Openpolis - Argomento: dirigenti capacihttps://www.openpolis.it/2012-09-21T00:00:00ZGiulietto CHIESA: Per salutare Adalberto Minucci2012-09-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650371<br />
Ho imparato a misurare i dirigenti politici in base, anche, alle persone che frequentano e che scelgono come loro collaboratori. Funzionò con Mikhail Gorbaciov, quando scopriii che il suo braccio destro era Anatolij Cerniaev. Lo avevo conosciuto. Sapevo quanto valeva. La scelta di Gorbaciov, di averlo come suo aiutante di campo, mi aiutò a capire chi era Gorbaciov. In anticipo.
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La stessa cosa valse per Enrico Berlinguer. Sapevo chi era Berlinguer e non avevo bisogno d'altro. Ma in quel caso fu l'incontrario. La scelta di Berlinguer mi fece conoscere Adalberto Minucci. Prima ancora di frequentarlo e di diventarne amico, capii che, se era stato scelto da un uomo come Enrico Berlinguer, doveva valere.
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Le conferme vennero dopo. Valeva. Valentino Parlato ha scritto che era un "poeta del comunismo". Condivido in pieno. Fu anche onesto e sincero dall'inizio alla fine. Un miracolo in un'epoca di tradimenti, vigliaccherie, miserie, fu davvero un miracolo restare se stessi. E fu davvero un miracolo continuare a studiare, come fece Adalberto, fino alla fine. Perfino quando nessuno gli chiedeva più di farlo, e nessuno leggeva quello che scriveva. Per altro mille volte più intelligente delle imbecillità che a sinistra si sono dette e scritte in quest'ultimo decennio.
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Non lo vidi mai sopra le righe. Si arrabbiava, certo, quand'era il caso. Ma restava preciso, puntuale, senza sbavature. Un esempio di quadro politico del Partito Comunista, un insegnante per generazioni. Per me lo è stato e, di questo gli sarò grato per sempre.
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Poi, più vecchi, lui ed io, avemmo la ventura, curiosa, ma anche tutto sommato divertente e istruttiva, di essere licenziati entrambi da un giovanotto che ci aveva sfilato da sotto il naso (con la destrezza di chi ha i soldi non guadagnati) la rivista Avvenimenti, di cui Adalberto era direttore e io condirettore, su sua proposta.
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Quel giovanotto aveva due mentori e un amico. Il primo mentore era un certo Fagioli, con contorno di fagiolini. L'altro era Bertinotti. L'amico adesso imperversa nei talk show interpretando la figura dell'uomo di sinistra moderato. In realtà in cerca di stipendi per comprarsi il pettine con cui tenere a bada il ciuffo: unica cosa ribelle che gli è rimasta. Avvenimenti è diventato Left ed è di sinistra più o meno come Soros è un filantropo.
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Essere licenziati da quella compagnia fu un onore, dunque, quasi una medaglia. Sono contento di averla presa insieme a Adalberto.<br />
Adesso Adalberto non c'è più. Se n'è andato un giusto, che ha distribuito intelligenza e Bene, spendendosi per gli altri. E quello che ha seminato, anche se non si vede, resterà.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/8930-per-salutare-adalberto-minucci.html?tmpl=component&print=1&layout=default&page=">Megachip.info</a>MAURIZIO MARTINA: «Ho 32 anni, a Renzi dico: c’è bisogno di tutte le generazioni» - INTERVISTA2010-11-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547671Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Lombardia (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Maurizio Martina, segretario regionale in Lombardia, è uno dei giovani “rampolli” del Pd. Classe 1978: tre anni meno di Renzi. Insomma, le carte più che in regola per iscriversi al partito dei “rottamatori”. «Ma ora - assicura - c’è bisogno di tutte le generazioni».
<p> <b>Alla sua età, nemmeno un po’ di voglia di rottamare?</b>
<p> «L’espressione non mi piace».
<p> <b>Ma a Firenze ci andrà?</b>
<p> «Sarò a Milano, abbiamo una tre-giorni di mobilitazione a sostegno di Stefano Boeri, in vista delle primarie cittadine del 14 novembre: sabato raccoglieremo idee e suggerimenti per la città con 50 presidi nelle stazioni metropolitane e domenica abbiamo organizzato un pranzo multietnico in viale Padova, luogo simbolo della Milano insicura. È la nostra idea di convivenza: meno paura, più relazioni sociale. Alternativa a Pdl e Lega che in questi anni hanno soffiato sul fuoco. Il laboratorio Milano, se lavoriamo bene, potrà essere una parte del cambiamento di cui il paese ha bisogno».
<p> <b>Ma un po’ di curiosità non ce l’ha per quello che diranno a Firenze?</b>
<p> «Assolutamente sì anche perché tanti di quelli che saranno lì li conosco e so che hanno voglia di ragionare nel merito. In questo momento non possiamo permetterci però una discussione che ci avviti su noi stessi. Dobbiamo concentrarci su ciò che c’è fuori di noi: il clima che si respira nei confronti della politica tutta intera è pesantissimo, la debacle del berlusconismo e della maggioranza rischia di trascinare anche noi se di fronte alla crisi di sistema non diamo segnali chiari dell’alternativa che stiamo costruendo».
<p> <b>E il rinnovamento della classe dirigente non sarebbe un bel segnale?</b>
<p> «Certo, figuriamoci. Personalmente, se dovesse rimanere l’attuale legge elettorale, sono a favore delle primarie per la selezione dei candidati. Ma nel Pd non siamo all’anno zero. Anche se ogni tanto qualche calcio negli stinchi si deve tirare. In Lombardia 7 segretari di federazione su 12 hanno meno di quarant’anni, nei gruppi consiliari abbiamo dato spazio ai giovani e a persone che venivano da percorsi inediti, per l’elezione dei consiglieri regionali abbiamo fissato il limite dei due mandati e lo abbiamo fatto rispettare. Anche Boeri interpreta il bisogno di allargare l’orizzonte politico».
<p><b>Ma è della generazione di Veltroni e D’Alema...</b>
<p>«Appunto, schiacciare tutto sul rinnovamento anagrafico è molto limitato, può piacere ai media ma non risolve il problema: riconnettere la politica alla società. Il gap è clamoroso. Per recuperarlo servono tutte le generazioni. <br />
Anche perché c’è una questione generazionale ulteriore che sfugge anche ai trentenni: tra gli under 25 la Lega ha fatto incetta di voti, molti rischiano di votare Berlusconi e Bossi o di non votare per niente. La sfida per conquistarli alla politica è culturale e non solo anagrafica. Bisogna saper parlare agli italiani disorientati.<br />
E la vera partita è nell’innovazione delle idee».
<p><b> Un consiglio a Bersani rispetto ai “rottamatori”?</b>
<p> «Praticare il rinnovamento, come sta già facendo». <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.unita.it/news/italia/105441/ho_anni_a_renzi_dico_c_bisogno_di_tutte_le_generazioni">L'Unità - Maria Grazia Gerina</a>Paolo DE CASTRO: «Caro Renzi, leader si diventa sudando» - INTERVISTA2010-11-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547670Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
I «rottamatori»? Paolo De Castro - presidente di Red, braccio politico della dalemiana Fondazione ItalianiEuropei - spara a zero: «Se sei un trombone, saranno i cittadini a stabilirlo, mica può farlo Matteo Renzi con la sua prosopopea...».
<p>A poche ore dall'inizio della tre giorni di Firenze, indetta dal sindaco Matteo Renzi e da Pippo Civati, sulla parola d'ordine del ricambio generazionale, i promotori sono riusciti a far accendere i riflettori sull'evento e anche un battitore libero di fede dalemiana come l'ex ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro va all'assalto.
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<b>La parola d'ordine dei «rottamatori» sarà semplistica, ma è chiara: dopo 15 anni a casa...</b>
<p> «Se stessimo alla loro logica, oggi al Quirinale non avremmo il presidente Napolitano, una personalità che gode il massimo della fiducia degli italiani E non mi pare che abbia 35 anni...».
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<b>Forse ci sono dei politici che hanno saputo affrontare la maturità meglio di altri?</b>
<p> «Guardi, nel saper dare le risposte giuste in politica, non conta l'età. La politica è responsabilità e rispetto dei cittadini: se hai 90 anni e riesci nella missione politica meglio di uno di 30, belloccio e con la parlantina, vivaddio, meglio uno di 90 anni! Una battuta certo, per dire: l'alternativa non deve essere tra giovane o vecchio, ma tra bravo e incapace».
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<b>Restiamo ai fatti: ai vertici del Pd ci sono gli stessi personaggi - da Bersani a D'Alema, da Finocchiaro a Veltroni - che erano in prima fila nel 1996, quando i leader nel mondo erano Clinton, Blair, Chirac, tutti usciti di scena...</b>
<p> «Anche in altri schieramenti i leader sono gli stessi di allora: Berlusconi, Fini, Casini. Perché la politica è frutto di battaglie. Si diventa leader sudando. Con gli atti concreti, guadagnando giorno per giorno la fiducia di chi ci ha eletto. Non si occupano le poltrone, per diventare leader con le interviste sui giornali».
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<b>Certo, è altamente opinabile sostenere che uno è più bravo solo perché è più giovane, ma non pensa che una intera generazione si sia logorata, tra gelosie e risentimenti che durano anni?</b>
<p> «Ma figurarsi, ognuno può avere dei difetti.<br />
E governando, abbiamo dovuto fronteggiare sicuramente una eccessiva litigiosità. Ma andiamo al dunque: uno come D'Alema, che può essere simpatico o antipatico, ma è un politico invidiato in tutta Europa. Vogliamo pensare cosa sarebbe la politica estera dell'Ue se invece della signora Ashton avessimo avuto lui?».
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<b>Insomma il Pd deve tenersi e valorizzare i suoi leader di sempre?</b>
<p> «lo ribalterei l'accusa: si rimprovera ad una generazione un eccesso di personalismo, ma questa campagna per la rottamazione, cosa altro è, se non un altro tipo di personalizazione?».
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Renzi si è guadagnato la ribalta, battendo i notabili...</b>
<p>«Ma è appena arrivato! Faccia il sindaco per 5 anni e poi vediamo, magari si guadagna così i galloni da leader». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=V4V3I">La Stampa - Martini Fabio</a>Rosanna FILIPPIN: L'intervento da neosegretario del Pd Veneto.2009-11-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it419032Alla data della dichiarazione: Assessore Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD) - Assessore Comune Bassano del Grappa (VI) (Partito: PD) <br/><br/><br />
Cari amici,
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la nostra assemblea ha una responsabilità grande.
Oggi si chiude un percorso, quello del nostro congresso.
Trasformare questo traguardo in un nuovo punto di partenza dipende solo da noi.
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Quando penso alle primarie del 25 ottobre, penso sempre che quel giorno è successo qualcosa di straordinario. Nessun partito, né in Italia né in Europa, riesce a coinvolgere milioni di persone nella scelta del suo progetto politico e della sua leadership.<br />
Il Partito Democratico riesce a farlo. Possiamo e dobbiamo esserne orgogliosi. Questa è la nostra carta d’identità. Ciò che ci distingue.
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Abbiamo dimostrato a tutto il paese che non abbiamo perso la sintonia con il nostro popolo. E abbiamo anche dimostrato che i nostri iscritti e i nostri elettori non vivono su due pianeti diversi.
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Gli elettori delle primarie sono il nostro patrimonio più prezioso, il nostro maggiore punto di forza. Tre milioni di italiani. Quasi 180 mila veneti. La loro fiducia non va tradita.<br />
L’orgoglio per quello che abbiamo fatto è sacrosanto. Ma da solo non basta. Serve anche il coraggio. Il coraggio di scelte chiare per il futuro.
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Certamente dobbiamo partire da noi: da quello che siamo e da quello che vogliamo fare. Ma la sfida più importante non è quella per il governo del partito, ma quella per il governo del Veneto. Dobbiamo decidere con quali parole nuove rivolgerci agli elettori della nostra Regione.
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Io ho una mia idea sul tipo di Partito Democratico che dobbiamo costruire. La dico in tre parole. Ci serve un Partito Democratico che sia Veneto per davvero, cioé più simile alla nostra terra.<br />
Un partito concreto.<br />
Un partito innovatore.<br />
Un partito fiero delle sue radici.<br />
Un partito determinato nella sua autonomia, innanzi tutto sulle alleanze e le candidature.
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Credo che ci serva un partito popolare e vicino al cuore vero della nostra regione: il mondo produttivo e del lavoro.
E quando dico lavoro, intendo il lavoro in tutte le sue forme: da quello dell’operaio a quello dell’artigiano, da quello dell’insegnante a quello dell’imprenditore.
Perché il lavoro è la storia di questa terra, il segreto del suo successo nel passato e, soprattutto, l’unica speranza per il suo futuro.
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Non possiamo nasconderci dietro a un dito. Da qui alle elezioni regionali abbiamo compiti impegnativi da affrontare. E tempi molto stretti per farlo.
Questo richiede, da parte di tutti noi, uno scatto di determinazione e di coesione.<br />
In un congresso dividersi è normale. Ma da oggi in campo dobbiamo giocare come una squadra sola: quella del Partito Democratico.
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Dobbiamo anche cambiare passo, alzare lo sguardo. E tarare lo strumento-partito in funzione della nuova fase che si apre ora.
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Dalle elezioni regionali ci separano solamente 131 giorni.
È un tempo breve, brevissimo. Che dobbiamo usare al meglio. Innanzi tutto valutando attentamente lo scenario che abbiamo di fronte.
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Nel centrodestra si sta manifestando una competizione accesa.
Ad oggi non sappiamo se prevarrà l’attaccamento alle poltrone o se Lega e Pdl correranno divisi. Ma alcune cose sono invece già chiare:<br />
Il Partito Democratico è una delle tre principali forze politiche del Veneto. Governa 4 capoluoghi di provincia su 7. È la principale forza di opposizione. Non può rassegnarsi a giocare un ruolo da spettatore, né fare da stampella alle tattiche altrui.
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Le primarie ci hanno consegnato una forza importante. Quei 176 mila veneti che hanno votato il 25 ottobre si aspettano che il Partito Democratico giochi da protagonista la sua partita. Abbiamo il dovere di dare loro un nostro progetto di governo per il Veneto.
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Le forze con cui il Pd ha condiviso l’opposizione al centrodestra sono degli interlocutori naturali in vista delle prossime regionali. Ma non credo possano essere i nostri interlocutori esclusivi.<br />
Il 2010 non è il 2005. E noi dobbiamo avere la forza di fare scelte coraggiose.<br />
Credo che con il mondo delle liste civiche un confronto sia doveroso. Perché danno voce a un Veneto che non accetta le etichette delle appartenenze politiche nazionali, a un Veneto che ragiona sui problemi con concretezza e modernità. A un Veneto che non accetta padroni: né dogi berlusconiani, né condottieri con la camicia verde.
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Credo che anche con l’Udc un confronto sia possibile e necessario. E che il nuovo segretario del Partito Democratico debba farsene carico. Non si tratta di salvare il soldato Galan, ma di verificare tutte le convergenze utili ad evitarci il destino di un Veneto a trazione leghista.
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Non mi piace il partito degli affari berlusconiano.<br />
Ma non mi piace nemmeno la visione del mondo che ha la Lega. Una visione che non ha spazio per la solidarietà, che soffia sul fuoco delle paure, che strumentalizza i valori della nostra tradizione per una becera ricerca di visibilità.
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Credo infine che un confronto, al di là delle forze politiche e dei tavoli di trattativa, serva con la società reale. Perché tra il mondo reale e quello della politica c’è un distacco sempre più preoccupante. E tocca a noi costruire una proposta in grado di superarlo.
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Su alcuni grandi temi si decide il futuro della nostra Regione:<br />
Penso ad esempio alle politiche per la convivenza tra vecchi e nuovi veneti.
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La Lega propone un approccio sostanzialmente razzista ai problemi dell’integrazione. La vicenda della discussione regionale sul Fondo per la non autosufficienza è lì a dimostrarlo. Tocca a noi indicare un’alternativa. Perché senza una seria politica dell’integrazione, l’equilibrio sociale nelle nostre comunità è destinato a saltare.
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La Lega ha illuso gli elettori con il suo “pacchetto sicurezza”. Cioè meno risorse per le forze dell’ordine e più chiacchere sulle ronde e la sicurezza fai da te. Quello che serve al Veneto, invece, è un serio “pacchetto convivenza”.<br />
E tocca a noi realizzarlo.
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Oppure pensiamo al sistema socio-sanitario.
In una società che invecchia, come la nostra, questo tema sarà sempre più decisivo.<br />
Il ruolo della Regione è centrale: la grande parte del bilancio regionale va in spesa sanitaria. Eppure, proprio su questo fronte, il centrodestra ha fallito. A tutt’oggi manca un serio piano socio-sanitario. Sarà impossibile approvarne uno, fino a quando la sanità sarà terreno di competizione tra la lottizzazione leghista e quella del Pdl.
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E che dire delle scelte sull’energia e sul nucleare?
Mentre in tutto il mondo i governi si attrezzano per rilanciare lo sviluppo attraverso la green economy, il nostro governatore ha offerto il Veneto per la costruzione di una centrale nucleare.<br />
Anche su questo fronte, dobbiamo indicare una chiara alternativa. In primo luogo perché contestiamo la scelta del nucleare: sul piano della sicurezza, della compatibilità ambientale e pure su quello della convenienza economica.
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E in secondo luogo, perché il Veneto non è una proprietà del suo governatore. E non tocca a Galan decidere a mezzo stampa il destino delle comunità locali.
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Ma un'altra nota dolente è quella delle infrastrutture e delle reti di collegamento della metropoli veneta.
Un polmone industriale e produttivo come quello veneto ha bisogno di un sistema di infrastrutture moderno. Ma non basta un’opera come il Passante per risolvere i problemi.
In questi anni, ancora nulla è stato fatto di concreto per rilanciare il progetto di un sistema metropolitano di superficie. Manca una strategia sull’intermodalità.
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E mentre il governo nazionale ha derubato il Veneto di quel primo esperimento di federalismo autostradale costruito grazie anche al governo Prodi, in Veneto quasi ogni nuovo progetto infrastrutturale è realizzato in project financing, cioè con un costo pagato dai cittadini.
Questo è il bilancio del federalismo in salsa leghista: condoni permanenti per i Comuni amici del governo del premier, come quello di Catania, e pedaggi da pagare per i cittadini del Veneto.
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Per non parlare degli altri contenuti del federalismo fiscale.<br />
Come sanno bene i nostri amministratori, l’abolizione dell’Ici non è stata compensata da un vero federalismo. E mentre la spesa dei ministeri romani è esplosa negli ultimi anni, il Patto di stabilità impedisce persino ai comuni virtuosi di spendere i soldi che hanno in cassa. È così che l’economia locale viene paralizzata. E tre ministri veneti nel Governo Berlusconi non sono serviti a cambiare questo dato di fatto.
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Ma i fallimento del centrodestra regionale non si fermano qui. Anni di chiacchere sul federalismo non hanno portato nulla alla montagna veneta. Toccherà al Partito Democratico farsi carico di questo tema. Servono misure decise: con l’applicazione di un regime fiscale di vantaggio per le attività economiche dei territori che scontano la concorrenza delle regioni a statuto speciale.
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Su nessuno dei temi che ho citato, Lega e Pdl parlano con una voce comune. E i risultati sono sotto i nostri occhi: nessun piano socio-sanitario regionale, un piano regionale dei trasporti fermo a 20 anni fa, scelte contraddittorie sulle politiche per l’energia, una riforma dello statuto al palo da anni. E un consiglio regionale con tassi di assenteismo e improduttività che farebbero impazzire il Ministro Brunetta.
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In tempi in cui la rapidità delle scelte è tutto, la competizione tra Lega e Pdl ha prodotto una paralisi impressionante dell’attività politica e amministrativa.
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In tempi in cui il futuro di un’azienda veneta è condizionato anche dalla politica economica che sarà decisa in Germania o dalla concorrenza di competitori usciti magari dalle regioni della Cina profonda, la Lega offre solo il localismo, come se di fronte a una tempesta bastasse chiudere gli occhi, anziché cambiare rotta.
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In tempi in cui la società affronta sfide mai sperimentate prima sul fronte della convivenza, tra italiani e stranieri, tra giovani e anziani, tra lavoratori protetti e lavoratori precari, il centrodestra offre il vicolo cieco della paura, come se un esorcismo cancellasse i problemi. Invece non è così. I problemi si affrontano con politiche adeguate. Non voltando la testa da un’altra parte.
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Il centrodestra regionale è una casta in cerca di conservazione.<br />
Il Veneto merita di più e questo perché, come questa estate hanno scritto in un loro documento i nostri Sindaci dei comuni capoluogo, il Veneto è “la più avanzata frontiera di sperimentazione dei processi di trasformazione del nostro paese”.
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Credo che quel documento riassumesse bene le sfide che la nostra terra deve affrontare e che una proposta politica seria deve raccogliere.
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La prima sfida è quella del lavoro e dell’impresa: sfide che in una regione come la nostra, dove le piccole e medie imprese sono la fibra del tessuto economico, vanno di pari passo. Inevitabilmente.
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La sfida di questo mondo deve essere la nostra sfida. La nostra proposta di governo non deve saper parlare soltanto ai nostri elettori. Deve saper parlare al mezzo milione di aziende che operano in Veneto. E ai loro lavoratori. Se non c’è prospettiva per questo tessuto di imprese, non c’è futuro per il Veneto, né coesione possibile per le nostre comunità.
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A livello regionale dobbiamo batterci per usare gli strumenti che il centrodestra ha paralizzato. Penso a Veneto Sviluppo, una finanziaria regionale rimasta bloccata dalla competizione tra Lega e Pdl proprio quando più necessario sarebbe stato un suo intervento a sostegno delle Pmi.
E a livello nazionale, dobbiamo batterci per interventi che riducano il costo del lavoro, per una riforma dell’Irap che non penalizzi chi investe sull’occupazione, per un sistema fiscale che non incentivi la rendita e per un sistema del welfare che tuteli i lavoratori privi di tutele: non solo i precari, ma anche, ad esempio, i piccoli artigiani.
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Ma il Veneto è una frontiera anche per i problemi delle autonomie locali. Ormai è chiaro quanto poco concreto sia il federalismo voluto dalla Lega Nord. Proprio quando dovrebbero dare un impulso all’economia locale, con un piano di piccole opere immediatamente cantierabili, i nostri comuni, che sono comuni virtuosi, sono soffocati dalle maglie strettissime di un patto di stabilità irrazionale, che impedisce di usare risorse anche a chi è capace di risparmiare.
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E il Veneto è una frontiera delle politiche di sostenibilità ambientale. Siamo una regione che deve raccogliere la sfida della green economy. Perché la ricerca nel campo del risparmio energetico, delle energie rinnovabili, dell’edilizia eco-compatibile, possono rappresentare altrettante opportunità di sviluppo: per le nostre aziende e per il nostro sistema di formazione e ricerca universitaria.
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E siamo una regione in cui serve una scelta chiara: per la riqualificazione del territorio, contro il suo consumo incontrollato.
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Il Veneto, infine, è una frontiera della convivenza.
In pochi anni, abbiamo assorbito un’immigrazione di proporzioni europee. Quella che altri paesi hanno accumulato in decenni. È inevitabile che questo crei tensioni e problemi. Una politica di governo deve gestire queste tensioni, non fomentarle. Occorre investire sulle politiche di integrazione, a partire dal mondo della scuola e anche cercare soluzioni più avanzate sul nodo della cittadinanza: considerando ad esempio il passaggio dallo ius sanguinis allo ius solii.<br />
Altrimenti non sarà mai possibile stabilire quell’equilibrio necessario tra il valore di regole valide per tutti e l’idea di una società aperta, che non teme chi è diverso da noi.
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Il Partito Democratico deve essere il garante di questa idea di società, aperta ai diritti di tutti, inclusiva verso le diversità, coesa sulle regole che consentono una convivenza davvero civile tra tutti i cittadini.
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Se sono nuove le sfide da affrontare, nessuno, né il centrodestra, né noi, può pensare semplicemente di riproporre le ricette di ieri.<br />
Ecco perché serve, anche da parte nostra, il coraggio di osare. E la capacità di ritornare ad ascoltare la nostra Regione portando il nostro partito là dove la gente sta. In fondo, per riuscire a vincere in una terra che non politicamente vicina, è questo che hanno fatto i nostri Sindaci.
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Per tornare a vincere in Veneto, ci serve la stessa sintonia con il territorio che hanno saputo conquistare i nostri amministratori. Per questo credo che il loro ruolo, nel futuro del Pd Veneto, non possa essere limitato alla testimonianza. Da segretaria, spero che questi Sindaci accettino di essere a mio fianco. Perché loro rappresentano la nostra più concreta esperienza di governo. ed è da qui che dobbiamo ripartire.
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Tra l’assemblea regionale del 15 novembre e le elezioni del 27 marzo non ci sono nemmeno 20 settimane.<br />
Dobbiamo muoverci rapidamente.<br />
Ritornare da subito al lavoro nei territori, provincia per provincia.<br />
Riallacciare un dialogo con le forze vive della nostra regione: il mondo del lavoro e dell’impresa, quello dell’associazionismo e della cooperazione, il mondo delle autonomie locali, quello della formazione e dell’innovazione. Per costruire la proposta del Pd a partire dall’ascolto del Veneto reale.
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Ci serve un partito all’altezza dei tempi. E questo richiede la chiarezza di alcune scelte. Innanzi tutto relative allo “strumento-partito”.
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C’è una nuova generazione da coinvolgere e responsabilizzare.<br />
Ci sono organismi dirigenti da far funzionare al meglio.<br />
Un esecutivo regionale snello, che concili l’esigenza del pluralismo con la rappresentanza dei territori.
Una direzione regionale più leggera ed efficiente.
E dato che su questo punto è necessaria una modifica dello statuto, credo sia indispensabile avviare questo iter immediatamente: con l’istituzione di una commissione incaricata di redigere una proposta di revisione, da sottoporre per l’approvazione all’Assemblea regionale al massimo entro 30 giorni.
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C’è un rapporto più stretto da costruire tra la segreteria regionale e quelle provinciali.<br />
A pochi mesi dalle elezioni regionali, ci servono contatti più frequenti e regolari.<br />
E anche scelte chiare sull’uso delle risorse, per assegnarne il 50% all’attività dei circoli e delle strutture provinciali.<br />
C’è un patrimonio da mettere a frutto: quello dei nostri amministratori, che sono stati capaci, anche in anni difficili per il nostro partito, di costruire, nei fatti e non a parole, il modello di un Pd capace di vincere.
E infine c'è un percorso da tracciare verso le regionali, che richiede in tempi rapidi, io credo non più di 30 giorni, decisioni da parte della direzione regionale.
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Abbiamo un partito vitale. E abbiamo un rapporto solido con gli elettori delle primarie.<br />
Sono due nostri punti di forza. E credo che dobbiamo usarli:
- Per costruire liste competitive alle prossime elezioni regionali, con candidati scelti attraverso una larga consultazione degli iscritti.<br />
- E per scegliere un candidato al ruolo di Governatore che riceva da elezioni primarie la forza di un’autentica investitura popolare. Quella che mancherà ai nostri avversari, rassegnati a subire il baratto romano sulle candidature.
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Noi siamo il Partito Democratico.<br />
Siamo quelli che non sono condannati a scegliere il meno peggio tra due alternative entrambe sbagliate.<br />
Siamo quelli che non sono condannati ad attendere le mosse altrui.<br />
Siamo quelli che, con l’orgoglio della propria storia, hanno avuto il coraggio di incamminarsi lungo una rotta nuova.
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Il 27 e il 28 marzo, per il Veneto, si aprirà in ogni caso una nuova pagina politica.<br />
Cosa sarà scritto in quella nuova pagina, adesso, dipende da noi.
Non dobbiamo dimenticarcelo mai.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/primopiano.asp?ID=74">partitodemocraticoveneto.org</a>Debora Serracchiani: «Candidarmi? Per ora preparo il discorso del Lingotto» - Colloquio2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391721Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/> <br />«Sono nella mia città
faccio l’avvocato.
Poi vediamo...» Dopo l’exploit delle europee niente passi falsi.<br />
«Franceschini
ha dato segnali da prendere in considerazione»
<p>Sul suo facebook è tutto un: «Yes you can», «le basi sono con te», «devi candidarti». «Non fare caz...», avverte Mirko. «Vai con la terza via: contro Bersani e Franceschini ce la fai», dice Paolo. Certo, se fosse per i suoi fan, la
decisione sarebbe già presa.
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Lei, invece, per ora prende tempo.<br />
«Devo riflettere, ancora per un po’», ripete se le giri le domande che ha già letto in rete. Davanti ha la scelta più
importante della sua vita politica. E non vuole sbagliare. Puntare sulla roupture e candidarsi sfidando i big?<br />
Oppure fidarsi di Franceschini e fare da capofila a una nuova generazione politica, sperando che sia lui il traghettatore? «Concretezza», è questa la parola che le sta ronzando per la testa.
<p>«Del discorso di Franceschini la parte più importante è quella in cui spiega che vuole assumersi la responsabilità di aiutare una generazione ad emergere», spiega Debora: «Ha dato un segnale nuovo, dicendo che vuole cambiare le cose in questo partito, e credo che dovrebbe essere preso in considerazione, c’è da discutere ma ne potrebbe venire un bel congresso», confida il suo ragionamento
a l’Unità. Ma smentisce che ci sia una
decisione già presa. Né in un senso, né nell’altro. Il dilemma è ancora aperto. E per ora cerca di non lasciare
troppe tracce, nemmeno su facebook, del suo stato d’animo.
<p> «In questo momento sono a Udine. Faccio di nuovo, per un po', l'avvocato. Poi parto per Torino e preparerò - se riuscirò a rimanere un attimo in pace - il mio
intervento in treno...», dissimula l’ultimo messaggio della giornata.
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Occhi puntati sul Lingotto, dunque, dove domani i cosiddetti giovani «piombini» si sono dati appuntamento per tentare di tracciare una terza via. «Si mantengono gli impegni presi, non appoggiare la candidatura Franceschini o Bersani», la
sprona Emanuele. A titubare, d’altra parte, in questo momento non è solo lei. <br />
«Franceschini? È chiaro che sta cercando proprio di incarnare lo spirito del Lingotto 2», riflette Giuseppe Civati, uno degli ideatori della rete «piombina». <br />
Qualcuno dice che se non lo farà Debora, si candiderà lui, in nome della rottura. «Il nuovo Franceschini - obietta Civati - dice le nostre stesse cose, ma è credibile?». Debora, invece, potrebbe provare a convincere che di Franceschini ci si può fidare. D’altra parte
sarà lo stesso segretario-candidato a spiegare le sue ragioni.
<p> Tra gli interventi previsti c’è anche il suo. Oltre a quello del sindaco Chiamparino, che pure indicando la terza via, ha ben interpretato gli umori della
platea. «Io comunque non ne farei
un problema di fiducia ma di concretezza», insiste Debora, rivelando che in fondo almeno i termini
della questione sono già impostati. Ma la soluzione, a sentire lei, non la comunicherà nemmeno domani: «Al Lingotto non sono io <b>l’ospite d’onore, è il partito</b>: parlerò di come ridare vita ai circoli e della necessità di regole diverse per il congresso». Primarie degli iscritti, qualcuno vorrebbe: «Sto leggendo attentamente il regolamento per chiarirmi le idee». <br />
Civati è più tranchant:
«Il regolamento è assurdo, ma questa è una follia».<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MQ4TF">l'Unità - Mariagrazia Gerina</a>Pier Paolo BARETTA: «Troppi concorrenti non aiutano a scegliere in maniera chiara» - INTERVISTA2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391718Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Pierpaolo Baretta, capogruppo del Pd in Commissione Bilancio alla Camera e già segretario della Cisl, è al tempo stesso ottimista e spaventato. Ottimista perché giudica il suo partito al punto "di rimbalzo"; spaventato perché c’è il rischio che il rilancio e la discussione sul futuro del Pd si giochi sul "chi" lo guiderà e non sul "perché" e sul "per fare cosa". «È un rischio possibile. Ma il Pd l’ha corso durante tutto l’ultimo anno. Sarebbe un gravissimo errore se la discussione vertesse sulle persone e non sui progetti. Per quanto mi riguarda farò di tutto per privilegiare i contenuti sia a livello nazionale che al congresso veneto».
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<b> Eppure si parla anche di altre candidature, di un "terzo uomo" che potrebbe essere Chiamparino...</b>
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«Al di là della persona, che nel caso specifico è bravissima, non credo che il moltiplicarsi delle candidature aiuti a raggiungere lo scopo. Le due candidature di Bersani e Franceschini ben identificano la pluralità di opinioni di quest’ultimo anno e mezzo. Il moltiplicarsi di candidature fraziona e non risolve le due grande opzioni che siamo chiamati a scegliere: se mantenere l’ipotesi socialdemocratica e andare oltre verso un riformismo moderno».
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<b> Ma con due candidati non c’è il rischio di riproporre lo schema Margherita-contro-Pd?</b>
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«Questo è un rischio già scongiurato. Letta ad esempio mi sembra orientato verso Bersani, e nel mondo ex Ds ci sono sensibilità moderne come si evince dall’intervista rilasciata al Gazzettino da Andrea Martella, che non fa un’opzione esplicita verso Franceschini ma esprime contenuti in cui tanti si ritrovano. Finalmente quel "mix" che va oltre le vecchie "parrocchie"».
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<b> Ma è sufficiente un rinnovamento generazionale?</b>
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«Io parlerei di rinnovamento e basta, dentro c’è anche l’aspetto generazionale. Se costruiamo una prospettiva per i prossimi vent’anni, serve anche gioventù: ma è una condizione necessaria ma non sufficiente. Non è taumaturgica».
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<b> C’è chi come il sindaco di Bari Michele Emiliano suggerisce la ricostruzione di una "egemonia culturale". Non è una strategia da "vecchio Pci"?</b>
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«Lascerei da parte parole ambigue. Serve invece una proposta culturale che parli alla gente, e che faccia riconoscere il Pd come un partito in prospettiva in grado di governare e in grado di rispondere ai problemi della gente. Lega dà risposte sbagliate a problemi veri, noi non dobbiamo negare i problemi».
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<b> Ha citato la Lega come esempio: esiste la "questione settentrionale" per il Pd?</b>
<p>
«Esiste per la politica, non solo per il Pd. La Lega finora è riuscita a rappresentarla, in modo sbagliato ma lo ha fatto. Il motore economico del Paese, e il Veneto è una parte fondamentale, non trova complessivamente nella politica italiana risposte che non siano di rassicurazione, come ad esempio sulla sicurezza. Noi dobbiamo offrire risposte che vadano oltre la banale rassicurazione, e al contrario della Lega siamo in grado di elaborarle. Per questo ritengo che anche là dove abbiamo perso, come ad esempio a Venezia, siamo a un un punto di partenza. E poi c’è la Regione: il Pd veneto deve ripartire con un progetto esplicito perché il nostro 21% è solo lo zoccolo di partenza per obbiettivi ambiziosi».
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<b> Obbiettivi che possono comprendere un confronto senza pregiudizi con altre forze?</b>
<p>
«Il vero competitore del Pd è la Lega, è con loro che dobbiamo confrontarci sui temi. Sicurezza, federalismo, riforme del lavoro: loro hanno dato risposte di divisione e rassicurazione. Noi invece a lungo abbiamo negato i problemi, che invece sono reali, concreti. Ha ragione Cacciari a sottolineare che ci sono specificità territoriali».
<p>
<b> Ma su certe questioni la Lega, pur usando linguaggi drastici o magari non politicamente corretti secondo la concezione del Pd, ha dato risposte che gli elettori hanno dimostrato di condividere. È solo questione di sfumature linguistiche?</b>
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«In politica la forma non è un elemento marginale. C’è una questione culturale, la Lega forza i concetti caricando sulle divisioni, le paure, talvolta l’odio sociale. Piega i contenuti a una visione che ha obbiettivi strumentali. Il rigore va invece accompagnato da una concezione valoriale.<br />
Il Veneto premia chi dice non all'immigrazione ma è in prima linea nel volontariato: questo è il Veneto che noi interpretiamo. La Lega parla solo alla prima parte. La proposta politica deve essere in grado di offrire alla gente una prospettiva, non solo cavalcare le sensazioni».
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<b> A lungo il progetto politico del Pd è stato sintetizzato in uno slogan: "cancellare Berlusconi". Deve continuare ad essere una priorità?</b>
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«L’antiberlusconismo non ha pagato. Non serve a niente, dobbiamo dire cosa vogliamo noi, come vogliamo governare il Paese e i territori. Se guardiamo la campagna elettorale dei nostri uomini e donne in Veneto, si è basata su questioni concrete: mai Zoggia o la Puppato, o Zanonato hanno perso un minuto a parlare di veline o di gossip. Questo deve essere anche un messaggio per i vertici nazionali: la linea politica va distinta dalla cronaca dei giornali. Non ci si può far dettare la linea da nessun quotidiano».<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MQ7JY">Il Gazzettino - Ario Gervasutti</a>LEONARDO DOMENICI: «Dobbiamo cercare i voti, non schierarci per il congresso» - INTERVISTA2009-05-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391331Alla data della dichiarazione: Sindaco Comune Firenze (FI) (Partito: DS) - Assessore Comune Firenze (FI) (Partito: DS) <br/><br/><br />
«Alla destra l’Ue non interessa. Per noi è una sfida importante»
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La situazione è peggiorata e per certi versi degenerata» dice Leonardo Domenici. «Votateci alle europee, è in gioco la democrazia» è l’allarme lanciato dal
segretario nazionale del Pd Dario Franceschini. Destinatari coloro che si aspettavano di più dal Pd e minacciano di votare Di Pietro. «Mi sembra del tutto ragionevole l’appello di Franceschini» commenta Domenici, numero due della lista del Pd alle europee nella circoscrizione Centro. <br />
L’ex presidente dell’Anci e sindaco uscente di Firenze, non sembra molto interessato ad iscriversi al partito di chi dice che nel nostro Paese siamo alla vigilia di un regime con Berlusconi al governo. Domenici in questo momento, con la campagna elettorale in corso, è molto più interessato a catturare voti «per il partito che meglio rappresenta un’opposizione democratica, seria e costruttiva» dice. <br />
«In questo modo si fa un piacere alla tenuta e allo sviluppo della democrazia italiana» spiega il candidato.
<p> <b>L’Europa però sembra una sorta di vaso di coccio rispetto alla politica interna.</b>
<p>
«È vero c’è questo pericolo».
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<b>Eppure con la crisi l’Europa è importante...</b>
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«È per questo motivo che bisogna parlare di più dell’Europa per far capire quanto conta, perché abbiamo bisogno che sia sempre di più un soggetto politico unitario, che sia più capace di portare avanti una risposta alla crisi economica e sociale. Purtroppo devo dire che vedo una forte responsabilità della presidenza Barroso, che in questi anni nel nostro continente è stata troppo spesso passiva di fronte
alle ideologie fondamentaliste e liberiste del mercato.<br />
Visto che alla destra italiana non gliene importa
niente d’Europa perché è nazionalista, protezionista ed antieuropeista, dell’Europa dobbiamo parlare
noi perché è un tema, comunque, importante».
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<b>La maggior parte dei giornali dà poco spazio all’Ue...</b>
<p>
«Penso che ci sia una certa tendenza della politica a farsi spettacolo, ad essere caratterizzata da annunci e non da programmi concreti e alla fine tutto ciò condiziona inevitabilmente anche l’informazione. Bisogna aggiungere che in questo è in atto un tentativo di occupare tutti gli spazi informativi da parte di chi governa il Paese. Basta pensare alle nomine Rai. Credo che noi dobbiamo dire una cosa precisa: smettiamola con tutto ciò che è virtuale,
gossip, e torniamo a parlare delle questioni che preoccupano la gente».
<p> <b>Ma il Pd ha la forza per arrivare alla gente?</b>
<b> In autunno ci sarà il congresso, nel frattempo quale errore bisogna evitare?</b>
<p> «Noi prima di tutto dobbiamo trovare voti e consenso. Non dobbiamo pensare a posizionamenti o a battaglie interne in vista del prossimo congresso. Poi penso anche che questa campagna elettorale deve servire a rilanciare l’idea originaria del Partito democratico. Un’idea che nella sua realizzazione ha presentato non poche difficoltà e problemi
in questi ultimo anno: l’idea di un partito capace di dirigere politicamente, di formare nuovi gruppi dirigenti e offrire spazi e sedi di confronto per l’elaborazione politica e programmatica, insomma, un partito vero e radicato nella società. Credo che questa campagna elettorale
sia l’occasione buona per ripartire
con questa prospettiva per rilanciarlo».
<p>
<b>Intanto bisogna riconquistare i delusi del Pd. Franceschini rilancia il voto utile rispetto a Di Pietro...</b>
<p>
«Noi dobbiamo dare forza ad una posizione che non è puramente retorica e talvolta populista. Abbiamo
bisogno di un’opposizione che cresca intorno al Pd, anche nella prospettiva di costruire alleanze contro il governo e Berlusconi. Questo è il Pd come centro di nuove alleanze e rapporti politici per costruire un governo diverso per l’Italia».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=M6H8V">l'Unità - Osvaldo Sabato</a>Marco Causi: «Basta spoils system: selezionare i dirigenti in base al merito»2009-03-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390790Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il pd ci ha provato a inserire nel federalismo
anche nuove norme per la selezione
dei dirigenti pubblici. La Lega ha
detto no. Alla fine la proposta, presentata
da Marco Causi, è stata recepita come raccomandazione
al governo. «Di fatto è un
superamento dello spoils system - spiega
Causi - credo che si possano adottare criteri
più trasparenti per la selezione della
dirigenza. Nelle tecnostrutture deve valere il merito e la professionalità,
non la politica».<br />
Insomma, sarebbe una battaglia
contro la casta, quella che si annida in tutti
i rivoli della Pubblica Amministrazione,
dalle Asl agli enti regionali, le municipalizzate,
le agenzie del territorio.<br />
«Non si
escludono i dirigenti interni agli enti locali
- continua Causi. Il solo Comune di Roma
ne ha 350. Altrettanti sono quelli di società
controllate. In Italia si arriva a circa
20mila dirigenti apicali».<br />
Curriculum,selezione,
concorsi. Anche per le società come l’Acea,
quotata in Borsa? «In quel caso mi piacerebbe seguire il metodo americano
- conclude Causi. <br />
Una rosa di candidati
che si presentano in consiglio, anche
davanti alla stampa, e spiegano come
vorrebbero gestire l’azienda».<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=L6J0C">l'Unità - Simone Collini</a>Giovanni Saverio Furio PITTELLA: Come selezionare al Sud una classe dirigente all'altezza?2009-01-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388474Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: Gruppo socialista al Parlamento europeo) <br/><br/><br />
Il successo che ha registrato il “decalogo” da noi proposto per la rigenerazione della politica e il suo rilancio soprattutto nel Mezzogiorno è andato oltre ogni aspettativa. Senza la pretesa di indicare certezze, ma col desiderio di promuovere il confronto su qualche idea e qualche ipotesi di lavoro, il nostro intervento solo attraverso la piattaforma digitale di facebook in pochi giorni ha riscosso più di mille adesioni e numerosi commenti che hanno ulteriormente allargato lo spettro della discussione e delle proposte. Se ne sono occupati giornali, riviste, siti telematici. Da ultimo il "Sussidiario" ha lanciato un dibattito online a cui stanno contribuendo in tanti, tra cui Linda Lanzillotta a Alfonso Ruffo. Proprio da quest'ultimo viene una lucida, incisiva provocazione: chi deve mettersi all'opera per realizzare queste idee? Insomma il tema del "manico" o se si vuole essere più eleganti, della classe dirigente. Condividiamo l'affermazione di Ruffo: le mani degli incapaci non potranno edificare nient'altro che illusioni.
E dunque, come selezionare una classe dirigente all'altezza? Dal nostro punto di osservazione, tre suggerimenti e una considerazione finale.
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<b>1)</b> Il profilo. Non è solo questione di età. Benissimo, ovviamente, che vi sia una dose robusta di giovani e donne. Lo ha anche ricordato il Presidente Napolitano nel suo recentissimo incontro in Calabria col mondo dell'Università. Il problema è che siano posti al primo punto, negli interessi di tutti e col contributo di tutti, competenze, qualità, passione autentica, onestà, totale disponibilità a donare alla politica, alla polis, cioè alla propria comunità, una parte significativa del proprio tempo. La politica come missione, come servizio civile e sociale, non come perseguimento di interessi personali, di parte, di ceto e di ‘casta’. C’è il rischio di apparire astratti e velleitari a pensarla così? Forse. Tuttavia, fortunatamente, tanti la pensano così. A tutti i cittadini, e ai giovani anzitutto, noi diciamo: se “questa” politica non vi piace, se volete cambiare il modo di fare politica, fate politica! Fatela, attivamente. Non lasciate che siano altri a farla, senza o contro di voi. I ruoli non si chiedono, si conquistano. Con autonomia, impegno e fatica.
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<b>2)</b> Chi sceglie e come si sceglie. I partiti devono tornare ad essere una fucina di risorse umane oltre che di idee. Non ci scandalizza il ritorno alle nobili e rigorose scuole di un tempo. Ma tocca anche a fondazioni, associazioni, centri studi, mondo del volontariato, movimenti giovanili, formare personale politico eccellente. Come si sceglie. Rifiutando con fermezza il metodo della cooptazione che in questi anni ha fatto il paio con le liste elettorali bloccate, incanalando la democrazia italiana verso una deriva plebiscitaria, dove pochi decidono e molti sono chiamati a ratificare. Ogni sistema che restituisca il diritto sacrosanto al cittadino di scegliere i propri rappresentanti va favorito e sostenuto. Per evitare la consunzione della partecipazione, la separazione degli eletti dagli elettori, l'attenuazione dei controlli che è tra le cause della degenerazione e del prevalere di un ceto mediocre e autoreferenziale.
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<b>3)</b> La valutazione ex ante, in itinere, ed ex post, sulle cose fatte o non fatte e sui risultati conseguiti o mancati, è essenziale. Riprendiamo una buona prassi europea: le primarie per valutare ex ante il profilo e i requisiti dei candidati, un filtro rigoroso sul profilo etico degli stessi (il codice etico che si è dato il PD è uno strumento importante), l'obbligo di rendicontare permanentemente sull’attività svolta (anagrafe degli eletti, utilizzo di strumenti telematici per dialogare ogni giorno con i cittadini, rendiconti dei problemi affrontati, dei risultati conseguiti, delle difficoltà incontrate, presenza fisica sui territori), la sanzione della non ricandidatura, o il sostegno e la riconferma, come esito della valutazione ex post.
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Nel Mezzogiorno serve come il pane un nuovo spirito pubblico. Serve ripristinare onestà, trasparenza e rigore perché la politica torni ad essere fattore essenziale di sviluppo. Ma non basta. Servono persone perbene (pre-condizione di tutto) e al tempo stesso capaci, competenti, efficienti. In grado di trasformare le idee in azioni, le proposte in leggi, programmi, iniziative concrete.
Non è facile, lo sappiamo, ma la sfida è questa. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.giannipittella.org/news.asp?id=381">web site - Gianni Pittella</a>Rosy BINDI: «Non è finito un bel niente. Anzi. La storia del Pd è solo all’inizio».2009-01-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388415Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) - Vicepres. Camera <br/><br/><br />
«Non è finito un bel niente. Anzi. La storia del Pd è solo all’inizio. Basta con questo clima di sfiducia e scoraggiamento generale. Bisogna riscoprire la nostra forza e toccare, ancora una volta, le corde del Paese. Solo così vinceremo». Per Rosy Bindi, una dei leader nazionali del Pd, quella di ieri, è stata una giornata impegnativa a Mestre. Prima con la Fondazione Gianni Pellicani ha ripercorso l’esperienza di Aldo Moro e, poi, sotto una pioggerellina, più reale che metaforica, ha incontrato al Laurentianum i circoli locali del Pd. Dei circoli scoraggiatissimi.<br />
<br />
«Finalmente un leader del Pd che ci viene a trovare – commenta Paolo Cuman – Nelle primarie per scegliere i candidati del Pd c’era orgoglio. Tutto questo è sparito: siamo ritornati ai vecchi metodi, con in più la perdita di serietà che personaggi come Bassolino e Iervolino danno al Pd». «Abbiamo iniziato bene – prosegue Livio Amelio – tuttavia, man mano che andiamo avanti perdiamo la strada maestra. I giovani si stanno allontanando sempre più dal partito».
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«Che fine ha fatto il referendum contro le misure del Ministro Gelmini? E che dice il Pd sulla questione lavoro?» Si chiede qualcun’altro. «In questo modo Berlusconi ha la strada spianata» sottolinea Amelio. E alla Bindi, ora, spetta il difficile compito di ridare coraggio all’avvilito popolo delle primarie. «Bisogna mandare dei messaggi diversi. Basta con questo sconforto. Altrimenti, non ne usciamo – sottolinea Bindi – Ci si mette con pazienza. E l’impresa va avanti. Il nostro è un progetto innovativo e, anche se complicato, ancora validissimo. Chi pensa che il Pd è l’ennesimo partito di sinistra si sbaglia. Ci dobbiamo porre il problema di allargare i nostri confini».
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E l’ex ministro della Famiglia si rivolge a Davide Zoggia in sala «Pensi di vincere da solo?». Per Bindi più che alle lettiane proposte di unione con l’Udc di Casini, <b>bisogna guardare a sinistra</b> e alla scissione all’interno di Rifondazione Comunista e al nuovo percorso di Vendola. <br />
«Bisogna cercare gli alleati. E gli alleati non si cannibalizzano, perché ci servono – aggiunge Bindi – l’ambizione di Aldo Moro era mettere assieme i popoli. La sfida del Pd è quella di mettere assieme le diverse anime riformiste del Paese». Per Bindi, poi, «non è reale che un partito appena nato non discuta un po’, soprattutto in questioni che non si tagliano con il coltello».<br />
E, quindi, l’ex-ministro parla a ruota libera sui grandi temi del Paese. «Sono solidale con la Cgil e al fatto che non abbia firmato l’accordo sulla riforma contrattuale – aggiunge Bindi – il Pd ha presentato a Tremonti una manovra finanziaria di 16 miliardi di euro contro la crisi economica. Ma questo Governo non ci ascolta va dritto come un treno. Non tocca a Veltroni dire cosa fare con la Englaro. Invece bisogna elaborare una legge condivisa sul testamento biologico.<br />
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E sulle Università, la situazione è complicata: nemmeno possono proliferare i corsi di laurea come oggi». Il vero “mea culpa” del Pd è per la Bindi in materia di comunicazione. «Bisogna prendere esempio da Obama – conclude Bindi - fare volantinaggi, incontri come un tempo. I ministri ombra devono girare il Paese ed incontrare la gente, per far conoscere cosa vuole fare il Pd. Ma in alcun caso buttarsi giù di morale. Mai dare messaggi allarmistici. Così potremo risalire la china».<br />
<br/>fonte: <a href="http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=294921&Data=20090125&CodSigla=VE">Il Gazzettino - Giulia Quaggio</a>