Openpolis - Argomento: iranhttps://www.openpolis.it/2012-07-25T00:00:00ZGiulietto CHIESA: Siria, manipolazione e guerra2012-07-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648074<br />
Seguo con particolare attenzione gli sviluppi preparatori di alcune guerre, le prossime. Si tratta di Siria e Iran, due bersagli chiarissimi. Lo faccio perché sono certo che avranno effetti diretti sulle nostre vite e su quelle dei nostri figli.
<p>
Per questo uso le fonti migliori disponibili e, tra queste, proprio quelle di coloro che preparano la guerra. In genere sono bene informati.
<p>
L’ultima – che qui commento – viene dal New York Times del 21 luglio scorso. <br />
Lo includo tra i fautori della guerra a pieno merito perché questo giornale è stato da sempre una delle portaerei del “sistema americano”. E perché in questo caso ci descrive con abbondanza di particolari come un gruppo di criminali (il vertice degli Stati Uniti d’America) sta violando tutte le regole della convivenza internazionale.
<p>
Di questa informazione dovremmo essergli – e gliene siamo – grati.<br />
Dove invece ne denunciamo la più vergognosa delle connivenze è nel fatto che gli autori dell’articolo (Eric Shmitt e Helene Cooper), non meno del direttore di quel giornale, ci presentano l’azione criminale come se fosse normale, ineccepibile, inevitabile, accettabile dunque.
<p>
Andiamo con ordine con le distorsioni: “L’Amministrazione Obama ha per il momento abbandonato gli sforzi per un regolamento diplomatico del conflitto in Siria”. Notare le diverse finezze inscatolate in una sola riga. Il “per il momento” lascia pensare che, dopo, forse, ci ripenserà. Poi notate “gli sforzi” per un “regolamento diplomatico”. Cioè il lettore deve pensare che, fino ad ora, lo sforzo di Obama è stato per un “regolamento diplomatico” è che solo ora questa idea è stata “abbandonata”.
<p>
E’, naturalmente, una palese falsità. E non lo dico io. Lo dice il New York Times nella riga successiva, comunicandoci che Obama “sta aumentando l’aiuto ai ribelli e raddoppiando gli sforzi (letteralmente, ndr) per costruire una coalizione di paesi concordi ad abbattere con la forza il governo del presidente Bashar al-Assad “.
<p>
Dunque se “sta aumentando” vuol dire che l’aiuto ai ribelli già c’era. Cioè che gli Stati Uniti stavano già violando la Carta dell’Onu e tentavano di sovvertire dall’esterno un paese sovrano. Adesso dice che “raddoppiano gli sforzi”. Cioè da oltre un anno gli USA stanno conducendo una guerra per interposta persona contro la Siria e l’ineffabile New York Times (con il codazzo di giornali e telegiornali italiani) ci spaccia che quello che è avvenuto fino ad ora era per un “regolamento diplomatico”.
<p>
Si trattava e si tratta, dunque, di un progetto di “abbattere con la forza” un governo. Prosegue il NYT (citando fonti dell’Amministrazione) con l’annuncio che ci sono stati “colloqui con la Turchia e Israele sul tema della gestione del collasso del governo siriano” e, anzi, si fa capire che potrebbe essere affidato proprio ad Israele il compito di “distruggere i depositi di munizioni”. Nel frattempo i tagliagole libici di Al Qaeda, portati in Turchia da aerei inglesi, americani e francesi, estendono la guerra, mentre i servizi segreti dei paesi di cui sopra mettono le bombe a Damasco facendo saltare in aria, uno ad uno, i generali di Bashar. Cioè organizzano il terrorismo.
<p>
L’Amministrazione – scrive pudico il NYT – non fornirà armi alle forze ribelli, anche perché lo stanno già facendo egregiamente tre campioni della democrazia occidentale come la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita. In compenso Washington “fornirà istruzione tecnica e equipaggiamento per le comunicazioni” per accrescere la capacità di combattimento delle opposizioni”. Si presume con corredo di detonatori e di esplosivi. Infatti è previsto anche “un supporto di intelligence”.
<p>
Come si vede tutto molto diplomatico.
<p>
Aggiungo una notazione che piacerà molto ai debunkers dell’11/9. “Noi stiamo puntando ad una demolizione controllata del regime di Assad”, ci rivela Andrei J. Tabler dell’Istituto per la politica del Vicino Oriente, di Washington. E poi aggiunge, prudentemente: “Ma, come in qualunque demolizione controllata, c’è sempre qualcosa che può andare storto”.
<p>
Appunto: qualcuno se ne accorge, com’è avvenuto con le tre “controlled demolitions” dell’11 Settembre 2001.
<p>
Peccato che Russia e Cina, i cattivi, non accettino di prendere parte a queste “iniziative diplomatiche”. Washington vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Abbattere e uccidere (certo, uccidere) Bashar, e avere un bel regime amico in Siria. E vorrebbe che tutti fossero d’accordo con il piano. Anche se poi, crollato Bashar, arriveranno al potere i tagliagole, com’è avvenuto in Libia.
<p>
Ora prepariamoci a vedere una parte dell’ex campo pacifista italiano applaudire l’ingresso a Damasco delle forze liberatrici arabo-saudite.
<p>
E pensare che c’è perfino qualche Pulitzer in erba italiano che continua a scrivere, imperterrito, che gli Stati Uniti sarebbero preoccupati per una eventuale caduta di Assad. Il compianto prof. Cipolla ci ha lasciato le sue leggi fondamentali della stupidità umana. La prima era questa, da tenere presente: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi che ci circondano”.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/25/siria-manipolazione-e-guerra/305470/">il Fatto Quotidiano</a>MARIA GEMMA AZUNI: In difesa dei diritti umani e di Nasrin Sotoudeh2011-01-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557375Alla data della dichiarazione: Consigliere Consiglio Comunale Roma (RM) (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
In data odierna è stata approvata dall’Assemblea Capitolina la mozione presentata dalle Consigliere Gemma Azuni e Monica Cirinnà, e sottoscritta dai capigruppo.
<p>
La mozione impegna il Sindaco e la Giunta a farsi promotori di ogni utile iniziativa per tenere alta l’attenzione ed intervenire sulla vicenda di Nasrin Sotoudeh al fine di non lasciare sola una donna, vittima di soprusi e lesioni dal punto di vista umanitario e non solo, che ha lavorato attivamente in Iran per la difesa dei diritti umani, dei minori condannati alla pena di morte, dei prigionieri di coscienza e contro ogni forma di estremismo, come il velo islamico, simbolo di prevaricazione di genere sulle donne iraniane.
<p>
Inoltre con questo atto si chiederà al Governo e al Parlamento italiani di farsi promotori, in Europa, di una iniziativa per la liberazione immediata dei detenuti politici e di tutti gli avvocati per i diritti umani che si trovano in stato di arresto in Iran, per l'abuso dei poteri giudiziari da parte delle autorità iraniane, al fine di colpire i difensori dei diritti umani e gli attivisti civili.
<p>
Infine il Sindaco dovrà convocare una seduta dell’Assemblea Capitolina per ascoltare, sul caso di Nasrin Sotoudeh, il direttore della sezione italiana dell’organizzazione umanitaria Amnesty International, che ha lanciato l’appello per il rilascio di questa coraggiosa donna.
<p>
Gemma Azuni<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.gemmazuni.it/home/item/487-in-difesa-dei-diritti-umani-e-di-nasrin-sotoudeh">www.gemmazuni.it</a>Emma BONINO: Sakineh. «La sua vita resta in pericolo Non fermiamo la protesta» - INTERVISTA2010-11-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547646Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato <br/><br/><br />
In un mondo globale non c’è nessuno che possa chiudere i "confini": anche regimi autoritari, come quello iraniano, devono tener conto della pressione e delle proteste internazionali. Occorre non mollare la presa. Non solo perché la vita di Sakineh è ancora in pericolo, ma anche perché non bisogna dimenticare le migliaia di "Sakineh" che rischiano la pena capitale nel mondo. Per loro, per Sakinek come per Tareq Aziz, la via da battere, la battaglia da portare avanti con la massima determinazione è quella dell’estensione della moratoria sulla pena di morte». <br />
A sostenerlo è Emma Bonino, vice presidente del Senato e leader radicale.
<p>
<b> La condanna a morte di Sakineh Mohammadi Ashtiani non è stata eseguita. Le pressioni internazionali hanno dunque sortito effetto?</b>
<p>
«Direi di sì. E questo è una indicazione importante che va oltre il caso specifico: significa che in un mondo globale è possibile influenzare anche i regimi più chiusi, autoritari. Le nostre azioni possono incidere. La mobilitazione deve proseguire perché la vita di Sakineh è ancora in pericolo...».
<p>
<b>Cosa dovrebbero fare le grandi democrazie per supportare questa pressione?</b>
<p>
«Partiamo da ciò che non dovrebbero fare. Non dovrebbero offrire pretesti alle dittature...».
<p>
<b>A cosa si riferisce in particolare?</b>
<p>
«Penso al discorso di Ahmadinejad all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando, rivolto agli Stati Uniti, ha affermato che non poteva dare lezioni chi aveva condannato a morte ed eseguito la pena una minorata mentale, Teresa Lewis. Certo, Ahmadinejad ha usato strumentalmente questa tragica vicenda, ma è indubbio che questo vulnus esiste e riconoscerlo ci porta ad una considerazione generale...».
<p>
<b> Quale?</b>
<p>
«Rilanciare con forza la battaglia di civiltà per la moratoria totale della pena di morte. Ogni caso ha una sua storia, ciò vale per Sakineh come per Tareq Aziz, ma è altrettanto vero che essi ci rimandano ad una questione più generale che come tale va affrontata, anche in nome e per conto delle migliaia di "Sakineh" o di "Aziz" condannati nel mondo alla pena capitale. Sappiamo bene che la strada della moratoria è difficile, piena di ostacoli, ma è quella giusta. C’è da lavorare e tanto perché siano sempre di più i Paesi che dichiarino la moratoria, perché la loro adesione alla moratoria può condizionarne altri. Infine, penso che per questa battaglia di civiltà potrebbe dare un grande contributo il Segretario generale delle Nazioni Unite...».
<p>
<b> Quale sarebbe questo contributo?</b>
<p>
«la nomina di un inviato speciale, di alto rango, per la promozione della moratoria sulla pena di morte».
<p>
<b>Vorrei tornare sull’Iran. Il modo per contrastare il regime di Teheran - afferma la scrittrice iraniana Azar Natisi - sarebbe quello di impedire ad Ahmadinejad di parlare nei consessi internazionali, legare le sanzioni ai diritti umani più che al nucleare e continuare ad essere vicini agli iraniani…</b>
<p>
«Sono assolutamente d’accordo a focalizzare l’attenzione della comunità internazionale sui diritti umani e civili più ancora che sul nucleare, come peraltro ci chiede da tempo, inascoltata, Shirin Ebadi. Non credo invece che sia praticabile la strada dell’impedire ad Ahmadinejad di parlare in consessi internazionali. Non credo che sia possibile al capo di uno Stato di parlare, a meno che non si decida di espellere quello Stato dalle Nazioni Unite.<br />
Quanti Stati dovrebbero essere espulsi? Fonderemo allora la "Comunità delle democrazie", cosa alquanto affascinante ma di scarsa praticabilità...».
<p>
<b>Continuare ad essere vicini agli iraniani, chiede Azar Nafisi...</b>
<p>
«È una richiesta che va accolta e praticata con continuità e determinazione. Come sta cercando di fare "Non c’è pace senza giustizia". È importante rafforzare gli scambi culturali, tra Università, anche su temi che non superino la "linea rossa", non lasciando le relazioni solo fra Stati o potentati economici, allargandole invece alla società civile. Un dialogo dal basso che può portare a concrete aperture».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=V3WOP">L’Unità - Umberto De Giovannangeli</a>ANDREA BARDUCCI: Appello per salvare la vita a Sakineh Mohammadi Ashtiani2010-08-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it504706Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Provincia Firenze (Partito: PD) - Consigliere Provincia Firenze (Lista di elezione: PD) <br/><br/><br />
Andrea Barducci, presidente della Provincia di Firenze, ha lanciato un appello per salvare la vita a Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana costretta a una finta confessione in tv che e' stata condannata alla lapidazione per ''adulterio durante il matrimonio''.
<p>''Non e' possibile rimanere indifferenti di fronte a questa vera e propria barbarie - afferma -. Questa donna non solo e' stata minacciata durante l'interrogatorio per indurla ad una confessione poi ritratta durante il processo, ma addirittura nonostante due giudici abbiano dichiarato di non aver trovato prove contro di lei, e' stata condannata lo stesso alla lapidazione in base ad una disposizione di legge iraniana che consente di esprimere un giudizio di colpevolezza anche in assenza di prove''.
<p>''E' giusto che proprio da Firenze e dalla Toscana si levi un appello per impedire questo atto incivile'', conclude Barducci, ricordando come gia' nel 1786 Pietro Leopoldo di Lorena, abolendo la pena capitale nel Granducato di Toscana, defini' questa pratica ''conveniente solo ai popoli barbari''.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.asca.it/regioni-IRAN__PROVINCIA_FIRENZE__SALVARE_SAKINEH_MOHAMMADI_ASHTIANI-526763-toscana-17.html">Asca</a>Furio COLOMBO: Obama, speranza per l'Iran2009-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it474881Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Tutto quello che so dell’ Iran contemporaneo prima della rivolta di questi mesi lo so dai radicali.<br />
Intendo il partito, i colleghi parlamentari radicali eletti nelle liste del PD. Lo devo all’ aiuto che ricevo da loro mentre presiedo, nella Commissione esteri della Camera, il Comitato per la difesa dei diritti umani. Sono stati questi miei colleghi i primi e i soli a portare in Aula ribelli, resistenti, disperati che venivano a dire “non siamo terroristi. Il pericolo è il clero. Il pericolo è Ahmadinejad”.
<p>
Adesso è rivolta. Eppure non si può dire una delle solite frasi tipo “il popolo ha preso le armi”, quel che si sa, quel che si vede è un percorso diverso. Il popolo, una parte del popolo, moltissimi giovani, che rappresentano la vita e la cittadinanza da persone libere, si è messa in mezzo. Tra un potere improbabile e il Paese umiliato.
<p>
Gente viva e coraggiosa ma tuttora non violenta sta inceppando la macchina di violenza, oscurantismo, ossessioni inchiodate nel passato, l’ uso della potenza militare come strumento di oppressione dentro e di aggressioni fuori.
<p>L’ ostacolo umano sta diventando grande nonostante la forza senza scrupoli del dominatore religioso e politico. Se c’è una somiglianza, un’unica somiglianza, è con la Cina giovane di Tienanmen. Se c’è una differenza, e lo sapremo, d’ ora in poi, ora per ora, giorno per giorno, è nella vastità della partecipazione, nel livello culturale e professionale, di interi blocchi di popolazione. Nella straordinaria qualità organizzativa, nel lungo e quasi invisibile filo mediatico del ritrovarsi e battersi insieme, del coraggio personale che – proprio come in Cina ma per la prima volta nel resto del mondo- non ha niente di militare o marziale, niente di guerresco. È una forma nuova di mobilitazione che sta spezzando a uno a uno tutti i contenitori in cui era insediato e messo e al sicuro il potere.
<p>
Qualcosa si sa, qualcosa si intuisce, qualcosa si deduce. E siamo, ovviamente (ricordare di nuovo Tienanmen) esposti al rischio di troppa speranza.<br />
Prima viene il clamoroso broglio elettorale. Ha sempre funzionato nei Paesi liberticidi, governati da falsi vincitori come Ahmadinejad. I voti che mancano si comprano in repressione, arresti, torture, processi farsa, condanne, spreco di vite umane.
<p>
Ma è già accaduto qualcosa. L’ autoproclamato Presidente ha ancora in mano le più odiose e le più pericolose leve del potere, la polizia visibile e la polizia segreta. Militanti di partito e bande armate. Quelle leve vengono manovrate continuamente e senza scrupoli. Ma, a quanto pare, ci sono troppi corpi umani in mezzo. Sono i corpi - ostacolo di uomini e donne giovani (moltissime donne) che non fanno i giovani, fanno i cittadini, non rompono ma moltiplicano tutti i legami possibili con un mondo adulto, laico, professionale, di insegnanti, di padri, di intellettuali e maestri che agiscono al loro livello, nell’ ambito di altri rapporti che continuano a mantenere col resto del mondo.
Strano, ma i religiosi non sono estranei, e non lo è la religione. Un pretesto grandioso sono stati i funerali dell’ayatollah Montazeri.
<p> Montazeri aveva già spezzato il legame. Da vivo era stato isolato. Non da morto. Il suo corpo, venerato da troppi è un ostacolo imprevisto contro cui si impigliano le leve di oppressione che il Presidente usurpatore tenta freneticamente di manovrare. La cittadella sacra di Qom sembra spezzata. Il furore finto religioso di Ahmadinejad non è più il collante , lui non è più l'emissario. È un potere spietato con cui una parte dei religiosi si riconosce, una parte no.
<p>
È chiaro che la stessa cosa è accaduta per la borghesia iraniana e per tutto ciò che è (che era? ) classe dirigente di quel Paese, e per strati intellettuali, la parte più viva ma anche più umiliata dell’ Iran contemporaneo.
<p>
È per questo che mi sembra utile descrivere ciò che accade come rivolta civile. Perché vi partecipano classi e livelli molto diversi di cittadini. Perché, nonostante gli scontri fisici, ciò che sta accadendo è più vicino alla nonviolenza che alla violenza, ha la grandezza di un movimento di popolo, ma con richiami alle libertà e ai diritti civili, non al rigore altrettanto spietato di ideologie che si scontrano.
<p>
C’è una prima causa immediata per tutto ciò? C’è una conseguenza che può durare? La causa, mi sento di dire, è il più misterioso e insolito evento che finora sia accaduto nel mondo contemporaneo. È la comparsa, al vertice di un potere del mondo, di Barack Obama.<br />
Senza la sua elezione niente sarebbe accaduto. Obama non incita e non trama. È il testimone ben visibile di un mondo diverso.<br />
L’ esito è nelle forze e risorse e passione di chi partecipa a questa grande rivolta civile.
<p>
Potranno esserci ancora brutti e oscuri momenti di vendetta. Eppure molto ti dice che le ragazze e i ragazzi iraniani e i loro padri, insegnanti, famiglie che non rinunciano e i religiosi rimasti indenni dalla follia del potere saranno i più forti. A meno che sia solo speranza.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=P14HE">Il Fatto Quotidiano</a>Franco Frattini: Iran, Frattini: dialogo condizionato e intesa con Russia e Cina2009-07-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391794Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro Affari Esteri (Partito: PdL) <br/><br/><br />
L’offerta per il dialogo, condizionato, con l’Iran resta valida. Occorre poi lavorare d’intesa non solo con l’Ue ma anche con Cina e Russia, senza dimenticare di sostenere la società civile iraniana. Mentre la possibilità di nuove sanzioni è “prematura”. È questa la posizione del governo italiano sulla situazione in Iran illustrata dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, nel corso di un’audizione davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato in seduta congiunta. “Con qualche speranza in meno di ieri, dobbiamo continuare a lavorare" per il dialogo con Teheran, ha affermato il capo della Farnesina, secondo il quale la situazione nella Repubblica islamica fa sì che ci siano "minori possibilità che l'Iran accolga la mano tesa di Obama. Ma se anche le chance sono ridotte - ha proseguito il ministro - vediamo come risponderanno alla nostra offerta di dialogo”. Anche perché, ha aggiunto, "non vogliamo offrire ai radicali iraniani pretesti per opporsi al dialogo".
<p>
I CAVEAT – Il dialogo, ha ricordato Frattini,"non è a tempo indeterminato", ma si conclude con la fine dell'anno in corso, come indicato dal presidente americano Barack Obama. “Ho convocato una riunione dei ministri degli Esteri del G8 a New York il 24 settembre per fare il punto sulla situazione in Iran. E la scadenza si pone esattamente all'interno dell'arco temporale indicato dal presidente Usa". Accanto al fattore tempo gli altri due “caveat” per il dialogo sono la dinamica dell'offerta negoziale e il binomio diritto/responsabilità. La dinamica ha finora implicato che "siamo stati noi a offrire il dialogo sull'Afghanistan e sul dossier nucleare. Ma oggi la palla è nel campo iraniano”. Frattini ha poi accennato al binomio diritto/responsabilità, che indica da un lato "il diritto al nucleare pacifico" ma dall'altro "la responsabilità nella trasparenza sulla non proliferazione. C'e' il diritto della non interferenza e della sovranità - ha spiegato Frattini allargando il tema dal nucleare ai diritti umani - ma ci sono anche i diritti universali e assoluti che travalicano la sovranità dello Stato, primo fra tutti quello della vita umana".
<p>
LA SOCIETÀ CIVILE - Il dialogo con la società civile iraniana "deve accompagnare" il confronto politico e sui diritti civili. Rispondendo alle sollecitazioni dei parlamentari che suggerivano, per esempio, di finanziare servizi di informazioni occidentali in lingua farsi da diffondere sul territorio iraniano, il capo della diplomazia ha ricordato che le aperture alla società civile "devono essere 'fatte' anziché 'dette'". Questo per evitare che l'Iran prepari delle contromosse nel caso, per esempio, che si vogliano elaborare e diffondere virus anticensura, ma anche, ha osservato Frattini, "per non rischiare di mettere in pericolo le persone alle quali ci rivolgiamo" e che vogliamo aiutare. Di conseguenza, "il sostegno all'opposizione deve essere una voce che non ci metta nella condizione di ferire l'orgoglio del popolo iraniano - ha continuato -. Perciò non dobbiamo dare il segnale che abbiamo scelto uno dei leader come amico dell'Occidente", Scelta che metterebbe direttamente fuorigioco quella la persona. "Se io qui dicessi che sono pronto ad aumentare le quote di studenti iraniani che possono studiare in Italia – ha proseguito Frattini - metterei immediatamente nel mirino del regime quegli studenti che domani andrebbero a chiedere un visto per studiare da noi. Bisogna dunque - ha proseguito il ministro - trovare il modo di operare senza annunci pubblici, perché le dinamiche sono molto complesse. Gli iraniani - ha concluso - sono un popolo molto amico dell'Occidente e delle sue tradizioni di libertà: di conseguenza la politica della mano tesa resta".
<p>
UE, RUSSIA E CINA - Il dialogo con l'Iran "sarà ben difficile se Russia e Cina non si atterranno ai principi da noi elencati". Il capo della Farnesina ha ricordato che al recente G8 dei ministri degli Esteri a Trieste, "quando abbiamo iniziato a discutere il paragrafo della dichiarazione finale sull'Iran, la Russia non era certo sulla posizione, per esempio, di sollecitare a Teheran il rispetto della volontà popolare nel processo elettorale". Il ministro ha sottolineato la capacità dei rappresentanti del G8 di trovare una sintesi sulla situazione iraniana laddove "il 5+1 non è stato in condizione di coinvolgere adeguatamente Cina e Russia. È un dato di fatto", ha affermato. Frattini ha dunque sollecitato "un impegno maggiore dell'Unione europea in quanto tale", perché se il gruppo 5+1 non ha raggiunto i risultati sperati, "Cina e Russia possono essere coinvolti in un dialogo strutturato come noi abbiamo fatto a Trieste con Mosca E dobbiamo farlo anche con la Cina", ha aggiunto Frattini, che ha ricordato gli sforzi della diplomazia italiana per coinvolgere Pechino sul capitolo della non proliferazione, a cominciare dalle riunioni del summit del G8 dell'Aquila, che saranno allargate alla Repubblica popolare cinese.
<p>
VISTI - Quanto all’approccio in seno all’Ue, il ministro ha ricordato di aver sollevato per primo con i colleghi europei la questione dell’apertura delle ambasciate a Teheran e della concessione dei visti. ''Non e' pensabile - ha sottolineato ancora Frattini ricordando la concessione di 70 visti per l’Italia fatta i questi giorni dalla nostra missione - che davanti all'ambasciata italiana si radunino centinaia di persone e davanti alle ambasciate degli altri 26 Paesi europei le porte restino chiuse''.
<p>
LE SANZIONI – “La politica della mano tesa con l'Iran resta valida mentre è prematura l'adozioni di sanzioni, che pure è stata evocata in alcuni tavoli europei più riservati". Frattini ne ha parlato rispondendo alla domanda di un parlamentare sulla possibilità di nuove sanzioni contro l'Iran evocata da Napoli dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "Preferisco non prefigurare un momento negativo - ha spiegato il ministro - ma oggi certamente la stessa amministrazione Usa non sarebbe pronta, credo, a dare il via libera a un nuovo programma di sanzioni".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilvelino.it/articolo_stampa.php?isEnglish=&Id=890123">ilVelino.it</a>Emma BONINO: «Nessuno in Italia s'indigna per i diritti calpestati?»2009-07-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391773Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato <br/><br/><br />
Certo, anche contro la repressione degli ayattolah c’è chi è sceso in piazza. Ma dove sono le «armate» dei pacifisti?
<p>Risponde Emma Bonino
<p> Non appena ci sono giunte le prime notizie, e soprattutto le prime immagini, dalle strade di Teheran, all’indomani di elezioni evidentemente fraudolente, Radio Radicale e Il Riformista hanno organizzato a Piazza Farnese a Roma una manifestazione pubblica coinvolgendo tutte le forze politiche, i sindacati, le associazioni. <br />
Ci sono poi state tante altre manifestazioni in giro per l’Italia, ad esempio a Trieste durante il G8 dei ministri degli Esteri, come pure in giro per il mondo.
<p>
Il ruolo sempre crescente di Facebook, Youtube o Twitter aiuta a canalizzare sostegno e solidarietà: per questo ritengo che la Rete sia uno strumento potente di comunicazione per una mobilitazione che richiede sforzo e organizzazione, come i cortei, i sit-in o i concerti come quello promosso da Joan Baez. Ma tutto questo non basta. <br />
Non ho per esempio visto alcuna mobilitazione dei pacifisti, di solito così solerti a scendere in piazza: forse perché non c’era alcuna bandiera americana o israeliana da bruciare?
<p>
Di fronte all’oppressione che non accenna a diminuire, le voci di gruppi o di singole persone, anche autorevoli, che continuano ad alzarsi in Occidente – punto di riferimento per una moltitudine di iraniani – non devono rimanere isolate ma aumentare fino a creare quella massa critica che è finora mancata.
<p>
E’ presto per dire se in Iran la violenza del regime soffocherà l’Onda Verde di protesta ma noi dobbiamo fare di tutto affinchè questo processo innescato da una forte richiesta di cambiamento non si spenga e, anzi, diventi irreversibile.
<p>
Un modo per farlo è di non distogliere lo sguardo neppure quando il regime oscura la Rete o quando cesserà il fermento nelle piazze.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MRP1M">Oggi</a>Franco Frattini: «Sull'Iran serve una linea comune dell'Ue»2009-06-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391737Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro Affari Esteri (Partito: PdL) <br/><br/><br />
L'Italia è pronta ad assistere «le persone in difficoltà» a seguito delle manifestazioni a Teheran, ma finora è «l'unico Paese ad averlo fatto».
<p> Parlando da Trieste - dove si è chiuso il G8 su Afghanistan e Pakistan - ai microfoni di Radio Farda, emittente americana in lingua farsi, il ministro degli Esteri Franco Frattini rivendica il ruolo del nostro Paese, che «ha sempre avuto un'attenzione assoluta ai diritti umani», e sollecita una posizione comune europea sulla richiesta di visti e assistenza da parte degli oppositori al regime.
<p>«Quando sappiamo che vi sono persone in difficoltà, l'Italia è sempre pronta a fare la sua parte. Finora purtroppo siamo stati l'unico Paese europeo ad averlo fatto», sottolinea il titolare della Farnesina, annunciando l'intenzione di «porre il problema agli altri Paesi europei» a margine della ministeriale dell'Osce di domani a Corfù.
<p> «Io credo che tutti debbano fare la stessa cosa - esorta Frattini - Non ci si può affidare solo all'Italia o a un altro Paese, questa è un'azione che deve essere europea».
<p>
Le parole del ministro sono arrivate prima di un incontro che il suo capo di gabinetto, Alain Economides, ha avuto a Trieste con una delegazione di esuli iraniani, appartenenti al «Comitato di sostegno alle lotte democratiche del popolo iraniano», cui ha promesso che l'ambasciata italiana a Teheran continuerá ad assistere le persone in difficoltà.
<p>
«Ci hanno dimostrato grande sensibilità rispetto al problema, assicurandoci che continueranno a fare quello che hanno fatto finora», ha detto Jalal Saraji, che, a nome del Comitato, ha chiesto «la
condanna ufficiale dell'Iran per aver sistematicamente calpestato i diritti umani, l'istituzione di una commissione indipendente internazionale per la verifica delle atrocità commesse durante le manifestazioni e che tutti i Paesi che hanno aderito alla convenzione dei diritti umani di lasciare aperte le porte delle loro sedi, perché possano servire da rifugio per i feriti».
<p>
Per quanto riguarda il vertice, Frattini lo ha definito «importante, che ha raggiunto conclusioni concrete sui grandi temi di politica estera». Rispondendo a una domanda sull'assenza dell'Iran il ministro, parlando della sessione di oggi dedicata alla stabilizzazione dell'Afghanistan, ha spiegato che «l'Iran è solo uno dei molti paesi vicini, tutti gli altri hanno collaborato costruttivamente». Ed ha aggiunto: «Ci sono temi come il traffico di droga sul quale credo che l'Iran abbia grande interesse a cooperare e spero che in futuro coopererà».
<p>
Gli Stati Uniti hanno annunciato una nuova politica antidroga che taglierà i fondi ai programmi di sradicamento dei campi di papaveri da oppio a favore della lotta al narcotraffico e della promozione di coltivazioni alternative.
<p>Secondo l'inviato speciale Usa per l'Afghanistan, Richard Holbrooke, i programmi di sradicamento, finanziati finora dai governi occidentali, non funzionano e spingono di fatto i coltivatori afgani nelle mani dei talebani.
In base alle cifre Onu, i talebani e le varie formazioni qaediste ne hanno ricavato dai 50 ai 70 milioni di dollari soltanto l'anno scorso.
<p>In un rapporto pubblicato proprio questa settimana, l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc) ha riferito che la coltivazione di papavero da oppio l'anno scorso è effettivamente calata del 19 percento rispetto all'anno precedente, ma è ancora concentrata nelle tre province meridionali controllate dalla guerriglia del mullah Omar.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/06/frattini-g8-trieste-iran_PRN.shtml">Il Sole24ore.com</a>Piero FASSINO: Facciamo sentire il nostro orrore per il regime in Iran2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391714Alla data della dichiarazione: Deputato<br/><br/><br />
Caro direttore,
<p>
ogni persona che creda nella libertà, nella democrazia, nei diritti non può che provare orrore di fronte all’ondata di violenta repressione scatenata in Iran contro ragazze e ragazzi, la cui unica colpa è di voler vivere in un Paese libero, giusto, rispettoso della volontà dei cittadini.
Quel che accade, per quanto drammatico, non è però inaspettato.
<p>
Il 50 per cento della popolazione dell’Iran ha meno di quarant’ anni. Una gran parte ha potuto studiare e gode di un livello culturale medio-alto. L’Iran, l’antica Persia, ha una storia secolare fondata su una raffinata e colta civiltà che ha radicato valori di cosmopolitismo e di laicità che l’integralismo e i suoi pasdaran possono reprimere, ma non cancellare.
<p>
E spirito laico e pragmatico sono peraltro l’humus del bazar, luogo della vita quotidiana degli iraniani.
In questa società, giovane, informata, affamata di relazioni con il mondo, Internet non poteva che essere detonatore di un’esplosione di libertà che si è manifestata prima nel voto e ora nel movimento democratico di protesta.
<p>
È una domanda di cambiamento e apertura che potrà essere repressa, ma non potrà essere spenta.
E noi - noi istituzioni internazionali fondate sul diritto, noi nazioni democratiche, noi società laiche e libere, noi cittadini che crediamo nella inalienabilità dei diritti delle persone - abbiamo un dovere morale e politico: non lasciare soli quei ragazzi. Stare dalla loro parte al loro fianco.<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MQ4F4">Il Riformista</a>Umberto RANIERI: Iran. «Ora per l’Occidente il negoziato sarà più difficile» - INTERVISTA2009-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391529<br />
«L’apertura di credito ad Ahmadinejad non è stata un errore. Il verdetto elettorale iraniano, tuttavia, rischia di far saltare i più ambiziosi progetti del presidente americano Obama, che attraverso il dialogo e il negoziato puntava a scongiurare che la teocrazia di Teheran si dotasse della bomba atomica». La strada è più difficile ma non va abbandonata, dice Umberto Ranieri, dirigente del Pd e già sottosegretario agli Esteri.
<p> <b>La riconferma del presidente iraniano non costringe a cambiare i piani?</b>
<p>«Li complica. L’Occidente sperava nella vittoria di una personalità più moderata e non così oltranzista come Ahmadinejad, che nega l’Olocausto e inneggia alla distruzione di Israele. Ora la speranza sembra svanita».
<p> <b>Era credibile che dalle urne potesse uscire un risultato diverso?</b>
<p> «Sì, le possibilità dell’affermazione di una figura più moderata erano reali, non a caso oggi in Iran si grida ai brogli e alle manipolazioni. Per evitare che la protesta si estenda sono scese in campo le squadre speciali, gli uomini vestiti di nero in sella a potenti moto».
<p> <b>Il moderato Mousavi chiede l’annullamento delle elezioni. Può accadere o è solo il tentativo di coinvolgere maggiormente l’Occidente?</b>
<p> «È piuttosto un grido d’allarme, un grido disperato perché Ahmadinejad si è impadronito del potere con un colpo di mano. Ha proclamato una vittoria che è parsa subito sospetta: mentre i risultati venivano resi noti solo il giorno dopo, in questa occasione ben cinque milioni di schede sarebbero state scrutinate nell’arco di un’ora dall’apertura delle urne».
<p><b> A decidere dell’annullamento del voto può essere solo una autorità interna?</b>
<p> «Escludo che ciò accada e ritengo molto difficile che la guida spirituale dell’Iran, Khamenei, possa accogliere la richiesta di verificare la legittimità della consultazione. Siamo di fronte a un regime teocratico e a un forte controllo da parte dei servizi segreti».
<p><b> Che cosa cambia in quell’area del pianeta?</b>
<p> «La riconferma di Ahmadinejad, anche se dobbiamo tenere presente che nel sistema iraniano l’ultima parola spetta a Khamenei, rende più difficile percorrere la via del dialogo intrapresa da Obama e complica i rapporti con Egitto e Arabia Saudita. La corsa al nucleare, perseguita dal presidente iraniano, può spingere altri Paesi a dotarsi della bomba atomica».
<p> <b>Ha vinto Israele, contrario a ogni negoziato con l’Iran?</b>
<p> «Il governo israeliano ha considerato sempre con scetticismo il dialogo con Ahmadinejad, convinto che il suo non fosse un programma per un impiego civile del nucleare ma la copertura di ambiziosi progetti militari. E Israele ha sempre sostenuto che a essere in pericolo non è una sola nazione ma il mondo intero».
<p><b> L’affermazione di Ahmadinejad corrisponde al Paese reale, che ha mostrato una grande voglia di cambiamento?</b>
<p> «È indubbio che il distacco tra la popolazione e il regime si accresce. È fondamentale che l’Occidente, a cominciare dall’Italia, dia un segno tangibile di solidarietà agli iraniani e ai giovani soprattutto, per evitare che si ripeta un’altra Tien-Ammen».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MMBTW">Il Mattino - Maria Paola Milanesio</a>Paolo GUZZANTI: USA. «Dialogo o no? Ecco che cosa farà l’America» [Link:Israele]2009-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391527Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Tutti si chiedono adesso che cosa farà Obama, dopo aver incassato due apparenti sconfitte dalla rielezione di Mahmud Ahmadinejad a Teheran e dal nuovo test nucleare nella Corea del Nord di Kim Jong. <br />
La prima risposta che viene da dare è che Obama non incassa alcuna sconfitta, ma si limita a disporre sulla tavola la tabella ordinata degli elementi della sua politica estera.<br />
Il presidente americano si comporta come un empirista inglese, più che un pragmatico americano. Il suo approccio ai problemi del pianeta è costante e radicale: <br />
partire da zero e, dopo aver azzerato tutto, aprire il dialogo e vedere dove si arriva. Se e quando la carta del dialogo non produce effetti, o ne produce meno veloci e intensi del desiderato, sa di dover passare ad “altre opzioni”.
<p>
Tutti capiscono che, quando in America si usa l’espressione “other options”, si intende includere nel loro bouquet proprio quella che fino a quel momento era stata ideologicamente esclusa, e cioè l’opzione militare. L’avanzamento di questa tabella è ben visibile nel caso coreano, avendo il capo della diplomazia Hillary Clinton già parlato della necessità di «difendere i nostri alleati dalla provocazione».
<p>
E probabile che i coreani abbiano voluto con il loro test nucleare testare il nuovo presidente americano per fargli mettere le carte in tavola, ed è dunque empiricamente certo che la prima carta in tavola che viene calata a Washington è quella di una possibile risposta militare, dopo l’esaurimento delle altre opzioni, per dimostrare non soltanto ai coreani che esiste una linea di confine fra ideologia e pragmatismo e in definitiva fra pace e guerra.
<p>
La questione iraniana è più bruciante, in un certo senso, della già bruciante bomba nucleare coreana, accompagnata quest’ultima dal lancio di missili a medio raggio che mandano in bestia Cina e Giappone. Come se non bastasse, elementi di intelligence assicurano che esiste un patto operativo fra Iran e Corea per un reciproco sostegno tecnico, militare e politico.
<p>A Teheran il rieletto Ahmadinejad ha subito dichiarato “chiusa” la questione dello sviluppo nucleare a scopi pacifici, ma facilmente convertibile in militare perché sottratto al controllo delle Nazioni Unite, affermando quindi la propria indisponibilità a trattare di nuovo l’argomento. <br />
Con l’Iran l’approccio è stato quello che sappiamo: azzerare, ripartire da capo con un “fresh start”, dare tutta la colpa del deterioramento alle amministrazioni repubblicane guerrafondaie e sedere allo stesso tavolo parlando lo stesso linguaggio. Ma gli sciiti iraniani non si sono impressionati e anzi hanno masticato fiele per l’enorme apertura di credito al mondo sunnita avvenuta al Cairo la settimana scorsa.<br />
Ciò ha condotto a un potenziale rimescolamento di carte dalle conseguenze incalcolabili e, nell’incalcolabile, anche ipoteticamente catastrofiche.
<p>Gli israeliani, ad esempio, sentendosi pugnalati alla schiena dalla prima amministrazione americana che sbatte loro pubblicamente in faccia le proprie divergenze su questioni di vita o di morte come insediamenti e Stato palestinese, hanno aperto un giro di tavolo con Putin quando il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman è andato a San Pietroburgo per discutere di aerei automatici senza pilota, gli stessi che hanno massacrato gli aerei con pilota russi durante l’invasione della Georgia.
<p>
I russi, incapaci come sempre di produrre tecnologia, hanno chiesto di comperarne alcuni esemplari e Israele tratta, sapendo di lanciare così un segnale ostile allo stesso Obama che ha lanciato un segnale ostile a Gerusalemme e che sa di dover dipendere dalla Russia in Afghanistan.<br />
Ciò pone il presidente americano in una situazione delicata, ma calcolata. Che gli iraniani rispondessero picche era previsto; che <a href="http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=620660&Data=20090615&CodSigla=PG"><b>Israele</b></a> avrebbe emesso contro-segnali di risposta adeguati era previsto; che Pyongyang se ne sarebbe infischiata dei moniti del potente think tank governativo Center for New American Security, uno strumento di analisi voluto da Bush e usato ora da Obama, era scontato.
<p>
Se dovessimo descrivere il presidente americano allo stato attuale in una scena di teatro, lo immagineremmo davanti a un mappamondo con aria pensosa, ma non disperata né sorpresa: le cose per lui vanno tanto male quanto i suoi consiglieri gli avevano già prefigurato.
<p>Ma l’«obamismo», se non prendiamo un granchio, consiste proprio in questo: nel dedicare tutto il tempo possibile a eliminare qualsiasi futura condanna dell’operato americano, dimostrando fin da oggi che si sta facendo, si è fatto e si farà tutto quel che è umanamente possibile per trattare una situazione ad alto rischio con strumenti diplomatici, multilaterali e politici, fino tanto che i rischi lo permettono.
<p>
E qui veniamo al punto. L’Iran ha di fronte a sé una sua “dead line”, un punto di non ritorno oltre il quale non si può andare ed è collocato dagli esperti a dicembre: se l’Iran seguiterà a procedere come ha fatto finora nella sua produzione atomica, a dicembre sarà avvenuto l’irreversibile. La bomba sarà una realtà e l’America dovrà essere pronta ad affrontare una situazione militare che non dipenderà solo da lei ma da anche da Gerusalemme, che si sente nel mirino del dittatore iraniano.<br />
Lo stesso sta accadendo con la Corea dove però sono le Nazioni Unite a dettare l’agenda e gli ultimatum che quasi certamente Pyongyang ignorerà e che dunque prima o poi potrebbero produrre conseguenze.<br />
L’ultima volta che le Nazioni Unite provocarono conseguenze in Corea fu nel 1950 quando Kim Il Sung ordinò l’invasione della Corea del Sud separata sulla linea del 38° parallelo.<br /><br />
Il peso della guerra dell’Onu contro la Corea fu quasi interamente sostenuto dall’esercito americano che combatté un conflitto sanguinoso e altalenante fino al 1953, quando si tornò in pratica alle posizioni di partenza.<br />
Come se non bastasse, l’opinione pubblica americana è indignata con il governo di Pyongyang per la condanna a 12 anni di lavori forzati inflitti a due giornaliste americane, entrambe reporter di Current Tv. La loro condanna è da giorni la prima notizia sulla Cnn e delle altri maggiori catene americane e dunque Obama non può permettersi un’eccessiva morbidezza con i coreani.
<p>
Si può concludere dunque che per l’amministrazione Obama tutti i nodi stanno venendo al pettine in maniera precipitosa e congestionata, con l’accavallarsi di altri problemi concomitanti e altri ancora di natura nuova come i possibili sviluppi del rapporto che si sta sviluppando (presumibilmente a spese della Georgia, che aveva appaltato l’addestramento militare a Israele) fra Mosca e Gerusalemme.<br />
Di sicuro a Washington la diplomazia non mostra visibili segni di ansia, ma è altrettanto certo che il Pentagono è entrato automaticamente nella nuova fase delle possibili “opzioni” su entrambi i teatri, sia coreano che iraniano.<br />
Naturalmente l’amministrazione Obama vede l’eventualità di un qualsiasi possibile intervento armato o anche di forte pressione diplomatica agitando quella militare, come il fumo negli occhi per motivi sia politici generali che economici.
<p> Con <b>una crisi che negli Usa non si considera affatto finita e forse nemmeno realmente cominciata</b> (Forbes prevedeva l’arrivo “della vera crisi” più o meno fra un paio d’anni), l’eventualità di aumentare la spesa militare è vista malissimo anche per un problema di immagine:<br />
se Obama dovesse riconoscere che in fondo, malgrado tutte le buone intenzioni e le aperture verbali, alla fine occorre ricorrere comunque al fucile e alle cannoniere, per lui sarebbe una sconfitta politica che permetterebbe ai repubblicani di gridare non a torto «noi l’abbiamo sempre detto».
<p>
Ma Obama non è un ingenuo ed è circondato dai migliori cervelli, tecnici, diplomatici, esperti dei diversi teatri ed è inoltre abbastanza giovane e immacolato da potersi permettere gesti inattesi. La sua abilità è del resto quella di affascinare attraverso una forma di discorso morale fondato sui principi: quel genere di discorso cui gli americani sono in genere molto sensibili.
<p>
Dunque oggi possiamo dire che Obama si trova di fronte al primo vero banco di prova su cui si deciderà se quella militare è una possibile “other options”. Il tempo non gli consente di trastullarsi più di tanto. Più probabilmente saranno i temi a dettare la sua agenda e ciò che conta per Obama è non farsi trovare sorpreso né impreparato.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=358894&PRINT=S">Il Giornale.it - Paolo Guzzanti</a>Margherita BONIVER: «Per l'Italia un ruolo chiave nel Medio Oriente» - INTERVISTA2009-06-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391445Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) <br/><br/><br />
Quello di Barack Obama in Medio Oriente è un viaggio «importantissimo da molti punti di vista», spiega Margherita Boniver, presidente del Comitato parlamentare di controllo sull`attuazione dell`accordo di Schengen ed inviata speciale del ministero degli Esteri per le emergenze umanitarie. Non si tratta di una visita di cortesia diplomatica riò del solito atto di routine di inizio presidenza, ma di una missione dai fortissimi connotati politici che «ha lo scopo di rappresentare agli alleati sauditi ed egiziani il forte cambiamento nella strategia della politica estera americana».<br />
Ovviamente, tutto è incentrato sulla crisi permanente tra Israele e palestinesi, ma nel modo stesso in cui la nuova amministrazione ha affrontato il problema l`on. Boniver vede «un approccio diverso».
<p>
<b>Qual è il dato che personalmente l`ha più colpita?</b><br />
La novità spettacolare, a mio avviso, è la ripresa a tutto campo dei rapporti con la Siria, Paese chiave di volta e dal quale non si può prescindere, se davvero si vuole risolvere quella che da sempre è la madre di tutte le crisi internazionali.
<p>
<b>Tra Israele e Stati Uniti si sono raffreddati i rapporti. Questo non rappresenta un danno oggettivo per il dialogo sulla pace?</b><br />
Sì, negli ultimi colloqui tra Obama e Netanyahu, entrambe le parti si sono irritate: il neopremier israeliano, in carica da marzo, per le richieste americane di fermare gli insediamenti e per l`insistenza sulla politica dei «due popoli, due Stati», e il capo della Casa Bianca per le nette chiusure da parte di Tel Aviv, ribadite anche successivamente ai colloqui.<br />
Tenendo sempre presente che il compito, e le difficoltà, che gravano sull`amministrazione americana sono enormi, tuttavia ri tengo che la forza e l`ambizione di una presidenza appena insediata come quella di Obama possano fare la differenza rispetto al passato.
<p>
<b>Dunque è ottimista, c`è una possibilità di successo?</b><br />
Ci sono molti fattori di cui tener conto, su cui dovremmo riflettere al termine della missione. Moltissimo può fare l`asse con il Cairo, ormai consolidato, ed è mia ferma convinzione che se il presidente egiziano Hosni Moubarak metterà sulla bilancia delle trattative tutto il suo peso, si aprirebbero reali prospettive per una soluzione della crisi.
<br />
Ma saremmo stupidi se ci nascondessimo i problemi che resistono.
<p>
<b>Si riferisce all`atteggiamento di Israele?</b><br />
Israele non ha certo chiuso le porte a Obama. Semplicemente vive una realtà difficile.<br />
Ci sono andata a marzo, dopo alcuni anni di assenza. Quella che mi ha colpito è l`adattarsi, quasi rassegnato, della popolazione a uno stato di terrore permanente, derivato da lunghi anni di terrorismo da parte dei terroristi fondamentalisti.<br />
Un`altra cosa che colpisce è la presenza di questi muri, ovunque, innalzati per proteggersi dagli attacchi degli estremisti palestinesi suicidi, che mietevano vittime soprattutto tra i civili. Fanno effetto a vedersi, però dobbiamo considerare anche che hanno abbattuto del 90 per cento i blitz esplosivi.
<p>
<b> Obama delinea anche una nuova politica verso l`Iran...</b><br />
Sì, ma quello dell`Iran è un discorso totalmente a parte. In questo ha ragione Israele che dice di non credere alle parole di Teheran sul nucleare e che il regime islamico abbia gettato ombre an che sull`Iraq. <br />
Quello persiano è un popolo stupendo, intelligente, dinamico, oppresso da una spaventosa dittatura clericale.<br />
Fino a che il popolo non riuscirà a liberarsene, pochi discorsi potranno essere affrontati con successo.<br />
Rimane il fatto che l`Iran è, o potrà essere, un protagonista importante di quello scenario.<br />
Però voglio ribadire che l`approccio dell`amministrazione Obama è innovativo, perché cerca di affrontare tutti i termini e i variegati aspetti della questione mediorientale, differenziando gli interventi e le operazioni diplomatiche, e non puntando solo su una carta.
<p>
<b>Un ultimo aspetto riguarda la posizione del nostro governo. Come si colloca l`Italia in questa complessa partita nel Vicino Oriente?</b><br />
L`Italia nella partita c`è già entrata, e nel modo migliore. Quella del governo Berlusconi è una posizione razionale e intelligente, costruita giorno dopo giorno. Siamo un partner privilegiato per Israele, che ci considera amici sinceri, e nel contempo siamo il Paese europeo che fornisce maggiori aiuti ai palestinesi moderati di Abu Mazen. Siamo inoltre un partner commerciale importantissimo per l`Egitto e abbiamo una rete di eccellenti relazioni diplomatiche ed economiche con tutti i Paesi del Medio Oriente, mai tralasciati da questo governo.
<p>
<b>Abbiamo anche un ruolo centrale in Libano...</b><br />
Certo, non dimentichiamo che l`Italia è a capo di Uniffi 2, la forza Onu in missione in Libano, comandata dal generale Graziano. E non c`è dubbio che questa forza ha pacificato e normalizzato la situazione nel Paese del Cedri, forse per la prima volta in modo definitivo dal 1975.<br />
Per questo l`Italia ha ulteriormente aumentato il proprio prestigio internazionale, e non c`è dubbio che quando sarà il momento tutte le parti in causa in Medio Oriente ascolteranno le nostre parole e le nostre proposte. Tra l`altro, in Libano ci saranno le elezioni proprio negli stessi giorni in cui noi italiani andremo alle urne...<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MDGN6">Il Secolo d'Italia - Antonio Pannullo</a>Giorgio NAPOLITANO: «Più partecipazione europea a Kabul» 2009-05-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391289Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica<br/><br/><br />
In un lungo e articolato discorso dal taglio dichiaratamente obamiano, pronunciato ieri nella sede dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici, Giorgio Napolitano si è detto convinto che occorra un maggiore impegno europeo, e quindi anche italiano, in Afghanistan.
<p>
«Sono fermamente convinto - ha sostenuto il presidente della Repubblica - che una partecipazione europea più attiva nelle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace in Afghanistan, come energicamente suggerito dall`amministrazione americana, dovrebbe essere seriamente presa in considerazione».
<p>
Si è trattato di una presa di posizione insolitamente netta, poiché riguarda una materia delicata come la politica estera, costituzionalmente preclusa al presidente; e rafforzata dall'uso di quei due avverbi («energicamente» e «seriamente»), il primo per sottolineare quanto sia forte la pressione americana al riguardo e il secondo per significare il carattere quasi imperativo della sua raccomandazione.
<p>
Conoscendo lo scrupoloso stile di lavoro di Napolitano, si tratta certamente di una posizione concordata con il governo e quindi destinata ad avere un seguito operativo. <br />
Del resto, anche il ministro degli Esteri Franco Frattini si era più volte pronunciato in questo senso.
<p>
Napolitano ha parlato della situazione in Afghanistan come di una delle «tre cruciali aree di crisi» da cui provengono attualmente le maggiori minacce per la sicurezza mondiale, le altre due essendo il Medio Oriente («allargato», ha aggiunto per includere l'Iran) e il Corno d'Africa (focolaio, tra l`altro, della pirateria navale).
<p>
Dopo aver definito poco «incoraggiante» l'andamento delle operazioni in Afghanistan, Napolitano ha motivato l'invito a un maggior impegno europeo facendo proprio «il monito del presidente Obama, secondo il quale l'Europa potrebbe trovarsi sotto una minaccia di terrorismo più grave rispetto a quella che incombe sugli stessi Stati Uniti». <br />
Un maggior impegno europeo in quell`area è dunque «innanzitutto nel nostro interesse».
<p>
Più in generale, secondo il presidente italiano, «il nuovo corso politico» avviatosi negli Stati Uniti con l'elezione di Barack Obama è stato senz'altro uno dei tre più «importanti» eventi mondiali dell'ultimo anno.
<p>
Ed l'unico positivo, poiché gli altri due sono stati il rischio di un riaprirsi della Guerra Fredda (a causa soprattutto della decisione di George Bush di creare nuove basi per la difesa missilistica in Polonia e Repubblica ceca, cui sono seguite «avventate minacce» da parte della Federazione russa) e l'esplodere della crisi economico-finanziaria mondiale. <br />
Ma fortunatamente l'elezione di Obama si è subito materializzata in «risolute e innovative iniziative in politica estera» che «sembrano aprire nuove prospettive».
<p>
Quest`ultima visita del presidente nel Regno Unito non aveva alcun carattere ufficiale ed è stato quindi un segno di notevole considerazione (e di «cordialità») l'invito a colazione a Buckingham Palace rivolto dalla regina Elisabetta II a lui e alla signora Clio.<br />
Nel corso del pranzo, rallegrato dalle evoluzioni dei «corgys» reali, i cagnolini prediletti dalla Regina, Elisabetta ha espresso, oltre che profonda solidarietà per l'Abruzzo, un sincero apprezzamento per la decisione di spostare il prossimo G8 da Roma a L`Aquila, decisione che anche il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha detto ieri di condividere, definendola «importante».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=M2OL8">La Stampa - Paolo Passarini</a>Elisabetta ZAMPARUTTI: Iran: presentata un' interrogazione parlamentare sulla chiusura dell'ufficio del Nobel Ebadi2008-12-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383154Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Elisabetta Zamparutti, deputata radicale eletta nelle liste del PD e Tesoriera di Nessuno tocchi Caino, ha presentato anche al Senato con i colleghi della delegazione radicale un'interrogazione sul grave fatto della chiusura dell'ufficio del Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e ha dichiarato:<br />
"L'Italia deve reagire all'atto di violenza e repressione compiuto nei confronti di una delle voci critiche del regime più autorevoli, il Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, di cui ieri hanno chiuso l'associazione. Per evitare che l'Iran aggravi sempre di più la minaccia alla sicurezza internazionale occorre innanzitutto evitare che questo regime continui ad essere una minaccia alla sicurezza e ai diritti umani dei cittadini iraniani. L'"arma" più pericolosa che l'Italia può usare nei confronti del regime iraniano è quella della richiesta del rispetto della legalità internazionale e degli atti espressione della volontà comune della Comunità internazionale a partire dai contenuti della risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, approvata per la seconda volta - lo scorso 18 dicembre - dall'Assemblea Generale dell'ONU."
<p>
Interrogazione a risposta orale<br />
<br />
Al Ministro degli Affari Esteri<br />
<br />
Premesso che:<br />
<br />
si apprende da notizie stampa che il 21 dicembre la polizia di Teheran ha chiuso l'ufficio dell'associazione del Nobel per la Pace Shirin Ebadi con un'operazione che sarebbe avvenuta senza alcun mandato;<br />
<br />
la motivazione ufficiale dell'irruzione della polizia è che l'associazione "Circolo dei difensori dei diritti umani" agiva come un partito politico senza esserne autorizzato. Le ragioni dell'operazione, da quanto risulta da fonti stampa iraniane, sono da individuarsi nel fatto che il circolo "teneva contatti illegali con organizzazioni locali e straniere. Aveva organizzato conferenze stampa e seminari creando un'atmosfera di pubblicità negativa nei confronti delle istituzioni";<br />
<br />
l'irruzione della polizia nell'associazione della Ebadi è avvenuta poco prima l'inizio della celebrazione dell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani con la presenza di un oppositore liberato dopo 17 anni di prigioni. L'associazione aveva inoltre da poco diffuso i dati sull'aumento delle esecuzioni capitali, anche di minori, la riduzione dei diritti delle donne contenuti nel nuovo codice penale e quella della libertà di espressione durante la presidenza Ahmadinejad;<br />
<br />
si chiede di sapere:<br />
<br />
se e come il Ministro intenda reagire a quanto accaduto nei confronti dell'associazione "Circolo dei difensori dei diritti umani";<br />
<br />
quali iniziative intenda assumere nei confronti del regime iraniano per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali come riconosciuti dalle norme internazionali e sottoscritte dallo stesso regime ed in particolare per ottenere l'attuazione della risoluzione approvata lo scorso 18 dicembre per il secondo anno consecutivo dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a tutti gli Stati mantenitori della pena di morte di rispettare una moratoria delle esecuzioni in vista dell'abolizione definitiva della pena capitale.<br />
<p>
Elisabetta Zamparutti, Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Rita Bernardini, Marco Beltrandi, Maria Antonietta Farina Coscioni.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.radicali.it/view.php?id=134385">Radicali.it</a>Rocco BUTTIGLIONE: Vaticano e omossesualità. «È un passo verso le nozze tra persone dello stesso sesso» - INTERVISTA2008-12-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382654Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: UDC) - Vicepres. Camera <br/><br/><br />
La Chiesa non è contro la depenalizzazione dell`omosessualità. Chi dice il contrario è in malafede». Il presidente dell`Udc, Rocco Buttiglione, liquida così la polemica sulle dichiarazioni di monsignor Celestino Migliore. La Santa Sede, spiega, è solo contraria al riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso.<br />
<b>La proposta francese, però, parla di leggi antisodomia e di reati di omosessualita...</b><br />
«Non è questo il punto. La Chiesa è contro reati di questo tipo e tutto ciò che viola la dignità delle persone. Nel mio piccolo, ho dato un contributo importante per concedere il diritto di asilo agli stranieri omosessuali che correrebbero gravi rischi tornando nei propri paesi di origine».<br />
<b>Dov`è allora il problema?</b><br />
«La preoccupazione della Chiesa e un`altra. E cioè che dietro la campagna francese ci sia il tentativo di far passare altro».<br />
<b>Che cosa?</b><br />
«Se si allarga il concetto di discriminazione, si può accusare di violazione di diritti umani anche chi è contrario al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Da qui, il rischio di pressioni su stati e governi che non hanno legislazione in materia».<br />
<b>L`omofobia, però, è soprattutto altro...</b><br />
«Sì, ma non ha senso frammentare i diritti.
Faccio un esempio paradossale. Se un individuo viene picchiato, deve essere difeso perché viene colpita la sua dignità di persona, non perché ha un orientamento sessuale particolare. E persona, né più né meno di altre».<br />
<b>Quindi?</b><br />
«Le eccezioni non servono. La violenza contro gli omosessuali deve essere punita come quella verso ogni altro essere umano, che sia ebreo, cristiano o musulmano. I diritti umani sono eguali per tutti e bisogna stare attenti a non creare troppe categorie e sottocategorie di protezione speciale».<br />
<b>I nodi, dunque, continuano a essere il matrimonio gay e le unioni civili?</b><br />
«Certo. Si sta perdendo di vista la natura giuridica del matrimonio tra uomo e donna, che esiste per la sua funzione sociale. Il diritto al matrimonio nasce in forza di un`assunzione di doveri. Marito e moglie si impegnano davanti alla società per creare un ambiente adeguato alla crescita di figli. Questa è la posizione della Chiesa e non possiamo certo correre il rischio che prima o poi venga considerata come violazione di diritti».<br />
<b>
Come se ne esce, allora? Rimane il problema di paesi come l`Iran dove gli omosessuali vengono condannati a morte...</b><br />
«Servirebbe meno ambiguità. Il documento francese dica con chiarezza che la situazione da condannare è questa. Noi siamo d`accordo e lo è anche la Chiesa. Cosa diversa è introdurre l`idea che l`omosessualità sia un diritto umano, quando invece essa attiene alla sfera privata».<br />
<b>Tutto qui?</b><br />
«Certo. In questa polemica, vedo molta malafede. Spesso, si vuole dipingere la Chiesa in modo distorto. La sua posizione è molto più umana di come viene rappresentata. A maggior ragione, di fronte a una proposta come quella francese su cui continuo ad avere molti dubbi».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=K25TQ">QN - Giorno/Resto/Nazione</a>Giorgio NAPOLITANO: Rassicuro Israele "No al nucleare iraniano”2008-11-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it382467Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica<br/><br/><br />
Una visita per ricordare i sessant’ anni dello Stato di Israele e identica età della Costituzione italiana, un parallelo che diventa buona ragione per festeggiare insieme. Una visita per aggiungere qualcosa, se possibile, ai «già ottimi rapporti" tra i due Stati (dice Simon Peres) e alla «straordinaria ricchezza e intensità tra i nostri popoli» (aggiunge Giorgio Napolitano). Una visita che da parte israeliana tuttavia si preferisce caricare con le angosce del momento, le minacce iraniane, l’esigenza di sentirsi capiti e appoggiati da amici e alleati dell’Occidente.
<p>
In questa sua prima giornata della visita in Israele, aperta dall’incontro tra i due presidenti, Giorgio Napolitano (accompagnato dalla signora Clio) s’è sentito ripetere spesso le ragioni profonde dell’ossessione israeliana verso l’Iran e le sue roboanti minacce. Più nelle domande dei giornalisti però che nelle obiezioni dei dirigenti di governo, timorosi semmai che Teheran continui ad armare i gruppi violenti estremisti della regione, visto che l’agitazione psicomotoria iraniana sembra aver reso per contrasto i paesi arabi più disponibili. Sullo sfondo di tanti irriducibili conflitti resta la profezia di Henry Kissinger sul futuro di Gerusalemme, città destinata prima o poi alla divisione: «Sappiamo tutti come finirà. Purtroppo non sappiamo quando».
<p>
Concetto ripreso di recente anche da Olmert. Adesso, dice Napolitano «bisogna saper guardare lontano» , verso l’ineludibile traguardo della pacifica convivenza di due Stati sovrani«. Israele «può contare sulla nostra determinazione e sulla nostra solidarietà».
<p>
Napolitano e Peres, i due presidenti, si conoscono da anni. L’ israeliano ha sempre considerato l’italiano un socialista e traccia di questa sua opinione è presente già nelle parole di benvenuto, ieri mattina. «Come si può dire solo per pochi politici», dice di lui Peres, «non ha mai fatto compromessi con la propria coscienza, sempre alla base della sua condotta. Tutte le persone che lo conoscono lo ammirano per questo. La sua visita aggiunge qualcosa ai nostri già ottimi rapporti».
<p>
Curiosamente è toccato alla stampa israeliana, nel breve fuoco di file di domande seguito all’incontro ufficiale (ormai quasi sempre soppresse le conferenze stampa che chiudono i vertici e talora aprono conflitti politici). Una, due, tre domande da parte israeliana. Gli dicono: «Lei si indigna contro chi nega l’esistenza di Israele, perché allora non contro l’Iran? Si fa abbastanza per bloccare Teheran? L’Italia non dovrebbe fare di più?».
<p>
Mentre Peres definisce l’Iran un «pericolo per tutto il mondo, non soltanto per Israele, serve adesso una politica unitaria Europa, Usa, Russia e altri», Napolitano (superando un momento di fastidio per l’eccesso di interesse polemico) replica che «l’Italia condivide l’impegno internazionale per impedire lo sviluppo iraniano di armi nucleari. Aderiamo alla strategia di ricerca d’una soluzione pacifica del negoziato e al tempo stesso di fermezza assoluta. Siamo impegnati a evitare una nuova proliferazione nucleare per bloccare quei programmi che da parte iraniana sconfinano nella produzione di armamenti. Che altro dovrei aggiungere adesso» dice alla fine.
<p>
«L’Italia fa la sua parte nella politica delle sanzioni Onu. Non siamo gli unici a mantenere rapporti commerciali con l’Iran. Se fare di più lo deciderà la comunità internazionale». «Sì forse è vero, dobbiamo fare di più, ci vogliono sanzioni più forti», sembra quasi rettificare, pochi metri più in là, il ministro degli Esteri Franco Frattini. Che al museo della Shoah saluta e se ne va. Annunciando di essere in partenza per il Messico. «My God», finge di stupirsi Simon Peres.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JZY9O">La Repubblica - Giorgio Battistini</a>Silvio BERLUSCONI: A colloquio con Bush: "George, non posso fare il socialista"2008-10-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it375636Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Pres. del Consiglio (Partito: PdL) <br/><br/><br /><b>I due leader: l`intervento pubblico va limitato</b><br /><br />
Con il reggimento dell`«Old Guard» che ancora suona flauti e tamburi sul prato del South Lawn, George W. Bush e Silvio Berlusconi entrano nello Studio Ovale dando vita ad un`ora di confronto a tutto campo come avviene fra vecchi amici che hanno tanto da dirsi. Seduti ai due lati del caminetto, circondati dalle delegazioni, entrambi, d`istinto, iniziano dalla crisi finanziaria.<br />
Bush chiede all`ospite «come è andata a Parigi?» E Berlusconi spiega nei dettagli le decisioni prese dai leader di Eurolandia per poi concludere <b>«George, la verità è che questa crisi è iniziata da voi, è colpa vostra».</b><br />
Bush annuisce, diventa quasi paonazzo e risponde usando toni duri verso ì manager: <b>«Lo sappiamo, la colpa è dell`ingordigia di molti a Wall Street».</b> <br />
La rabbia del presidente verso «questi manager che non hanno a cuore la nazione» è evidente.<br />
L`interrogativo è cosa fare adesso.<br />
«Non devono fallire altre banche» dice il presidente del Consiglio, trovando l`assenso di Bush che aggiunge:<br />
«Dobbiamo evitare la fuga di capitali da Europa e Stati Uniti». Passano lunghi minuti, i due leader parlano fitto, il timore è che «la fuga di capitali» frutto dell`indebolimento delle banche abbia conseguenze sull`economia reale. Berlusconi si mostra determinato quanto, premettendo che «abbiamo fatto i conti», afferma: «L`economia reale è solida, dobbiamo evitare che risenta della crisi finanziaria». E` su questo terreno che i due si intendono, concordano sulla necessità di scongiurare «il fallimento di altre banche» ma anche sul bisogno di evitare un eccesso di impegno pubblico nella finanza privata. <b>«Non posso certo mettere in atto politiche socialiste»</b> afferma l`ospite e Bush di rimando:<br />
<b>«Non voglio passare alla Storia come un presidente socialista».</b><br />
L`ipotesi di un summit straordinario del G8 sulla crisi dei mercati è avanzata dal presidente americano, Berlusconi la raccoglie ma nessuno punta ad accelerare i tempi perché la priorità è che «i mercati si risollevino» e le notizie positive che arrivano da Piazza Affari e Wall Street rendono più serena l`atmosfera al riguardo. «Serve tempo per far funzionare il piano studiato da Henry Paulson» ripete Bush.<br /><br />
Su divani e sedie di fronte alle poltrone dei leader sono seduti il Segretario di Stato Condoleezza Rice, il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, gli ambasciatori Ronald Spogli e Gianni Castellaneta, la portavoce Dana Perino e pochi altri. <br />
A 45 minuti dall`inizio del colloquio si affaccia la politica estera. E` Bush che ringrazia Berlusconi per l`impegno militare in Afghanistan perché «si tratta di una guerra» destinata ad avere tempi lunghi. Sull`Iran la discussione verte sulle «sanzioni finanziarie» che, per entrambi, «stanno funzionando» ostacolando la corsa di Teheran verso il nucleare ma Bush tiene a dire soprattutto una cosa all`amico italiano:<br />
<b>«Ho visto cosa hai detto ad Ahmadinejad, sei più a destra di me...».</b> <br />
Il riferimento è al paragone fra Ahmadinejad e Hitler fatto da Berlusconi durante un recente viaggio a Parigi. La battuta di George W. fa sorridere alcuni dei presenti e conferma la forte intesa, personale e politica, con l`ospite. <br />
Se il presidente Usa si spinge tanto in avanti con l`humor è perché è rimasto colpito da quanto Berlusconi ha detto poco prima sul palco del South Lawn sul fatto che «Bush sarà ricordato come un grande, grandissimo presidente», come «un uomo che si è battuto per i propri principi, non ha mai ceduto a interessi di parte, un idealista». <br />
Nessun leader straniero alla Casa Bianca aveva lodato a tal punto Bush e l`averlo fatto a pochi mesi dalla fine della presidenza è una dimostrazione di amicizia tanto rara quanto apprezzata.
<br />
Ma anche con gli amici più cari vi sono dei disaccordi e in questo caso il tema più scivoloso, i rapporti con la Russia dopo la crisi georgiana, viene discusso solo al termine. <br />
Il Dipartimento di Stato da settimane informa la Casa Bianca sulle posizioni pro-russe di Palazzo Chigi e Berlusconi affronta la questione senza mezzi termini: «Ho detto quello che ho detto sulla Georgia perchè i russi stavano per entrare a Tbilisi». La tesi del premier è che proprio l`aver scelto la linea soft sull`invasione russa della Georgia ha evitato il peggio, facendo ragionare Putin e salvando Tbisili. Bush ascolta ma non è d`accordo sulla linea morbida col Cremlino. Lo fa capire parlando da capo di una superpotenza con interessi planetari: «Non possiamo accettare che la Russia si comporti come un bullo nel Caucaso» minacciando la stabilità delle giovani democrazie post-comuniste.<br />
Berlusconi ascolta ma tenta di portare la discussione in un`altra direzione. «Bisogna recuperare lo spirito di Pratica di Mare - dice riferendosi al summit Nato-Russia ospitato dall`Italia nel 2001 - perché quello spirito era il tuo, io non ho fatto altro che metterti assieme a Putin, l`intenzione era la tua».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JJ70W">La Stampa - Maurizio Molinari</a>Marco CAPPATO: «Bene il premier: quello è un dittatore» - INTERVISTA2008-09-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it359580Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: ALDE) <br/><br/><br />
«Ahmadinejad è un dittatore sanguinario, violento e feroce e quindi Berlusconi ha fatto bene a chiamare le cose con il loro nome», dice Marco Cappato, radicale, deputato europeo e in passato responsabile del Partito Transnazionale alle Nazioni Unite, dove si è impegnato nella campagna per l'istituzione del Tribunale Penale Internazionale.<br />
<b>Berlusconi ha ragione a dire che Ahmadinejad è come Hitler?</b><br />
«Sì, opprime il suo popolo in modo feroce e costituisce una minaccia per Israele e per la pace mondiale».<br />
<b>Le parole del premier sono una novità per l'Italia?</b><br />
«Esprimono quello che chiamerei un «riposizionamento» della tradizionale politica estera italiana nei confronti dell'Iran. Noi le apprezziamo».<br />
<b>A New York si sta per aprire l'assemblea generale dell'Onu: Ahmadinejad è gia in viaggio. Ci sarà anche Berlusconi: che dovrebbe fare il premier italiano?</b><br />
«Un passo avanti: in modo che il riposizionamento da giudizio politico possa diventare un atto che porti delle conseguenze».<br />
<b>Quale passo?</b><br />
«Una proposta istituzionale per far entrare Israele nella Unione Europea. Sarebbe un atto di coraggio. Se così fosse, il dittatore iraniano minacciando Israele, minaccerebbe l'Europa. Allora sì, che potremmo dire: "Israele siamo noi". Non ci sarebbe più posto per la retorica del "siamo tutti berlinesi". E al tempo stesso aiuteremmo la classe politica israeliana ad uscire dall'involuzione in cui è caduta, percorsa com'è dagli scandali che hanno travolto Olmert».<br />
<b>Cosa offrite voi radicali a Berlusconi?</b><br />
«Se Berlusconi vuole fare questa battaglia di far entrare Israele nella Ue, ci saremo anche noi».
<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JATON">Corriere della Sera - M.Antonietta Calabrò</a>Gianni VERNETTI: «Reazione fuori luogo, solidarietà al Cav» - INTERVISTA2008-09-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it359573Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Reazione sproporzionata quella di Teheran e massima solidarietà nei confronti del premier Silvio Berlusconi, che da Parigi aveva giustamente messo in guardia l’occidente dal pericolo iraniano. L’ex sottosegretario agli Esteri del governo-Prodi Gianni Vernetti, oggi deputato del Pd e componente della Commissione Affari Esteri, non esita a schierarsi a difesa dell’operato di Palazzo Chigi.<br />
<b> Onorevole, come giudica la protesta di Teheran?</b><br />
«Del tutto fuori luogo e purtroppo nello stile di quel regime che attacca i governi occidentali per accreditare se stesso. Perciò sono del tutto solidale con il presidente del Consiglio, anche se appartengo ad un partito che resta di opposizione».<br />
<b> Che ne pensa della politica messa in campo dal presidente Ahmadinejad?</b><br />
«Con lui l’Iran sta perseguendo una politica militare al di fuori della regole della comunità internazionale: decidendo di non aderire a decine di risoluzioni dell’Onu e scagliando continue minacce contro lo Stato di Israele sta compromettendo la stabilità nel Medio Oriente».<br />
<b> A suo avviso perché l’Iran attacca oggi l’Italia?</b><br />
«Teheran attraversa un momento di forte crisi democratica. Lo abbiamo sperimentato più volte anche noi del centrosinistra, con il governo retto da Prodi. E ricordo che proprio a me accadde di attirare gli strali dell’Iran per una serie di accuse che lanciammo contro le esecuzioni capitali. Abusi nelle carceri, ricorso diffuso alla tortura, largo uso della condanna a morte: in quel Paese non c’è stato di diritto».<br />
<b> Nei rapporti commerciali l’Italia resta uno dei partner migliori per Teheran. Dunque ha ragione Berlusconi quando afferma che certe mosse di Ahmadinejad sono ispirate a ragioni di equilibrio interne al Paese?</b><br />
«È così. I rapporti fra Roma e Teheran sono in realtà stabili. Ma Teheran ha bisogno di questi attacchi perché utilizza il conflitto con l’occidente per giustificare i suoi sistemi brutali».<br />
<b> Secondo lei, la diplomazia italiana come dovrà muoversi adesso?</b><br />
«Sicuramente di concerto insieme agli alleati europei e americani. Dobbiamo fare di tutto per portare l’Iran a sedersi ad un tavolo negoziale nel quale studiare l’abbandono di certi programmi militari».<br />
<b> E se gli esiti non dovessero essere questi?</b><br />
«A quel punto la cosa più giusta da fare sarà passare alle sanzioni».
<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JAVJZ">Il Mattino - Corrado Castiglione</a>Franco Frattini: «Prendiamo atto, non c’è molto da aggiungere»2008-09-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it359570Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro Affari Esteri (Partito: PdL) <br/><br/><br />
«Quello che il govemo italiano pensa sulla negazione dell'Olocausto, o sul fatto che Israele vada "cancellato dalle carte geografiche" è stato espresso più volte. E il premier a Parigi ha detto quello che riteneva giusto. Abbiamo preso atto della nota di protesta, ma non c'e molto da aggiungere». E' fermo e netto il ministro degli Esteri: non servono atti formali, ma tantomeno scuse. «Noi — spiega Franco Frattini — non ce l'abbiamo con l'Iran, non abbiamo alcuna ostilità verso quel popolo e crediamo che bisogna ancora cercare una strada per negoziare con Teheran». Ma se questo è arduo, è perché Ahmadinejad «ha rifiutato il dialogo, si esprime in modo aggressivo, e con quelle sue uscite crea in noi delusione, sconcerto, rabbia». Motivo per cui, i rapporti politici si sono fatti negli ultimi tempi molto difficili: «Non sono certo casuali gli annullamenti di visite e incontri, anche recenti, con il presidente iraniano, e tutto nasce da certe prese di posizione inaccettabili».
<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=JATO4">Corriere della Sera - p.d.c.</a>