Openpolis - Argomento: pressione fiscalehttps://www.openpolis.it/2012-11-06T00:00:00ZNichi VENDOLA: «Il rigore? Per me è una religione» - INTERVISTA2012-11-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656729Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
Abbattere il peso fiscale su lavoro e imprese, divenuto in Italia principale fonte di agonia. Barra ferma sul rigore, che deve essere addirittura «vessatorio» per quel che riguarda la spesa corrente.
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Cessione di sovranità nazionale per costruire un’Europa davvero democratica. E tre parole chiave per uscire dal tunnel della crisi: industria (a partire da «quell’oggetto misterioso che è la politica industriale»), innovazione, agricoltura. È un Nichi Vendola che non ti aspetti, quello che accetta di parlare con il Sole 24 ore del programma economico per le primarie del centro-sinistra e quindi, se le urne premieranno l’alleanza Pd-Sel-socialisti, per il governo del Paese. Il governatore della Puglia ci accoglie con la notizia che la Ragioneria generale dello Stato e il dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica di Palazzo Chigi hanno sancito che la Puglia ha la migliore capacità di spesa dei fondi comunitari: la regione ha investito risorse europee più di tutte le altre regioni del Sud messe insieme e ha superato del 78% il target di spesa assegnato dal governo a febbraio.
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<b>La buona amministrazione come patente di governabilità, presidente Vendola?</b>
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Quella dell’utilizzo dei fondi Ue è stata una perfomance straordinaria. Io ci tengo a far vedere anche la lista della spesa della regione Puglia, dal momento che mi dipingono sempre come un acchiappanuvole… Per me il rigore è stato veramente una religione in questi otto anni. Naturalmente non è stato il rigore dei tagli lineari ma il rigore della riqualificazione, ad esempio delle società partecipate. Erano quasi tutte in default e io le ho portate in attivo con processi di ripatrimonalizzazione seria e con uno sfoltimento delle strutture burocratiche. Diciamo che ho fatto una guerra agli acronimi. Che cos’è uno Iacp? È un istituto autonomo di case popolari. Risponde alla sua missione? No. Una parte delle risorse veniva drenata inappropriatamente dalle strutture burocratiche, e gli Iacp erano luoghi di confluenza tra malavita e disagio sociale. Da otto anni ho commissariato gli Iacp e abbiamo cominciato a dare case popolari. Ancora nel 2005 l’Acquedotto pugliese era famoso per la frase “dà più da mangiare che da bere”, oggi ha la considerazione di tutte le agenzie di rating. Ed è passato da un’intensità di investimenti al di sotto dei 20 milioni di euro a circa 120 milioni l’anno. E così via. Abbiamo fatto la cura dimagrante a tutto quello che era la costellazione dei sistemi pubblici che ruotano attorno all’ente regione e abbiamo operato una rifinalizzazione.
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<b>Ma un conto è governare una regione, un conto è governare l’Italia. Perché i mercati si devono fidare di Nichi Vendola?</b>
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Si potrebbe una volta tanto capovolgere l’impostazione: ma noi ci possiamo fidare dei mercati? I cittadini, le famiglie, i lavoratori. Per chi come me non demonizza il mercato (ora parlo al singolare) è concepibile che il mercato sia il regolatore di tutta la vita sociale oppure il compito precipuo della politica consiste nell’indicare la prevalenza del bene comune e della necessità di far soggiacere il mercato a regole e a controlli? Quando si parla del mercato finanziario è immaginabile che tutto resti così com’è nonostante l’esito catastrofico che ha prodotto un trentennio di finanziarizzazione dell’economia mondiale? Sono stati commessi dei gravi errori.
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<b>Errori commessi anche dalle sinistre di governo, dalla presidenza Clinton negli Usa ai governi di centro-sinistra in Italia. La finanza pensa ai suoi interessi, è la politica che stabilisce le regole.</b>
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La sinistra ha peccato gravemente come peccano tutti i neofiti. Passare dalla demonizzazione del mercato all’apologia del mercato è stato un grave errore culturale. Io penso che dobbiamo costruire un approccio laico al mercato. La produzione di ricchezza si è progressivamente sganciata dall’economia reale. È stato il periodo del mutar di pelle del capitalismo, da capitalismo prevalentemente industriale a capitalismo prevalentemente finanziario, con un effetto distorsivo del sistema: la finanza diventa un cannibale che si mangia il mercato e mette a rischio la stessa democrazia. Tesi estremiste? Sono tesi contenute in un pamphlet di Guido Rossi pubblicato proprio dal Sole 24 Ore. Partirei dalla Costituzione, articolo 47. L’Italia protegge e stimola il risparmio. E lo Stato coordina, controlla e disciplina il sistema del credito. Norme che sono lampadine tascabili per illuminarci quando ci perdiamo nei nostri labirinti. Fu Roosevelt negli anni Trenta a introdurre una normativa per separare le banche di risparmio dalle banche d’affari, normativa colpevolmente superata da Clinton alla fine degli anni Novanta. Come vede, io non sono indisponibile all’autocritica. E siccome spesso veniamo dipinti come coniatori di facili slogan, ci tengo a dire che non sto immaginando l’assalto al moloc in forme di dannunzianesimo politico. Sto dicendo che a beneficio dell’economia reale, a tutela della libera concorrenza forse occorre intervenire per regolamentare i mercati finanziari. Nessuna maledizione brechtiana nei confronti delle banche, ma penso che proprio nel nome di un capitalismo sano non si possa avere indulgenza nei confronti di chi viaggia dalle parti delle Cayman.
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<b>Dunque rimettere al centro l’economia reale, è questa la ricetta?</b>
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Soprattutto a partire da quell’oggetto misterioso che è la politica industriale. La borghesia italiana ha deciso di praticare l’astinenza da circa un trentennio. Ora il problema numero uno è che le industrie pesanti italiane arrivano in affanno all’appuntamento con l’ambientalizzazione. Dall’Ilva alla chimica, noi oggi ci poniamo le domande che la Germania si è posta 40 anni fa. Oggi difendiamo la compatibilità di industria e ambiente e di lavoro e salute, ultimi nell’Ocse. Questo il primo effetto del mancato impegno del pubblico nella politica industriale. Il secondo effetto è quello di avere stimolato la pigrizia e l’indolenza delle nostre imprese, che hanno creduto di poter essere competitive sul terreno del costo del lavoro e della tutela dei diritti. Ma il dato più scandaloso del nostro Paese è quello di essere fanalino di coda negli investimenti per l’innovazione, sia di parte pubblica sia di parte privata. A Barletta, ad esempio, la crisi terribile del calzaturiero è stata risolta almeno in parte con stimoli da parte della regione per aiutare la riconversione in calzature di sicurezza: studio sui materiali. Dunque politica industriale, poi innovazione, infine agricoltura, la vera Cenerentola dell’economia. Eppure l’entroterra italiano si sta spopolando, sta avanzando il bosco medievale man mano che arretra l’agricoltura. Qui c’è bisogno di lavorare perché una nuova generazione di specialisti torni nelle campagne.
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<b>Veniamo al fisco. Voi siete favorevoli alla patrimoniale, così come a una Tobin tax più pesante. Non pensa che la pressione fiscale sia già troppo alta?</b>
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Il fisco contribuisce all’agonia del mondo dei produttori, oggi imprese e lavoro stanno crepando di fisco e questo è inaccettabile. La pressione fiscale va drasticamente alleggerita su lavoro e imprese. Io penso al cuneo fiscale anche in termini di premialità: vanno avvantaggiate le imprese che si adattano a determinati parametri, ad esempio di sostenibilità ambientale e di formazione della manodopera. Occorre poi rivedere le aliquote: è scandaloso che fa parte dello stesso scaglione chi guadagna centomila euro e chi ne guadagna 10 milioni. E poi va liberato il Paese dalla patrimoniale sui poveri, ossia l’Imu sulla prima casa, quasi la violazione di un diritto fondamentale. Quanto alla Tobin tax, bisognerebbe invertire la logica del governo Monti: più è rapida la transazione finanziaria più alto deve essere il prelievo, perché la speculazione normalmente gioca proprio sulla tempestività. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1MVOXU">Il Sole 24 Ore | Emilio Patta</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: In Italia si pagano tante e troppe tasse.2012-10-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656527Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
In Italia si pagano tante e troppe tasse. Nel corso degli anni la pressione fiscale, cioè il rapporto tra le imposte e i contributi pagati da tutti i contribuenti e la ricchezza prodotta, il cosiddetto PIL, è costantemente cresciuta. <br />
Nel 2012 la pressione fiscale dovrebbe attestarsi al 45,1% del PIL: in altre parole, per ogni 100 euro cha la “famiglia” Italia percepisce, 45,1 vanno allo Stato e solo 54,9 rimangono in tasca per vivere. Si tratta di un record assoluto, di gran lunga superiore al precedente primato (43,4%) fatto registrare nel 1997, l’anno dell’applicazione dell’eurotassa e delle misure straordinarie per entrare nell’Euro.
<p>Il confronto con gli altri Paesi è impietoso e ci permette di affermare non solo che i contribuenti e le imprese italiane pagano molto, ma anche che pagano di più dei loro omologhi europei per avere in cambio di meno. Per rendersene conto è sufficiente confrontare la pressione fiscale italiana con quella di Paesi a noi simili, considerando, nel contempo, anche la spesa per la protezione sociale che gli Stati erogano a favore dei propri cittadini.
<p>La manovre correttive che si sono succedute prima dell’estate del 2011 si collocano in questo quadro di elevata pressione fiscale e il loro obiettivo rimane sempre il medesimo: portare in pareggio il bilancio dello Stato. Per raggiungere questo obiettivo si è agito prevalentemente dal lato delle entrate, ovvero con maggiori tasse; tuttavia, anche alcune riduzioni di spesa hanno fatto sentire i loro effetti negativi sulle tasche dei cittadini (minori trasferimenti agli enti locali, tagli alla sanità, ai trasporti, etc.).
<p>La stessa Imu, che è stata introdotta quest’anno, dal 2013 diventerà più pesante: il suo gettito complessivo passerà dai 21,4 miliardi di euro, ai 21,7 del 2013, per arrivare, nel 2014, a 22,1 miliardi di euro. Nel 2013 l’aggravio lo subirà, in particolar modo, il mondo produttivo che vedrà crescere di 270 milioni di euro il prelievo a suo carico, per effetto dell’ulteriore aumento dei coefficienti moltiplicatori (da 60 a 65) che si utilizzano per determinarne la base imponibile.
<p>A partire dal 2014, invece, saranno le famiglie con figli a “sborsare” 400 milioni di euro in più di IMU, in quanto non potranno più usufruire della ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio convivente di età inferiore a 26 anni.
<p>Se nel prossimo futuro il gettito dell’Imu è destinato a confluire interamente nelle casse dei Comuni, ciò farà sì che il gettito sarà destinato ad aumentare o a diminuire a seconda delle scelte autonome di questi ultimi. Tuttavia, se nel frattempo si continuano a tagliare i trasferimenti lo scenario che rischia di prefigurarsi è già scritto: più tasse locali per tutti.
<p><b>L’IMU</b>, pertanto, è destinata a diventare a livello locale la cartina di tornasole della pressione fiscale nazionale e dello stato di salute delle finanze pubbliche. Diventerà sempre più importante amministrarne il gettito con particolare attenzione, soprattutto per non colpire le fasce sociali più deboli. Per questo ai Sindaci va chiesto, in un momento così difficile, di gestire con oculatezza e parsimonia i soldi pubblici, risparmiandoci un inasprimento della tassazione locale che ci farebbe scivolare in una recessione senza via d’uscita.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/2012/10/lintervento-di-giuseppe-bortolussi-8/">CGIA Mestre</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Famiglie in ginocchio. A regime la stangata costerà 2,5 miliardi di euro.2012-10-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it655722Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
Una stangata che rischia di mettere in ginocchio le famiglie italiane già stressate da una crisi che dura ormai da 4 anni.
<p>L’effetto composto della riduzione dell’Irpef, dell’aumento dell’Iva, dell’introduzione della franchigia e del conseguente taglio delle deduzioni e detrazioni fiscali costerà alle famiglie italiane 2,5 miliardi di euro. Questa è la stima fatta dalla CGIA di Mestre sulle indiscrezioni circolate in questi giorni attorno ai contenuti della Legge di Stabilità.
<p>Nel 2014, quando subiremo per tutti i 12 mesi dell’anno l’aumento di un punto delle aliquote Iva del 10 e del 21%, a fronte di una diminuzione del carico fiscale sui redditi pari a 5 miliardi di euro, le famiglie si troveranno un aumento dell’Iva di 6,5 miliardi di euro e un taglio delle agevolazioni fiscali pari a 1 miliardi di euro. Pertanto, nel “dare/avere” con il fisco, lo “sbilancio” sarà di 2,5 miliardi di euro, pari ad un incremento medio annuo per famiglia di circa 100 euro.
<p>Se teniamo conto che dall’inizio della crisi i senza lavoro sono aumentati di oltre 1 milione e 200 mila persone, i consumi reali delle famiglie sono scesi del 4,5%, i prezzi e le tariffe sono in costante crescita, con questa ulteriore stangata difficilmente il Paese reale riuscirà a trovare le risorse per rilanciare la domanda interna e quindi l’economia del Paese. Una situazione – <i>prosegue il segretario Bortolussi</i> – che rischia di avvitarsi e farci sprofondare in una depressione senza precedenti.
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Se, come dicevamo, la situazione precipiterà nel 2014, nel 2013 il combinato disposto delle misure messe in campo dal Governo Monti darà un leggero vantaggio alle famiglie: il saldo sarà negativo e pari a 800 milioni di euro. Questa situazione, ricordano dalla CGIA, si determinerà grazie al fatto che l’aumento dell'Iva partirà dal 1° luglio 2013.
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<b>A regime, quali saranno le tipologie familiari più penalizzate da questa manovra correttiva ?</b>
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«Innanzitutto gli 8 milioni circa di incapienti – <i>conclude Bortolussi</i> – che rientrando nella area di esenzione fiscale non godranno dei vantaggi economici legati della <a href="http://politici.openpolis.it/dichiarazione/2012/10/11/giuseppe-bortolussi/legge-di-stabilit%C3%A0-pi%C3%B9-tasse-per-pensionati-al-minimo-e-cassaintegrati-da-16-a-71-euro-all%E2%80%99anno/655720">riduzione dell'Irpef</a> e, in secondo luogo, i nuclei familiari con redditi superiori ai 50.000/60.000 euro».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2012/10/leggasrabita.pdf">CGIA Mestre</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Con Monti più tasse alle imprese per 5,5 miliardi di euro.2012-10-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it655475Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
Mettendo a confronto gli effetti economici che andranno ad aggravare il carico fiscale e contributivo delle imprese con quelle, invece, che ne alleggeriranno il peso, il saldo, nel triennio 2012-2014, sarà positivo: ovvero, le imprese italiane si troveranno a pagare quasi 5,5 miliardi di euro in più. A questo risultato si giunge sottraendo dai 19 miliardi di tasse e contributi introdotti dal Governo Monti, i circa 13,6 miliardi di euro di alleggerimento fiscale che l’Esecutivo praticherà nel triennio considerato.
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“Le più penalizzate dal pacchetto di misure introdotte dal governo Monti – tuona <a href="http://politici.openpolis.it/politico/giuseppe-bortolussi/171885">il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi</a> – saranno le micro imprese: in particolar modo quelle senza dipendenti che non potranno avvalersi degli sgravi Irap previsti per i dipendenti e dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), visto che per le aziende in contabilità semplificata non potranno applicare quest’ultima misura. Se si considera che il 75% degli imprenditori individuali lavora da solo, si può affermare che gli artigiani e i commercianti che non hanno dipendenti subiranno dei forti aumenti di tassazione non ammortizzati dagli sgravi previsti dal Salva-Italia”.
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L’elaborazione, condotta dalla CGIA di Mestre, ha messo a confronto, come dicevamo più sopra, vantaggi e svantaggi fiscali/contributivi introdotti dal Governo in carica.
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<b> Analizziamo gli aumenti di imposta</b>
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Il 2012 è l’anno dell’IMU: rispetto all’ ICI, il prelievo medio per i negozi e i laboratori risulta mediamente raddoppiato, mentre per i capannoni (categoria catastale D1) si registrano incrementi di imposta che superano il 60%. Oltre all’IMU, nel 2012 sono aumentate del 1,3% anche le aliquote contributive INPS a carico degli artigiani e dei commercianti.
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Nel 2013, entrambi i prelievi appena descritti subiranno ulteriori aumenti. Rispetto all’Ici, con l’IMU il prelievo sui capannoni aumenterà di circa l’80%. Ciò è dovuto all’aumento del coefficiente per la determinazione della base imponibile che passa da 60 a 65. Le aliquote previdenziali, invece, subiranno un ulteriore aumento dello 0,45% sino a portare nel giro di qualche anno l’aliquota di questi lavoratori autonomi al 24%.
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Le cattive notizie, purtroppo, non finiscono qui. Sempre nel 2013 le imprese faranno i conti con la riduzione della deducibilità dei costi per le auto aziendali che il fisco non riconoscerà più nella misura del 40%, ma solo del 27,5%. Sono circa 7 milioni gli automezzi interessati da questa misura.
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Infine, per quanto riguarda la tassa sui rifiuti che verrà rinnovata e si chiamerà TARES, bisognerà versare al Comune una maggiorazione pari a 0,3 euro al mq che i Sindaci potranno aumentare sino a 0,4 euro. Gli imprenditori dovranno quindi pagare questa maggiorazione anche sulla superficie degli immobili destinati all’ attività commerciale/produttiva.
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Messe tutte in fila, la CGIA stima che queste misure valgano circa 5 miliardi di euro nel 2012, che diventano quasi 6,7 mld nel 2013 e salgono a 7,3 mld nel 2014. Pertanto, nel triennio 2012-2014 le maggiori tasse e contributi a carico delle imprese saranno pari a poco più di 19 miliardi di euro.
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<b> Analizziamo le misure a vantaggio delle imprese</b>
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Sempre nel triennio preso in esame sono stati introdotti dei provvedimenti a favore delle imprese: l’ACE (Aiuto alla Crescita Economica); la deducibilità dell’IRAP (relativa al costo del lavoro) dalla base imponibile IRPEF e IRES; l’aumento delle deduzioni forfetarie (dalla base imponibile) IRAP se tra il personale dipendente vi sono donne o giovani di età inferiore a 35 anni.
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Complessivamente queste misure valgono poco più di 2,5 miliardi nel 2012, 5 miliardi nel 2013 e quasi 6 miliardi nel 2014. Nel triennio 2012-2014, l’alleggerimento fiscale sull’intero mondo imprenditoriale sarà pari a quasi 13,6 miliardi di euro.
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Pertanto, il saldo tra aggravi e sgravi penalizzerà il mondo imprenditoriale per oltre 2,4 miliardi nel 2012, 1,6 miliardi nel 2013 e quasi 1,4 miliardi nel 2014. Nel triennio, quindi, il peso fiscale sulle imprese crescerà di quasi 5,5 miliardi di euro.
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“Pur riconoscendo che questo Governo ha dimostrato in più di una occasione di avere una certa sensibilità nei confronti delle piccole imprese – grazie all’approvazione del decreto per il pagamento dell’Iva per cassa, i 6,7 miliardi messi a disposizione alla Pubblica amministrazione per pagare i fornitori o la riduzione del versamento dell’acconto Irpef relativo al 2011 – la situazione generale è tale che difficilmente le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, potranno superare questo triennio con un carico fiscale aggiuntivo di questa portata. Non possiamo – conclude Bortolussi – sperare di rilanciare l’occupazione e in generale l’economia se penalizziamo soprattutto le piccole imprese che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia.”<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/2012/10/imprese-con-monti-piu-tasse-per-55-mld-di-e/">CGIA Mestre</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Nel secondo semestre di quest’anno rischiamo di perdere 202.000 posti di lavoro. 172.000 nelle PMI.2012-09-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650203Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
Nel secondo semestre di quest’anno rischiamo di perdere 202.000 posti di lavoro. Di questi, ben 172.000 sono in forza tra le piccole e medie imprese. <br />
A questo risultato è giunta la CGIA di Mestre che ha elaborato questa stima incrociando i dati occupazionali dell’Istat e quelli di previsione realizzati da Prometeia. Il risultato emerso è preoccupante: rispetto al secondo trimestre del 2012, nella seconda parte dell’anno corriamo il rischio di ritrovarci con 202.000 occupati in meno. Se teniamo conto che circa 30.000 esuberi sono riconducibili ad addetti occupati nelle grandi aziende che hanno aperto un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo
Economico, gli altri 172.000 sono alle dipendenze delle piccole e medie imprese.
<p>«Premesso che negli ultimi quattro anni la variazione dei posti di lavoro riferiti alla seconda parte dell’anno è sempre stata negativa – dichiara il segretario della CGIA – la stima riferita al 2012 è comunque peggiore solo al dato di consuntivo
riferito al 2009. Purtroppo in queste ore non si sta consumando solo la drammatica situazione dei lavoratori dell'Alcoa o dei minatori del Carbosulcis, ma anche quella di decine e decine di migliaia di addetti delle pmi che rischiano di rimanere
senza lavoro».
<p>La CGIA, tuttavia, invita il Governo ad aiutare le pmi.
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«Le ristrutturazioni industriali avvenute negli anni '70, '80 e nei primi anni '90 presentavano un denominatore comune. Chi veniva espulso dalle grandi imprese spesso rientrava nel mercato del lavoro perché assunto in una pmi. Oggi anche queste ultime sono in difficoltà e non ce la fanno più a creare nuovi posti di lavoro. Per ridare slancio alle piccole realtà imprenditoriali che continuano ad essere l’asse portante della nostra economia diventa determinante recepire in tempi brevissimi la Direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti, per garantire una certezza economica a chi,
attualmente, viene pagato mediamente dopo 120/180 giorni dall’emissione della fattura. Bisogna trovare il modo per agevolarne l’accesso al credito, altrimenti l’assenza di liquidità rischia di buttarle fuori mercato. Infine, bisogna alleggerire il carico fiscale premiando anche i lavoratori dipendenti, altrimenti sarà
estremamente difficile far ripartire i consumi interni».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2012/09/posti-lavoro.pdf">CGIA Mestre</a>Mario MONTI: Alleggerimento carico fiscale, precisazione.2012-08-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648187Alla data della dichiarazione: Senatore a vita- Pres. del Consiglio <br/><br/><br />
"La Repubblica del 15 agosto annunciava in prima pagina "Monti studia il taglio dell'Irpef".<br />
Non ho voluto smentire il giorno stesso, per non amareggiare il Ferragosto degli Italiani. Per serietà, devo però precisare che il governo non ha attualmente allo studio un provvedimento di questo genere. Il carico fiscale sulle persone fisiche e sulle imprese in Italia è senz'altro eccessivo, ma in questo momento l'attenzione per il riequilibrio della finanza pubblica non può essere allentata.
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Fin dall'inizio del suo mandato il governo, con il costante ed essenziale appoggio del Parlamento, pur avendo dovuto fronteggiare una grave emergenza, ha avviato riforme strutturali dell'economia e dello Stato che renderanno possibile conseguire un bilancio strutturalmente in pareggio (condizione per uno sviluppo economico e sociale sostenibile) pur con minori imposte.
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Un fisco meno gravoso è una sacrosanta esigenza per i contribuenti onesti. Renderlo concretamente possibile, senza fare promesse irrealizzabili, è un obiettivo tra i più importanti per il governo. Ma prima che la politica di risanamento e di riforma venga consolidata, se possibile anche con radici che ne rendano probabile la prosecuzione con i governi che verranno, iniziare a distribuirne i benefici (ad esempio riducendo l'Irpef) sarebbe prematuro. Quando una tale prospettiva verrà delineata e sarà considerata credibile anche dai mercati, ipotesi di un minore carico fiscale saranno non solo auspicabili, ma concretamente realizzabili."<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.governo.it/Presidente/Comunicati/testo_int.asp?d=68996">www.governo.it</a>Maurizio SACCONI: «La riforma della Fornero sta contraendo ancor più il lavoro» - INTERVISTA 2012-08-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648041Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: FI) <br/><br/><br />
Lo sviluppo in Italia è un tema divisivo. E questo perché nel nostro Paese restano correnti politiche, sociali e istituzionali ancestralmente ostili all'impresa. Un'ostilità che si è vista in alcuni conflitti sociali, nei provvedimenti giudiziari su Pomigliano o su Taranto, e anche in alcuni atti del governo».
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<b>Quali sono questi atti del governo?</b>
<p> «Ad esempio, la riforma del lavoro. Ma non solo».
<p> <b>Ieri alla «Stampa» il ministro l'ha definita invece «un buon equilibrio fra interessi sostanzialmente contrapposti», imprese e lavoratori...</b>
<p> «Con tutto il rispetto per il ministro Fornero, che stimo, io parto da un punto di vista diverso: gli interessi di lavoratori e imprese, anche nel breve periodo, devono essere convergenti. Detto questo, i primi monitoraggi ci dicono invece come si stia contraendo l'occupazione».
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<b>Sta dicendo che la riforma Fornero favorisce la disoccupazione?</b>
<p>«Dico che contrae diffusamente la conferma di alcune tipologie di contratto: a tempo determinato, a chiamata, collaborazione a progetto... Contrae la propensione a confermare questi rapporti di lavoro e ad aprirne di nuovi, in un momento in cui le imprese vedono troppe incertezze davanti a sé per fare contratti a tempo indeterminato».
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<b>Però il ministro ha portato l'esempio positivo della Golden Lady...</b>
<p> «Ma il saldo complessivo sarà più o meno occupazione regolare? Io credo meno, rispetto a quella che ci sarebbe stata non facendo la riforma».
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<b>Quindi la risposta alla domanda se favorisce la disoccupazione...</b>
<p> «È sì: favorisce una contrazione aggiuntiva dell'occupazione. In un periodo in cui dovremmo premiare dal punto di vista regolatorio chi assume, è paradossale che produciamo invece una regolazione più pesante».
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<b>Il ministro dice che tanti criticano, ma nessuno dice «questa specifica norma non va bene, dovresti cambiarla così».</b>
<p> «Eh no, noi l'abbiamo detto. Abbiamo detto di tornare alla legge Biagi, eliminando tutti i dispositivi introdotti che la correggono. Abbiamo chiesto di avere più fiducia nel dialogo tra le parti in dimensione aziendale, in quanto luogo
della condivisione. Abbiamo chiesto di applicare l'arbitrato come via ordinaria per risolvere le controversie, di usare l'articolo 8 per le deroghe normative, e di incentivare, come negli anni scorsi, il salario collegato alla produttività».
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<b>La Fornero si è definita «abbastanza soddisfatta» del lavoro del governo finora. Lei come si definirebbe?</b>
<p> «Il governo ha fatto un doveroso lavoro di implementazione dell'agenda europea, e in questi mesi le forze politiche che lo sostengono hanno assunto responsabilità impopolari, per favorire la stabilità. Resta insoddisfacente il punto di vista dello sviluppo, perché la pressione fiscale e regolatoria resta ai massimi livelli. E ci vorrebbero larghe intese bipartisan su tutto ciò che dipende da noi per un recupero della sovranità nazionale».
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<b>Cioè?</b>
<p> «Un drastico abbattimento del debito. Riforme istituzionali: il presidenzialismo, il federalismo, la riforma elettorale. Il nodo dell'anomalia giudiziaria, che si riverbera sull'efficienza della nostra democrazia. Ci vorrebbe una larga condivisione, per creare un pavimento comune che renda meno traumatica l'alternanza di governo quando sarà il momento».
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<b>Oggi Monti denuncia il rischio di un sentimento anti-tedesco in Italia...</b>
<p>«A dire il vero sarei più preoccupato per il persistere di idee, fra i tedeschi, che portano più a un'Europa tedesca che a una Germania europea...».
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IODIL">La Stampa - Francesca Schianchi</a>Alberto Brambilla: «La riforma della Fornero ha creato solo disoccupati» - INTERVISTA 2012-08-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648039<br />
«Il ministro Fornero? Un Ufo che non conosce il Paese». Alberto Brambilla, docente alla Cattolica, già sottosegretario al Welfare e tra i massimi esperti italiani di pensioni, si è recentemente dimesso dalla presidenza del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale.
<p><b>Professore, il ministro Fornero rivendica la riforma del lavoro e propone redistribuzione del carico fiscale a favore dei più deboli e reddito minimo. Cosa ne pensa?</b>
<p> «Mi sembra di risentire Livia Turco. Io sono convinto che il prossimo governo dovrà rimettere mano alla riforma quando a gennaio si misureranno i livelli occupazionali e ci si renderà conto del fallimento di queste misure. La speranza è che nel frattempo non vengano fatti altri danni perché così si porta il Paese alla morte».
<p> <b>Lei è davvero convinto che il lavoro calerà?</b>
<p> «Sì, perché la riforma è completamente scollata dalla realtà del Paese. In un mondo dove siamo tutti precari che senso ha puntare tutto sul solo lavoro a tempo determinato, togliere i contratti a progetto e banalizzare i lavori a chiamata rendendoli possibili fino ai 25 anni o sopra i 55? Oppure ritenere una partita Iva vera se dichiara più di 18mila euro? Si rende conto che se dopo due anni si è costretti a licenziare bisogna pagare tra le 15 e le 22 mensilità? Oggi pmi, artigiani, commercianti e liberi professionisti non sanno come chiudere il mese, non l'anno. Queste rigidità non esistono in nessun altro Paese. A ciò bisogna aggiungere l'ulteriore incremento dei contributi che renderanno ancor meno competitivo il lavoro».
<p><b>Il ministro ribatte che le organizzazioni internazionali hanno apprezzato la riforma.</b>
<p> «Ma figuriamoci, non l'hanno neppure letta. Del resto il testo è illeggibile per qualsiasi persona normale, è tutta un rimando ad altre leggi».
<p> <b>Qual è allora la ratio della riforma?</b>
<p>«La riforma è fondata sulla teoria, è condizionata in negativo dal sindacato e rovescia l'assunto della riforma Treu che partiva dal presupposto che se qualcuno deve lavorare, meglio che sia in regola per breve tempo piuttosto che in nero. Oggi invece in università siamo persino in difficoltà ad assumere i tutors per i master».
<p> <b>Il resto del governo, però, ha sostenuto questa riforma.</b>
<p>«Io stimo alcuni ministri ma penso che le iniziative della Fornero rischino di rovinare l'ottimo lavoro che stanno facendo Monti, Moavero e Passera. Credo che fidandosi delle credenziali abbiano inizialmente lasciato fare».
<p><b>Prevede modifiche in corsa?</b>
<p> «Sì, per esempio con il decreto Sviluppo si è iniziato a smontare alcune parti della riforma».
<p> <b>Fornero auspica redistribuzione del carico fiscale e salario minimo. Cosa ne pensa?</b>
<p> «Evidentemente non sa a cosa si riferisce. Nel 2010, la spesa totale dello Stato è stata di circa 800 miliardi di cui 400 redistribuiti per pensioni, assistenza e sanità. Lo Stato ha speso per ciascuno dei 60 milioni di abitanti 13.330 euro. Ebbene abbiamo i primi 14 milioni di contribuenti che dichiarano fino a 10mila euro e la metà di loro non arriva a 5mila euro. Togliamo pure i 5,3 milioni di pensionati. Restano 8,7 milioni di soggetti che pagano un'imposta di 121 euro l'anno. Questo vuol dire che, tenendo conto della sola spesa sanitaria, più di 20 milioni di abitanti presentano una spesa di 40 miliardi che deve essere finanziata totalmente da altri contributori. I secondi 13 milioni di abitanti che dichiarano tra 10mila e 20mila euro hanno la metà della spesa sanitaria finanziata da altri. E anche quelli tra 20 e 40mila sono ancora sotto la spesa statale pro capite».
<p> <b>Quindi la redistribuzione è impossibile?</b>
<p> «Vuol dire che il 7,2% dei contribuenti (che paga oltre il 45% dell'intera Irpef) finanzia tutti gli altri. Pensare di inasprire le tasse su di loro per ridurre il carico sugli altri o dare ulteriori prestazioni assistenziali, vorrebbe dire metterci al limite della democrazia e prossimi all'esproprio».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IOBNR">il Giornale - Fabrizio de Feo </a>Elsa Fornero: «Il rigore da solo non basta. Bisogna pensare ai più deboli» - INTERVISTA2012-08-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648000Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
Esattamente un anno fa, il 5 agosto del 2011, la Banca centrale europea recapitava al governo italiano la lettera che contribuirà a cambiare il corso degli eventi. Quando chiediamo a Elsa Fornero un bilancio di questo anno di governo interrompe stupita:<br />
«Anno? Spesso si dimentica che abbiamo giurato il 16 novembre».
<p>Il ministro del Lavoro si sta concedendo un week-end al mare prima di rientrare a Roma per l’ultimo consiglio. Poi, mercati permettendo, una breve pausa ferragostana. Fornero scherza: «Tutti dobbiamo sperare che ci sia. Perché se fossimo costretti al lavoro anche in quei giorni non sarebbe una buona notizia per nessuno».
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<b>Ministro, per quanto breve sia l’esperienza del governo Monti, sulle sue spalle sono state riposte aspettative enormi, in Italia e nel mondo. Lei è soddisfatta?</b>
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«Nessuno ha la bacchetta magica. Ma dico abbastanza soddisfatta».
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<b>Le cito il passaggio della lettera firmata da Mario Draghi dedicata alla riforma del mercato del lavoro: «Dovrebbe essere adottata un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e di politiche attive che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e i settori più competitivi». La vostra riforma soddisfa questa richiesta?</b>
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«Questa riforma, che nessuno ha mai pensato potesse essere la migliore possibile, è un buon equilibrio fra interessi sostanzialmente contrapposti, soprattutto nel breve periodo: quelli delle imprese e dei lavoratori. E non lo dico solo io, ma l’Europa e l’Ocse. Fino a poche settimane fa, dopo la decisione del governo di presentarla in Parlamento come disegno di legge, tutti mi dicevano: Elsa, vedrai, faranno finta di discuterne ma non l’approveranno mai. Dal 18 luglio è legge dello Stato. A questa riforma ora dobbiamo dare il tempo di vivere».
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<b>La critica più ricorrente: troppo morbida la modifica dell’articolo 18 sul diritto al licenziamento. Di più: in nome della lotta alla precarietà si è irrigidito l’ingresso al lavoro dei più giovani. Cosa risponde?</b>
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«Ha ragione: mi criticano in molti. C’è chi auspica deregolamentazioni, altri parlano di una riforma a metà. Nessuno però mi dice: questa specifica norma non va bene, dovresti cambiarla così».
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<b>L’idea di affidare ad un giudice l’applicazione o meno dell’articolo 18 non equivale a non cambiare nulla?</b>
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«Su questo punto c’è un pregiudizio negativo, quello secondo il quale il giudice del lavoro non è in grado di valutare correttamente e rapidamente eventuali ricorsi. E poi: se avessimo fatto una scelta più drastica, ammettendo il ricorso per meri motivi discriminatori, lei crede che il numero delle istanze di fronte al giudice sarebbe stato diverso?»
<p>
<b>Insomma, lei chiede tempo per giudicare la qualità della riforma. E’ così?</b>
<p>
«Proprio oggi, a venti giorni dalla sua entrata in vigore, mi hanno informata di un accordo firmato alla Golden Lady. Le mille operaie assunte come associate in partecipazione - uno dei tanti sistemi di cattiva flessibilità usata dagli imprenditori per eludere gli obblighidi legge - verranno assunte quasi tutte a tempo indeterminato. A me questo sembra un bell’esempio di norma che migliora i comportamenti. Ciò detto, nessuno considera la riforma intoccabile, siamo pragmatici, e pronti a modificarla in qualunque momento. Ci sono ancora diverse deleghe da attuare, e sto costruendo un sistema di monitoraggio che resterà a disposizione del mio successore. Io credo che questa sia una buona riforma, e sono convinta sia anche l’opinione della gran parte degli italiani».
<p>
<b>Lei si dice soddisfatta di quanto fatto in questi nove mesi. Se il metro del giudizio è il livello di spread fra Btp e Bund, quello dei mercati invece è negativo. Perché secondo lei?</b>
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«Il metro del giudizio degli investitori è la sostenibilità del debito pubblico. Se lo ritengono sostenibile, anche se alto non costituisce un problema. Per ottenere tutto questo la politica deve mostrarsi credibile, fare scelte lungimiranti e non ripiegate sul presente».
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<b>In questa fase della crisi c’è una responsabilità delle scelte politiche dell’Europa?</b>
<p>
«La crisi finanziaria si è imposta come tema dominante e vincolo stringente. Ma per quanto inevitabile, oggi non è facile spiegare alle persone che si aiuta il sistema bancario spagnolo per salvare il sogno europeo e l’euro. Nelle riunioni con i colleghi europei discuto spesso della necessità di spostare maggiormente l’attenzione sulle politiche sociali, il lavoro, le famiglie. Per quanto importante, imporre il rigore per garantire la sopravvivenza di una moneta non è sufficiente».
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<b>Ministro, risorse da distribuire non ce ne sono. Dunque?</b>
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«Il sentiero è stretto, ma occorre guardare a una qualche forma di redistribuzione del carico fiscale. Il primo passo per noi è una maggiore lotta all’evasione. Bisogna pensare a una riduzione del carico fiscale sui più deboli, o all’introduzione di un reddito di cittadinanza, presente in molti Paesi europei. Oggi le condizioni non ci sono, ma una volta superata l’emergenza la prospettiva deve essere questa. Non è un mio pensiero estemporaneo, ma è anche una posizione autorevolmente sostenuta dal presidente Monti e mi pare anche da Francois Hollande».
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<b>Per via dell’alto spread l’Italia rischia di essere costretta a chiedere l’attivazione di un meccanismo di aiuti e la sottoscrizione di ulteriori impegni con l’Europa. Molti sostengono che questo equivale a un «commissariamento della politica», che costringerà ad un nuovo governo di larga coalizione dopo le elezioni. L’Europa a trazione tedesca comprime la democrazia?</b>
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«No, non lo credo. Il problema è che abbiamo ancora molte cose da fare, molte riforme da attuare. L’unico disegno pericoloso è quello di chi pensa si possa uscire dall’euro. Allora sì che prevarrebbero idee poco democratiche».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1INGKP">La Stampa - Alex Barbera</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Burocrazia: tassa occulta che soffoca le Pmi2012-07-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647560Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
Al sistema delle piccole e medie imprese italiane (Pmi) costa 26,5 miliardi di euro.
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Rispetto a poco più di un anno fa questa “tassa occulta” è aumentata di 3,4 miliardi di euro (+14,7%).
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Su ciascuna Pmi grava un costo di 6.000 euro.
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Sono questi i drammatici risultati a cui è giunta la CGIA di Mestre che, grazie al lavoro del suo Ufficio studi, ha analizzato il costo della burocrazia che incombe sul mondo delle Pmi italiane (imprese con meno di 250 addetti). I costi sono stati calcolati su base annua e sono aggiornati al mese di maggio del 2012.
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Dice il segretario della CGIA di Mestre: “Sono cifre che fanno accapponare la pelle".<br />
"Ormai la burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo delle pmi. Nonostante le misure di semplificazione adottate in questi ultimi anni, l’inefficienza del sistema pubblico italiano continua a penalizzare le imprese attraverso un spaventoso aumento dei costi". <p>
"I tempi e il numero degli adempimenti richiesti dalla burocrazia sono diventati una patologia endemica che caratterizza negativamente il nostro Paese. Non è un caso che gli investitori stranieri non vengano ad investire in Italia anche per la farraginosità del nostro sistema burocratico. Una legislazione spesso indecifrabile, l’incomunicabilità esistente tra gli uffici delle varie amministrazioni, la mancanza di trasparenza, l’incertezza dei tempi e un numero spropositato di adempimenti richiesti hanno generato un velo di sfiducia tra imprese private e Pubblica amministrazione che, nonostante gli sforzi fatti dal legislatore, non sarà facile rimuovere”.
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“Se teniamo conto che il carico fiscale sugli utili di una impresa italiana ha raggiunto il 68,6%, contro una media presente in Germania del 48,2%, c’è da chiedersi come facciano i nostri imprenditori a reggere ancora il confronto. Per questo bisogna dire basta ad un fisco opprimente e ad una burocrazia ottusa. Lavorare in queste condizioni costringe gli imprenditori italiani a trasformarsi quotidianamente in piccoli eroi: questo non deve più accadere".<p>
<b>I dettagli dello studio:</b>
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Il settore che incide di più sui bilanci delle Pmi è quello del lavoro e della previdenza: la tenuta dei libri paga; le comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro; le denunce mensili dei dati retributivi e contributivi; l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni costano al sistema delle Pmi complessivamente 9,9 miliardi all’anno (6,9 miliardi in capo al lavoro, 3 miliardi riconducibili alla previdenza e all’assistenza).
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La sicurezza nei luoghi di lavoro pesa sul sistema imprenditoriale per un importo complessivo pari a 4,6 miliardi di euro. La valutazione dei rischi, il piano operativo di sicurezza, la formazione obbligatoria del titolare e dei dipendenti sono solo alcune delle voci che compongono i costi di questo settore.
L’area ambientale, invece, pesa sul sistema delle pmi per 3,4 miliardi di euro l’anno. Le autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, la documentazione per l’impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sono le voci che determinano la gran parte degli oneri di questa sezione.
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Di rispetto anche il costo amministrativo che le aziende devono “sopportare” per far fronte agli adempimenti in materia fiscale. Le dichiarazioni dei sostituti di imposta, le comunicazioni periodiche ed annuali Iva, etc, costano complessivamente 2,7 mld di euro.
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Gli altri settori che incidono sui costi amministrativi delle pmi sono la privacy (2,6 mld di €), la prevenzione incendi (1,4 mld di €), gli appalti (1,2 mld di €) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi di €).<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/2012/07/burocrazia-una-tassa-occulta-che-soffoca-le-pmi/">CGIA Mestre</a>Stefano Boeri: Alle tasse sette mesi di lavoro2012-07-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647505Alla data della dichiarazione: Assessore Comune Milano (MI) (Partito: PD) <br/><br/><br />
La pressione fiscale in Italia è salita di due punti di pil con le manovre che si sono succedute da un anno a questa parte e che hanno largamente privilegiato (per circa 4/5 del totale) gli aumenti delle tasse rispetto ai tagli della spesa pubblica. Oggi è pari al 46% mentre le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono salite al di sopra del 50% del pil.
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Più della metà del reddito generato in Italia finisce alle casse dello Stato. La pressione fiscale effettiva, quella che grava su chi paga effettivamente le tasse, è cresciuta ancora di più perché, nonostante il rafforzamento delle norme antievasione, la quota di economia sommersa è aumentata.
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Quando si aumentano le tasse (in parte anche quando si riduce la spesa pubblica) c’è sempre un trasferimento di attività dal settore regolare, quello in cui opera chi paga le tasse, all’economia sommersa. Secondo le stime più recenti dell’Istat, il sommerso conta per circa il 17 per cento del pil. Quindi la pressione fiscale su quell’83 per cento di reddito tassato sarebbe addirittura del 55 per cento, il peso delle entrate pubbliche sul reddito regolare al di sopra del 60 per cento.<br />
<b>Sono livelli oggi insostenibili</b>.
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Dato che le tasse sono concentrate sul lavoro, ci impediscono di utilizzare la risorsa da noi maggiormente inutilizzata e ne fanno lievitare i costi, riducendo la competitività dei beni prodotti in Italia. I dati Ocse ci dicono che il divario con la Germania nel costo del lavoro per unità di prodotto è diminuito in tutti i paesi del contagio (i cosiddetti PIGS) tranne che in Italia. E’ un segnale molto brutto per gli investitori.
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Inoltre, ciò che rende particolarmente pesante la pressione fiscale da noi è il fatto che a tasse così elevate non corrisponde una adeguata qualità dei servizi offerti ai cittadini. Abbiamo tasse svedesi e servizi italiani, il prelievo non viene percepito come un pagamento a fronte di prestazioni, ma come una tassa tout court, che provoca al cento per cento una riduzione di benessere i cittadini.
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La riduzione della pressione fiscale richiede inevitabilmente del tempo in un paese con il nostro debito pubblico. Deve infatti basarsi su tagli di spesa corrente primaria. I risparmi nella spesa per interessi andranno questa volta utilizzati per ridurre il debito. E i tagli alla spesa corrente devono essere mirati, intelligenti.
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Perché alleggerire la pressione fiscale significa anche migliorare la qualità della spesa pubblica. Bisogna ridurre quella che serve solo a comprare consenso elettorale. È quella che ha permesso alla Regione Sicilia, decisiva in molte elezioni, di mantenere in vita le baby pensioni per vent’anni in più che nel resto del Paese e di continuare ad assumere in massa dipendenti pubblici (ne ha più della Lombardia) mentre nel resto del Paese c’era il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.
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Bisogna anche legare più strettamente i prelievi alle prestazioni effettivamente offerte a chi paga, e solo a chi paga. I lavoratori devono sapere che i contributi che pagano daranno loro diritto a un reddito se perdono il lavoro. I giovani devono sapere che i versamenti previdenziali aumenteranno il livello della loro pensione futura. Solo così non li percepiranno come tasse, ma come assicurazioni o accantonamenti per la vecchiaia.
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Per questo è così importante riformare gli ammortizzatori sociali istituendo un sistema trasparente che protegga chi paga i contributi. Per questo <b>il Presidente dell’Inps dovrebbe dimettersi</b>. È pagato ben al di sopra dei massimali posti per la dirigenza pubblica e non è stato in grado di mandare a casa di tutti i contribuenti un rendiconto di quale potrà essere la loro pensione futura in base a quanto versano oggi.
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Un governo tecnico deve tagliare la spesa elettorale dato che non ne ha bisogno e deve riuscire a impegnare i governi futuri a continuare sulla strada dei tagli alla spesa sin qui solo inizialmente e timidamente intrapresa. Può impegnarsi a destinare una quota consistente dei tagli alla spesa pubblica alla riduzione della pressione fiscale e chiedere alle forze politiche che compongono la sua maggioranza di fare altrettanto, chiarendo anche come e in quali aree questi tagli verranno perseguiti.
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Ci vuole un impegno esplicito e misurabile. Servirebbe ad aumentare il controllo democratico e a darci una prospettiva, rassicurando anche gli investitori. Avremo altrimenti solo le consuete promesse da marinaio. E più ci avvicineremo alle elezioni, più serrata sarà la gara a chi si impegna a ridurre di più la pressione fiscale. Scommetto che questa volta si parlerà di almeno 5 punti di pil. Tutti sulla carta dei programmi elettorali, solo su quella.
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HXFIC">Europa</a>Pier Paolo BARETTA: Spending review, tagli o risparmi? 2012-07-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647444Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
“Siamo fortemente impegnati per cambiare la spending review, per migliorarla. Bisogna che ogni ente interessato ai tagli si responsabilizzi, dandosi degli obiettivi da raggiungere. Noi siamo contrari alla corsa al taglio, ma se non si fa bisogna intervenire su altre voci: visto però che la pressione fiscale è al top, bisogna inevitabilmente intervenire sulla spesa. Per non farlo in modo irrazionale, ognuno faccia proposte per sè, non per gli altri”.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.youdem.tv/doc/239502/spending-review-tagli-o-risparmi.htm">www.youdem.tv</a>Fabrizio CICCHITTO: «Tagliare gli F35»2012-07-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647089Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) <br/><br/><br />
«L’aumento della pressione fiscale ci ha portato in recessione» — non ci si chiede come mai sotto la scure dei tagli «non siano caduti anche i miliardi da spendere per gli aerei F35».
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<b>SPESE MILITARI</b> - «Non possiamo dimenticare che ai greci, anche nelle condizioni in cui si trovavano, erano state imposte, in quel caso dai tedeschi, forti spese militari. In una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo c’è un limite anche alla subalternità». Poi, arriva la proposta del capogruppo: «Casomai, parte dei soldi così tagliati potrebbero essere dedicati alla polizia, ai carabinieri alla ricerca e ai beni culturali».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HG4DH">Corriere della Sera</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Famiglie: negli ultimi 10 anni il gettito delle tasse locali è aumentato dell’86%2012-05-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it627158Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
Nel 2012 il gettito delle principali tasse locali in capo alle famiglie italiane sfiorerà i 35 miliardi di euro. Ma ad impressionare ancor di più è la variazione di crescita del gettito registrata negli ultimi 10 anni: + 86, 4%. Sempre nello stesso periodo di tempo, la crescita del carico fiscale locale su ciascuna famiglia italiana è aumentata del 69,3%.
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A queste cifre è giunta la CGIA di Mestre che ha analizzato il gettito delle principali imposte locali che ha gravato nell’ultimo decennio sui bilanci delle famiglie italiane. Le tre imposte prese in esame sono l’addizionale regionale Irpef, l’addizionale comunale Irpef e l’Ici/Imu.
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La CGIA di Mestre stima che per l’anno in corso, in particolar modo per l’applicazione dell’Imu sulla prima casa e per l’aumento delle addizionali regionali Irpef, l’impennata sarà molto decisa: su ciascuna famiglia italiana peserà un carico fiscale locale aggiuntivo medio pari a 575 euro, che alzerà la quota totale sino a toccare un valore medio di 1.390 euro.
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“In buona sostanza – esordisce il segretario della CGIA <b>Giuseppe Bortolussi</b> – nel 2012 ciascuna famiglia italiana verserà alla sua Regione e al Comune di residenza un importo medio pari ad uno stipendio mensile. Va sottolineato che questi risultati a cui siamo giunti sono sottostimati, visto che nel conteggio abbiamo mantenuto il gettito dell’addizionale comunale Irpef pari a quello incassato l’anno scorso. In realtà sappiamo benissimo che non sarà così, visto che per il 2012 molti Sindaci hanno deciso di rivederne all’insù l’aliquota”.
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Peccato, prosegue, che tutto ciò non abbia nulla a che vedere con il federalismo fiscale.
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“Avviato concretamente nella prima fase di questa legislatura– conclude Bortolussi – il federalismo fiscale è una riforma che dovrebbe essere ripresa in mano e portata a compimento. Invece, prima di cancellarla dalla sua agenda politica, il Governo Monti ne ha modificato un tassello importante: l’Imu. Inizialmente ne ha cambiato la metodologia di applicazione, poi ne ha anticipato di un anno l’entrata in vigore, con il risultato di favorire, in grande misura, le casse dello Stato centrale a svantaggio di quelle dei Comuni. Risultato: obbiettivo originario completamente rovesciato”.
<p><b>LE PRINCIPALI IMPOSTE LOCALI PAGATE DALLE FAMIGLIE</b>
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Dati in milioni di euro
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Addizionale regionale IRPEF 2003 = 6.166 <br />
Addizionale regionale IRPEF 2012 = 10.616 | Variazione% + 72,2%
<p>
Addizionale comunale IRPEF 2003 = 1.571 <br />
Addizionale comunale IRPEF 2012 = 2.913 | Variazione% + 85,4%
<p>
ICI/IMU 2003 = 11.035 >>> ICI/IMU 2012 = 21.455 | Variazione% + 94,4%
<p>
TOTALE 2003 = 18.772 >>> TOTALE 2012 = 34.984 | Variazione% + 86,4%
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A famiglia (importi in euro) Nel 2003 = 821 | Nel 2012 = 1.390 | Variazione% + 69,3%<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/2012/05/famiglie-negli-ultimi-10-anni-il-gettito-delle-tasse-locali-e-aumentato-dell86/">CGIA Mestre</a>Francesco BOCCIA: «Si tassi il contante per far emergere il nero» - INTERVISTA 2012-04-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626821Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Prof. Francesco Boccia (Pd), crede veramente che la proposta di tassare il denaro contante abbia una logica?</b>
<p> «La mia proposta non punta tanto sulla tassazione, quanto a creare un sistema deterrente per far emergere il nero. Non si può dire che ci sono 150 miliardi di euro in nero e poi non fare nulla. In tutte le case degli italiani, quando arriva un idraulico, un elettricista, un geometra, chiaramente senza generalizzare, ci si trova dinanzi al dilemma con fattura o senza fattura. Non può più essere così. Senza parlare del nero che entra in banca frutto di attività criminali. I controlli ci sono tramite la Finanza e l'Agenzia delle entrate ma finora non ci sono stati grandi effetti, anche perchè non superano l'1,5%. Per ottenere la deducibilitá totale occorre avere la copertura finanziaria. Diverso è se il controllo è fatto dai cittadini, occorre creare un contrasto di interessi. Abbiamo proposto una tassazione alta sia sui prelievi che sui contanti, secondo noi con un tetto di 1000 euro».
<p>
<b>Se lo scopo è quello di combattere l'evasione, va rilevato che i livelli di tracciabilità nel corso del tempo si sono abbassati, ma l'evasione non è calata. È così?</b>
<p> «La tracciabilità vera è in vigore da un anno. Nel 2007 la mise Padoa Schioppa ma Tremonti prima la tolse per poi reintrodurla, e poi Monti l'ha ribadita. In realtà è in vigore da alcuni mesi. La rintracciabilità offre risultati nel medio termine. Servono i controlli».
<p>
<b>E gli oneri bancari per carte di credito e simili?</b>
<p>«Il sistema deve essere gratuito, senza questo aspetto la proposta non regge».
<p>
<b>Ma se le banche hanno fatto muro contro l'eliminazione delle commissioni bancarie, come può sperare che accettino l'idea di fornire servizi gratuitamente?</b>
<p> «Occorre fare una battaglia culturale. Ricordo che con questo sistema entrerebbero nelle casse dello Stato 100 miliardi dal nero e illegalità. Ci sarà molta gente che pagherà le tasse e oggi non lo fa».
<p>
<b>Il malaffare, in tutte le sue manifestazioni, non usa il bancomat. Questa misura non finirebbe per creare in circuito parallelo del contante?</b>
<p> «Ma non avrebbero più valore i soldi in contanti. Chi li ha cosa se ne fa? Se li dà ad altri, questi cosa se ne fa, se valgono di meno? È chiaro che tutto questo ha senso se si accompagna con sanzioni penali a chi non rispetta la legge. È un sistema estremo, ma l'Italia è in una condizione estrema. Ma le persone normali mica portano in tasca 5 o 6.000 euro».
<p>
<b>Non sarebbero danneggiati solo gli onesti?</b>
<p> «Le persone oneste, cioè la stragrande maggioranza dei cittadini, userebbe la carta di credito senza problemi, a maggiore ragione se è senza commissioni. E a tutti coloro che pensano che la pressione fiscale sia altissima, ricordo che se non si fa una lotta assidua all'evasione fiscale, le tasse non calano».
<p>
<b>Il Paese dell'uso esclusivo delle carte di credito è lontano dalla realtá. Che diciamo agli anziani che per comprare un chilo di pane devono usare la carta di credito?</b>
<p>«Il problema non è il chilo di pane, e poi si può discutere sul tetto. Non è che scompare la moneta. Certo se l'anziano va dall'avvocato o dal medico è suo interesse pagare con la carta di credito».
<p>
<b>Si può pensare alla riduzione del contante in un solo Paese?</b>
<p> «Negli Usa l'uso della carte di credito è triplo rispetto all'Italia, in Francia e Inghilterra è il doppio. Ci sarà un motivo? Con chi vogliamo confrontarci, con la Tunisia? L'utilizzo del contante in Italia è un'anomalia italiana. Certo questo meccanismo e l'abolizione dei costi in banca devono andare insieme».
<p>
<b>Questa proposta sembra poco riformista e molto massimalista. Che dice?</b>
<p> «Ci sono momenti della storia in cui servono iniziative massimalistiche e radicali per essere riformisti. Il caso del sommerso e del nero è la prova più evidente che questo approccio in alcuni casì è necessario».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1DTDYT">La Gazzetta del Mezzogiorno - Michele Cozzi</a>Elio LANNUTTI: «Lo Stato vuole il nostro sangue. Moratoria per chi è sul lastrico» - INTERVISTA2012-03-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626376Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Elio Lannutti, presidente dell`Adusbef e senatore dell`Italia dei Valori, ieri mattina ha sbattuto i pugni sul tavolo, pronunciando anche parole forti, non appena la sua segreteria lo ha avvertito che a Bologna un artigiano si era dato fuoco per non essere riuscito a far fronte a un debito con il fisco. Lannutti da anni è in prima linea nella difesa dei consumatori e ha fatto della battaglia contro Equitalia un punto d`onore del suo mandato parlamentare.
<p>
«Mi metterei a piangere dalla rabbia - ci dice al telefono con la voce ancora incrinata dall`emozione - perché questo Governo che pensa che il Paese non sia all`altezza della sua caratura, non sta facendo nulla e mostra la più spietata insensibilità di fronte ai reiterati tentativi, miei e di altri senatori, di dare il via ad una moratoria per quelli che non riescono a pagare i debiti con il Fisco. C`abbiamo provato più volte, nel decreto semplificazioni, ma il sottosegretario Vieri Ceriani ha bocciato sempre tutto a nome del Governo...»
<p> <b>Intanto la pressione fiscale aumenta..</b>
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«Va sempre peggio. Al Governo, però, non importa assolutamente nulla, sembrano scollati completamente dal Paese reale, a loro non interessa niente se uno arriva, come a Bologna a fare gesti estremi. Casomai perché Equitalia gli ha tolto la possibilità di accesso al credito o gli ha messo sotto fermo amministrativo i mezzi di lavoro. Ma mi spiegate come fa un libero professionista a cui viene tolta la possibilità di lavorare a rifondere un debito? Questo Governo si inginocchia solo al volere delle banche dalle quali, per altro, non riesce neppure ad ottenere l`annullamento delle commissioni dopo avergli regalato 15 milioni di nuovi correntisti, ossia i pensionati italiani. Lo trovo scandaloso».
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<b>Monti, però, qualcosa ha fatto, ha concesso la rateizzazione del debito e tolto la possibilità di inserire ipoteche fino a 20mila euro...</b>
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«Non è sufficiente. Quello che ci vuole è una moratoria di un anno per chi è sul lastrico e non è in grado di pagare; non ci sono altri metodi. Il Fisco vuole il sangue e per ottenerlo usa metodi che non esito a definire delinquenziali, perché metterti un`ipoteca sulla casa senza avvertirti o sequestrarti il trattore se fai l`agricoltore non può essere definito diversamente. Questi sono i modi classici con cui si uccide la ripresa economica, con una miopia enorme rispetto a quello che invece sarebbe necessario per far ripartire il Paese. Ma a Monti interessano solo le banche...».
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<b>Che, per altro, se sei moroso con il fisco ti chiudono il credito.</b>
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«Certo. E dobbiamo pensare che le banche di cui parliamo hanno recentemente ottenuto dalla Bce 251 miliardi ad un tasso dell`1 per cento e non hanno pensato neanche un minuto a rimettere sul mercato questo denaro attraverso agevolazioni del credito a imprese e famiglie per consentirgli di tirare il fiato. Niente. E poi dobbiamo vedere consumarsi tragedie come quella di Bologna perché qualcuno non ce l`ha fatta più. Sono riusciti solo ad aumentare la pressione fiscale, ma non hanno mai dato nulla in cambio. Monti ha commissariato l`Italia e se continua così, assisteremo ad altre tragedie come quella di Bologna. Nella sovrana indifferenza del premier e dei suoi ministri, che pensano che il Paese non sia alla loro altezza...».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1CV5K8">Quotidiano.net - Elena G. Polidori</a>GIUSEPPE BORTOLUSSI: Pressione fiscale “reale” record: ormai al 54,5%2012-03-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626378Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Gruppo: Altro) <br/><br/><br />
“Se nel 2012 la pressione fiscale ufficiale è prevista al 45%, quella reale, sempreché sia confermato l’ulteriore aumento dell’Iva previsto per il prossimo autunno, dovrebbe toccare il 54,5%. Un record che, purtroppo, non ha eguali al mondo”.
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Dopo le dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, sul carico fiscale record che peserà quest’anno sui contribuenti italiani, il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, ha voluto puntualizzare che, come riportato più sopra, una cosa è la pressione fiscale ufficiale e un’altra cosa è quella “reale”.
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La CGIA di Mestre, che da anni fa un monitoraggio molto puntuale sull’andamento della pressione fiscale “reale”, è giunta a questo risultato ricordando che il nostro Pil nazionale, include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi. Secondo l’Istat, l’economia in nero si aggirerebbe tra i 255 e i 275 mld di € l’anno. Ricordando che la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive ed il Pil prodotto in un anno, nel 2012 la pressione fiscale ufficiale dovrebbe attestarsi sul 45%.
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Tuttavia, se “storniamo” dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico che non produce nessun gettito per l’Erario, il Pil diminuisce (quindi si “contrae” il denominatore) e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Quindi, la pressione fiscale “reale” che grava su coloro che pagano correttamente le tasse è molto superiore a quella ufficiale che viene calcolata dall’Istat che, è bene sottolinearlo, rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat.
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Ebbene, se nel 2011 la pressione fiscale “reale” che pesa sui contribuenti italiani ha sfiorato una ipotesi massima del 52%, con gli effetti delle manovre estive di Berlusconi e gli interventi del Governo Monti, il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 farà impennare il carico fiscale sui contribuenti onesti sino ad una ipotesi massima del 54,5%.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.cgiamestre.com/2012/03/pressione-fiscale-%E2%80%9Creale%E2%80%9D-record-ormai-al-545/">CGIA Mestre</a>MARIANGELA COTTO: Prima riforma stop aumento tasse e dare incentivi fiscali a chi assume2012-01-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it622757Alla data della dichiarazione: Consigliere Provincia Asti (Lista di elezione: Mariangelacotto) <br/><br/>“La prima grande riforma per il lavoro è quella di smettere di
aumentare le tasse. Se si continua ad accrescere la pressione fiscale
come sta facendo il Governo Monti sarà impossibile creare nuovi posti
di lavoro perché le imprese scapperanno all’estero. Bisognerebbe,
invece, introdurre incentivi fiscali, per esempio riducendo l’irap,
per chi decide di assumere così come abbiamo fatto in Piemonte”.<br/>fonte: <a href="http://www.robertocota.it/news.php?id=1007">www.robertocota.it</a>Enrico MORANDO: Il nuovo decreto è un'imposta automatica?2011-05-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it560467Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Una cosa, intanto, è certa: in questo Decreto non c'è correzione dei conti pubblici, come fissati nel Documento di Economia e Finanza. Per il 2011 e il 2012, dunque, il livello di indebitamento (e di debito) resta quello definito con la manovra triennale (Decreto n. 78 del 2010). Una buona notizia, se si guarda alle pressioni del partito della spesa per manovre espansive in deficit.
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Ma le buone notizie si fermano qui. Il Decreto, infatti, è coerente col DEF (e il Programma Nazionale di Riforma che ne fa parte) anche nel senso che contiene una gran quantità di norme e normette, ma non intraprende alcuna riforma strutturale.
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In questo senso, è perfettamente vero che il Decreto è figlio legittimo del PNR: un documento di qualche pregio tecnico (al Ministero analisti di vaglia crescono), del tutto privo di "visione" (la rivoluzione liberale e la crescita sostenuta dalla liberazione degli "spiriti animali" sono mestamente sostituiti dal colbertismo e dalla difesa dell'italianissimo "capitalismo relazionale"), e con debole ambizione (in quasi tutti i campi, "programmiamo" di diventare, nel 2020, i peggiori tra i grandi dell'Euro).
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Se prima della Grande Recessione crescevamo meno degli altri Paesi dell'Area Euro. Se durante la stessa, siamo caduti di più. Se dopo abbiamo ripreso a camminare, ma più lentamente degli altri. Se il livello della disuguaglianza - per reddito e patrimoni - continua a crescere (OCSE 2011), e la mobilità sociale è ferma da tempo (ISTAT 2010). Se il debito pubblico è tornato al 120% del Prodotto, ben sopra quel 90% che costituisce - secondo l'esperienza storica - la soglia oltre la quale esso costituisce un serio ostacolo alla crescita... Se tutto questo è vero e noto, cosa dovrebbe contenere un Decreto "per lo sviluppo"? Ovvio: norme che favoriscono la crescita della produttività (del lavoro e dei fattori); che rendano più efficace e "universale" il nostro welfare, ancora troppo discriminante tra categoria e categoria, tra debole e debole; che aprano mercati chiusi, specie quelli di impatto "generale" come le grandi Reti energetiche, i servizi professionali, i servizi pubblici locali; che mantengano inalterata la pressione fiscale (attomo al 42,5% del PIL fmo al 2015), ma redistribuiscano il carico tra lavoro e imprese da una parte e rendite e patrimoni dall'altra; che superino il tragico dualismo del mercato del lavoro italiano.... Ecco, di tutto questo, nel Decreto, non c'è traccia. Con due eccezioni: una, positiva, il ritorno ad un forte credito d'imposta (automatico?) per gli investimenti in ricerca effettuati dalle imprese, in cooperazione con le Università; l'altra, negativa, la norma per la concessione novantennale del diritto di superficie sulle spiagge.
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La prima misura - introdotta a suo tempo dal Governo Prodi e prontamente "azzoppata", previa eliminazione dell'automatismo, da Tremonti e Berlusconi - è una componente essenziale di una strategia di sviluppo: le piccole e medie imprese italiane spesso non sono in grado, ciascuna per sè, di fare investimenti in ricerca, sia per migliorare il processo produttivo, sia per innovazioni di prodotto. <br />
Il credito d'imposta per quello che spendono - magari in unione con altre - per commesse di ricerca alle Università e ai centri pubblici può favorire il superamento del gap dimensionale. Ad una condizione: che l'imprenditore sia certo, assolutamente certo, che, fatto l'investimento, il credito arriva. Senza dover chiedere niente a nessuno, politico o funzionario pubblico che sia. Chiedo: quello previsto dal Decreto Sviluppo, è un credito d'imposta automatico? Se, come pare, la risposta è sì, è evidente che si pone un problema di corretta copertura finanziaria. Che può scontare l'esigenza di verifiche nel tempo. Ma non può essere rinviata a ... quando sarà necessario, per avvenuto esaurimento delle risorse appostate in Bilancio. Le quali a loro volta non possono costituire un "tetto di spesa", se l'impresa ha un diritto soggettivo al credito. Se invece quest'ultimo non è automatico, beh, allora il tutto si esaurirà nei pochi secondi del click day. Alla faccia della semplificazione...
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Sulle spiagge e le relative concessioni, invece, il Governo apre la fase della nuova governance economica europea con una scelta che si pone in aperta contraddizione con la prospettiva della costruzione di un vero e proprio mercato unico europeo. Molti hanno già detto e scritto dei seri rischi di danni e deturpazioni ambientali. Io voglio soffermarmi su altri due aspetti, relativi all'impatto economico della norma in questione.
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Il primo. Il demanio marittimo è patrimonio pubblico. Il patrimonio pubblico sta a garanzia del debito. Può dunque essere in parte alienato (non è il caso delle spiagge), fermi i vincoli storici, ambientali e culturali; in parte valorizzato e concesso in gestione a privati, in un contesto di regole certe, capaci di tutelare l'interesse pubblico (è il caso delle spiagge, come dell'etere). In uno stato che ha un debito pubblico come il nostro, però, deve valere un vincolo per le risorse rivenienti da interventi sul patrimonio pubblico: destinarle tutte a riduzione del debito. Nulla di tutto ciò è previsto, nel caso di specie. Sono quindi autorizzato a concludere che queste risorse finiranno dove è previsto che finiscano i 2,4 miliardi di Euro attesi dalla gara per le frequenze del digitale: a finanziare spesa corrente.
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Il secondo. Come si selezionano questi titolari del "diritto di superficie"? Sono i vecchi concessionari? In questo caso, consiglio a Tremonti di leggersi l'intervista a Flavio Briatore, gestore del Twiga di Marina di Pietrasanta: «Quattromila Euro di canone annuo versati allo Stato, tre milioni e 300 mila Euro di ricavi... un signore toscano a cui verso 210.182 Euro di subaffitto». Chiedo: le nuove disposizioni prevedono che i Briatore di turno paghino le future concessioni allo Stato, dopo essersi messi in gara tra loro per accedervi - fermo il diritto del vecchio gestore a vedersi riconoscere il corrispettivo per ammortamenti e avviamento - o consente agli equivalenti del "titolare" del bagno gestito da Briatore di lucrare rendite enormi, sfruttando il lavoro di altri e la sospetta generosità dello Stato?
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Le risposte verranno dalla lettura del Decreto. Intanto, un documento votato da (quasi) tutta l'Aula del Senato fornisce un indizio, là dove chiede una "norma transitoria di lungo periodo" per i gestori degli stabilimenti balneari.<br />
Novant'anni saranno sufficienti? <br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=106ZHP">Il Riformista - Tommaso Labate</a>Paolo GIARETTA: Patrimoniale, un tema scomodo ma da affrontare2011-02-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it558078Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Ha ragione il Direttore Papetti (Gazzettino del 13 febbraio) a giudicare negativamente una “patrimoniale” che si applicasse a tutti i patrimoni, indipendentemente dalla loro dimensione, lasciando lo stesso livello di spesa pubblica e aumentando ulteriormente la pressione fiscale.
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Ma la proposta avanzata da Veltroni al Lingotto è profondamente diversa e la riassumo così.
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Primo passo: abbattere la spesa pubblica. Negli ultimi 10 anni (8 dei quali governati da Berlusconi) la spesa è cresciuta ad un tasso medio annuo del 4%, con un Pil a crescita sotto l’1%. La nostra proposta è: la spesa sia contenuta alla metà della crescita del Pil, con una revisione straordinaria di tutta la spesa esistente: neppure la spesa di un euro deve essere scontata. Nulla si deve continuare a fare in un certo modo solo “perché si è sempre fatto così”. Tutto deve essere trasparente e valutato. Carriere e stipendi di tutti, in alto come in basso, vanno legati alla valutazione dei risultati.
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Abolizione delle province nelle città metropolitane; un solo Ufficio territoriale del Governo; un solo istituto di previdenza; un nuovo modello di difesa e sicurezza, integrato in Europa, con meno uomini, e mezzi più sicuri ed efficaci. Le risorse liberate, insieme a quelle derivanti da una dura lotta alla grande evasione fiscale vadano ad alleggerire la pressione fiscale di chi paga troppo: lavoratori dipendenti, pensionati, piccoli imprenditori in regola con il fisco.
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Secondo passo: un piano straordinario per valorizzare il grande patrimonio pubblico italiano e attraverso la sua alienazione dare una forte scossa per l’abbattimento del debito pubblico. Una quota significativa del patrimonio pubblico va conferita ad un’apposita Società, partecipata dal sistema delle Autonomie, che la paga finanziandosi sul mercato e recando a garanzia il patrimonio ricevuto.
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Tutte le risorse acquisite, dal primo all’ultimo centesimo, sono usate dallo Stato per ridurre il debito, mentre la Società sarà libera di valorizzare il patrimonio come meglio crederà, fermi restando i vincoli culturali, ambientali e storico-paesaggistici.
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Terzo passo. La Banca d’Italia ha certificato di recente che il decimo più ricco della popolazione italiana possiede quasi la metà del patrimonio privato italiano, che nel suo insieme ammonta a circa il triplo del debito pubblico. E’ così sconcertante chiedere al 10% più ricco della popolazione di contribuire in via straordinaria con una frazione minima della propria ricchezza ad abbattere il macigno del debito che sta strozzando il paese? Se il debito fosse riportato con queste mosse straordinarie ad esempio dall’attuale 120% del Pil all’80% avremmo liberato per il paese energie finanziarie enormi.
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Di questo si tratta. Non c’entrano niente i risparmi dei pensionati o il modesto investimento in qualche appartamento. Questo patrimonio lo colpirà ingiustamente l’IMU, introdotta dal decreto sul federalismo municipale, che colpirà tutte le proprietà immobiliari tranne la prima casa. Cosicché il ceto medio che ha investito in 2 o 3 appartamenti vedrà il proprio reddito colpito, mentre le grandi proprietà immobiliari in capo alle società finanziarie non pagheranno un euro. Si è chiesto ai lavoratori della Fiat un sacrificio. Possibile che debba fare un sacrificio chi ha un reddito di 1000 euro al mese e al 10% più ricco della popolazione non si possa chiedere un modesto contributo per rimettere in piedi il paese? In ogni caso la linea direttiva di Tremonti per la riforma fiscale (sempre promessa, mai avviata) è “dalle persone alle cose”. Se come cose non si intendono i grandissimi patrimoni cosa si intende? Sono temi scomodi ma chi ha a cuore il futuro nostro ha il dovere di affrontarli.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=XHAYK">Il Gazzettino</a>