Openpolis - Argomento: Ahmadinejadhttps://www.openpolis.it/2010-07-30T00:00:00ZEmma BONINO: «Vorrei andare a cena con Ahmadinejad per guardarlo negli occhi e capire come fa a essere così diabolico»2010-07-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it503813Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) - Vicepres. Senato <br/><br/><br />
Gianfranco Fini? Dovrebbe ricordarsi ogni tanto che è il presidente della Camera prima che un leader di partito. Se stai a Montecitorio anzitutto ti occupi di quelli. E sì che da fare ce n'era. Comunque il cattivo esempio in tal senso l'avevano già dato Pier Ferdinando Casini e Fausto Bertinotti». Una previsione? «Elezioni ad aprile con Silvio Berlusconi vincitore: finché non si cambia questa legge elettorale, non faranno altro che alternarsi sempre i soliti noti». Il nuovo centro? «Fa ridere. Francesco Rutelli che chiama Casini o viceversa, poi si aggiunge Luca di Montezemolo, dopo fanno la conta. Tu vai di qua, io vado di là. Ma che roba è? Siamo seri». <br />
Trentasei ore in Uganda a occuparsi di mutilazioni genitali femminili non le hanno tolto la grinta di sempre: Emma Bonino, vicepresidente del Senato, minuta nell'aspetto ma forte nel carattere, è un fiume in piena. Poche vacanze quest'anno per l'ex commissario dell'Unione Europea: «Qualche lungo weekend a Porto Ercole nella casetta che affitto da una vita con cinque amiche tra i 45 e gli 80 anni, tutte sole per necessità o per virtù, tutte con la cellulite al punto giusto».
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<b>Dicono che lei sia molto mattiniera. Anche in vacanza? Il mio orologio biologico mi sveglia alle 7.30.</b>
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<b>Caffè e lettura dei giornali?</b>
<p>No, in vacanza mi basta la rassegna stampa su Radio radicale Caffè in terrazza, poi tutti sulla barca di Maria Grazia e Gianni, miei amici del cuore, fino alle 7 di sera.
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<b>In mare fa lunghe immersioni?</b>
<p> Nel Mediterraneo mi immergo poco, fa freddo. Ma abbiamo i nostri riti: mettere il tendalino, il pranzo, preferibilmente con melanzane alla parmigiana o la pasta al pesto, il riposino. Il lavoro in Senato è stancante.
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<b>Che rapporto ha con il presidente, Renato Schifani?</b>
<p>Corretto e professionale.
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<b>E della lite ormai pubblica tra Marco Pannella e lo storico direttore di Radio radicale, Massimo Bordin, cosa pensa?</b>
<p>Dopo tanti anni forse si era anche stancato. Avere delle divergenze politiche è fisiologico ma io spero che mantenga la rassegna stampa e lo speciale giustizia. Però ho detto a Bordin, testuale: «Ognuno è libero di cambiare strada, ma un vero professionista deve assumersi la responsabilità della transizione».
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<b>E lei, dopo tanti anni, va d'accordo con Pannella?</b>
<p> Anch'io ho avuto dissidi, ma non mi sono mai sembrati essenziali.
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<b>Avrebbe mai fatto outing come il leader radicale?</b>
<p> Mai. Sono molto riservata. Ho avuto un unico grande amore durato 15 anni: Roberto Cicciomessere.
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<b>Mai pensato al matrimonio?</b>
<p> Nessuno me l'ha mai chiesto.
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E un figlio? Un figlio è per sempre e nella mia vita non esiste il per sempre.
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<b>Qual è l'ultimo argomento di attualità che l'ha fatta riflettere?</b>
<p> Sono costretta a riflettere un po' su tutto. La gente mi vede come la zia d'Italia e mi chiede opinioni. In aereo non faccio in tempo a sedermi che c'è qualcuno che reclama spiegazioni individuali. Io personalmente non smetto di stupirmi dei livello di meschinità degli ultimi accadimenti politici.
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<b>Ma lei è ottimista o pessimista?</b>
<p> Sono determinata. Qui ci vuole nuovo personale politico, giovane o non giovane. Ma nuovo. Siamo in un paese per bene travolto dai furbetti. Bisogna organizzare una rivolta democratica.
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<b>Se è una rivolta come fa a essere democratica?</b>
<p> Una rivolta non violenta di grande pensiero visionario. Ci vuole una legge politica, stile anglosassone, e collegi elettorali piccoli in cui la gente conosca il candidato.
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<b>Nichi Vendola si è autocandidato a leader dei Pd: le piace?</b>
<p> Dissento su alcune questioni di merito. Ma mi piace chi si candida.
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<b>Moriremo democristiani?</b>
<p> Casini e Rutelli hanno un modo oligarchico di pensarsi. Per la serie: «Siamo noi venti e facciamo un partito». Tutto si riduce a una conta in politichese spinto.
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<b>Che opinione si è fatta degli scandali sessuali con cui si tiene sotto assedio la Chiesa?</b>
<p> La Chiesa deve ammettere che le persone sono persone. Io non sono cattolica ma credo che vada abolito il celibato, che si possa essere gay anche da sacerdoti, purché la Chiesa smetta di essere omofoba. I veri penalizzati da tutte queste storie sono i credenti che magari hanno un figlio omosessuale, o che convive, oppure che è andato in Spagna a fare la procreazione assistita, che magari ha divorziato e che alla fine si sente giudicato dalla sua comunità. Non all'altezza delle sue prediche.
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<b>Lei ha perso alle regionali contro Renata Polverini. Come valuta il suo operato?</b>
<p> Deve tutto a Berlusconi. La Polverini ha mentito già in campagna elettorale.
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<b>Mentito su cosa?</b>
<p>Sul taglio dei posti letto nella sanità.
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<b>Le dia un voto.</b>
<p> Non sufficiente.
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<b>Chicco Testa che era un accanito avversario del nucleare oggi è presidente del Forum per il nucleare. Anche lei ha cambiato idea sull'argomento?</b>
<p> Io non ho mai avuto un atteggiamento ideologico. Dico solo che in termini di costi-benefici questa tecnologia non è opportuna: un investimento di 25 miliardi per un esito nel 2025 di 4,5 per cento del consumo finale di energia. Non ne vale la pena.
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<b>In Finlandia però due cittadine si sono contese il sito.</b>
<p> E hanno fatto male Sono in ritardo di tre anni e per il momento è tutto fermo per ragioni di sicurezza.
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<b>Il momento più significativo della sua carriera?</b>
<p>L'abolizione dell'aborto clandestino e l'incontro con Marco Pannella.
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<b>L'epoca dei referendum è finita?</b>
<p> Sì, perché hanno ucciso lo strumento.
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<b>Ovvero?</b>
<p>Il referendum è stato spazzato via da una giurisprudenza variabile, dalla Corte costituzionale che li ammette o meno in base a requisiti bislacchi, ucciso da un utilizzo politico e partigiano dell'astensione ivi compresa la data: il 15 giugno. Non si invoglia la gente ad andare a votare.
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<b>Le strade sono di nuovo piene di prostitute. C'è una soluzione vera al fenomeno?</b>
<p> Una cosa è lo sfruttamento, un'altra è chi lo fa per scelta. Occorre legalizzare il fenomeno.
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<b>Riaprendo le case chiuse?</b>
<p> Certo. Occorre uscire dal concetto che quello che è peccato è reato. E anche dallo stereotipo femminile rappresentato dalla tv pubblica o privata che sia: la donna o è seminuda o fa la casalinga. Non esiste una figura femminile reale, una che si arrabatta, che magari fa pure un po' di carriera.
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<b>Legalizzerebbe anche la droga?</b>
<p> I fenomeni sociali vanno governati. Non amo la droga né l'aborto né il divorzio, ma non è vietandoli che li evitiamo. Bisogna attuare una politica di contenimento del danno.
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<b>La vacanza più bella della sua vita?</b>
<p> Madagascar 2001. Avevamo perso brutalmente le elezioni. Nello stesso periodo era morto anche mio cognato. Da lì si è creato questo gruppetto di signorine sole, per necessità o per virtù. Fu bellissimo. E ogni anno replichiamo.
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<b>Ultimo viaggio?</b>
<p> In Messico a Tulum.
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<b>Lei perdona?</b>
<p> Perdono ma non dimentico. Fa parte del gioco essere feriti. Non so portare rancore ma non dimentico.
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<b>A cena con un nemico?</b>
<p> Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad: mi incuriosisce il suo livello di fanatismo diabolico.
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<b>Cosa guarda in televisione?</b>
<p> La evito se posso. Mai visto Giovanni Floris né Michele Santoro per scelta. Né tantomeno Porta a porta.
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<b>Libro sul comodino?</b>
<p> La storia del secondo mandato di Blair di Andrew Ramsley.
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<b>Un bravo giornalista?</b>
<p> Maurizio Molinari per la politica estera, che non so più perché chiamiamo estera.
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<b>Cucina?</b>
<p> Si e adoro le polpette alle melanzane. Ho avuto un'educazione tradizionale nelle campagne piemontesi. A giocare andavo all'oratorio.
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<b>Quando non si crede in Dio in cosa si crede?</b>
<p>La Carta universale dei diritti dell'uomo basta e avanza. Non sono male nemmeno i Dieci comandamenti. Il mio preferito: non rubare.
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<b>La colonna sonora della sua vita?</b>
<p> Tutta la musica anni Sessanta.
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<b>E la canzone?</b>
<p> L'uomo in frac di Domenico Modugno. Poesia pura.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=T3K56">Panorama - Romana Liuzzo</a>Furio COLOMBO: Obama, speranza per l'Iran2009-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it474881Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Tutto quello che so dell’ Iran contemporaneo prima della rivolta di questi mesi lo so dai radicali.<br />
Intendo il partito, i colleghi parlamentari radicali eletti nelle liste del PD. Lo devo all’ aiuto che ricevo da loro mentre presiedo, nella Commissione esteri della Camera, il Comitato per la difesa dei diritti umani. Sono stati questi miei colleghi i primi e i soli a portare in Aula ribelli, resistenti, disperati che venivano a dire “non siamo terroristi. Il pericolo è il clero. Il pericolo è Ahmadinejad”.
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Adesso è rivolta. Eppure non si può dire una delle solite frasi tipo “il popolo ha preso le armi”, quel che si sa, quel che si vede è un percorso diverso. Il popolo, una parte del popolo, moltissimi giovani, che rappresentano la vita e la cittadinanza da persone libere, si è messa in mezzo. Tra un potere improbabile e il Paese umiliato.
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Gente viva e coraggiosa ma tuttora non violenta sta inceppando la macchina di violenza, oscurantismo, ossessioni inchiodate nel passato, l’ uso della potenza militare come strumento di oppressione dentro e di aggressioni fuori.
<p>L’ ostacolo umano sta diventando grande nonostante la forza senza scrupoli del dominatore religioso e politico. Se c’è una somiglianza, un’unica somiglianza, è con la Cina giovane di Tienanmen. Se c’è una differenza, e lo sapremo, d’ ora in poi, ora per ora, giorno per giorno, è nella vastità della partecipazione, nel livello culturale e professionale, di interi blocchi di popolazione. Nella straordinaria qualità organizzativa, nel lungo e quasi invisibile filo mediatico del ritrovarsi e battersi insieme, del coraggio personale che – proprio come in Cina ma per la prima volta nel resto del mondo- non ha niente di militare o marziale, niente di guerresco. È una forma nuova di mobilitazione che sta spezzando a uno a uno tutti i contenitori in cui era insediato e messo e al sicuro il potere.
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Qualcosa si sa, qualcosa si intuisce, qualcosa si deduce. E siamo, ovviamente (ricordare di nuovo Tienanmen) esposti al rischio di troppa speranza.<br />
Prima viene il clamoroso broglio elettorale. Ha sempre funzionato nei Paesi liberticidi, governati da falsi vincitori come Ahmadinejad. I voti che mancano si comprano in repressione, arresti, torture, processi farsa, condanne, spreco di vite umane.
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Ma è già accaduto qualcosa. L’ autoproclamato Presidente ha ancora in mano le più odiose e le più pericolose leve del potere, la polizia visibile e la polizia segreta. Militanti di partito e bande armate. Quelle leve vengono manovrate continuamente e senza scrupoli. Ma, a quanto pare, ci sono troppi corpi umani in mezzo. Sono i corpi - ostacolo di uomini e donne giovani (moltissime donne) che non fanno i giovani, fanno i cittadini, non rompono ma moltiplicano tutti i legami possibili con un mondo adulto, laico, professionale, di insegnanti, di padri, di intellettuali e maestri che agiscono al loro livello, nell’ ambito di altri rapporti che continuano a mantenere col resto del mondo.
Strano, ma i religiosi non sono estranei, e non lo è la religione. Un pretesto grandioso sono stati i funerali dell’ayatollah Montazeri.
<p> Montazeri aveva già spezzato il legame. Da vivo era stato isolato. Non da morto. Il suo corpo, venerato da troppi è un ostacolo imprevisto contro cui si impigliano le leve di oppressione che il Presidente usurpatore tenta freneticamente di manovrare. La cittadella sacra di Qom sembra spezzata. Il furore finto religioso di Ahmadinejad non è più il collante , lui non è più l'emissario. È un potere spietato con cui una parte dei religiosi si riconosce, una parte no.
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È chiaro che la stessa cosa è accaduta per la borghesia iraniana e per tutto ciò che è (che era? ) classe dirigente di quel Paese, e per strati intellettuali, la parte più viva ma anche più umiliata dell’ Iran contemporaneo.
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È per questo che mi sembra utile descrivere ciò che accade come rivolta civile. Perché vi partecipano classi e livelli molto diversi di cittadini. Perché, nonostante gli scontri fisici, ciò che sta accadendo è più vicino alla nonviolenza che alla violenza, ha la grandezza di un movimento di popolo, ma con richiami alle libertà e ai diritti civili, non al rigore altrettanto spietato di ideologie che si scontrano.
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C’è una prima causa immediata per tutto ciò? C’è una conseguenza che può durare? La causa, mi sento di dire, è il più misterioso e insolito evento che finora sia accaduto nel mondo contemporaneo. È la comparsa, al vertice di un potere del mondo, di Barack Obama.<br />
Senza la sua elezione niente sarebbe accaduto. Obama non incita e non trama. È il testimone ben visibile di un mondo diverso.<br />
L’ esito è nelle forze e risorse e passione di chi partecipa a questa grande rivolta civile.
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Potranno esserci ancora brutti e oscuri momenti di vendetta. Eppure molto ti dice che le ragazze e i ragazzi iraniani e i loro padri, insegnanti, famiglie che non rinunciano e i religiosi rimasti indenni dalla follia del potere saranno i più forti. A meno che sia solo speranza.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=P14HE">Il Fatto Quotidiano</a>Furio COLOMBO: «Sui metodi della CIA, Obama non tornerà mai indietro» - INTERVISTA2009-08-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it402749Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Giornalista, più volte parlamentare, grande americanista, Furio Colombo è appena tornato dagli Stati uniti. «In aereo - racconta- ho avuto tempo di leggere da cima a fondo i giornali, in particolare il New York Times: la stampa americana e quella inglese sono letteralmente scandalizzate per le feste che si preparano in Libia per onorare l'assassino di Lockerbie, con la partecipazione delle Frecce tricolori e del ministro italiano».
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Sui giornali Usa, però, figura anche un'altra notizia: il braccio di ferro in corso fra il presidente Obama e la Cia. <br />
Uno scontro di portata quasi inaudita, innescato dalla decisione del ministro della Giustizia Helder di nominare un procuratore speciale per indagare sulle torture usate negli interrogatori dei presunti terroristi.
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<b>Era prevedibile una mossa così forte da parte del presidente?</b>
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Secondo me sì. Io, almeno, me l'aspettavo, perché Obama ha fatto promesse importanti in campagna elettorale e ha dimostrato di essere estremamente tenace nel mantenere quelle promesse. Aveva attratto l'attenzione proprio promettendo cose di enorme difficoltà, e adesso le sta mantenendo una per una, con tenacia, decisione e inflessibilità, anche a costo di sfidare l'impopolarità.
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<b>Appunto: l'offensiva contro i metodi della Cia, come quella sulla sanità, non rischia di minare ulteriormente il suo consenso?</b>
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Credo che Obama stia coscientemente affrontando una fase di possibile impopolarità. C'è una ragione se ha preso per modello Lincoln, che aveva promesso di abolire schiavitù nella situazione più difficile che si potesse immaginare e lo ha fatto.
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<b>Dunque non cederà neppure sulla sanità?</b>
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Non cederà di un passo e darà una lezione di coraggio ai membri del congresso che, come hanno già fatto con Clinton, hanno la tendenza a squagliarsi e ad accampare una serie infinita di "se" e di "ma" non appena vedono profilarsi all'orizzonte il rischio dell'impopolarità. E bisogna specificare che la riforma sanitaria, negli Usa, rappresenta una rivoluzione della portata di quella di Luther King e dei diritti civili.<br />
E' una riforma che va al cuore del problema fondamentale: chi sono i cittadini, quali sono i loro diritti e perché devono essere uguali per tutti. <br />
Per quanto riguarda la vicenda Cia, va anche detto che Obama non potrebbe condurre una battaglia così nobile e isolata come quella sulla sanità e lasciar perdere la Cia.
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<b>Perché? Qual è il legame fra le due questioni?</b>
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Perché non ci si può dire democratici e liberali e poi uccidere persone in mare, o almeno lasciare che muoiano, come capita in Italia. Obama non vuol essere della stessa partita di cui fa parte il governo italiano, e un po' anche la mite opposizione italiana. Torturare è orrido, come è orrido non poter disporre di soccorso medico e lui lo dice apertamente. Senza voltarsi a guardare quanti nel suo paese non concordano, perché sono stati intimiditi in tutti i modi da un falso patriottismo e da una falsa difesa delle libertà individuali, secondo cui ognuno deve potersi curare come gli pare. Dunque sussiste un rapporto stretto tra il battersi contro le torture della Cia e per la riforma della salute.
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<b>Ma l'intervento sulla Cia e sulle torture negli interrogatori non rimanda anche al complessivo cambio di indirizzo nella lotta al terrorismo?</b>
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E' più che un semplice cambio di indirizzo. E' un rovesciamento totale, in termini di moralità ma anche di strategia e intelligenza politica. Obama è un presidente che tende a fare la pace preventiva invece della guerra preventiva. <br />
Si rende conto che non devi entrare in situazioni da cui poi non sei in grado di uscire. Questa volontà di pace preventiva si è vista in pieno con il discorso sull'Iran, che ha dato coraggio all' opposizione facendola venire allo scoperto come si è visto negli ultimi mesi, ed è una vicenda tutt'altro che finita. Si pensava che Ahmadinejad potesse essere affrontato solo con le bombe atomiche. Obama lo ha ridotto a metà della metà del suo valore solo con le parole. Perché la strategia della pace preventiva non è una parata di bontà ma un modello di intelligenza politica.
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<b>E l'Afghanistan, dove invece l'impegno americano è stato intensificato?</b>
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L'Afghanistan è la sfida più grande. Ha ricevuto in eredità una guerra che non può finire e c'è da chiedersi, come si chiede appunto il New York Times, se il presidente dispone di consiglieri all'altezza di una simile sfida. Io penso e spero di sì. In ogni caso quello di cui sono convintissimo e che dall'Afghanistan Obama uscirà. Lo diciamo oggi e ne riparliamo entro il prossimo anno. Barak Obama non accetterà mai di essere il presidente per una guerra infinita.
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<b>E quanto al Medio oriente?</b>
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Che Netanyau se ne renda conto o meno, Obama ha già dato a Israele un aiuto immenso riducendo di moltissimo il ruolo di Ahmadinejad. Troneggiava all'orizzonte del Medio Oriente come il leader che avrebbe trascinato tutto l'islamismo e ora appare come un poveretto che a malapena riesce a restare al potere. <br />
Ripeto: grandi cose sono già accadute, e la più importante è che quest'uomo non molla. Il periodo che abbiamo di fronte, per difficile che possa essere, non potrà che essere tra i più importanti. E per fortuna lo sarà anche per noi italiani.
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<b>In che senso?</b>
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Obama condanna senza mezzi termini la festa che Gheddafi si appresta a fare in onore dell'assassino di Lockerbie. <br />
Noi mandiamo le Frecce tricolori a quella stessa festa. Oggi l'Italia è alleata non di Obama ma di Gheddafi, e questo ci dice dove sia finito oggi il nostro paese. Ma la forza della presidenza americana è tale che riporterà anche l'Italia dalla parte dei governi democratici.
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<b>Torniamo alla Cia. Perché proprio ora un intervento simile? Non è che in passato fossero mancate zone oscure nei comportamenti di quell'agenzia…</b>
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La Cia è un servizio segreto, e i servizi segreti sono sempre zone oscure sulle quali non cala mai tutta la luce del controllo democratico, come invece sarebbe necessario.<br />
Ma l'era Bush è stata, anche per quanto riguarda il controllo sulla Cia, la più tenebrosa, terribile, lontana dai princìpi della emocrazia americana. <br />
Obama sta riportando la Cia a quei principi, attraverso quell'uomo straordinario che è Leon Panetta, che è non a caso un grande politico democratico e non un tecnico. Averlo messo alla guida della Cia è di per sé un impegno.
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<b>Eppure pare che proprio Panetta sia il più inviperito per l'inchiesta sulla Cia…</b>
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In questi casi è bene guardare la polvere sotto il tappeto solo se si è davvero in grado di farlo. Sappiamo per certo che le cose stanno così? Abbiamo fonti attendibili? Persino sui giornali americani, in agosto si deve pur scrivere qualcosa... <br />
Ma i legami tra Panetta e Obama, e tra Panetta e tutta quella parte del Pd irreversibilmente democratica sono molto più forti di un malumore o di un diverso parere. E chiunque avesse accettato di dirigere la Cia sotto Obama sapeva che comportamenti di quel tipo da parte dei servizi segreti non sarebbero più stati tollerati.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=N7XAL">L'Altro - Paolo Castelnuovo</a>Piero FASSINO: Facciamo sentire il nostro orrore per il regime in Iran2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391714Alla data della dichiarazione: Deputato<br/><br/><br />
Caro direttore,
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ogni persona che creda nella libertà, nella democrazia, nei diritti non può che provare orrore di fronte all’ondata di violenta repressione scatenata in Iran contro ragazze e ragazzi, la cui unica colpa è di voler vivere in un Paese libero, giusto, rispettoso della volontà dei cittadini.
Quel che accade, per quanto drammatico, non è però inaspettato.
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Il 50 per cento della popolazione dell’Iran ha meno di quarant’ anni. Una gran parte ha potuto studiare e gode di un livello culturale medio-alto. L’Iran, l’antica Persia, ha una storia secolare fondata su una raffinata e colta civiltà che ha radicato valori di cosmopolitismo e di laicità che l’integralismo e i suoi pasdaran possono reprimere, ma non cancellare.
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E spirito laico e pragmatico sono peraltro l’humus del bazar, luogo della vita quotidiana degli iraniani.
In questa società, giovane, informata, affamata di relazioni con il mondo, Internet non poteva che essere detonatore di un’esplosione di libertà che si è manifestata prima nel voto e ora nel movimento democratico di protesta.
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È una domanda di cambiamento e apertura che potrà essere repressa, ma non potrà essere spenta.
E noi - noi istituzioni internazionali fondate sul diritto, noi nazioni democratiche, noi società laiche e libere, noi cittadini che crediamo nella inalienabilità dei diritti delle persone - abbiamo un dovere morale e politico: non lasciare soli quei ragazzi. Stare dalla loro parte al loro fianco.<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MQ4F4">Il Riformista</a>Umberto RANIERI: Iran. «Ora per l’Occidente il negoziato sarà più difficile» - INTERVISTA2009-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391529<br />
«L’apertura di credito ad Ahmadinejad non è stata un errore. Il verdetto elettorale iraniano, tuttavia, rischia di far saltare i più ambiziosi progetti del presidente americano Obama, che attraverso il dialogo e il negoziato puntava a scongiurare che la teocrazia di Teheran si dotasse della bomba atomica». La strada è più difficile ma non va abbandonata, dice Umberto Ranieri, dirigente del Pd e già sottosegretario agli Esteri.
<p> <b>La riconferma del presidente iraniano non costringe a cambiare i piani?</b>
<p>«Li complica. L’Occidente sperava nella vittoria di una personalità più moderata e non così oltranzista come Ahmadinejad, che nega l’Olocausto e inneggia alla distruzione di Israele. Ora la speranza sembra svanita».
<p> <b>Era credibile che dalle urne potesse uscire un risultato diverso?</b>
<p> «Sì, le possibilità dell’affermazione di una figura più moderata erano reali, non a caso oggi in Iran si grida ai brogli e alle manipolazioni. Per evitare che la protesta si estenda sono scese in campo le squadre speciali, gli uomini vestiti di nero in sella a potenti moto».
<p> <b>Il moderato Mousavi chiede l’annullamento delle elezioni. Può accadere o è solo il tentativo di coinvolgere maggiormente l’Occidente?</b>
<p> «È piuttosto un grido d’allarme, un grido disperato perché Ahmadinejad si è impadronito del potere con un colpo di mano. Ha proclamato una vittoria che è parsa subito sospetta: mentre i risultati venivano resi noti solo il giorno dopo, in questa occasione ben cinque milioni di schede sarebbero state scrutinate nell’arco di un’ora dall’apertura delle urne».
<p><b> A decidere dell’annullamento del voto può essere solo una autorità interna?</b>
<p> «Escludo che ciò accada e ritengo molto difficile che la guida spirituale dell’Iran, Khamenei, possa accogliere la richiesta di verificare la legittimità della consultazione. Siamo di fronte a un regime teocratico e a un forte controllo da parte dei servizi segreti».
<p><b> Che cosa cambia in quell’area del pianeta?</b>
<p> «La riconferma di Ahmadinejad, anche se dobbiamo tenere presente che nel sistema iraniano l’ultima parola spetta a Khamenei, rende più difficile percorrere la via del dialogo intrapresa da Obama e complica i rapporti con Egitto e Arabia Saudita. La corsa al nucleare, perseguita dal presidente iraniano, può spingere altri Paesi a dotarsi della bomba atomica».
<p> <b>Ha vinto Israele, contrario a ogni negoziato con l’Iran?</b>
<p> «Il governo israeliano ha considerato sempre con scetticismo il dialogo con Ahmadinejad, convinto che il suo non fosse un programma per un impiego civile del nucleare ma la copertura di ambiziosi progetti militari. E Israele ha sempre sostenuto che a essere in pericolo non è una sola nazione ma il mondo intero».
<p><b> L’affermazione di Ahmadinejad corrisponde al Paese reale, che ha mostrato una grande voglia di cambiamento?</b>
<p> «È indubbio che il distacco tra la popolazione e il regime si accresce. È fondamentale che l’Occidente, a cominciare dall’Italia, dia un segno tangibile di solidarietà agli iraniani e ai giovani soprattutto, per evitare che si ripeta un’altra Tien-Ammen».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MMBTW">Il Mattino - Maria Paola Milanesio</a>Paolo GUZZANTI: USA. «Dialogo o no? Ecco che cosa farà l’America» [Link:Israele]2009-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391527Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Tutti si chiedono adesso che cosa farà Obama, dopo aver incassato due apparenti sconfitte dalla rielezione di Mahmud Ahmadinejad a Teheran e dal nuovo test nucleare nella Corea del Nord di Kim Jong. <br />
La prima risposta che viene da dare è che Obama non incassa alcuna sconfitta, ma si limita a disporre sulla tavola la tabella ordinata degli elementi della sua politica estera.<br />
Il presidente americano si comporta come un empirista inglese, più che un pragmatico americano. Il suo approccio ai problemi del pianeta è costante e radicale: <br />
partire da zero e, dopo aver azzerato tutto, aprire il dialogo e vedere dove si arriva. Se e quando la carta del dialogo non produce effetti, o ne produce meno veloci e intensi del desiderato, sa di dover passare ad “altre opzioni”.
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Tutti capiscono che, quando in America si usa l’espressione “other options”, si intende includere nel loro bouquet proprio quella che fino a quel momento era stata ideologicamente esclusa, e cioè l’opzione militare. L’avanzamento di questa tabella è ben visibile nel caso coreano, avendo il capo della diplomazia Hillary Clinton già parlato della necessità di «difendere i nostri alleati dalla provocazione».
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E probabile che i coreani abbiano voluto con il loro test nucleare testare il nuovo presidente americano per fargli mettere le carte in tavola, ed è dunque empiricamente certo che la prima carta in tavola che viene calata a Washington è quella di una possibile risposta militare, dopo l’esaurimento delle altre opzioni, per dimostrare non soltanto ai coreani che esiste una linea di confine fra ideologia e pragmatismo e in definitiva fra pace e guerra.
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La questione iraniana è più bruciante, in un certo senso, della già bruciante bomba nucleare coreana, accompagnata quest’ultima dal lancio di missili a medio raggio che mandano in bestia Cina e Giappone. Come se non bastasse, elementi di intelligence assicurano che esiste un patto operativo fra Iran e Corea per un reciproco sostegno tecnico, militare e politico.
<p>A Teheran il rieletto Ahmadinejad ha subito dichiarato “chiusa” la questione dello sviluppo nucleare a scopi pacifici, ma facilmente convertibile in militare perché sottratto al controllo delle Nazioni Unite, affermando quindi la propria indisponibilità a trattare di nuovo l’argomento. <br />
Con l’Iran l’approccio è stato quello che sappiamo: azzerare, ripartire da capo con un “fresh start”, dare tutta la colpa del deterioramento alle amministrazioni repubblicane guerrafondaie e sedere allo stesso tavolo parlando lo stesso linguaggio. Ma gli sciiti iraniani non si sono impressionati e anzi hanno masticato fiele per l’enorme apertura di credito al mondo sunnita avvenuta al Cairo la settimana scorsa.<br />
Ciò ha condotto a un potenziale rimescolamento di carte dalle conseguenze incalcolabili e, nell’incalcolabile, anche ipoteticamente catastrofiche.
<p>Gli israeliani, ad esempio, sentendosi pugnalati alla schiena dalla prima amministrazione americana che sbatte loro pubblicamente in faccia le proprie divergenze su questioni di vita o di morte come insediamenti e Stato palestinese, hanno aperto un giro di tavolo con Putin quando il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman è andato a San Pietroburgo per discutere di aerei automatici senza pilota, gli stessi che hanno massacrato gli aerei con pilota russi durante l’invasione della Georgia.
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I russi, incapaci come sempre di produrre tecnologia, hanno chiesto di comperarne alcuni esemplari e Israele tratta, sapendo di lanciare così un segnale ostile allo stesso Obama che ha lanciato un segnale ostile a Gerusalemme e che sa di dover dipendere dalla Russia in Afghanistan.<br />
Ciò pone il presidente americano in una situazione delicata, ma calcolata. Che gli iraniani rispondessero picche era previsto; che <a href="http://carta.ilgazzettino.it/MostraOggetto.php?TokenOggetto=620660&Data=20090615&CodSigla=PG"><b>Israele</b></a> avrebbe emesso contro-segnali di risposta adeguati era previsto; che Pyongyang se ne sarebbe infischiata dei moniti del potente think tank governativo Center for New American Security, uno strumento di analisi voluto da Bush e usato ora da Obama, era scontato.
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Se dovessimo descrivere il presidente americano allo stato attuale in una scena di teatro, lo immagineremmo davanti a un mappamondo con aria pensosa, ma non disperata né sorpresa: le cose per lui vanno tanto male quanto i suoi consiglieri gli avevano già prefigurato.
<p>Ma l’«obamismo», se non prendiamo un granchio, consiste proprio in questo: nel dedicare tutto il tempo possibile a eliminare qualsiasi futura condanna dell’operato americano, dimostrando fin da oggi che si sta facendo, si è fatto e si farà tutto quel che è umanamente possibile per trattare una situazione ad alto rischio con strumenti diplomatici, multilaterali e politici, fino tanto che i rischi lo permettono.
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E qui veniamo al punto. L’Iran ha di fronte a sé una sua “dead line”, un punto di non ritorno oltre il quale non si può andare ed è collocato dagli esperti a dicembre: se l’Iran seguiterà a procedere come ha fatto finora nella sua produzione atomica, a dicembre sarà avvenuto l’irreversibile. La bomba sarà una realtà e l’America dovrà essere pronta ad affrontare una situazione militare che non dipenderà solo da lei ma da anche da Gerusalemme, che si sente nel mirino del dittatore iraniano.<br />
Lo stesso sta accadendo con la Corea dove però sono le Nazioni Unite a dettare l’agenda e gli ultimatum che quasi certamente Pyongyang ignorerà e che dunque prima o poi potrebbero produrre conseguenze.<br />
L’ultima volta che le Nazioni Unite provocarono conseguenze in Corea fu nel 1950 quando Kim Il Sung ordinò l’invasione della Corea del Sud separata sulla linea del 38° parallelo.<br /><br />
Il peso della guerra dell’Onu contro la Corea fu quasi interamente sostenuto dall’esercito americano che combatté un conflitto sanguinoso e altalenante fino al 1953, quando si tornò in pratica alle posizioni di partenza.<br />
Come se non bastasse, l’opinione pubblica americana è indignata con il governo di Pyongyang per la condanna a 12 anni di lavori forzati inflitti a due giornaliste americane, entrambe reporter di Current Tv. La loro condanna è da giorni la prima notizia sulla Cnn e delle altri maggiori catene americane e dunque Obama non può permettersi un’eccessiva morbidezza con i coreani.
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Si può concludere dunque che per l’amministrazione Obama tutti i nodi stanno venendo al pettine in maniera precipitosa e congestionata, con l’accavallarsi di altri problemi concomitanti e altri ancora di natura nuova come i possibili sviluppi del rapporto che si sta sviluppando (presumibilmente a spese della Georgia, che aveva appaltato l’addestramento militare a Israele) fra Mosca e Gerusalemme.<br />
Di sicuro a Washington la diplomazia non mostra visibili segni di ansia, ma è altrettanto certo che il Pentagono è entrato automaticamente nella nuova fase delle possibili “opzioni” su entrambi i teatri, sia coreano che iraniano.<br />
Naturalmente l’amministrazione Obama vede l’eventualità di un qualsiasi possibile intervento armato o anche di forte pressione diplomatica agitando quella militare, come il fumo negli occhi per motivi sia politici generali che economici.
<p> Con <b>una crisi che negli Usa non si considera affatto finita e forse nemmeno realmente cominciata</b> (Forbes prevedeva l’arrivo “della vera crisi” più o meno fra un paio d’anni), l’eventualità di aumentare la spesa militare è vista malissimo anche per un problema di immagine:<br />
se Obama dovesse riconoscere che in fondo, malgrado tutte le buone intenzioni e le aperture verbali, alla fine occorre ricorrere comunque al fucile e alle cannoniere, per lui sarebbe una sconfitta politica che permetterebbe ai repubblicani di gridare non a torto «noi l’abbiamo sempre detto».
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Ma Obama non è un ingenuo ed è circondato dai migliori cervelli, tecnici, diplomatici, esperti dei diversi teatri ed è inoltre abbastanza giovane e immacolato da potersi permettere gesti inattesi. La sua abilità è del resto quella di affascinare attraverso una forma di discorso morale fondato sui principi: quel genere di discorso cui gli americani sono in genere molto sensibili.
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Dunque oggi possiamo dire che Obama si trova di fronte al primo vero banco di prova su cui si deciderà se quella militare è una possibile “other options”. Il tempo non gli consente di trastullarsi più di tanto. Più probabilmente saranno i temi a dettare la sua agenda e ciò che conta per Obama è non farsi trovare sorpreso né impreparato.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=358894&PRINT=S">Il Giornale.it - Paolo Guzzanti</a>