamo sempre disponibili al confronto, apprezziamo che spesso l`Udc si trovi a dover riconoscere sul merito una convergenza con il centro-destra, come dimostrano i voti in Parlamento.
Quel che però per noi non è accettabile è la politica dei due forni, ovvero l`Udc non può pensare di moltiplicare le sue posizioni al governo degli enti locali alleandosi a Firenze con il Pd e il Lombardia con il Pdl. Su questo saremo intransigenti perché, se agissimo diversamente, a non capirci sarebbero per primi i nostri elettori.<br />
<b>
Non crede però che la resistenza di Casini, la crisi del Pd e la scelta della Lega di far proseliti anche al Centro-Sud siano una seria minaccia al bipartitismo?</b><br />
Non abbiamo mai pensato a un bipartitismo perfetto. Tant`è che abbiamo fatto una coalizione con partiti di espressione territoriale quali la Lega e l`Mpa. È vero che la decisione della Lega pone seri interrogativi qualora non fosse limitata alle europee, che sono da sempre un test particolare.<br />
Non si capirebbe più perché si permetterebbe al Carroccio di schierarsi con il suo simbolo all`interno di una coalizione ponendo invece il veto all`Udc piuttosto che ai socialisti, ai repubblicani o alla Destra di Storace.<br />
<b>Il referendum elettorale potrebbe essere la soluzione? An in passato è stata tra i maggiori sponsor.</b><br />
E personalmente ritengo che vada sostenuto. Ma la spinta referendaria i suoi effetti li ha già prodotti con il voto dell`aprile scorso ora, obiettivamente, la sua utilità è diminuita. Quel che invece è certo è che ritengo sbagliato sovrapporre le europee al voto referendario, per cui le due scadenze elettorali saranno distinte.<br />
<b>Tra due settimane ci sarà il congresso di An e il 27 quello del Pdl: lei e Verdini (il coordinatore di Fi) dite che i nodi sono tutti risolti, ma allora perché Alemanno chiede il voto segreto sull`elezione di Berlusconi e ancora non si sa se i coordinatori saranno uno, due oppure tre?</b><br />
Certamente non ci sarà un coordinatore unico, su questo la bozza di statuto è chiara: si parla di due oppure tre. È ovvio che, se Fini non fosse presidente della Camera, sarebbe stato diverso e perciò non è da escludere un cambiamento dello statuto nei prossimi anni. Quanto ad Alemanno, era solo un`ipotesi di scuola. Quella parte dello statuto l`ho scritta io ed è chiarissima:
il leader sarà eletto, non proclamato, per alzata di mano.<br />
<b>In Sardegna i candidati di An sono andati bene. C`è chi parla di una gara interna al Pdl in vista delle prossime scadenze elettorali...</b><br />
La nostra gara non è su quanti candidati di An ci siano rispetto a quelli di Fi, ma quante posizioni abbiamo mantenuto e migliorato aumentando il consenso di tutto il Pdl. E un concetto che, non lo nego, ho fatto fatica a far comprendere agli amici di Fi. Per rendere forte il Pdl dobbiamo essere in grado di portarci dentro tutta An e questo si realizza trasferendo all`interno del nuovo partito la nostra identità di destra e anche la nostra classe dirigente.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KYZI1">Il Sole 24 Ore - Barbara Fiammeri</a>Domenico FISICHELLA: Pdl. «An sta negoziando la resa. Potrà solo accontentarsi di carichi e incarichi» - INTERVISTA2009-03-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390548<br />
«Sarà un'annessione, e l'ingresso nel Ppe non basta a dargli un'identità. Si parla solo di quote e di statuti. Ma il modello resta Forza Italia. E a comandare sarà solo Berlusconi»<br />
<br />
«È solo un`annessione». Domenico Fisichella, politologo e ideologo della svolta di Fiuggi parla della nascita del Pdl.<br />
<b>Il Pdl è la tappa conclusiva di Fiuggi?</b><br />
No. An si proponeva di creare una convergenza di forze politiche in un quadro che rimaneva essenzialmente bipolare e multipartitico.
La prospettiva era costruire una destra nazionale, moderna, liberale. Certo alleata di Forza Italia ma con un suo profilo.<br />
<b>E poi?</b><br />
Chiamiamola una deviazione di percorso. Il Pdl nasce su una prospettiva bipartitica che è una forzatura per l`Italia. Aggiungo che in Europa non ci sono sistemi bipartitici, tranne il caso inglese con tutte le sue specificità.<br />
<b>Che succede col bipartitismo?</b> <br />
Quando si semplifica troppo c`è un rischio: il Pdl può vincere sul Pd e viceversa, ma il livello dell`astensionismo potrebbe far sì che nessuno dei due vinca nell`elettorato.<br />
<b>Come giudica il Pdl?</b><br />
È una fusione per incorporazione.
O un`annessione, per dirla in termini giornalistici: il più grosso ingloba il più piccolo. É un processo che mi preoccupa.<br />
<b>Perché?</b><br />
Forza Italia è un mondo variegato.
C`è di tutto: ex democristiani, ex socialisti, ex comunisti.
Il vero collante è il leader. An si era data un percorso ambizioso.
Doveva essere paritaria rispetto a Forza Italia e avere un ruolo di riequilibrio nei confronti della Lega. Ora invece depotenziandosi come destra nazionale affida questo compito solo a Berlusconi.
Che potrebbe svolgerlo ma potrebbe anche fare il contrario.<br />
<b>An chiede regole, dice che non sarà un`annessione.</b><br />
Certo i suoi dirigenti non sono sprovveduti, ma allo stesso tempo queste richieste sono manifestazioni di impotenza. Essendo venuti meno gli elementi di distinzione politica si parla del dato quantitativo, le quote, e di quello statutario, le regole. E gli statuti, lo dico per esperienza, sono sempre prevaricati dalle logiche del potere.<br />
<b>Uno statuto democratico non basta a dare garanzie?</b><br />
La parola democratico la userei con cautela. Di democrazia ne vedo così poca in giro, si figuri quando si parla di partiti. A me pare che si profili un partito di tipo carismatico. E il carisma, più che con gli statuti, ha a che fare con gli elementi psicologici e affettivi di coloro che al leader si riferiscono.<br />
<b>Tradotto: comanda Berlusconi e basta.</b><br />
Non ce lo vedo Berlusconi che segue le procedure o che convoca un ufficio politico istituzionalizzato e con autonoma capacità decisionale.<br />
<b>Come giudica le ribellioni di Fini?</b><br />
Mi pare riguardino temi che attengono alla sua coscienza o alla sua funzione istituzionale. Il ruolo politico in questo momento può esercitarlo meno.<br />
<b>Si prepara al dopo Berlusconi?</b><br />
Non vedo il dopo Berlusconi.
Sono troppe le variabili in gioco:
se vince le elezioni, se il partito ci sarà ancora. Per ora noto che Fini sul partito ha conferito a La Russa le funzioni negoziali.<br />
<b>Di trattare la resa?</b><br />
Diciamo che negozia gli equilibri di potere. Ma dal punto di vista culturale non ci sono particolari elementi distintivi rispetto a Forza Italia. Ho visto il Pantheon di An al momento del suo scioglimento: era fantasmagorico.
Che c`entra Calamandrei con Gasparri? Per non parlare dell`imbarazzo su Almirante.<br />
<b>
An però ha un sua forza sul territorio.</b><br />
Una parte di quel mondo che per anni ha vissuto ai margini del sistema politico ora si è distaccata.
Un`altra parte, nel momento in cui c`è stato il successo, è diventata classe dirigente. Cariche e incarichi: la promozione economico-sociale è un collante.<br />
<b>Dietro il potere nulla?</b><br />
Non vedo una grande elaborazione.
Dentro Forza Italia ci sono elementi di liberismo aggressivo che si accompagnano a forme di populismo per cui i banchieri diventano i nemici dopo che si è lavorato come professionisti per i medesimi. Anche i cattolici mi pare che come classe dirigente siano molto mondani.<br />
<b>Lei è molto severo. Il Pdl però entrerà nel Ppe.</b><br />
L`ingresso nel Ppe non basta a dare al Pdl una identità valoriale precisa. È all`interno del partito italiano che si devono fare i conti su molte questioni. Come si fa, per dirne una, a invocare lo Stato sulla sicurezza e a legittimare le ronde che rappresentano il contrario del principio di autorità statale? <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/KYY/KYYU6.pdf">Il Riformista - Alessandro De Angelis</a>Pier Ferdinando CASINI: Firme in spiaggia per le preferenze.2008-07-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it358460Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) <br/><br/><br />
<b>Giustizia, a settembre seminario bipartisan per la «riforma dalla parte dei
cittadini»</b><br /><br />
Serve una riforma della giustizia. Una legge per i cittadini. Insomma,
superato il Lodo Alfano che ha chiuso la querelle giudiziaria di Silvio Berlusconi,
l’Udc pensa a una riorganizzazione del sistema giustizia. Tanto è vero che il
segretario Lorenzo Cesa invita per «il 2 settembre ad una riflessione comune
esponenti della maggioranza e dell'opposizione per capire da dove insieme
ricominciare in un disegno riformatore». In quanto «il lodo Alfano non è la
soluzione ma l'inizio di un percorso da costruire tra maggioranza e opposizione».
Visto che il dialogo sulla giustizia «è doveroso e, per noi, ineludibile». Un tavolo
quindi bipartisan.
Un ”no” netto alla reintroduzione dell’immunità parlamentare arriva da Pier
Ferdinando Casini: «Sono perfettamente d’accordo con i presidenti Fini e
Schifani. Non è questo il problema degli italiani». Il leader dell’Udc si riferisce alla
contrarietà espressa dai presidenti di Camera e Senato alla reintroduzione
dell’immunità per deputati e senatori.
Intanto Casini annuncia una sottoscrizione popolare in tutte le spiagge italiane
perchè non scompaiano le preferenze dalla legge elettorale per le Europee.
Spiega il leader dell’Udc: «L'idea di togliere le preferenze dalla legge elettorale
per le Europee dà il senso di una classe politica che vuole nominare dall'alto i
propri eletti».
Per quanto riguarda le elezioni amministrative Cesa dichiara che l’Udc non si
alleerà mai con «mai con la sinistra radicale». Sostiene il segretario: «La tornata
amministrativa del 2009 sarà di ampie proporzioni e dovrà vederci inseriti
necessariamente in una logica di alleanze su tutto il territorio nazionale. In questi
casi dobbiamo lasciare libertà di orientamento ai gruppi dirigenti locali, che
dovranno valutare le alleanze caso per caso».
Cesa spiega che se a livello nazionale «per la scelta delle alleanze abbiamo
davanti un orizzonte di anni, posso confermare che a livello locale la nostra
posizione è quella di sempre: l'Udc non entrerà mai a far parte di coalizioni o di
governi locali insieme alle forze di sinistra radicale. Tra noi, i verdi e i
neocomunisti non esiste alcuna possibilità di convergenza, nè in termini di valori
nè in termini di programmi». Quindi dice quale strategia segue l’Udc: «Il nostro
orizzonte deve essere quello di creare un bipolarismo virtuoso, dove i governi
poggiano su coalizioni stabili e operose perchè costruite su scelte condivise e
non su uno stato di necessità. Devo dire sinceramente di credere poco alla
formazione di un terzo polo».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=IUBUE">Il Messaggero - P.Or.</a>Ferdinando ADORNATO: E' ora di aprire un nuovo tempo della Repubblica.2008-07-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it358319Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) <br/><br/><br />
Si può dire che la transizione italiana sia finalmente compiuta? Si può dire che il quadro sistemico configurato dalle elezioni dell’aprile 2008 sia definitivo e possa, dunque, durare nel tempo? A noi sembra che si debba rispondere di no. Per diverse, obiettive ragioni.<br /><br />
<b>I quattro nodi irrisolti</b><br />
La prima è legata allo scenario storico. Quando, negli anni Novanta, crollò la cosiddetta prima Repubblica, quattro erano le grandi questioni che giustificavano la transizione verso un nuovo tempo della Repubblica: 1) La questione istituzionale, già posta alla fine degli anni Settanta (Craxi) affrontata lungo il corso degli anni Ottanta (De Mita) e infine riproposta, sia pure con colpevole approssimazione, dal movimento referendario. 2) La questione giudiziaria, esplosa drammaticamente in un inedito e pericoloso conflitto con la politica di settori della magistratura, dei media e dell’opinione pubblica. 3) La questione dell’unità nazionale e del federalismo, nel permanente rischio di una frattura storico-sociale tra Nord e Sud. 4) La questione della modernizzazione liberale, sentita come ineludibile, in tutti i campi della vita pubblica, per mettersi al passo con il resto dell’Occidente. Ebbene, tutte queste questioni sono ancora davanti a noi, irrisolte; anzi, incancrenite dal tempo perduto. Abbiamo alle spalle un ventennio sprecato.<br /><br />
Le pochissime istituzioni riformate (regioni, comuni, legge elettorale) lo sono state in modo approssimativo, obbedendo a suggestioni ideologiche o di convenienza, fuori da un omogeneo disegno nazionale condiviso. Perciò non si può dire che la transizione italiana sia compiuta. Essa lo sarà solo quando tali nodi troveranno finalmente soluzione. Ne consegue che il contesto politico (contenuti, alleanze, legittimazione reciproca etc…) che permetterà di scioglierli, deciderà anche il definitivo assetto del Paese. Chi e come realizzerà finalmente le grandi riforme? Chi e come farà davvero nascere la Seconda Repubblica? È questa la domanda che deciderà il futuro del Paese. E sarebbe un delitto far passare anche questa legislatura senza rispondere. <br /><br />
In realtà, il contesto dovrebbe essere obbligato: trattandosi di questioni di fondo della nostra vita collettiva bisognerebbe trovare le sedi e gli strumenti per soluzioni condivise. Ma finora non ci siamo riusciti. Il panorama è stato dominato, e ancora continua ad esserlo, da una sorta di guerra civile ideologica nella quale anche una parola debole come “dialogo” si trasforma in una missione impossibile. La Francia di Sarkozy è riuscita in pochi anni a riformare la propria Costituzione. Ed è tornata a giocare un ruolo propulsivo nello scacchiere europeo e mediorientale. L’Italia di questo primo decennio del nuovo secolo è invece imprigionata nelle sabbie mobili dell’impotenza politica. <br /><br />
<b>Una democrazia senza partiti?</b><br />
La seconda ragione della nostra risposta negativa è legata al problema della rappresentanza. Quale che sia il giudizio sui vecchi partiti, neanche i più disinvolti protagonisti dell’antipolitica, risiedano nel Palazzo o fuori, hanno il coraggio di teorizzare (neppure quando la praticano) che sia possibile una democrazia senza partiti. Eppure è proprio questo ciò che oggi rischia l’Italia. Di fronte alla lunga consunzione degli storici insediamenti politici (già prevista da Aldo Moro) e, poi, alla loro traumatica scomparsa, la politica italiana avrebbe dovuto procedere ad un serio lavoro di ricostruzione: dei fondamenti identitari, spiazzati dai mutamenti dell’assetto geopolitico mondiale; della forma partito per renderla adeguata ai nuovi sistemi di comunicazione e alle mutate caratteristiche della partecipazione; dei meccanismi di selezione della classe dirigente, accertato l’esaurimento delle tradizionali sedi di formazione e la crisi del collateralismo.<br /><br />
In una parola, c’era bisogno di un’evoluzione del pensiero politico per individuare la strada di nuovi partiti di massa del XXI secolo. Più leggeri ma non meno radicati, più veloci ma non meno democratici. Viceversa abbiamo assistito ad un generale decadimento, a volte imbarbarimento, del pensiero politico. Così, tra i vecchi partiti tramontati e i nuovi partiti necessari, ha vinto la pragmatica e sbrigativa soluzione del non-partito. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: la decadenza della qualità della rappresentanza parlamentare; la selezione delle classi dirigenti affidata a meccanismi casuali, oligarchici e padronali; l’assenza di sedi reali del dibattito politico e culturale. <br /><br />
La necessità di dotarsi di leader capaci di significative suggestioni simboliche, circostanza normale per ogni democrazia liberale, ha finito, in questo quadro, per determinare l’avvento di un leaderismo senza partiti, fenomeno invece assai anomalo in tutto il mondo occidentale. Dunque, a meno di non voler sostenere l’utopia di una democrazia senza partiti, non c’è dubbio che, anche dal punto di vista della rappresentanza, la transizione non è finita e, di conseguenza, l’attuale assetto sistemico non può considerarsi definitivo.<br /><br />
Anzi, nel ventennio sprecato, si è perfino aggravata la crisi tra rappresentanza e territorio, creando i presupposti non già di una generica disaffezione, ma di una vera e propria rottura storica, quasi antropologica, tra partiti e cittadini. Eppure non sembra esserci nel mondo politico la necessaria consapevolezza. Ci si accontenta di seguire la logica delle convenienze di breve momento. Ci si illude che la democrazia sia solo la periodica registrazione del consenso elettorale (o dei sondaggi). Non è così. Non è così negli Stati Uniti, figuriamoci se può essere così nello scenario europeo. Quando una democrazia viene ridotta a questo, vuol dire che è già entrata nel tempo della sua crisi. Giacciono ancora irrisolti, negli attuali contenitori, due enormi nodi strutturali: la questione identitaria e la questione democratica. Nodi di fondo, che pongono l’attuale “mercato politico” in aperta contraddizione con l’articolo 49 della Costituzione. Tutto ciò mentre la dialettica dell’economia mondiale determina inediti scenari di pauperizzazione. Il combinato disposto tra crisi democratica e crisi sociale è da sempre un segnale di estremo pericolo per la convivenza civile delle nazioni. <br /><br />
<b>Il bipartitismo che non c’è</b><br />
L’evidenza di tali scenari ha indotto la sinistra e la destra, prima delle ultime elezioni, a realizzare due suggestivi “colpi di scena”: la nascita del Pd e del Pdl, evocando l’avvento di un bipartitismo capace di segnare in modo irreversibile il sistema italiano, e di risolvere i nodi della sua lunga transizione. È davvero così? O siamo di fronte all’ennesima illusione spacciata per realtà? La nostra sensazione è proprio quest’ultima: di trovarci di fronte ad un “finto bipartitismo senza partiti”. L’apparentamento con la Lega da una parte e con l’Italia del Valori dall’altra, assieme alla persistenza di partitini organizzati, ha prodotto in realtà due “coalizioni camuffate”. <br />
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Semplificate certamente, ma pur sempre coalizioni: costruite non già soltanto sulla coerenza del programma, ma soprattutto sulla conquista del premio di maggioranza. Il dopo elezioni ha reso manifesta la finzione: dei rispettivi fronti, Bossi e Di Pietro, hanno subito dato vita a un cinema indipendente. Il risultato è che il governo in carica è, ancora una volta, costretto a mediare quotidianamente tra le diverse posizioni degli alleati. E perfino a registrare imbarazzanti scontri sul valore dei valori: l’unità nazionale. Può un ministro della Repubblica vilipendere gli stessi simboli che dovrebbe rappresentare? E può un maggioranza di governo conciliare uomini come Fini e Bossi che hanno opinioni così diverse su argomenti fondamentali della nostra democrazia? In questo scenario la decisiva discussione sul federalismo fiscale non trova certo il terreno più fertile per diventare davvero una svolta condivisa dell’intera comunità nazionale. Dal canto suo l’opposizione di sinistra non solo ha dovuto rinunciare a fare, come aveva dichiarato, un unico gruppo parlamentare, ma si è trovata costretta a dividersi, anche qui, addirittura intorno ad elementi costitutivi della civiltà politica: il rispetto per il Capo dello Stato e per il Pontefice. Su quali basi allora ci si era presentati assieme alle elezioni? <br /><br />
Insomma, l’Italia ha inventato il “bipartitismo di coalizione”, evidentemente solo un’illusione scenica, per di più non riuscita. Un bipartitismo di marketing che solo per ciò che riguarda il Pd aveva preso le mosse da una seria operazione politica in favore della governabilità, cioè la rottura con l’area antagonista (per passare poi però dalla padella alla brace con Di Pietro), mentre per il Pdl ha determinato l’opposto: la rottura con una forza di centro. In ogni caso si tratta di un bipartitismo fondato, come si dice oggi, su partiti “liquidi”. Non c’è dubbio, infatti che, sia nel Pdl che nel Pd, sia marcata la sofferenza generata dalla mancata soluzione di quella questione identitaria e di quella questione democratica che segnano, come abbiamo detto, il declino dei partiti nell’attuale fase storica. <br /><br />
<b>Pdl e Pd: questione identitaria
e questione democratica</b><br />
Il Pdl. Si tratta, per ora, solo di un “cartello”, figlio di una precipitosa fusione elettorale tra An e Forza Italia. Vedremo quali caratteristiche assumerà dopo la sua costituzione, annunciata per gennaio, ma su alcuni elementi di fondo si può già ragionare. Proprio qui a Todi, abbiamo teorizzato per anni il progetto di una casa comune dei moderati, frutto dell’evoluzione dei diversi partiti del centrodestra lungo l’asse del cattolicesimo liberale. La Casa delle libertà, che non era affatto un ectoplasma, ma un potenziale seme di futuro, poteva essere il laboratorio di una ricostruzione democratica della politica italiana e l’embrione di un nuovo vero partito popolare. Ma Berlusconi ha deciso di recidere questo seme. <br /><br />
Nella mia relazione a un convegno, che ha avuto una certa eco pubblica, dicevo che il “berlusconismo” non sarebbe stato solo l’espressione di una concezione solipsistica del potere ma il lievito storico di un nuovo orizzonte politico a due condizioni: 1) garantire “la continuità storica dell’alleanza, la sua tenuta, il suo naturale sviluppo” 2) realizzare “la grande operazione culturale di costruire una stabile rete di formazione, di aggiornamento e di promozione della classe dirigente in modo da creare un’estesa e stabile comunità di governo, culturalmente consapevole”. Ebbene non è andata così. La continuità storica dell’alleanza è stata volontariamente cancellata, salvo che per la Lega. Quanto al secondo punto, mi pare evidente che sia stata scelta la strada opposta. E così, purtroppo, il berlusconismo rimane ancora, sostanzialmente, uno stile di potere e di consenso elettorale legati esclusivamente al carisma personale, non il collante storico di una nuova, stabile costruzione politica. <br /><br />
Così il Pdl va nascendo intorno a “noccioli valoriali” assai diversi da quelli del cattolicesimo liberale e del popolarismo europeo. Il nucleo più forte viene paradossalmente in prestito “dall’esterno”: dalla Lega, che ormai ha fatto prevalere le sue idee forza: la diffidenza nei confronti della globalizzazione, una certa declinazione dei concetti di sicurezza civile, economica e sociale che rimanda più a un protezionismo nord-centrico che al federalismo liberale. Tremonti ne è un magistrale interprete. Un secondo nucleo forte viene interpretato dall’area socialista di Forza Italia, ormai maggioritaria, che offre anche i migliori uomini all’attuale governo. Le parole chiave sono ancora quelle martelliane dei “meriti e bisogni” e quelle craxiane di “modernizzazione e decisionismo”. La resa dei conti con la magistratura è la sua colonna sonora. <br /><br />
Un terzo nucleo forte, di impronta prettamente berlusconiana, (che rappresenta il vero “spirito di comunità” del Pdl) orienta i concetti di felicità, di autostima personale e di relazioni con l’altro intorno al mito del successo e al dominio dell’immagine. L’importante è raggiungere l’obiettivo che ci si propone; il modo attraverso il quale ci si arriva, conta meno. L’irresistibilità dei sogni che, nel mito americano, è legata al trionfo della bontà e della moralità umana contro ogni ingiustizia, nel mito italiano ritorna così, more solito, all’irrilevanza dei mezzi rispetto al fine. Si tratta dunque di un’aggregazione inedita per la storia d’Italia, una sorta di “nuova destra”, nella quale convivono, finora in modo disordinato, eredità craxiane, ispirazioni post moderne, suggestioni populiste e una forte vena di liberalismo antiburocratico. Forse ha ragione Berlusconi quando descrive il suo movimento come anarchico nei valori: ma proprio qui nasce la questione identitaria del Pdl, tuttora irrisolta e, comunque, lo ripeto, troppo legata alle singole persone (essenzialmente Berlusconi e Tremonti) per garantire la stabilità di un insediamento storico. Certamente ci sono nel Pdl anche numerose aree e personalità legate all’ispirazione cristiana e cattolico-liberale. Di più: per realpolitik il Pdl è sempre molto attento a non creare frizioni con la Chiesa; ma se anche i suoi dirigenti lo negano, esibendo il certificato di garanzia del Ppe, appare abbastanza evidente come i principii e gli esponenti di tali aree, a differenza di ciò che succedeva al tempo della Cdl, rivestono ormai un ruolo del tutto marginale nel core business del partito di Berlusconi. <br /><br />
Ciò appare del resto del tutto coerente per un soggetto nato escludendo, a priori, ogni rapporto con un partito di ispirazione cattolica, come l’Udc a meno che non fosse disposto, appunto, a rinunciare alla sua identità. Se la questione identitaria rimane, comunque, come è ovvio, controversa e controvertibile, non c’è invece alcun dubbio sul fatto che la questione democratica rappresenti, per il Pdl, una vera spada di Damocle. Sulla scia di Forza Italia, che ha tenuto solo due congressi in tutta la storia, non sono previste strutture ordinarie di discussione. L’unico sistema di promozione sono le nomination del leader e tutti i meccanismi di selezione non sono meritocratici (come si propone al resto del Paese) ma esclusivamente di tipo oligarchico-padronale. Può darsi che la spinta della comunità di An riesca a modificare la situazione.
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=ISVIC">Liberal - Ferdinando Adornato</a>Ciriaco DE MITA: "Il bipartitismo? Una invenzione già fallita. - Intervista2008-06-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it357336<br />
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«I tram del bipartitismo italiano sono scassati. Non chiedeteci se saliremo su uno di quei tram. Non lo faremo. Siamo ambiziosi, vogliamo suscitare la riscoperta di una politica vera, senza suggestioni e furberie». Ciriaco De Mita, ad ottanta anni, è il decano del gruppo che lavora per l’assemblea autunnale della Costituente di centro.<br />
Ma, seppur fuori dal Parlamento (dopo la rottura con il Pd, alle ultime elezioni non è stato rieletto nell’Udc), si muove con agilità tra Casini e Pezzotta, Cesa e Buttiglione, D’Onofrio e Tabacci, fino ad Adornato.<br />
<b>Onorevole De Mita, ricomincia dalla Costituente di Centro.</b><br />
«Fino a qualche settimana potevo avere anche il dubbio che il bipartitismo italiano fosse un’invenzione reale. <br />
Ragionavo così, non pensavo così. Ma non potevo immaginare che, a distanza di appena qualche settimana, la precarietà del sistema inventato già apparisse in tutta la sua drammatica evidenza».
<b>Ha definito «giganti d’argilla» Pdl e Pd.</b> <br />
«Non vede che sono due partiti personali? Uno più identificato, che secondo l’espressione di un analista serio, che conosce la storia dei Ds, vive nella «vacuità immaginifica dell’onorevole Veltroni». L’altro è dentro la personalità accentrante dell’onorevole Berlusconi. Sono passati due mesi e la crisi è già evidente».<br />
<b>Ma il Pdl ha la forza dei numeri.</b><br />
«Il Pdl è in difficoltà al proprio interno nell’alleanza con la Lega, difficoltà non mediabili perchè ci sono problemi sulla politica generale del Governo, dall’Europa alla giustizia».<br />
<b>E nel Partito Democratico?</b><br />
«Qui c’è solo la velleitaria iniziativa di Veltroni che «scassa» la coalizione di centrosinistra, e questo poteva avere un significato se la rottura fosse passata attraverso un processo alto di costruzione della politica. Lui no, scassa e mette insieme un’ammucchiata indistinta, con dipietristi e radicali, e raccoglie il massimo del voto possibile sul disastro dei partiti. Ma lo vede ora? É come quelli che fanno lo sforzo massimo e poi non sono più nemmeno in condizioni di camminare lentamente».<br />
<b> Impietoso.</b><br />
«Nel Pd si parla di unità, ma non si organizza neppure in correnti, piuttosto in gruppi personali, e questo non accade solo a Napoli. L’invito all’unità non è durato un minuto che già si passa dall’accordo sottobanco alla protesta in piazza. É questo quadro che conferma la necessità di recuperare il pluralismo politico come il presupposto di coalizioni competitive».<br />
<b> Quale sarà il vostro sbocco?</b><br />
«Quello della risposta alla crisi della politica, senza diventare stampelle di nessuno dei due partiti in campo. Noi non siamo in una posizione che si scontra, ma dialettica, siamo per «la suggestione salvifica della democrazia».<br />
<b>Come sta andando?</b> <br />
«Cominciamo con grande modestia e suggestione. Se posso usare un’immagine, senza il rischio della distorsione, dico che non mi interessa ora la quantità del consenso, ma la qualità. É come dire «no» a chi ti prospetta le luminarie. Dico che è meglio la luce piccola in grado di attirare l’attenzione. Siamo in presenza di un progetto che ha grande validità, pur consapevoli che la difficoltà sta nel realizzarlo. Certo, è un paradosso: non abbiamo potere ma siamo convinti. Ma è pur vero che chi ha oggi rappresentanza, e potere, non è in condizioni di usare la forza del consenso. Potremmo stavolta dire che «il potere logora chi ce l’ha». D’altro canto perchè il centrosinistra ha perso anche in Campania governando, senza che dall’altra parte nemmeno ci fosse classe dirigente»?<br />
<b> Contatti?</b><br />
«Non sembri strano che, dopo una posizione di alterigia di chi è fuori dalla legge ferrea dei bisonti - ignorati o schiacciati - ci sia una corte serrata, da parte di tutti. Certo, c’è chi ha intelligenza politica e chi pensa di far manovre, ma la circostanza che l’attenzione è generale un valore intrinseco ce l’ha».<br />
<b>Ritorniamo alle alleanze. Come farete a resistere alla tentazione?</b><br />
«Alle prossime amministrative, come orientamento generale, c’è quello di demandare alle rappresentanze locali di ricercare accordi sui programmi da gestire e meno intese su schieramenti prefigurati. Chiedere di schierarsi su una scena da distruggere perchè non rappresentabile, quella sì sarebbe cosa vecchia. Si sceglierebbe il vassallaggio nell’uno o nell’altro partito, nella pretesa, vana, di essere protagonisti». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=IJDJN">Il Mattino - Aldo Balestra</a>