Openpolis - Argomento: Cgilhttps://www.openpolis.it/2014-03-23T00:00:00ZMATTEO RENZI: Speravo che Confindustria e Cgil fossero d’accordo. Niente. Sono arrabbiati. Pace; ce ne faremo una ragione.2014-03-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it718049Alla data della dichiarazione: Pres. del Consiglio <br/><br/><br />
"Mi interessa il consenso delle famiglie italiane non quello delle associazioni"
<p> "Ho definito Squinzi e Camusso la strana coppia perché mi fa un po’ sorridere il fatto che sono 20 anni che si arrabbiano che guardando la Tv la sera vedo Confindustria e sindacati arrabbiarsi perché ai politici danno soldi e alle famiglie e ai lavoratori meno soldi. Ora, una volta tanto che abbiamo cambiato e che abbiamo iniziato a ridurre il numero dei politici, a restituire i soldi alle famiglie e ad abbassare l’Irap. Speravo che gli imprenditori e i sindacati fossero d’accordo. Niente. Sono arrabbiati anche stavolta. Pace; ce ne faremo una ragione..."
<p><b>Sulla rivolta dei supermanager per il taglio agli stipendi</b>
<p>"Resisteranno a parole ma poi ovviamente è naturale che le cose cambino, non è possibile che l’Ad di una società guadagni 1000 volte in più dell’ultimo operaio, torniamo ad un principio di giustizia sociale. Noi non molliamo. Quando c’era Olivetti il rapporto era di 1 a 10, torniamo ad un principio di giustizia sociale, dare un po’ meno a chi guadagna milioni e rimettere in modo economia ed il ceto medio".<br />
<br/>fonte: <a href="http://qn.quotidiano.net/politica/2014/03/23/1043097-renzi-riforme-palude.shtml?utm_source=mrsend&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter&userid=NL14063">http://qn.quotidiano.net</a>MARCO MELONI: Una risposta alla CGIL: come migliorare il diritto allo studio e potenziare il sistema universitario2013-07-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it703555Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/>Rispondo alla nota con la quale il 26 luglio la FLC-CGIL esprime forti critiche nei confronti delle norme, approvate dalla Camera in sede di conversione in Legge del DL 69/2013 (c.d. “Fare”), relative al programma nazionale per il diritto allo studio.
In verità la nota è rivolta in primo luogo al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza: tuttavia, poiché la norma è stata approvata in seguito a un emendamento parlamentare (cui il governo ha dato parere favorevole), sottoscritto da tutto il gruppo del PD e di cui sono primo firmatario, sento sia anzitutto mio dovere precisarne il contenuto.
Prima di tutto, cosa prevede l’emendamento, che costituisce l’attuale art. 59-bis del DL “Fare”? Si istituisce un Programma nazionale per il diritto allo studio degli studenti meritevoli, finanziato con una parte (il 20%) della quota premiale del FFO (prevista dall’art. 2, comma 1, del DL 180/2008), e affidato – nella sua organizzazione – alla Fondazione istituita dal decreto-legge 70/2011, che assume la denominazione di “Fondazione per il merito e il diritto allo studio”.
I. Perché questo intervento: il programma del PD e l’emergenza diritto allo studio.
Parto dall’esporre sinteticamente le ragioni che hanno spinto il PD verso questa soluzione, che peraltro costituisce il primo punto del nostro programma elettorale in materia di università. Con una premessa, rappresentata dall’emergenza del diritto allo studio: l’Italia – che pure si pone al terzo posto in Europa per livello di contribuzione studentesca – prevede uno dei più bassi livelli di assistenza finanziaria agli studenti. Ottiene una borsa di studio solo il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il 30% della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2%), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%). Continuiamo a dare spazio all’ircocervo “studente idoneo non borsista”: purtroppo gli idonei che hanno ottenuto una borsa sono stati solo il 67,7% degli studenti nel 2011/2012, un dato ben più basso dell’82,5% del 2008. Sono numeri drammatici, che devono spingerci ad affermare che l’articolo 34 della Costituzione (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”) risulta sostanzialmente inattuato. Ragioni che hanno indotto lo stesso presidente del Consiglio, nelle dichiarazioni programmatiche sulla base delle quali il governo ha ottenuto la fiducia, a considerare l’attuazione di tale diritto costituzionale – fondamentale per garantire l’eguaglianza e la mobilità sociale – al primo posto tra gli interventi in materia di università. Obiettivi di fondo e dati essenziali, quelli ora citati, contenuti anche nell’audizione del ministro Carrozza alle commissioni riunite di Camera e Senato, citata anche nella nota della CGIL.
II. Dal principio allo strumento: il Programma nazionale per il diritto allo studio.
Passando dal principio – sul quale, soprattutto a parole, tutti si dichiarano d’accordo – agli strumenti per la sua attuazione, queste in sintesi le ragioni del tipo di intervento prospettato:
a) un programma nazionale, che non sostituisca affatto ma integri e rafforzi il diritto allo studio regionale, è da un lato uno strumento adeguato per favorire garantire effettivamente il “livello adeguato delle prestazioni” previsto dalla Costituzione, e dall’altro consente di favorire la libertà di movimento degli studenti, indotti – attraverso questo strumento – a scegliere l’ateneo di destinazione in modo dettato più dalle loro effettive preferenze che dall’efficienza (così mutevole nel territorio nazionale) dei sistemi regionali di diritto allo studio.
b) Le risorse sono ricavate dalla quota premiale del FFO. Il punto è stato molto criticato, e anche in questo caso è necessario un chiarimento. Non si intende affatto, in questo modo, comprimere le risorse assegnate attraverso la valutazione della qualità degli atenei, bensì stabilire una modalità di orientamento di una parte minima di risorse – le quali peraltro, essendo “premiali”, dovrebbero non essere indispensabili per la funzionalità degli atenei – e stabilire un automatismo. In questo modo, infatti, si orienta una parte (piuttosto ridotta, e che sarà ridotta ulteriormente, come dirò tra poco) di tale quota premiale attraverso le scelte degli studenti, che “fanno”, con tali scelte, una loro valutazione sulla qualità degli atenei: una sorta di “premialità studentesca”, dunque, che in buona parte “riconduce” comunque le risorse (secondo modalità che saranno definite dalle misure attuative della norma, affidate a un decreto ministeriale) alle università di destinazione, sia sotto forma di contribuzione figurativa degli studenti, sia di erogazione di servizi di diritto allo studio. In ogni caso, si contrasta in modo attivo il fenomeno che più dovremmo, tutti, temere, ovvero la “fuga” degli studenti, calati del 10% nell’ultimo anno (percentuale di diplomati che decidono di immatricolarsi). In sintesi, ancorare una parte minima della quota premiale a un programma nazionale di diritto allo studio consente di creare un meccanismo capace di destinare, in modo automatico e certo, una quota minima di risorse a chi meno è tutelato (gli studenti, in particolare quelli che studenti non lo sono ancora, o non lo saranno mai, se non viene potenziato il diritto allo studio).
c) Il programma – prevede la norma approvata – sarà coordinato dalla Fondazione istituita dal DL 70/2011: si tratta di una Fondazione di cui sono membri fondatori il Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca ed il Ministero dell'economia e delle finanze, ai quali è attribuita anche la vigilanza sulla Fondazione medesima, e che ora assume la denominazione di “Fondazione per il merito e il diritto allo studio”. Evidentemente il decreto ministeriale preciserà il ruolo della Fondazione nel coordinamento del programma, ma un punto è chiaro: a differenza di quanto affermato nella nota della CGIL, non c’è alcuna risorsa trasferita al “Fondo per il merito” istituito dalla L. 240, ma, al contrario, si orienta al diritto allo studio una fondazione originariamente rivolta ad altri obiettivi, e lo si fa secondo modalità operative definite da un decreto del Ministro per l’Istruzione, l’università e la ricerca.
d) L’ultima ragione attiene al rapporto tra voto elettorale e programmi politici: solo grazie ad esso, infatti, è possibile superare le volontà di titolari di interessi specifici in ragione dell’interesse generale (il giudizio sulla capacità di un programma elettorale di realizzarlo è affidato, notoriamente, agli elettori medesimi). Allora, il fatto che il primo punto in materia di università del programma ufficiale del partito più votato alle elezioni prevedesse una misura di questo genere, e per giunta con impatto quantitativamente assai più significativo, è un argomento che occorre tenere in debita considerazione, persino al di là delle legittime opinioni che si possono nutrire sul merito della questione.
L’esito di questa norma, infine, non è certamente privo di impatto sul numero degli studenti percettori di borsa di studio: a seconda dei criteri e dell’importo delle borse, si prevede che dai 25 ai 50mila studenti in più all’anno possano fruire di una borsa di studio. Numeri, appunto, non piccoli, se si considera che nello scorso anno accademico i fruitori di borse di studio sono stati poco meno di 120mila.
III. Quando la dialettica è salutare: dialogare con tutti per migliorare la norma
Il terzo punto che vorrei trattare, in questa precisazione, riguarda alcuni aspetti della norma che, per diversi ordini di ragioni, meritano di essere migliorati.
Anzitutto, vi è un problema di competenza: nel lavoro di redazione degli emendamenti si è verificata una svista, di cui mi assumo la responsabilità, relativa al coinvolgimento delle Regioni. E’ naturale che, in una materia come questa, affidata in via residuale (ex art. 117 comma 4 della Costituzione) alla competenza regionale, un programma di questo genere debba essere realizzato in seguito all’intesa della Conferenza Stato-Regioni, con riferimento agli obiettivi e ai criteri dell’intervento. Attraverso l’intesa, in altri termini, dovrebbe essere possibile integrare al meglio programma nazionale e sistema di diritto allo studio regionale, sia con riferimento ai criteri di erogazione delle borse sia di integrazione effettiva nell’erogazione dei servizi. Quel che deve essere chiaro, infatti, è che il programma nazionale rappresenta una opportunità in più, con obiettivi ulteriori e specifici, rispetto al sistema regionale di diritto allo studio.
Secondo punto critico è la misura dell’intervento finanziario: l’emendamento dal quale è derivato l’attuale art. 59-bis è stato presentato considerando la percentuale di quota premiale del FFO “non inferiore al 7 per cento”, come previsto dall’articolo 2, comma 1, del DL 180/2008. Nel momento in cui, in seguito all’approvazione di un successivo emendamento, tale quota passa a un minimo del 20%, è chiaro che le quantità mutano significativamente. In altri termini, per quanto ciò possa essere positivo per il diritto allo studio, trasferire al programma nazionale per il diritto allo studio 260 milioni (anziché meno della metà, come previsto inizialmente) non è al momento sostenibile.
Infine, il terzo punto critico attiene alle risorse. Le risorse per l’università sono diminuite, dal 2009, di oltre un miliardo di euro, e quest’anno necessitano un rifinanziamento con la Legge di Stabilità. Stessa questione riguarda il Fondo integrativo per il diritto allo studio, che lo Stato trasferisce alle Regioni, passato dagli oltre 250 milioni del 2009 ai circa 150 dello scorso anno, alla previsione attuale di 34 milioni. La domanda che ci è stata posta da molti interlocutori – più che legittimamente – allarmati è la seguente: in queste condizioni perché non pensare prima di tutto a rifinanziare questi fondi, e poi a interventi ulteriori?
A queste tre questioni ha inteso rispondere un Ordine del giorno, presentato dal gruppo del PD (primo firmatario il presidente del gruppo Roberto Speranza), approvato dalla Camera con parere favorevole del governo, con il quale, dopo aver espresso apprezzamento per obiettivi e contenuti del programma nazionale per il diritto allo studio, si assume l’obiettivo di migliorare la norma, prevedendo un coinvolgimento delle Regioni nella definizione di criteri e obiettivi del medesimo e graduando in modo compatibile con l’equilibrio del sistema universitario le percentuali di risorse della quota premiale trasferite al programma. Inoltre, si impegna il governo a garantire che il Fondo integrativo per il diritto allo studio sia dotato di risorse quanto meno pari allo scorso anno, e allo stesso modo il FFO sia finanziato in modo adeguato, perlomeno al livello – anche in questo caso – dello scorso anno. Si tratta di impegni e non di decisioni di bilancio, è vero, che sono invece affidate alla Legge di Stabilità. Ma la vigilanza sulla loro attuazione potrà essere massima, da parte di diversi soggetti che hanno un comune interesse, oltre che un insieme di compiti che, in questo caso, possono convergere in un unico obiettivo: aumentare l’investimento pubblico nel sistema dell’istruzione, e specificamente – in questa sede – di quella universitaria, e in questo contesto stabilire come obiettivo prioritario il forte potenziamento del diritto allo studio, per incrementare il numero degli studenti che frequentano l’università (orientandoli meglio, ovviamente) e fare del nostro sistema di istruzione un luogo di diritti, equità, mobilità, e non – come è attualmente – di troppe ingiustizie, di immobilismo e dispersione di talenti.
Aumentare del 30% - da subito! - le borse di studio, come intendiamo fare, è una piccola rivoluzione di giustizia sociale. Chi ha idee migliori si faccia avanti (più correttamente: si candidi, lo scriva nel programma, chieda i voti su quel programma e poi lo trasformi in legge), ma nessuno si può sentire sottratto al dovere di intervenire immediatamente.
Ciò che il Partito Democratico ha proposto e propone alle forze parlamentari e agli interlocutori istituzionali e sociali – dalle Regioni, alle organizzazioni sindacali, agli studenti, ai rettori – è di cooperare per migliorare, nell’esame al Senato, il testo di questa norma, nella direzione prospettata già dall’Ordine del giorno che ho qui richiamato, e di essere uniti nel rivendicare un rilancio – presente nel programma di governo e nelle intenzioni più volte enunciate dai suoi esponenti, a partire dal presidente Letta e dal ministro Carrozza – del sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca come chiave fondamentale per la competitività e la crescita dell’Italia.
Se saremo uniti, dunque, sarà possibile conseguire risultati fondamentali: potremo destinare più risorse al sistema universitario e al fondo integrativo per il diritto allo studio; garantire il diritto alla mobilità degli studenti, con il Programma nazionale e la "premialità studentesca"; ampliare notevolmente la platea di beneficiari del diritto allo studio; concordare con le regioni una efficiente integrazione di programma nazionale e sistema regionale di diritto allo studio, consultando le rappresentanze studentesche.
Si tratta di un invito che rivolgo direttamente alla FLC-CGIL, con l’auspicio che insieme potremo riflettere sulle modalità più adatte a migliorare questo intervento e a conseguire questi obiettivi, continuando così un percorso che negli anni scorsi ci ha visti – ciascuno rispettando la propria autonoma sfera di responsabilità – capaci di dialogare e cooperare all’elaborazione di proposte e azioni di governo.
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocratico.it/doc/258120/una-risposta-alla-cgil-come-migliorare-il-diritto-allo-studio-e-potenziare-il-sistema-universitario.htm">www.partitodemocratico.it</a>Fabrizio Barca: «Farò il dirigente del Pd. Monti sulla Cgil sbaglia. Non è la conservazione» | INTERVISTA2013-01-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it685364Alla data della dichiarazione: Ministro Coesione territoriale<br/><br/><br />
<b>Dunque, ministro, dicono che in Europa, anzi, nel mondo ci sia grande preoccupazione per il governo Bersani-Vendola.</b>
<p>«Io credo che non ci sia proprio nessun rischio».
<p><b>Lei dice così, ma è stato un venerdì in cui tutti i futuri governanti, da Nichi Vendola a Pier Luigi Bersani, sono andati a perpetuare il rito del bacio della pantofola alla Cgil.</b>
<p>
«In tutto il mondo contano le strutture intermedie della società. Strutture di cui i sindacati rappresentano un pezzo fondamentale perché portano la voce dei lavoratori come cittadini della società. Io sono stato alla Cgil e non ho avuto problemi a dire cose diverse cose dalle loro».
<p><b>Bè, ministro, il suo presidente del Consiglio sostiene che i sindacati bloccano tutto. Ergo il governo Bersani potrebbe essere il governo della conservazione.
</b>
<p>
«Non condivido questa vulgata secondo cui all'improvviso arriva un governo amico dei sindacati e che quindi farà quello che dice la Cgil. Non esiste».
<p>
<b>Di nuovo: Monti sostiene che i sindacati sono conservatori.</b>
<p>
«Non esiste. Il problema dei sindacati è che entrano sulla difensiva, e in questo senso vengono definiti conservatori, quando hanno la sensazione di non essere ascoltati. C'è una bellissima frase della Camusso che dice: "Se di fronte a ottanta crisi aziendali io non vedo una strategia, di fatto, mi arroccherò"».
<p>
<b>Ministro non le pare di peccare di eccesso di fiducia nella Cgil?</b>
<p>
«Io sto solo dicendo: mettiamo alla prova il sindacato. È ovvio che so che all'interno della Cgil ci sono delle resistenze. Per esempio su un tema decisivo come quello della macchina dello Stato. Sulle politiche per il pubblico impiego, insomma. Ma è chiaro che resiste finché non lo testi e non ti confronti».
<p>
<p><b>Monti ci si è confrontato... e non è che abbia trovato grande disponibilità da parte della Cgil.</b>
<p>
«Bè, se fai sempre trovare la Cgil di fronte a fatti compiuti... Diciamo la verità: non esiste la querelle tra innovatori e conservatori. L'innovazione viene quando gli innovativi sfondano: questa è la partita del prossimo governo. E la Cgil è chiamata a giocare anche questa partita. Del resto, quando la Confindustria presenta un suo documento a nessuno viene in testa di fare tutte queste dietrologie».
<p>
<b>Magari ci sono testi più innovativi.</b>
<p>
«No. Le faccio un esempio: la Cgil pone un tema importante come quello della manutenzione del territorio. Del lavoro morto, dico io, perché così lo chiamava Carl Marx».
<p>
<b>Veramente ministro c'è chi dice che i sindacati ripropongono all'infinito solo l'assistenzialismo di sempre.</b>
<p>
«Se invece di chiamarlo Welfare state o Stato sociale lo avessimo chiamato <i>social innovation</i> stia sicura che il messaggio del sindacato sarebbe stato definito innovativo».
<p><b>Lei è uno dei ministri più apprezzati. Si è mai chiesto il perché?</b>
<p>
«Va bene, ma è facile. Mi chiamo ministro per la Coesione territoriale, una definizione quasi di sinistra, per questo godo di un certo apprezzamento. Pensi se fossi stato ministro delle tasse...».
<p>
<b>Le è piaciuto fare il ministro. Ma dicono dalle parti del Pd che le piacerebbe anche fare politica nel partito.</b>
<p>
«Dico la verità: io penso di essere più utilmente spendibile in un partito piuttosto che in un organo istituzionale».
<p>
<b>Si candida come il prossimo segretario del Partito democratico?</b>
<p>
«Che cosa strana: questo è un Paese dove una persona che manifesta la volontà di impegnarsi in politica viene subito bollato come uno che vuole fare il segretario. Tra l'altro non sono ancora iscritto».
<p>
<b>Scusi, ministro Barca, vorrebbe farci credere che si iscriverà al Partito democratico per fare il semplice militante? Si rende conto che non è credibile...</b>
<p>
<p>«E ovvio che ío non farò il militante ma avrò un ruolo nel gruppo dirigente, ma non si tratta di fare organigrammi, bensì di immaginare un partito nuovo, che diventa un veicolo di conoscenza e non solo di bisogni».
<p>
<b>Dicono anche che potrebbe andare in BankItalia, al posto del direttore generale Fabrizio Saccomanni. O anche al posto dell'attuale governatore Ignazio Visco...
</b>
<p>
«Ogni giorno se ne inventano una nuova. Questa non l'avevo mai sentita. Si immagini se invece tra qualche mese mi troverà ancora al mio posto, qui al ministero...».
<p>
<b>Scusi ministro Barca?</b>
<p>
« Bé, se non c'è una maggioranza stabile potrebbe accadere che una volta eletto il nuovo presidente della Repubblica si torni alle elezioni. E in questo caso per il disbrigo degli affari correnti resterebbe il governo attualmente in carica...».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1R61EC">Corriere della Sera | Maria Teresa Meli</a>Maurizio SAIA: Solidarietà alle Forze dell'ordine2012-11-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it684287Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: CN) <br/><br/>In proposito, apro una parentesi: questo sindacato deve isolare tali delinquenti, altrimenti si fa carico anche di queste responsabilità. Non si può rimanere indifferenti in una città, avendo delle bombe carta, pietre, bastoni o spranghe di ferro, e tenute varie da assetto di guerra, e far finta che questi siano amici del sindacato che protestano civilmente. Anticipo che presenterò una interrogazione al riguardo.
Voglio però ricordare che il Governo, in particolare il Ministero dell'interno, in questa sede ha trovato un Parlamento che ha difeso i poliziotti, con riguardo alle loro pensioni e alle loro indennità (cosa che non fa il Ministero dell'interno): infatti, non fa mancare nulla ai suoi prefetti e ai funzionari del palazzo a Roma, ma fa mancare sostegno economico e attrezzature a questi uomini che stanno difendendo l'ordine pubblico
<br/>fonte: <a href="http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=684036">www.senato.it</a>Maurizio SAIA: Sugli scontri avvenuti nel corso dello sciopero generale europeo2012-11-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it684286Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: CN) <br/><br/>In tutte le città vi sono stati dei feriti. A Padova sono rimasti feriti tre poliziotti, di cui uno ferito da una bomba carta. Questi sono gli armamentari con cui 300 delinquenti (chiamati no global o anarchici, se volete, o altro), si sono introdotti in una manifestazione autorizzata della CGIL.<br/>fonte: <a href="http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=684036">www.senato.it</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: «Bisogna tassare le ricchezze per creare sviluppo e occupazione» - INTERVISTA2012-11-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it684110Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
«Dobbiamo imporre all’Europa una inversione di rotta», scandisce il segretario della Cgil nei primi dieci anni del lungo periodo berlusconiano. Da europarlamentare del Pd oggi sarà in piazza a Bruxelles, davanti alla sede del parlamento europeo.
<p>
<b>È forse la prima volta che si costruisce una mobilitazione europea di questo tipo.</b>
<p>
Che io ricordi ci sono stati pochissimi precedenti. E certo era molto tempo che i sindacati non decidevano una giornata di mobilitazione così vasta. La ragione è quella che hanno messo alla base dell'iniziativa. In tutti i paesi europei la crisi economica, che in qualche caso come in Italia è diventata addirittura recessione, sta producendo danni rilevanti al tessuto economico e sociale: calo dell'occupazione, ma anche aumento della povertà.
Ci sono milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. E c'è una massiccia presenza tra loro di working poors, lavoratori poveri.<p>
<b>Di chi è la colpa se i lavoratori si stanno impoverendo?</b>
<p>
Nel caso dei cosiddetti “lavoratori poveri”, la responsabilità principale è dei modelli organizzativi che adottano le imprese. Non a caso si tratta soprattutto di donne che fanno lavori a tempo parziale o giovani che restano a lungo precari. In Italia, dove la maggior parte delle aziende pratica la politica dei bassi salari, c'è un problema in più che riguarda i lavoratori dipendenti, che altrove hanno stipendi più alti.
<p>
<b>Ma “un'altra Europa” è ancora possibile e per quali azioni passa?</b>
<p>
La maggior parte dei governi europei è di centrodestra e il predominio conservatore ha imposto all’Europa politiche del rigore sostanzialmente improntate al contenimento della spesa, nell'illusione che questo possa determinare spontaneamente dinamiche positive nelmercato. Come si è visto è una sciocchezza. Senza politiche di sviluppo, il contenimento della spesa crea solo depressione, peggiorando la qualità di vita di tante persone. Primo punto, quindi: rovesciare questa tendenza e imporre all'Europa politiche di investimento mirate a promuovere sviluppo e crescita sostenibile. Insieme al rigore a senso unico c'è stato poi anche il tentativo di smantellare il sistema sociale europeo, mettendo in crisi la coesione sociale che ha caratterizzato per moltissimo tempo questa parte del mondo. E questo è il secondo punto: la difesa del welfare. Infine, la cultura del centrodestra haportato un attacco diffuso anche ai diritti, della persona, del lavoro, dei cittadini. E questo è il terzo fronte.
<p>
<b>L'avvento di Hollande ha cambiato qualcosa?</b>
<p>
Ha riaperto la dialettica che con l'asse Merkel-Sarkozy era spenta. Ma se l'anno prossimo in Germania la coalizione rosso-verde avrà il sopravvento, potranno prodursi cambiamenti più rilevanti. Poi se anche l'Italia arriverà ad avere un governo di centrosinistra ancora meglio.
<p>
<b>In Italia, lo sciopero generale arriva dopo riforma del lavoro, le pensioni, la spending review: troppo tardi?</b>
<p>
Io penso che dallo sciopero di oggi il sindacato italiano possa ripartire. Mi dispiace sia proclamato da una sola organizzazione e che ci sia da parte delle altre due organizzazioni confederali una sottovalutazione incomprensibile della gravità della situazione italiana e del nesso che esiste tra i nostri problemi e la loro origine anche europea. In Italia, la situazione è anche peggiore che nel resto d'Europa. La Banca d'Italia ha rivisto tre volte al ribasso le ipotesi di decrescita. Il peggio, contrariamente a quanto ha sostenuto qualchemese fa lo stesso presidente del consiglio, non è affatto passato. La caduta dei consumi e della produzione industriale annunciano mesi ancora molto molto difficili.
<p>
<b>Con quali ripercussioni sociali?</b>
<p>
Stiamo attraversando un momento di grandi difficoltà e di tensioni sociali, che hanno come minimo comune denominatore il prevalere del sentimento della preoccupazione e della paura. Al di là dello sciopero di oggi, non vedo grandi reazioni collettive. C'è invece molto timore da parte delle persone e l'atteggiamento è quello della chiusura, della rinuncia anche nella vita sociale a normali forme di partecipazione.
<p>
<b>C’è un ritardo nella rappresentazione di questo disagio?</b>
<p>
Il ritardo c'è, però da questo sciopero può ripartire una iniziativa per imporre al governo politiche di crescita. Ci vuole un piano di investimenti che ruoti attorno ad alcune priorità: conoscenza da una parte – innovazione, scuola, ricerca e infrastrutture dall'altra. Per reperire le risorse dobbiamo fare due cose: promuovere una vera lotta all'evasione e tassare le ricchezze. La parola patrimoniale non piace? Chiamiamola “Giovanni”. L'importante è che sia rivolta a far pagare un contributo alle ricchezze che ci sono. E che con queste risorse si faccia quel piano di sviluppo di cui ha bisogno il paese. Quello che ha fatto l'esecutivo fin qui si è rivelato del tutto inefficace.
<p>
<b>
Si è sentito un po' isolato nel suo partito a firmare i referendum sul lavoro?</b>
<p>
Secondo me c'è stata una sottovalutazione pericolosa sia da parte dei sindacati che della politica della posta in gioco, e si deve recuperare. L'articolo 8 della finanziaria del governo Berlusconi, fatto su misura sulla Fiat, può portare alla cancellazione del contratto nazionale del lavoro. L'allarme dovrebbe squillare prima di tutto in casa sindacale. Se poi la politica su questo e sull’articolo 18 pensa che la strada referendaria non sia efficace ponga l'obiettivo di cambiare queste norme nel programma elettorale. Ma non possono non fare né l'una né l'altra cosa.
<p>
<b>A Pomigliano lo sciopero sarà di 8 ore. <br />
Cosa pensano in Europa dell'azione ritorsiva di Marchionne contro la Fiom?</b>
<p>
Non c'è una discussione. Sono cose che l'Europa lascia volentieri all'Italia.
<p>
<b>In piazza ci saranno anche gli studenti insieme ai loro prof. Due generazioni, padri e figli, come il 23 marzo 2002. La crisi li ha uniti o li divide?</b>
<p>
La crisi li penalizza entrambi. Metterli uno contro l'altro è strumentale. Chi ha sostenuto che con la riforma del mercato del lavoro si sarebbe creato uno spazio per i giovani è stato clamorosamente smentito. E poi abbiamo sprecato tante energie a discutere come riorganizzare il lavoro mentre il lavoro spariva. È arrivato il momento di impegnarsi a costruire nuove opportunità di lavoro. Anche per questo oggi bisogna essere in piazza.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1NARXB">Pubblico | Maria Grazia Gerina</a>Pietro ICHINO: «Non ho cambiato idea, la svolta di Marchionne era giusta» - INTERVISTA2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650426Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Il mondo politico e sindacale, quasi al completo, rimprovera a Marchionne scarsa chiarezza: e lei?</b>
<p>
Non cambierei di una virgola le opinioni espresse negli ultimi due anni sulla vicenda dei contratti aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Sia sotto il profilo giuridico, perché quelle pattuizioni erano e restano pienamente legittime, sia sotto il profilo dell’opportunità sindacale e industriale di votare ‘sì’ ai relativi referendum.
<p>
<b>Ma è un modello che di fatto rischia di venire meno se proprio la Fiat rinuncia ai suoi investimenti.</b>
<p>
Innanzitutto, non dimentichiamo che nel 2003, quando Marchionne ha assunto la guida del Gruppo, la Fiat era in stato fallimentare. Aggiungo, poi, che quegli accordi hanno una parte rilevante del merito della svolta nel nostro sistema delle relazioni industriali che si è concretata l’anno successivo, con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, firmato anche dalla Cgil. Senza la vicenda Fiat, probabilmente quella svolta non ci sarebbe stata. E senza gli accordi aziendali del 2010 non ci sarebbero stati neppure gli investimenti in essi previsti; non vedo, dunque, che cosa i lavoratori interessati avrebbero guadagnato col respingere quegli accordi, come la Fiom li invitava a fare.
<p>
<b>Ma la Cgil e la Fiom denunciavano il limite di quel piano.</b>
<p>
È vero che il piano industriale lasciava aperti alcuni interrogativi sul futuro, ma che cosa mai avrebbero guadagnato i lavoratori e il nostro Paese dal respingerlo in limine? Oltre tutto quando quegli accordi sono stati discussi e sottoposti a referendum, non era ancora sorta la questione della esclusione della Fiom dalle rappresentanze sindacali riconosciute in azienda: esclusione che è avvenuta solo dopo la sottoscrizione, proprio in conseguenza del rifiuto di firmare da parte della stessa Fiom, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dal referendum del 1995.
<p>
<b>Crisi di mercato a parte, secondo lei c’entra anche lo scontro giudiziario con la Fiom nella revisione dei piani Fiat per l’Italia?</b>
<p>
Ero e resto dell’idea che la guerra senza esclusione di colpi condotta dalla Fiom contro il piano industriale della Fiat è stato un gravissimo errore, oltre che un fatto incompatibile con un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente. Certo non è questa guerra la causa della crisi che oggi gli stabilimenti Fiat stanno attraversando, ma altrettanto certamente essa non ha giovato né all’impresa, né ai lavoratori, né alla nostra immagine di fronte agli operatori economici di tutto il resto del mondo, come giustamente osserva <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KF10M">Alessandro Penati sulla Repubblica</a>.
<p>
<b>Difficile però convincere oggi i lavoratori che il futuro è lo stesso.</b>
<p>
Ho ben presente l’ansia, più che giustificata, che i lavoratori della Fiat oggi provano per la crisi attuale della nostra industria automobilistica; e sono ben convinto della necessità di una politica industriale che elimini le ragioni di quest’ansia. Ma questa politica non può che consistere nell’aprire il nostro Paese agli investimenti stranieri, facendone un luogo ospitale e attraente per chi vuole insediarvi le proprie iniziative economiche; non mi sembra che a questo scopo sia di aiuto il continuare a dipingere e trattare, qui da noi, come un demonio quello stesso Sergio Marchionne che i sindacati e i lavoratori americani considerano invece un grande capitano d’industria.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KH2QQ">Il Mattino | Nando Santonastaso</a>Gianfranco Polillo: «Per il cuneo fiscale non ci sono soldi. I sindacati accettino sacrifici o rischiano di sparire» - INTERVISTA2012-08-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648430Alla data della dichiarazione: Sottosegretario Economia e finanze<br/><br/><br />
Sinora, come sottosegretario all'Economia del governo Monti, si è fatto conoscere come quello che "non le manda a dire", a costo di tirarsi addosso furiose polemiche. E anche ieri, appena ha sentito <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1J82C7">le parole di Raffaele Bonanni</a>, Gianfranco Polillo ha restituito pan per focaccia: «Qui la fossa se la stanno scavando i sindacati, non noi. Rischiano di sparire, di diventare il simulacro dei pensionati o, alla meglio, dei dipendenti pubblici. E sia chiaro che mi rivolgo in particolare alla Cgil e a Susanna Camusso, anche perché considero gli amici della Cisl quelli che più hanno capito le sfide che ci sono davanti».
<p> <b>Sottosegretario, Bonanni chiede solo di essere sentito, come accadrà alle imprese...</b>
<p> Bene, benissimo. Ma cosa sono disposti a mettere nel piatto? Qui il discorso è uno solo: accettare alcuni anni di sacrifici, come avvenuto in Germania.
<p> <b>Cosa vuol dire in concreto?</b>
<p> Aumentare la produttività, lavorare di più, legare sempre più parte del salario ai risultati, stipulare contratti che tengano conto delle specificità dei territori. Altrimenti, lo dico senza mezze misure, saranno i mercati, con le loro leggi spietate, a imporci una riduzione degli stipendi. Nel loro interesse, le organizzazioni dei lavoratori escano dalla logica antagonistica e diventino protagoniste del cambiamento. Dimentichino il tempo delle grandi imprese, oggi siamo ancorati al tessuto delle piccole-medie aziende che lottano per sopravvivere.
<p> <b>E' un processo in cui il governo non c'entra nulla?</b>
<p> Monti e i ministri, da oggi in poi, devono essere dei martelli pneumatici con le parti sociali, devono lanciare messaggi perché ci sia un nuovo patto per la crescita e il futuro del Paese. Con i conti in salvo, abbiamo la credibilità per una intensa <i>moral suasion</i>.
<p> <b>Non è pochino? I sindacati, e anche le imprese, vogliono parlare di risorse. Ad esempio, si discute di cuneo fiscale...</b>
<p> Soldi a sufficienza per misure così ampie non ce ne sono. Però, se c'è una vera disponibilità delle parti sociali a lavorare insieme, qualcosa nel piatto si può mettere.
<p> <b>Cosa?</b>
<p> Ad esempio rifinanziare parte del salario legato alla produttività, o aiutare le <i>start-up</i>. Ma senza un clima condiviso, sarebbero soldi sprecati.
<p><b>Non è compito delle imprese rilanciare la crescita investendo?</b>
<p> In teoria sì, ma al momento i loro margini di profitto sono tornati ai livelli del '95, e gran parte sono erosi dalle tasse. Potranno tornare a investire solo dopo anni di sacrifici condivisi con i lavoratori.
<p> <b>Davvero pensa che si possa convincere Susanna Camusso con questi discorsi?</b>
<p> La Cgil dovrebbe guardare alla sua storia per trovare la forza di rispondere alle sfide della globalizzazione.
<p> <b>La sua sembra l'agenda-Marchionne...</b>
<p> Marchionne forse ha scosso l'albero con troppa forza, ma i problemi che pone sono sacrosanti. Come si può fare impresa in Italia, in piena recessione, con tutti questi arroccamenti?
<p><b>La risposta la conosce: "Non ledendo i diritti".</b>
<p> Ma Camusso deve capire che l'Italia l'equità ce l'ha nel sangue, abbiamo un sistema di welfare forte. Non vogliamo ledere i diritti, piuttosto consegnarli alle generazioni future.
<p><b>Per tornare alle risorse: possibile che dopo tanti sacrifici non esca nulla per dare un po' di ossigeno al Paese reale?</b>
<p> Il lavoro di sfoltimento di deduzioni e detrazioni fiscali potrebbe tirare fuori i 6 miliardi necessari per evitare l'aumento dell'Iva. Poi ci sono le risorse dell'evasione. E, a mio avviso, dovremmo condurre la spending review nei meandri dei bilanci degli enti locali. È una giungla, e i meno virtuosi continuano a buttare soldi dalla finestra. Non escludo che, senza intenvenire, potremmo trovarci in casa nostra dei casi-Grecia.
<p><b>C'è un nodo trascurato del capitolo-crescita?</b>
<p> Il ruolo delle banche: i processi di aggregazione e l'ampio <i>turn-over</i> hanno rotto il rapporto con il territorio. Delle imprese non si devono valutare solo i bilanci, ma le potenzialità reali. Un tempo lo si faceva, dobbiamo provare a ricostruire quel modello.
<br /><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1J9LAB">Avvenire - Marco Iasevoli </a>Elsa Fornero: «Il lavoro non è un diritto ma qualcosa che si conquista» 2012-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it646436Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
«Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato anche con sacrificio».
<p>Lo dice Elsa Fornero in un'intervista al Wall Street Journal.
<p>«A job isn't something you obtain by right but something you conquer»<br />
«Un lavoro non è qualcosa che ottieni per diritto, ma qualcosa che si conquista».
<p><b>Sulla sua riforma del lavoro:</b>
<p>Questa riforma è una scommessa sul cambiare i comportamenti in molti modi. La mia paura più grande è di non superare questa sfida. <br />
Tutti, non solo i lavoratori, devono capire e cambiare. Questo riguarda anche i giovani, che hanno bisogno di sapere che l’occupazione non è qualcosa che si ottiene per diritto, ma qualcosa che si conquista, che si combatte e per il quale bisogna anche fare sacrifici.
<p><b>Sull'articolo 18:</b>
<p> L’attenzione tradizionale sull’articolo 18 è ovviamente ideologica. Non voglio cantare le lodi di nessuno, tantomeno le mie, ma penso che il nostro successo su questo punto sia basato sulla disarticolazione degli elementi di questo articolo. Rimane illegale il licenziamento per ragioni discriminatorie, ma i motivi economici ora possono essere citati.
<p> <b>Su Sindacati e Cgil:</b>
<p>La trasformazione dell’Italia richiede una sfida ai sindacati, che sono oggettivamente piuttosto conservatori. La Cgil ha le proprie opinioni e la sua nota attitudine ed agisce di conseguenza. Non vogliamo correggere il gioco bensì il sistema. Stiamo tentando di essere gli arbitri. Altri sono quelli che giocano per vincere.
<p>
<b><a href="http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304870304577490803874875894.html?mod=WSJEurope_hpp_LEFTTopStories">La trascrizione dell'intervista al Wall Street Journal</a> (in inglese)</b><br />
<br/>fonte: <a href="http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304458604577490980297922276.html">The Wall Street Journal | Christopher Emsden | Europe edition</a>Elsa Fornero: delusa da Marcegaglia: «E' il teatrino delle parti sociali» - INTERVISTA2012-04-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626601Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
Per anni hanno biasimato il “teatrino della politica” e ora ci tocca assistere al “teatrino delle parti sociali”: io sono sconcertata da questi cambi di fronte e dal fatto che sia sempre necessario demonizzare qualcuno, è davvero un segno di immaturità del Paese». A tarda sera Elsa Fornero non riesce a trattenere l’irritazione per l’offensiva del mondo imprenditoriale contro la riforma del lavoro e per le dichiarazioni fortemente critiche rilasciate da Emma Marcegaglia in un’intervista al Financial Times. «E’ una reazione incomprensibile - sottolinea il ministro del Lavoro - di fronte a un cambiamento marginale e ragionevole che non stravolge certo il senso della riforma».
<p>
<b>Il presidente uscente di Confindustria ha detto testualmente: «The text is very bad», ossia che la riforma del lavoro è pessima.</b>
<p>
«Prima di tutto bisognerebbe essere responsabili anche nei messaggi che si mandano ai mercati e all’estero, bisognerebbe davvero recuperare una rappresentazione corretta e non distorta delle cose e poi, prima di rilasciare certe dichiarazioni, l’articolato avrebbe meritato una lettura più pacata e attenta».
<p>
<b>Vi si accusa di aver fatto marcia indietro.</b>
<p>
«Il governo non ha fatto nessuna marcia indietro, le modifiche apportate non sconvolgono l’impianto né fanno venir meno la spinta innovativa della riforma: l’unica novità che c’è nella riforma dell’articolo 18 è aver inserito la clausola della “manifesta insussistenza” dei motivi economici come possibilità di reintegro».
<p>
<b>Però la variazione ripropone il reintegro anche nei licenziamenti per motivi economici.</b>
<p>
«La verità è che abbiamo modificato lievissimamente la riforma dell’articolo 18, abbiamo solo inserito la norma secondo cui in caso di manifesta insussistenza il giudice può stabilire il reintegro, il resto è rimasto uguale. Il giudice non viene chiamato ad entrare nello specifico del motivo economico o nel merito della gestione di un’azienda ma può solo stabilire se c’è una insussistenza chiara e manifesta del motivo e poi abbiamo scritto “può” non “deve” reintegrare».
<p>
<b>Marcegaglia però ha spiegato che il testo non è quello che avevate condiviso, riferendosi alla prima proposta del governo, presentata alle parti sociali.</b>
<p>
«Con le parti sociali c’è stato un lungo dialogo ma nessun accordo e nessuna concertazione, l’accordo invece bisognava trovarlo con i partiti politici che sostengono questo governo e che dovranno approvare il disegno di legge in Parlamento».
<p>
<b>E cos’è successo al vertice di martedì sera?</b>
<p>
«C’è stato un lungo confronto e poi Alfano e Casini hanno teso la mano a Bersani, nel senso che gli sono andati incontro per cercare una sintesi tra le forze che insieme sostengono il governo. Così si è deciso di aggiungere la possibilità di reintegro del lavoratore da parte del giudice, ma con limiti ben precisi, una cosa di assoluto buon senso».
<p>
<b>Non può negare che ci sia stata una concessione a Bersani e alla Cgil nel vertice.</b>
<p>
«Non ci sono vincitori e vinti ma una soluzione equilibrata che non ha smantellato l’impianto, mi sembra un tantino esagerato questo cantare vittoria da parte della sinistra».
<p>
<b>Che cosa la disturba di più nelle critiche di questi ultimi due giorni?</b>
<p>
«Siamo partiti che l’articolo 18 era un totem intoccabile, tutti scommettevano che non saremmo riusciti a fare alcuna modifica, invece noi l’abbiamo riformato e adesso le imprese ci dicono che non è cambiato niente. E poi sembrano far finta di non vedere le cose che hanno portato a casa».
<p>
<b>A cosa si riferisce?</b>
<p>
«Sembrano dimenticare che nello stesso vertice però si è venuti incontro anche alle esigenze delle imprese allungando da un lato i tempi e dall’altro allentando le restrizioni messe sui contratti non a tempo indeterminato. Per esempio: le aziende avranno un anno di tempo per far emergere i rapporti di lavoro a tempo indeterminato che oggi sono presentati come partite Iva; poi abbiamo tolto la necessità della causale per i contratti a tempo determinato di sei mesi e per i primi contratti. Per quanto riguarda l’apprendistato abbiamo cambiato il rapporto tra lavoratori e apprendisti: prima era uno a uno, adesso puoi avere tre apprendisti ogni due lavoratori. Inoltre prima potevi assumere nuovi apprendisti solo se ne avevi confermati almeno la metà nel triennio precedente, invece adesso per i prossimi tre anni la soglia è abbassata al 30 per cento. Ma non solo: rispetto alla stesura precedente è stato ridotto l’indennizzo che era previsto in una forbice tra le 15 e le 27 mensilità e che ora sarà tra 12 e 24. Infine abbiamo lavorato per rendere più rapidi e veloci i processi e abbiamo inserito l’elemento della conciliazione preventiva. Perché tanta sfiducia?».
<p>
<b>Certamente uno dei motivi della reazione è legato al ricorso ulteriore alla magistratura.</b>
<p>
«Beh, le dirò che non mi aspettavo una sfiducia così aperta nei confronti dei giudici, se si vuole il cambiamento non lo si può costruire sui pregiudizi. Salvo che si pensi che i giudici sono tutti ideologizzati: cosa difficile da sostenere. E’ una reazione incomprensibile che mi sembra risponda più a logiche interne che a fatti reali».
<p>
<b>Niente da rimproverarsi?</b>
<p>
«Il governo ha pensato al Paese, non a favorire una o l’altra parte, lo facciano tutti, sono anni che chiedono a gran voce di far prevalere l’interesse generale e ora c’è l’occasione..., bisognerebbe smettere di pensare solo alla propria parte, solo agli interessi di bottega».
<p>
<b>E adesso cosa farà come ministro del Lavoro?</b>
<p>
«Sarei ben felice di fare un confronto pubblico, anche in televisione, con Emma Marcegaglia per spiegare la riforma e come stanno le cose, perché bisogna fare chiarezza e perché non è possibile fare marcia indietro in questa maniera».
<p>
<b>In che senso marcia indietro?</b>
<p>
«Nel senso che non è cambiato quasi nulla rispetto ad un testo che era accettato da tutti tranne che dalla Cgil e adesso sembra di essere passati all’opposto: io faccio ancora fatica a comprendere questa giostra».<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1D9GKB">La Stampa - Mario Calabresi</a>Antonio POLITO: La sofferta e doppia identità di un partito2012-03-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626373<br />
Ai tempi del Pci vigeva una prassi: ogni svolta politica a destra andava preceduta da una svolta sociale a sinistra. Così per anni si abbinò alla vociante opposizione in piazza una fruttuosa consociazione in Parlamento. Forse è stata solo quest'antica sapienza a far invocare a D'Alema una svolta a sinistra per il Pd; o a indurre l'Unità a credere al Wall Street Journal, e a confondere Mario Monti con la Thatcher.
<p>
Si capisce che poche ore prima di incontrare, per giunta nell'ufficio personale di Berlusconi, il nemico storico della Seconda Repubblica, e stringere con lui un patto per fondare insieme la Terza, il gruppo dirigente del Pd abbia voluto sventolare un po' di bandiere rosse in nome dell'articolo 18, a difesa del quale si sono levate del resto perfino le bianche insegne del cardinal Bagnasco. Ma è sotto gli occhi di tutti che non solo di tattica si tratta: nel Pd è in corso una ricollocazione strategica. E la storia più recente delle sue relazioni pericolose con la Cgil e con il Pdl ne sono la prova.
<p>
Tra la sinistra politica e il grande sindacato rosso c'è sempre stata competizione. Per un lungo periodo la Cgil è stata più riformista e più moderata, da Di Vittorio a Lama fino a Trentin. Poi, con Cofferati, le parti si sono invertite e tali sono rimaste a tutt'oggi. La ragione sta nei differenti progetti politici. La Cgil è da sempre il laboratorio dell'unità delle sinistre (il che la rendeva paradossalmente più moderna e più plurale ai tempi del monolite comunista). Il Pd è invece nato per fare l'unità dei riformisti, con un inevitabile confine a sinistra. Dopo anni di duelli, si può dire che la partita si sia conclusa con la vittoria della Cgil. Sul fronte delle riforme sociali il Pd non ha né la cultura, né la forza, né il fegato per affermare e sostenere un punto di vista differente.
<p>
Questo spiega perché, dopo tanti anni, il gruppo dirigente di quella che si definisce una forza riformista non può intestarsi una riforma che sia una. Se si escludono le liberalizzazioni di Bersani nel secondo governo Prodi, su pensioni, mercato del lavoro, sanità, scuola, pubblico impiego, è una storia di conati, di tentativi appena abbozzati e subito respinti, di battaglie debolmente ingaggiate e malamente perse. I giovani turchi del Pd, che oggi si teorizzano «socialdemocratici» per spiegare questo arretramento, dovrebbero ricordare che le grandi socialdemocrazie europee non sono mai scese a patti con il radicalismo sociale. Il Labour si riprese dalla notte del thatcherismo solo dopo aver spezzato il guinzaglio al quale lo tenevano le Union; la socialdemocrazia tedesca non ha fatto un governo con la sinistra di Die Linke anche a costo di perdere il governo; e l'ultimo socialista francese a soggiornare all'Eliseo fu il Mitterrand che scaricò dal governo i comunisti.
<p>
Ma se il fronte sociale è perso, al Pd resta la politica. E qui interviene la seconda relazione pericolosa, quella con il Pdl. Proprio perché ha smarrito la sua egemonia nelle piazze, il Pd deve riconquistarla in Parlamento. Sa bene che il progetto frontista incarnato dal sindacato, che si spinge con la Fiom fino ai confini dei movimenti antagonisti, sarebbe la sua rovina. Rovina tattica, perché come si è visto a Napoli, a Milano, a Genova, a Bari, a Cagliari e perfino a Palermo, se regala il pallone delle primarie ai suoi competitori perde sempre. Ma anche rovina strategica, perché non c'è nessuno nel Pd che non rabbrividisca al pensiero di governare l'Italia con la foto di Vasto, dall'Afghanistan alla Tav. Ecco allora che il Pd ha bisogno del Pdl per liberarsi da quell'abbraccio con una nuova legge elettorale, nella speranza di andare al voto da solo, senza papi stranieri, senza rischiare primarie di coalizione, senza legarsi le mani sulle alleanze, magari assorbendo prima o poi la sinistra di Vendola ma scrollandosi di dosso le lobby dipietresche che lo assediano. Ciò che è andato perso sul piano del riformismo, sarebbe così recuperato sul piano politico.
<p>
L'idea è questa: Bersani, dicendosi socialdemocratico all'europea, vuole fare ciò che provò Veltroni dicendosi democratico alla Kennedy e che prima ancora tentò D'Alema dicendosi post-comunista clintoniano. Difficile dire se potrà funzionare nel gran caos italiano. Ciò che è certo è che la bestia dell'antipolitica, allevata e nutrita a sinistra in questi anni, non si placherà per così poco, e morderà Bersani come addentò Veltroni «inciucioni» e D'Alema «dalemoni».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1CV4LL">Corriere della Sera</a>Dario FRANCESCHINI: Riforma Fornero. «Norme sbagliate, non siamo al rimorchio della Cgil» - INTERVISTA2012-03-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626006Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Sulla bufera che infuria sull’articolo 18, Dario Franceschini, capogruppo del Pd a Montecitorio, la mette semplicemente così: «C’è un problema che è rimasto aperto in una riforma che ha moltissimi aspetti positivi, con misure che noi chiedevamo da anni». <p>
<b> Sicuro? Perché quel problema aperto, come dice lei, cioè il non reintegro per i licenziamenti economici, sta diventando dirompente: non solo divarica il Pd ma c’è chi arriva a ipotizzare la crisi perché potreste togliere l’appoggio a Monti... </b>
<p>
«Quello del reintegro è un tema serio che però è del tutto sbagliato ricondurre a ragionamenti tattici: vince questo o vince quello; il Pd subisce le pressioni della Cgil e così via. Facciamo un ragionamento di merito. Chiediamo e continueremo a lavorare affinché venga recepita la possibilità di reintegro anche per i licenziamenti economici». <p>
<b> Monti però nel vertice conclusivo con le parti sociali ha già detto che non si tocca nulla, che il reintegro non c’è. E allora? </b>
<p>
«E allora ci sono due considerazioni da fare. La prima, appunto, è di merito. Se la norma rimane così com’è, si affida solo al giudizio del datore di lavoro la fondatezza o meno della situazione di crisi. In sostanza l’imprenditore si autocertifica la condizione di difficoltà economica, e di conseguenza licenzia. Il lavoratore può ricorrere e l’unico provvedimento che può assumere il giudice è stabilire l’entità dell’indennizzo. Potremmo trovarci di fronte a migliaia di lavoratori che perdono il posto per crisi false oppure solo annunciate. Ed è per questo che le norme, da che mondo è mondo, sono fatte per tutelare le parti più deboli». <p>
<b> Poi c’è l’impatto sul Paese, lei dice. Cioè? </b>
<p>
«Se l’articolo 18 resta nell’attuale formulazione, si ottiene il risultato che centinaia di migliaia di persone, da sempre convinte di non poter essere licenziate, precipiteranno in una condizione di precarietà psicologica. Invece di stabilizzare i precari, si ottiene il risultato di precarizzare gli stabili. Devastante». <p>
<b> Confindustria e piccole imprese, per non parlare del Pdl, la pensano in maniera opposta. Vi sentite isolati? </b>
<p>
«La verità è che una norma siffatta, oltre che essere sbagliata, non può reggere. Non a caso, è di queste ore il fatto che la Cisl, l’Ugl, i vescovi sono arrivati alla stessa conclusione, e molti altri ci arriveranno nei prossimi giorni: è necessario adottare il modello tedesco, che è reintegro o indennizzo ma su decisione di un giudice». <p>
<b> Tuttavia il nodo politico resta intatto. Il governo mantiene la sua posizione e non intende modificarla. </b>
<p>
«Se non mi sono distratto, le leggi è il Parlamento che le fa, non il governo. Siccome le leggi le fa il Parlamento, il governo manda un testo alle Camere - poiché l’ho espressamente chiesto resto convinto che non potrà essere un decreto bensì un disegno di legge o una delega - e lì la riforma verrà modificata».
<p>
<b> Suona come una minaccia. Significa che se non cambia non appoggerete più Monti? </b>
<p>
«Nessuna minaccia, semplice constatazione di quelle che sono le regole. Il nostro rapporto con il governo non cambia, la politica sistemerà le cose».<p>
<b> Stavolta però la partita è più difficile. Davvero crede che in aula sia possibile trovare i numeri per eventuali modifiche? </b>
<p>
«Non solo che sia possibile: penso sia obbligatorio. Nessuno può immaginare che il sostegno a Monti possa arrivare da maggioranze occasionali o variabili. E’ come se io dicessi, ma non lo faccio, che Pd, Lega e Idv insieme hanno la maggioranza numerica». <p>
<b> Se si modifica l’articolo 18 è salva anche l’unità del Pd, piuttosto pencolante a quanto pare. E’ per questo che siete così determinati? </b>
<p>
«Che in un partito grande, votato da un terzo degli italiani, ci sia un dibattito e anche posizioni di partenza differenziate è normale, mi preoccuperei se fosse l’opposto. Non è che ogni volta che c’è una discussione si possa parlare di spaccatura o addirittura di fine del Pd».<p>
<b> Gira parecchia irritazione nel Pd nella convinzione che Monti sull’articolo 18 non avrebbe rispettato i patti. Conferma? </b>
<p>
«Tra noi e Monti su questo tema specifico c’è una differenza di opinioni. Nessuno scandalo. E nessun retroscena». <p>
<b> Dica la verità: quanto pesa il pressing della Cgil? Quanto siete a rimorchio della Camusso? Fin dove siete disposti a seguirla? </b>
<p>
«Noi non seguiamo nessuno. In questa circostanza c’è una parziale coincidenza di posizioni con la Cgil. Qualche volta sono d’accordo con la Camusso, qualche volta no. E’ semplice autonomia reciproca. Il resto è strumentalizzazione».
<p>
<b> Insistere sul disegno di legge non è il paravento di una celata volontà di non fare la riforma? </b>
<p>
«Non esiste. Con un po’ di volontà politica un disegno di legge può essere approvato con gli stessi tempi di un decreto. Anche modificandolo».
<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1CKWYC">Il Messaggero - Carlo Fusi</a>Dario FRANCESCHINI: «Sul reintegro non molliamo. No a voti secondo coscienza» - INTERVISTA2012-03-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626005Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />Dario Franceschini prende un respiro: "Il Pd una linea ce l'ha, ed è molto chiara. La riforma del mercato del lavoro deve diventare un disegno di legge, e non un decreto. L'articolo 18 deve essere modificato in Parlamento sul modello tedesco, reintroducendo la possibilità delreintegro. E quando si voterà il gruppo dovrà essere unito: non ci possono essere casi di coscienza". Mentre sono nel suo studio da capogruppo, nel giorno (finora) più lungo del governo Monti, sembra di essere in mezzo ad un terremoto. Franceschini segue il vertice con un occhio alle agenzie, il suo I-phone trilla e ronza. Sorride: "Faccio come se dovesse accadere quello che penso ... poi nel caso ci risentiamo". Non servirà, perché il pronostico del capogruppo si rivela esatto. Monti non molla, in serata tutti chiedono il reintegro dalla Cei all'Ugl, e alla fine la patata bollente finisce in Parlamento dove molti paventano il rischio che il Pd si ritrovi costretto a subire una maggioranza ostile. <p>
<b> Onorevole Franceschini, è più vicino a Letta che dice "Il nostro voto non può mancare", o a Bersani che spiega: "Al Pd non si può dire prendere-o-lasciare?". </b> <br>
(Sorriso). Faccio fatica a misurare le mie idee sulla distanza da quelle altrui. Le mie sono molto semplici: noi dobbiamo migliorare in Parlamento il testo. <p>
<b> Più vicino a Bersani, dunque. </b><br>
Se vuole. Ma oggi, anche Letta dice: "Si deve andare verso il modello tedesco".<p>
<b> Letta, ieri, dalla Gruber diceva: "Questo provvedimento è una rivoluzione". </b><br>
Non è necessariamente una contraddizione. Se togliamo l'articolo 18, c'è una parte del testo assolutamente positiva. <p>
<b> Peccato che tutta l'Italia stia discutendo dell'articolo 18. </b><br>
Lo so bene. Sono arrivati anche a me centinaia di messaggi tra mail e Facebook. <p>
<b> Messaggi preoccupati? </b><br>
Preoccupatissimi. Qui il problema non è più la posizione della Cgil, della Camusso, della destra o della sinistra ... <p>
<b> Cioè? </b><br>
Si sono tutti già scordati tutti degli schieramenti, di questo o di quello: c'è un pezzo di Paese in angoscia che si chiede: ‘ Ma con questa riforma da domani sono licenziabile o no?'<p>
<b> E lei che cosa gli risponde? </b><br>
Che se non si cambia quella norma c'è il rischio che molti licenziamenti economici diventino la via con cui i datori di lavoro possono disfarsi dei dipendenti che non vogliono tenere. Per quel che mi riguarda non è una norma che il Pd possa accettare. <p>
<b> E perché ci sono voluti tre giorni per dire questa cosa in modo chiaro? </b><br>
Io l'ho detto un minuto dopo aver letto il testo. Ma adesso lo dicono anche i vescovi, la Cisl e l'Ugl e non mi pare che si tratti di pericolosi sovversivi ... <p>
<b> Che cosa teme? </b><br>
Che l'effetto di questa modifica sia far precipitare milioni di lavoratori in una situazione di angoscia. <p>
<b> Monti però tira dritto. Lo fa per far esplodere il Pd, come sostiene qualcuno? </b><br>
Ma figuriamoci. Lo fa per un unico motivo: è convinto che sia la cosa più giusta da fare. Deluderò qualcuno: non ci sono retroscena o segrete strategie politiciste. <p>
<b> C'è chi lo chiama "sacrificio umano" per lo spread. </b><br>
Non sono d'accordo. Davvero qualcuno crede che chi decide se investire in Italia vada a compulsare il codicillo della legge sul lavoro? Basta la garanzia di Monti, e la sua credibilità, per spiegare ai mercati la bontà della riforma! <p>
<b> Però vi siete divisi. </b><br>
È un ragionamento singolare. Che il Pd sia un grande partito in cui esiste un dibattito vero è un fatto positivo. <p>
<b> Dibattito è una cosa, divisione è un'altra. </b><br>
Se lo si rappresenta come spaccatura sì. Ma noi siamo uniti, e saremo tutti uniti, come le ho detto, nel voto. <p>
<b> Potreste accettare un decreto? </b><br>
Mi pare una materia troppo complessa per un decreto. <p>
<b> Ma se si arrivasse a un voto parlamentare, potreste essere anche battuti: lo ha messo in conto? </b><br>
So bene che la maggioranza in queste Aule è ancora in mano al centrodestra. Ma le pongo alcuni problemi. <p>
<b> Tipo? </b><br>
Lei sa cosa farà la Lega? Io no, e sfido chiunque a immaginarlo. <p>
<b> E poi? </b><br>
Questo provvedimento non si risolve con un voto Sì-No, ovvio. Ci deve essere, come in tutti gli altri casi, una gestione politica. Bisognerà trovare le condizioni condivise. <p>
<b> Sembra un avvertimento. </b><br>
Io non minaccio nessuno. Si chiama sistema parlamentare. <p>
<b> Molti elettori dicono: questo governo vara solo provvedimenti contro la sinistra. </b><br>
È una percezione alterata. Ognuno è sensibile a quello che lo riguarda. Basta pensare alle reazioni del centrodestra sulla lotta all'evasione! <p>
<b> Altri sostengono: quello che succede sull'art. 18 può archiviare la foto di Vasto. </b><br>
Non ha senso. Io penso che il Pd debba essere il baricentro di un'alleanza in cui ci siano altre forze alla sua sinistra e al centro. Lei però non mi ha ancora fatto la domanda decisiva. <p>
<b> Se l'articolo 18 resta senza reintegro il governo può cadere? </b><br>
La risposta è no. Se lei rivede il film sulle pensioni, scoprirà che è accaduta la stessa cosa. Tutti dicevano non cambierà nulla, poi il testo è stato migliorato. Accadrà di nuovo, senza rischiare nessuna crisi.
<p>
<b> <a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=7021">Intervista di Luca Telese a Dario Franceschini per Il Fatto Quotidiano</a> </b><p><br />
<br/>fonte: <a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=7021">Il Fatto Quotidiano - Luca Telese</a>Antonio POLITO: Il costo reale di tanti ritardi2012-03-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625746<br />
Corrado Clini, è stato direttore generale del ministero dell'Ambiente dal 1990 - avete capito bene: da 22 anni - forse poteva segnalarcelo prima.
<p>
<b>Scusate il ritardo.</b> Dieci anni dopo l'assassinio di Marco Biagi, forse si riforma il sistema di ammortizzatori sociali; che poi in Europa si chiama Welfare , perché da noi serve ad ammorbidire le cadute e lì a rimettere in piedi chi cade. Dieci anni fa il governo Berlusconi non trovò i soldi per finanziare la riforma, si prese la flessibilità e buttò la protezione: rimase una « flex » senza « security ». Il governo di adesso dice che invece troverà i soldi: si vede che i tempi sono migliori. Ma non stretti però, visto che si partirà, pare, dal 2017.
<p>
<b>Scusate il ritardo.</b> Dieci anni dopo l'assassinio di Marco Biagi, personalmente attaccato dal segretario della Cgil del tempo, Sergio Cofferati, il segretario di oggi, Susanna Camusso, ammette: «La Cgil può avere fatto errori di personalizzazione, la personalizzazione è sempre sbagliata... credo possa aver confuso lo studioso con il governo...». Non una vera autocritica, ma sempre meglio di niente. Anzi, da parte dei nemici di allora è in corso una rivalutazione un po' truffaldina di Biagi, quasi come se fosse sempre stato un oppositore della «legge Biagi».
<p>
<b>Scusate il ritardo.</b> Quarantadue anni dopo lo Statuto dei lavoratori, forse si riforma un articolo di quella legge: il celebre, sacro, intoccabile 18. Pare che nel frattempo il mercato del lavoro sia infatti un po' cambiato: allora non c'erano la globalizzazione, gli immigrati, il computer, il cellulare, i voli low cost , l'euro, eccetera eccetera. Infatti Gran Bretagna e Spagna con le loro riforme hanno fatto in tempo in questi dieci anni ad avere un boom e uno sboom dell'occupazione, e la Germania addirittura un boom, uno sboom e poi un ri-boom. Noi ci stiamo pensando. C'è pure chi è in ritardo sul ritardo: quelli che stavano nel Pci si astennero anche sullo Statuto, nel '70. La legge voluta dal socialista Brodolini e scritta dal socialista Giugni parve a loro troppo moderata, non citava i diritti politici oltre quelli sindacali. Giugni rispose che leggere il giornale è un diritto politico, ma leggerlo in fabbrica durante il lavoro, forse no.
<p>
<b>Scusate il ritardo.</b> Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini dice che il rifiuto italiano degli Ogm è un «grave danno perché da sempre compromette la ricerca sull'ingegneria genetica applicata all'agricoltura, alla farmaceutica e anche a importanti questioni energetiche». Giusto. Peccato che negli ultimi dieci anni tutti i ministri dell'Agricoltura che si sono succeduti, da Pecoraro Scanio ad Alemanno, abbiano deliberatamente arrecato questo danno all'Italia. E Corrado Clini, che è stato direttore generale del ministero dell'Ambiente dal 1990 - avete capito bene: da 22 anni - forse poteva segnalarcelo prima, questo grave danno.
<p>
<b>Scusate il ritardo.</b> Tredici anni dopo il moto no global di Seattle, e undici anni dopo il moto e il morto di Genova, tutto in nome dei poveri del mondo, la Banca Mondiale ha accertato che la globalizzazione ha ridotto la povertà assoluta (cioè chi vive con meno di 1,25 dollari al giorno) in ogni parte della Terra. È la prima volta che accade. Abbiamo raggiunto l'obiettivo dell'Onu di dimezzare la povertà cinque anni prima del previsto: oggi è infatti la metà che nel 1990. Non c'è niente da festeggiare, perché sopra 1,25 dollari ma sotto i 2 dollari al giorno c'è più di un miliardo di esseri umani. Però, forse, con più globalizzazione si raggiungerà anche loro. È dunque certo che un altro mondo è possibile; ma non si capisce perché Bertinotti e Vendola volevano tenerne fuori i contadini dell'Asia.
<p>
Intendiamoci: come dice il detto, meglio tardi che mai. Non ho dubbi, per esempio, che tra una decina d'anni si riconosceranno anche i vantaggi dell'Alta velocità, come oggi del resto già accade a chi viaggia tra Roma e Milano, anche se nel tratto Firenze-Bologna - ha calcolato Salvatore Settis - essa «ha provocato la morte di 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi e 5 acquedotti». Però per allora i treni potrebbero non viaggiare più su rotaie, come già accade a Shanghai. E sono sicuro che tra dieci anni si riconoscerà anche l'utilità dei rigassificatori e forse perfino degli inceneritori di immondizia. Bisogna solo vedere nel frattempo quanto ci costeranno il gas importato dalla Russia e la monnezza spedita in Olanda. D'altra parte, arrivare in ritardo è un lusso, signori si nasce. E noi, avrebbe detto Totò, modestamente lo nacquimo .<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1C8IO0">Corriere della Sera</a>ANTONIO BASSOLINO: «Il Pd si ricordi degli operai» - INTERVISTA2012-03-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625584<br />
L`ex ministro sfila ignorando il veto della segreteria: ho firmato io l`ultimo contratto delle tute blu.
<p>«Il Pd non dimentichi la questione operaia. Per vincere e cambiare il Paese non bastano le alleanze politiche. Servono anche quelle sociali. E non è immaginabile uno schieramento sociale nel quale non ci siano anche operai e lavoratori. Senza di loro è impensabile ogni progetto di trasformazione e cambiamento».
<p><i>Antonio Bassolino spiega anche così la sua presenza, ieri, al corteo della Fiom.</i>
<p>
<b>L`ex sindaco di Napoli ha ritrovato la sua anima operaista?</b>
<p> «Fanno parte della mia storia l`attenzione e la passione politica, sociale e civile per i problemi della classe operaia. Non dimentico che nel mio breve periodo al ministero del Lavoro firmammo l`ultimo contratto unitario dei metalmeccanici, e che la mia giunta regionale varò le integrazioni al reddito per gli operai in cassa integrazione. E poi qui sono in discussione i diritti essenziali dei lavoratori a Pomigliano: più di 2 mila sono rientrati in fabbrica, non uno degli iscritti alla Cgil. Fatto insostenibile. La Repubblica italiana è fondata sul lavoro, non sulla discriminazione sul lavoro».
<p>
<b>Parla delle discriminazione per gli iscritti alla Fiom?</b>
<p> «Evidente. Come è evidente che oggi esiste un caso Fiat, con la Fiom che non ha rappresentanza sindacale negli stabilimenti del gruppo. Auspico un`iniziativa parlamentare per una norma legislativa che, in caso di divergenza tra sindacati, in presenza di un referendum tra lavoratori, consenta al sindacato che non ottiene la maggioranza di poter comunque esercitare la propria rappresentanza sindacale».
<p>
<b>Il Pd aveva deciso di non partecipare alla manifestazione, ma lei ha forzato il veto.</b>
<p>
«C`è reciproca autonomia tra sindacato e partito. Il Pd ha deciso che i suoi dirigenti non partecipassero alla manifestazione, per non confondere questioni sindacali ed altre questioni, come quella della Tav o delle polemiche con il governo. Ma io penso che il tema dei diritti dei lavoratori sia prevalente sulle altre valutazioni. D`altra parte io non ho incarichi di rilievo nel partito».
<p>
<b>Dunque è libero di sfidarlo?</b>
<p> «Non è stata affatto una sfida. Penso che Bersani stia facendo un buon lavoro. In piazza c`erano migliaia di militanti ed elettori del Pd. Il rapporto con quel mondo che oggi era a Roma è un rapporto importante. Un`alleanza di governo deve comprendere anche queste forze, come quelle sane della borghesia italiana, quella produttiva e quella intellettuale. Come immaginare uno schieramento sociale senza operai e lavoratori?»
<p><b>Nessun imbarazzo per la presenza dei No Tav?</b>
<p> «Io non sono contro la Tav. Su questo non seguo la Fiom. Ma ero in corteo perché sono dalla parte dei diritti dei lavoratori».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1BY4V7">la Repubblica - Bianca De Fazio</a>Rosy BINDI: «Attenti a non colpire i deboli per alcuni 300 euro sono tanti» - INTERVISTA2011-12-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it622208Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) - Vicepres. Camera <br/><br/><br />
«L'incertezza crea allarme, il governo faccia conoscere presto le sue proposte sulle pensioni». Rosy Bindi questa volta pesa le parole. Il momento è delicato, l'Italia si gioca il tutto per tutto. «L'appello all'equità del Pd non significa porre veti a Monti».
<p>
<b>Quindi, presidente Bindi, i Democratici ingoieranno qualsiasi rospo?</b>
<p>
«Non porremo condizioni o ultimatum al governo, costringendolo dentro la gabbia delle nostre richieste. Però lo sosteniamo con le nostre idee e proposte, che avanzeremo in concreto una volta conosciuto il progetto del governo. C'è tanto allarme in giro, prima si conoscono le misure e meglio è. Ci sono lavoratori che pensano di anticipare la pensione per evitare di essere penalizzati».
<p>
<b>Però il Pd pone o no dei paletti?</b>
<p>
«Soprattutto consigliamo al governo il confronto con le forze politiche che devono sostenerlo, e il dialogo con le parti sociali».
<p>
<b>Il ministro Fornero insiste sul fatto che la riforma va fatta in pochi giorni.</b>
<p>
«E vero che il tempo stringe ma non ne occorre molto per un confronto: è un segno di discontinuità rispetto all'esecutivo Berlusconi».
<p>
<b>Ma una riforma delle pensioni è indispensabile? L'Italia non paga una mancata modernizzazione?</b>
<p>
«Monti stesso ha riconosciuto che l'Italia ha fatto una riforma previdenziale forse più seria di altri paesi europei. L'impianto della riforma Dini non può essere sconvolto, e anche se si parla di accelerazione, questa va fatta con gradualità e secondo il metodo degli incentivi e dei disincentivi. La bussola del Pd è l'equità, l'attenzione alle fasce più deboli, alle situazioni più complesse, agli interventi sui privilegi, alla solidarietà tra le generazioni».
<p>
<b>Nel suo partito ci sono due linee: quella della "gauche" che, in un asse con la Cgil, non vuole toccare i 40 anni di contributi come requisito sufficiente per la pensione d'anzianità; l'altra riformista che non vuole sentire parlare di veti. Lei da che parte sta?</b>
<p>
«Da quella di Bersani che non pone veti ma chiede ascolto. Poiché questo non è il nostro governo, bensì l'esecutivo di responsabilità nazionale che sosteniamo, non pretendiamo che Monti faccia quello che faremmo noi al governo. Ma non mancherà il nostro appoggio nell'interesse dell'Italia. E non ci saranno due linee nel Pd, ma una sola».
<p>
<b>Su cosa siete tutti d'accordo?</b>
<p>
«Comprendiamo bene che bisogna fare in fretta riforme strutturali che chiederanno sacrifici a persone che ne hanno fatti tanti. Tutto ciò sarà socialmente sopportabile se la manovra chiede tanto di più a chi possiede tanto di più. Non è accettabile il veto sulla patrimoniale del Pdl. E sullo stop all'aggancio della pensione con l'inflazione, vanno tutelate le fasce più deboli. Perdere 300 euro all'anno per un pensionato che ha intorno ai mille euro al mese, è troppo. E poi attenzione. Ci dev'essere un legame tra le quello che il governo italiano farà lunedì e il consiglio europeo dell'8 e 9 dicembre. Monti non può non agire ma l'azione dell'Italia trova efficacia nelle decisioni che verranno prese a Bruxelles per rilanciare l'Europa, altrimenti non basteranno pensionati e pensionandi a saziare i mercati».
<p>
<b>Il Pd ha paura di regalare consensi alla Lega sulle pensioni?</b>
<p>
«Se avessimo fatto calcoli sul consenso, saremmo andati a votare. Le nostre idee non sono dettate da un tornaconto elettorale, né l'equità è un buon sentimento ma una regola di macro economia. La diseguaglianza e l'impoverimento della popolazione bloccano anche la crescita».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=17P4RF">La Repubblica - Giovanna Casadio</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: «La Cgil e il Pd rifiutino lo scambio tra patrimoniale e pensioni di anzianità» - INTERVISTA2011-11-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it621507Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
<b>Sergio Cofferati, Monti ha giurato, il totoministri è finito. Nel nuovo governo nessun politico, solo tecnici. Qual è il tuo giudizio?</b>
<p>
La cosa più importante è la presentazione del programma. Le persone che compongono il governo sono di robusto profilo professionale, ognuno nel proprio settore. Ora bisogna vedere queste competenze a cosa vengono finalizzate. Quello che fin da adesso credo si possa dire è che questo governo avrà una strada tutta in salita e non soltanto per la difficile congiuntura. Il problema principale resta infatti quello di come il nuovo governo affronterà questa crisi, perché la maggioranza che lo sostiene in Parlamento, sui temi specifici, ha ripetutamente esplicitato opinioni e valutazioni diversissime, a volte addirittura agli antipodi. Come riuscirà Monti a portarle a sintesi?
<p>
<b>In effetti, il Pdl non vuole sentir parlare né di imposta patrimoniale, né di ripristinare l’Ici. Il Pd, per bocca di Cesare Damiano, ribadisce: «Giù le mani dalle pensioni e dall’articolo 18». E se Monti usasse la tecnica della frusta e dello zuccherino? Ad esempio, convincendo il Pd a ingoiare il taglio delle pensioni di anzianità in cambio dell’introduzione della patrimoniale. E viceversa.</b>
<p>
Quella di introdurre norme che possono avere di volta in volta il dissenso di una parte e il consenso dell’altra e viceversa – le cosiddette maggioranze variabili – è una tattica che rischia di durare lo spazio di un mattino, perché chi rimane escluso dall’approvazione di un provvedimento ha a quel punto un problema politico enorme, anche di come giustificare il sostegno al governo agli occhi dei propri elettori.
<p>
<b>
L’altra carta a disposizione di Monti è il fattore emergenza, quello che gli ha aperto le porte di Palazzo Chigi. In una situazione delicata come quella attuale, per le forze politiche sarà più difficile dire no a certi provvedimenti. Verrebbero accusate di irresponsabilità.</b>
<p>
Anche questo è vero, però dura poco. Abbiamo visto in questi giorni come, dopo un primo impatto positivo sui mercati provocato dall’annuncio dell’incarico di governo a una persona stimata negli ambienti europei, le cose per la nostra economia non sono certo migliorate. “Attenti che arriva il lupo”, può servire una volta a serrare le fila. Ma se la volta dopo la situazione è ancora quella precedente, o è addirittura peggiorata, la paura del lupo rischia di non essere più sufficiente. Aggiungo che questo governo, sulla carta destinato ad arrivare a fine legislatura, avrà sulla propria strada due scogli di non poco conto. Uno, già definito, è il referendum elettorale. Non mi pare che oggi le forze politiche che sostengono il governo siano in grado di partorire una proposta condivisa di riforma della legge elettorale. Il referendum stesso, che sicuramente vedrà una partecipazione molto consistente dei cittadini italiani, potrebbe togliere le castagne dal fuoco al governo, con il ritorno al “mattarellum”. Il problema è che buona parte delle forze politiche presenti in Parlamento non vogliono il “mattarellum”. E quindi avrebbero tutto l’interesse a far cadere il governo prima del voto referendario.
<p>
<b>L’altro scoglio?</b>
<p>
Sono le elezioni future. Perché nel 2013 si andrà comunque a votare. Da un certo punto in poi comincerà la campagna elettorale. Le forze politiche dovranno cominciare a discutere di schieramenti e programmi. E ciò aprirà divisioni nella maggioranza che sostiene il governo Monti. Divisioni che, progressivamente, diventeranno più consistenti. Perché nessuno vorrà avvicinarsi al voto di fine legislatura senza un propria identità e senza le proprie proposte.
<p>
<b>Quindi prevedi che il governo Monti cada molto prima del 2013?</b>
<p>
Non faccio previsioni sulla durata. Dico solo che da un certo punto in avanti, la coesione che nasce dalla necessità di stare insieme finirà, al di là dell’emergenza. L’emergenza potrebbe continuare ma la coesione verrà progressivamente meno.
<p>
<b>Ma allora non sarebbe stato meglio andare al voto subito? La Spagna domenica prossima lo farà senza che ciò abbia provocato sconquassi.</b>
<p>
Io continuo a non comprendere perchè in Italia non si sia fatta la stessa cosa.<br />
Comunque ora c’è un governo che deve dimostrare di corrispondere alle esigenze che il paese ha e che non può vivere semplicemente evocando il rischio potenziale delle elezioni. Perché, ripeto, nel 2013 comunque si andrà a votare e non sappiamo in quali condizioni ci arriveremo. Condizioni economiche ma anche sociali. Perché tu puoi chiedere alle persone di fare un sacrificio, se però sei in grado, da un lato, di muoverti con equità e dall’altro, di fargli vedere la luce in fondo al tunnel. Altrimenti quelle persone reagiscono.
<p>
<b>La Cgil già mette le mani avanti. Commentando la nomina di Elsa Fornero a ministro del Welfare, Susanna Camusso ha detto: «Mi auguro che ciò non sia un segnale della volontà di mettere le pensioni come priorità». Un eventuale sciopero verrebbe però giudicato dalla grande stampa e da quasi tutto il Parlamento come un “atto irresponsabile contro l’interesse del paese”.</b>
<p>
Io penso che il sindacato debba dimostrare in tutte le circostanze che l’autonomia che rivendica dalla politica non è una buona intenzione ma una pratica vera. Dunque la Cgil dovrà confrontarsi senza remore con il governo, guardando al merito, ma anche senza il timore di dire “non sono d’accordo” e di comportarsi di conseguenza.
<p>
<b>La metto giù secca: introduzione della patrimoniale in cambio di un intervento sulle pensioni di anzianità. Potrebbe essere un compromesso accettabile per la Cgil e il Pd?</b>
<p>
Io penso che dovranno guardare alle due cose distintamente. Vedere cioè se la patrimoniale è una vera patrimoniale e se i provvedimenti sulle pensioni hanno una ragion d’essere oppure sono solo un modo per fare cassa sulla pelle di persone che vivono già in condizioni problematiche. Dopodiché se il sindacato non sarà d’accordo, sull’uno o sull’altro dei provvedimenti proposti dal governo, lo dovrà dire con tutta la determinatezza del caso e agire di conseguenza.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=170JH1">Liberazione - Roberto Farneti</a>Alfonso GIANNI: Liberismo trasversale - INTERVISTA2011-11-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it618061<br />
<b>Cominciamo a parlare del Pd. Bersani rischia grosso sostenendo questo probabilissimo esecutivo, soprattutto se finalizzato a gestire la fine della legislatura. Che cosa ne pensi?</b>
<p>
Penso anch’io che questo governo sta nascendo con tutte le intenzioni di durare fino al 2013. Qui non siamo solamente di fronte ad un governo di emergenza. Stiamo assistendo invece ad una operazione politica ambiziosa finalizzata a rompere definitivamente l’alleanza di centro-sinistra e a creare un nuovo corpaccione moderato, quasi sul modello della Grosse Koalition tedesca, che si candidi a governare l’Italia per conto dell’Unione Europea e della Banca centrale europea.<br />
Quindi è qualche cosa che nelle sue ambizioni va ben al di là di qualche mese e addirittura pone le premesse per la prossima legislatura. Naturalmente non è detto che tutto ciò si realizzi. Questo governo può anche non farsi perché all’ultimo momento può succedere qualche cosa, anche se questa ipotesi è sempre più improbabile. E naturalmente può anche incontrare successivamente delle difficoltà. Ma l’intenzione è quella che ho detto e quindi le scelte politiche vanno misurate in rapporto a quelle intenzioni.
<p>
<b>Che cosa rischia il Pd in tutto questo? Viene dato favorito nei sondaggi ma è evidente che se accettasse un governo Monti fino a fine legislatura perderebbe inevitabilmente dei consensi.</b>
<p>
Il Pd rischia certamente di perdere voti e consensi alla sua sinistra, sia nei confronti di Sel che delle altre forze. E anche di perdere voti alla sua destra perché chi potrà avere vantaggio da questo tipo di progetto è invece lo schieramento terzopolista. Cioè quello di Casini e di Fini, più logicamente connaturato a questo tipo di progetto. Quindi Bersani rischia molto. D’altro canto comprendo anche che questo tipo di governo era nelle corde del Pd e quindi non mi stupisco della sua scelta.
<p>
<b>Insomma non potevano comportarsi diversamente…</b>
<p>
Potrebbero fare diversamente. Per farlo però ci vuole una forte volontà politica che in questo momento Bersani pare non avere.
<p>
<b>Sel, dal canto suo, ha preso una posizione intermedia. Sì al governo Monti ma purché faccia la patrimoniale e prepari il Paese alle elezioni.</b>
<p>
Non direi. E’ vero che c’è stata un po’ di confusione. Ma, secondo me, <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=16QXT1">l’intervista rilasciata a Repubblica da Nichi Vendola</a> è molto chiara. Dice no a questo governo. Dopo di che pone delle condizioni la cui realizzabilità è piuttosto dubbia, perché il progetto Monti pare essere un altro. Intendiamoci. Noi abbiamo fatto della patrimoniale uno dei punti essenziali del programma dell’alternativa. Beh, la semplice reintroduzione dell’Ici non è la patrimoniale. E’ una misura ovvia che ripropone quello che esisteva prima. La patrimoniale è un’altra cosa, una tassazione sui beni immobiliari quanto su quelli finanziari. E quindi Monti non ci può ingannare semplicemente riproponendo la tassa sulla casa e ritornando così semplicemente allo scenario precedente a quello di Berlusconi.
<p>
<b>Il sì di Bersani a Monti mette in forse l’alleanza con l’Idv e Sel. Che cosa può succedere?</b>
<p>
Questo è il punto delicato della questione. Io infatti insisto sul fatto che, parlando della mia formazione politica in primo luogo, questa debba produrre una opposizione tenace al governo. Però, nello stesso tempo, deve fare un’opposizione di qualità e qualificata in senso propositivo in modo tale da mantenere da un lato viva la interlocuzione con le altre forze del centro-sinistra e nello stesso tempo la relazione con i movimenti sociali in modo tale da puntare alla ricomposizione della coalizione una volta arrivata la scadenza elettorale. Altrimenti questo significa lasciare che vada in porto senza alcun ostacolo quel disegno che ho prima descritto.
<p>
<b>E la Cgil?</b>
<p>
La sua posizione è inequivocabilmente favorevole alla costruzione del governo Monti. Per dirla con un battuta di un operaio di Brescia con cui ho parlato oggi, il rischio è che i lavoratori si trovino a scioperare per le pensioni assieme alla Lega contro un governo in cui c’è dentro la sinistra.
<p>
<b>Tornando a Sel, dopo le cose dette da Vendola non potrebbe e dovrebbe essere più facile ricucire con la Federazione?</b>
<p>
Io sono da sempre fautore di un processo riunificatorio. Almeno nella sostanza sono perché esista una sinistra senza aggettivi in questo Paese. E quindi non posso che essere contento se c’è un punto d’incontro. E dovremmo cogliere l’occasione per approfondire la possibilità di un’intesa di programma e di contenuto. Questa è la sfida che dobbiamo rivolgere a noi stessi.
<p>
<i>Alfonso Gianni</i>
<br />
<i>Esponente di Sel e già sottosegretario allo sviluppo economico nell’ultimo governo Prodi – fin dai tempi della scissione del 2008 ha cercato di fare da ponte tra il suo partito e la Fds. Ribadisce questo concetto anche adesso che la sinistra deve fronteggiare l’era Monti con tutto ciò che consegue</i>.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2011/11/12/17334-liberismo-trasversale-intervista-ad-alfonso-gianni/"> Controlacrisi.org | Liberazione - Vittorio Bonanni</a>Antonio POLITO: L'uso meschino di una lettera2011-09-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609674<br />
La missiva BCE, il balbettio italiano.
<p>
Sarà pur vero che la Bce di lettere così ne scrive tante, ma leggere sul Corriere quella a noi indirizzata brucia come uno schiaffo in faccia. Non solo per il tono ultimativo («Le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese per decreto-legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre»). Ma anche per il dettaglio della prescrizione. È molto raro vedere due banchieri centrali, sacerdoti del bene supremo della moneta e proprio per questo cariche non elettive e non politiche, dettare un vero e proprio programma legislativo al governo eletto di uno Stato sovrano. E subito dopo fare un'altra cosa molto irrituale: regalarci un po' di tempo comprando i nostri debiti.
<p>
La lettera è dunque un documento per molti versi storico, perché segna il punto più grave di una doppia anomalia: quella di un'Europa intergovernativa rimasta senza governo, che finisce per delegare alla Banca centrale compiti che sarebbero della politica, e quella di un'Italia ormai senza governo, che deve farsi imporre dall'esterno ciò che avrebbe dovuto fare da sé e per tempo.
<p>
L'esecutivo in carica ha due colpe. La prima è di aver tentato furbescamente di rinviare il pareggio di bilancio a dopo le elezioni, nel 2014, un tempo che i mercati hanno giudicato le calende greche e che li ha spinti a trattarci come i greci. Ma la seconda colpa, forse peggiore, è di aver fatto credere negli anni agli italiani che la sua azione aveva reso inutili tutte le prediche «mercatiste» e le riforme «liberiste». Perché avevamo ormai il sistema pensionistico più in equilibrio, il mercato del lavoro più flessibile, e i conti pubblici più virtuosi del continente.
<p>
Viene quasi da sperare che sia stata Roma, sull'orlo del baratro, a richiedere la lettera per disarmare l'opposizione in Parlamento e nel governo. Di certo, così è stata usata. Tremonti l'ha subìta a tal punto come un'esautorazione da dire, senza smentite, che Draghi è un «agente tedesco»; e che Grilli va dunque fatto Governatore non solo perché è di Milano, per la gioia di Bossi, ma anche perché avrebbe la forza di «fronteggiare gli euroburocrati», cioè la Bce.
<p>
Ma la pubblicazione della lettera sconfessa anche l'opposizione di sinistra, che pure ha inneggiato a Draghi. Ha ora davanti a sé un programma che per lei sarebbe anatema, con la Cgil in piazza e Vendola nel governo. Non solo il ministro Sacconi diceva il vero, quando giurava che le norme sul mercato del lavoro nella lettera della Bce c'erano eccome. Ma ve lo immaginate un governo Bersani che debba «ridurre lo stipendio ai dipendenti pubblici», «privatizzare su larga scala la fornitura di servizi locali», «rendere più rigorosi i criteri per le pensioni di anzianità», e «introdurre l'uso sistematico di indicatori di performance nel pubblico impiego, soprattutto nei sistemi giudiziario, sanitario e dell'istruzione», cioè nelle casematte della sinistra?
<p>
La politica italiana ha fatto un uso sbagliato e meschino di quella lettera. Dando la colpa all'Europa sono arrivate le tasse, ma non le riforme chieste dall'Europa. Ci siamo fatti commissariare senza nemmeno goderne i benefici. Il divario con i Bund tedeschi è pressappoco dov'era il giorno della lettera, e le previsioni di crescita sono oggi anche peggiori. Lo storico Carlo Cipolla avrebbe chiosato che recare danno agli altri (l'Europa) senza produrre vantaggi per sé (l'Italia) configura la terza e aurea legge della stupidità umana.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=14XF4O">Corriere della Sera</a>MATTEO RENZI: Ci vogliono idee non striscioni!!!2011-09-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609288Alla data della dichiarazione: Sindaco Comune Firenze (FI) (Partito: PD) - Consigliere Consiglio Comunale Firenze (FI) (Lista di elezione: Cen-sin) <br/><br/>L'avevamo lasciato che bacchettava il leader del Pd Pierluigi Bersani, e lo ritoviamo intento nella medesima attività. Cambia la scena ma non la sostanza e soprattutto non cambia il protagonista: il sindaco di Firenze Matteo Renzi, il leader dei 'rottamatori' che vogliono una nuova classe politica (e un nuovo Partito Democratico). <i>Se qualche settimana fa strigliava il</i> <b>'buon vecchio segretario'</b> Pd, <i>intervenendo sul caso Sesto e tangenti rosse di Penati,</i> <i>oggi il bersaglio è lo sciopero Cgil del 6 settembre cui Bersani ha partecipato, come sappiamo, con grande entusiasmo</i>. "Bersani risolva i problemi"</b> - Il trasporto di Bersani non è piacuto affatto al sindaco di Firenze: "Il segretario tiri fuori le idee e non solo gli striscioni"</b> ha commentato in un'intervista ai microfoni di Studio Aperto. <b>"Ho rispetto per chi è sceso in piazza - ha proseguito Renzi - ma credo che il compito dei politici non sia quello di stare in piazza, ma di risolvere i problemi. Io oggi sono stato in riunione di giunta tutto il giorno per risolvere i problemi dei fiorentini".</b> E infatti ieri in piazza, Matteo non è sceso affatto e non vuol sentir polemiche sul caso: <b>"Io mi sono iscritto al Pd, non alla Cgil, fare le manifestazioni è facile, ma ribadisco noi siamo pagati per risolvere i problemi della gente".</b> Come a dire, il rispetto non lo si nega a nessuno, però caro Bersani è tempo di agire non di chiaccherare. Insomma Renzi non ha la minima intenzione di gettar acqua sul fuoco delle polemiche e continua a punzecchiare un certa parte della sinistra da cui vuole prendere le distanze. Uno sciopero contro Berlusconi - Sulla polemica scatenata dallo striscione esposto martedì davanti Palazzo Vecchio, durante la manifestazione, che portava la scritta Il sindaco che la destra ci invidia, Renzi risponde secco. <b>"Avevo capito che era un grande sciopero contro il Governo Berlusconi, credo che la maggior parte di quelli che erano lì abbiano vissuto lo sciopero con questo spirito. Poi se qualcuno si è arrabbiato perché io non ho fatto sciopero è comprensibile fino a un certo punto: credo che sia un dovere da parte di un politico cercare di risolvere i problemi, non solo di fare le manifestazioni. Se è vero - ha continuato - che questa manovra finanziaria, siamo ormai alla quinta versione, è diventata quasi una barzelletta per come è stata costruita, è anche altrettanto vero che un amministratore che il giorno dello sciopero sta a fare il proprio lavoro penso che sia un amministratore che svolge, del tutto coerentemente, il suo lavoro".</b>
http://libero-news.it/news/816795/Renzi-piccona-Bersani-e-il-Pd-Fuori-idee-non-gli-striscioni.html
<br/>fonte: <a href="http://libero-news.it/news/816795/Renzi-piccona-Bersani-e-il-Pd-Fuori-idee-non-gli-striscioni.html">libero-news.it</a>