Openpolis - Argomento: editorihttps://www.openpolis.it/2012-07-15T00:00:00ZFurio COLOMBO: Rai. Il servizio pubblico che non c’è2012-07-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647382Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«La Rai porta male? No, ma non porta voti». Cito una sorprendente rivelazione di Pierluigi Battista (<a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HEBWO">Corriere della Sera, 9 luglio</a>) che smentisce con coraggio sia Silvio Berlusconi che Mitt Romney.
<p>Berlusconi aveva appena ordinato al presidente del Senato di cambiare in fretta e furia un membro della Commissione di Vigilanza sulla Rai perché non prometteva esecuzione fedele e rigorosa delle istruzioni per l’uso della televisione secondo il Pdl.
<p>Romney ha appena annunciato di avere superato i fondi raccolti da Obama per trasmettere il numero più alto di spot televisivi contro l’avversario. <br />
Battista ha un suo argomento, valido solo per l’Italia. <br />
Dice: “Un minimo, solo un minimo di aderenza ai fatti dimostra che il controllo della Rai non ha mai favorito il partito dei controllori”. <br />
L’affermazione è inesatta, Vostro Onore, e basteranno due frasi per smontarla.
<p><b>Prima frase</b>. Le due vittorie di Prodi sono sempre state minime e risicate (la seconda volta con la maggioranza di uno, come i gatti delle canzoncina del Mago Zurlì), le tre vittorie di Berlusconi, invece, ottime e abbondanti.
<p><b>Frase due</b>. Berlusconi, da grande editore in perfetto conflitto di interessi, ha sempre mantenuto controllo ed egemonia su Tv private e di Stato anche quando non era al governo. Chi vuol farsi nemico il più grande editore del Paese?
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L’evidenza continua anche adesso. Qualcuno sa dove si trova o che cosa fa adesso Sarkozy, fino a poche settimane fa iperattivo presidente francese con bella e celebre moglie italiana? Ma nel Paese del conflitto di interessi, anche Battista vorrà convenire che abbiamo sempre saputo tutto, e sappiamo tutto di Berlusconi, compreso un dimagramento di quattro chili che lui annuncia come prova che si candiderà di nuovo.
<p>Ma il problema sollevato da Pierluigi Battista è espresso anche più nettamente, in una sfida coraggiosa alle diffuse credenze del mondo, che lui ritiene “pura superstizione”. Sentite: “Ovviamente quelli che fingono di saperla molto lunga e con aria assorta spiegano che è la Tv a decidere le sorti elettorali, potrebbero domandarsi con ficcante perspicacia perché i partiti sono così infervorati per conquistare la Rai?”.
<p>La domanda è strana perché la seconda parte è il rovescio della prima e contiene la risposta. Infatti la risposta (dello stesso Battista) è: “Perché la Tv non porta voti ma potere. Ecco che si compie, di fronte a noi, un nuovo esercizio retorico, mai tentato prima: dire e negare nella stessa frase. <br />
Infatti il potere sono voti. E i voti sono potere.
<p>Infatti, alla fine dell’articolo, il vicedirettore del Corriere della Sera scrive: “Che qualche secondo in più di una nota politica di qualche telegiornale sia sufficiente per generare seguito elettorale è solo una superstizione. “Scrivere una frase simile su un grande giornale nel Paese di Minzolini, dove intere notizie di portata internazionale sparivano, o apparivano gravemente lesionate (la famosa soppressione dell’audio nello scontro tra Berlusconi e il deputato Martin Schulz al Parlamento europeo) è certamente un atto di sprezzo del pericolo.
<p>Però, perché continuare a negare – e dunque rilanciare – il caso italiano del conflitto di interessi, denunciato dalla grande stampa del mondo, e reso possibile da un clamoroso caso di cedimento dell’opposizione, che non ha mai voluto insistere sullo scandalo? E serve poco negare che il vasto controllo dell’editoria italiana provochi notevoli anomalie di voto, di opinione e di governo.
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È un’alterazione che dura da quasi venti anni e che non esiste altrove. <a href="http://www.apt.it/focus/la-rai-del-futuro-il-futuro-della-rai"><b>Fabiano Fabiani</b> (già direttore di telegiornale, già direttore centrale Rai in tempi molto diversi, e ora presidente dei produttori televisivi) e <b>Riccardo Tozzi</b> (presidente dei produttori di cinema) descrivono così lo stato in cui è stata ridotta la Rai</a> divenuta deposito di cascami politici e di un vasto conflitto di interessi fra padrone abusivo e azienda disastrata: “Attenzione maniacale ai contenitori e ai Tg come strumenti di comunicazione partitica, ipertrofia delle strutture burocratiche e dei costi generali, appiattimento dell’offerta sempre allo stesso pubblico (…) in un quadro di complessiva chiusura autoreferenziale e corporativa.
<p>(…) Occorre invertire la rotta, recuperare il senso del servizio pubblico, che è un mestiere difficile: aprirsi all’esterno e parlare a un pubblico vasto, con una lingua che sappia far crescere la conoscenza e il gusto”. (<a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HHZSZ">Il Messaggero, 11 luglio</a>).
<p>Ecco, questa sarebbe una televisione che non cerca i voti, ma la propria naturale missione di informazione, di cultura, di divertimento. L’altra, invece, quella che esiste adesso, quella partitica denunciata così spesso, in un mare di silenzio, da Pannella e dai Radicali, ma poco, troppo poco, dal Partito democratico non è stata inventata da Berlusconi. Ma Berlusconi ne ha fatto il suo mausoleo.
<p>La salma del berlusconismo dentro la Rai è rimasta in loco, come quella di De Pedis (banda della Magliana) sepolta per 20 anni in una illustre chiesa romana, fino a quando – a richiesta generale – ne è stata ordinata la rimozione. Ora vedremo se si provvederà, per prima cosa, allo spostamento in altri tumuli dei resti di un regime finito.<br /><br/>fonte: <a href="http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/16/il-servizio-pubblico-che-non-ce/295396/">il Fatto Quotidiano</a>Michele Santoro: Con La7 «Restiamo noi i padroni con autonomia, grazie al pubblico» - INTERVISTA2012-07-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it646614<br />
«I telespettatori ci versano ancora dieci euro per Servizio Pubblico. Non celebriamo qualcosa che finisce, ma festeggiamo un progetto che avanza. La7 ci garantisce libertà editoriale, e noi rispetteremo le leggi. Faremo il nostro mestiere, ma non saremo dipendenti interni».
<p><b>Adesso cos’è cambiato, perché siete riusciti a trovare l’accordo saltato dodici mesi fa?</b>
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Tante cose, tutte fondamentali. Arriviamo a La7 dopo un lungo percorso: centomila italiani hanno pagato per avere una trasmissione libera, per 26 volte su 27 abbiamo battuto proprio la rete di Telecom facendo informazione attraverso una multi-piattaforma. Non credo che chiunque l’avrebbe fatto… Ora c’è un soggetto imprenditoriale con un carattere sociale che si chiama Servizio Pubblico. La7 è un’evoluzione, direi quasi naturale. Il canale sarà diverso e raggiungerà un pubblico più ampio, ma avremo lo stesso studio, stesso gruppo, e saremo sempre in diretta da Cinecittà.
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<b>Non teme censure, quelle che la spinsero a mollare l’ultima volta?</b>
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Sono ottimista. Perché Servizio Pubblico è una società (Zerostudio’s, il Fatto detiene il 17,4%, ndr) che consegna un prodotto chiavi in mano. La7 ci garantisce libertà editoriale, e noi rispetteremo le leggi. Faremo il nostro mestiere, ma non saremo dipendenti interni. Noi siamo nati grazie a centomila italiani e stranieri che credono nel concetto più cristallino di servizio pubblico, un’idea per il momento impensabile in questa Rai.
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<b>Che deve pensare chi vi ha aiutato con dieci euro e ora avrà tante domande per voi?</b>
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I nostri sostenitori ci hanno donato dieci euro per avere un programma libero, e ci siamo riusciti. Non soltanto abbiamo fatto quello che ci chiedevano, cioè una stagione di televisione indipendente, ma non abbiamo sprecato un centesimo. Queste risorse restano nel progetto sociale di Servizio Pubblico, che a luglio darà un premio ai giovani reporter, che avrà uno spazio su La7, che ha un sito operativo, che farà documentari e mi auguro anche film. La rivoluzione non era andare sulla piccola tv locale, ma conquistarsi autonomia. Noi siamo una fabbrica culturale e un movimento che vuole riformare la televisione.
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<b>Non è preoccupato di lavorare per una televisione che Telecom ha messo ufficialmente in vendita?</b>
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Anzi, è una sfida che mi affascina. Il panorama televisivo è in continua trasformazione. La7 e Rai2 sono fondamentali per i prossimi equilibri, per il duopolio che si sfarina sempre di più, e noi siamo felici di giocare un ruolo in questa delicatissima partita.
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<b>Servizio Pubblico si alternerà il giovedì con Piazzapulita, com’è il suo rapporto con Corrado Formigli?</b>
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Noi andremo in onda dal 25 ottobre, poi faremo la pausa natalizia e riprenderemo per seguire la campagna elettorale e la nascita del prossimo governo. Avremo la parte di stagione più importante, faremo almeno 24 puntate, esattamente quello che avevamo chiesto. Abbiamo lavorato tanti anni insieme con Formigli, si è formato con le nostre esperienze. E ha dimostrato di poter condurre un programma, come sostenevo da sempre. Io stesso avevo spiegato a La7 le sue capacità di conduttore. È mia intenzione andare sempre di meno davanti alle telecamere nel corso del tempo.
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<b>Vuole ritirarsi?</b>
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Forse è troppo di moda, ma posso dire che questa potrebbe essere la mia ultima stagione a condurre un programma con tante puntate. Questa è la mia volontà, poi vedremo quel che succede. Non dico niente di definitivo. Dovessi andare in Africa, ve lo direi quando sarei lì.
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<b>La Rai è morta o cosciente?</b>
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Ci penserei mille volte prima di seppellirla. Ci chiamiamo Servizio pubblico perché tendiamo verso la Rai, crediamo in una televisione che non si concentri soltanto sul mercato. La Rai è troppo importante. Per questo con Freccero ci siamo candidati, pensavamo di avere i titoli a posto. Vorrei conoscere i criteri con cui la Commissione di Vigilanza ha scelto i sette consiglieri d’amministrazione.
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<b>Chi le piace dei sette?</b>
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Paradossalmente potrei dire che quello più competente è quello più distante da me, Antonio Pilati. Viviamo nel mondo che ha disegnato lui con la legge Gasparri. Gli altri sono la solita storia.
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<b>E Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi?</b>
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Ovvio che Colombo ha una straordinaria qualità morale e che la Tobagi è una donna giovane e dinamica, ma perché il Pd si è tirato via delegando la propria responsabilità a quattro associazioni? Per andare contro la logica di lottizzazione, la Vigilanza poteva leggere e analizzare i quasi 400 curricula e comunicarci quali sono le caratteristiche più adatte per la televisione pubblica. Mario Monti ha spedito i tecnici. Troppa grazia San Mario. Stesso dubbio: con quali criteri? Li ha scelti per i conti? Tanti dirigenti di viale Mazzini sanno fare bene i conti.
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<b>Rimpiange la coppia Paolo Garimberti-Lorenza Lei o Mauro Masi?</b>
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Non raggiungo questi livelli di depravazione. Chi avrà il coraggio di fare un timido passo in avanti farà certamente meglio di Garimberti. Il solito discorso: se uno critica Monti, allora rivuole Berlusconi. Non è così. C’erano forti speranze su Monti. Queste indicazioni le ha fatte di sua spontanea volontà o le ha contrattate con il Cavaliere? Io andrei per la seconda ipotesi.
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<b>Cosa farà per piacere a Beppe Grillo?</b>
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Io non devo piacere a Grillo. L’ho sempre considerato un fenomeno da raccontare. Quando mi ha criticato con leggerezza, gli ho risposto con un segnale: ascolta, senti com’è facile dire vaffanculo. Non ci siamo chiariti e non c’è bisogno di farlo. Capisco che lui debba difendere la sua impronta di uomo contro.
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<b>Voterà una lista civica?</b>
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Facile: chi vuole fingere un rinnovamento che non c’è, può usare questo trucco. Questa è la cattiva copia di un’ottima intuizione di Grillo. Lui ha parlato di un panorama politico desolante ed è riuscito a creare entusiasmo. Io credo in una democrazia con i partiti. Non posso negare che siano quasi defunti, ma questo mi inquieta terribilmente.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HAF75">ilfattoquotidiano.it - Carlo Tecce</a>Antonio POLITO: Perché lascio la direzione del Riformista2010-12-31T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549331<br />
Lascio da oggi la direzione del Riformista, il giornale che ho fondato insieme con Claudio Velardi nel 2002. Lascio per favorire, e possibilmente per accelerare, un cambiamento nella compagine editoriale che è ormai divenuto indispensabile per garantire un futuro alla testata. <br />
Negli ultimi due anni, infatti, la presidenza del Consiglio ha sospeso al nostro giornale il versamento dei contributi previsti dalla legge, che avrebbero dovuto coprire più della metà delle nostre spese. La contestazione, sfociata poi anche in un’indagine dell’autorità per le comunicazioni, riguarda la proprietà della testata, che appartiene alla famiglia Angelucci, e il fatto che essa possiede anche la testata di Libero, giornale parimenti percettore di contributi.<br />
Gli avvocati della cooperativa che edita il Riformista hanno molto bene argomentato in una memoria difensiva che l’editore è soggetto completamente diverso dal proprietario della testata, e che il Riformista è giornale completamente diverso da Libero, e che dunque non si vede perché ci vengano negati gli stessi contributi che in questi due anni hanno percepito quotidiani analoghi al nostro come Il Foglio, l’Unità, il Manifesto.
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Siamo in attesa della sentenza di appello dell’Agcom, che dovrebbe arrivare entro la metà di febbraio.
Qualsiasi essa sarà, il danno è però già stato arrecato. Senza contributi, bisogna fare debiti. Più forti sono i debiti, meno libera da condizionamenti è l’autonomia di un giornale. Più aumentano i rischi per l’indipendenza della testata e più il direttore deve difenderla anche a costo del suo posto di lavoro. I giornali come il Riformista non possono fare a meno dei contributi pubblici.
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Per questo la soluzione migliore per il futuro del giornale è oggi un cambiamento nell’assetto editoriale che lo metta al riparo dalla contestazione mossagli, per quanto infondata speriamo venga riconosciuta. Ci sono trattative in corso affinché la proprietà venga direttamente assunta dal soggetto politico titolare del contributo, e cioè il movimento delle Ragioni del Socialismo di Emanuele Macaluso. Sarebbe un modo davvero indiscutibile per ripristinare il diritto ai contributi, la cui sospensione ci ha strozzati.<br />
Mi è stato chiesto di fare spazio a questo disegno, e io ho accettato.
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<b>Naturalmente</b>, ci sarebbe stato un altro modo per rendersi più indipendenti dalle erogazioni di Palazzo Chigi, dalla volontà dell’editore o dal rubinetto delle banche, e questo modo era trarre più risorse dai ricavi di vendite e pubblicità. Ci abbiamo provato, a perseguire questa strada di mercato, negli ultimi due anni. A questo era finalizzato il progetto di espansione del nostro giornale, che puntava a fargli superare la soglia critica delle dimensioni che avrebbero potuto aprirgli la strada di nuovi introiti. Bisogna riconoscere che questo nostro tentativo non ha avuto sucecso.
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<b>Come sempre</b> in un’azienda, la prima responsabilità è di colui che ha concepito con l’editore il progetto e poi l’ha realizzato: il direttore. A quella responsabilità vanno aggiunte le avverse condizioni di mercato: siamo partiti alla vigilia della più profonda crisi di vendita dei giornali italiani dal dopoguerra ad oggi, da molti interpretata addirittura come l’ultimo giro di walzer per la carta stampata, e che ha prodotto stati di crisi e tagli di personale nei più grandi e robusti giornali italiani. D’altro canto questa crisi ha colpito in primo luogo il giornalismo come noi lo intendiamo, e cioè quello meno parziale e propagandistico, quello più riflessivo e autocritico, fatto per scuotere ogni mattina le convinzioni del lettore, piuttosto che per confermarlo nei suoi pregiudizi. Rispetto a quando nascemmo, nel 2002, anche questo è cambiato: i modelli di maggior successo popolare sono oggi agli antipodi di tutto ciò che riteniamo sano, utile e corretto nel giornalismo. Francamente, neanche l’insuccesso poteva spingerci a imitare quei modelli.
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<b>Ma c’è una lezione</b> più profonda che io traggo dalla nostra vicenda di questi anni, e penso che vi dovrà riflettere chi farà questo giornale in futuro. Ciò che è infatti successo negli ultimi anni è la scomparsa di quella terra di mezzo della politica, della cultura, del dibattito pubblico nazionale, in cui soltanto possono maturare le idee e le convergenze per le riforme necessarie a cambiare questo nostro paese vecchio, stanco e malato. E questo, per un giornale che si chiama Riformista, è un problema molto, molto serio.
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<b>È perfino ovvio</b> individuare, come fanno molti, la causa di questa morte virtuale del riformismo nella incapacità della sinistra di rinnovarsi e di trovare un leader all’altezza del compito. Questo giornale nacque anche per impedire che i massimalisti alla Cofferati si impadronissero della sinistra italiana, e ci riuscimmo. Ma non riuscimmo ad affermare una leadership autenticamente riformista. Tutto ciò è vero, ma è anche una spiegazione troppo facile. Se quella leadership non è mai nata, o appena nata si è sempre incartata, ci deve essere un motivo ambientale che tiene costantemente il riformismo italiano sotto il ricatto vincente del giustizialismo e del radicalismo.
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<b>Questa causa ambientale è Berlusconi</b>. Ciò cui abbiamo assistito in questi due anni, e a cui attribuisco la responsabilità principale della scomparsa di quella terra di mezzo nella quale i riformismi dovrebbero parlarsi, è stato il tramonto definitivo di ogni speranza che la sfida al cambiamento venisse dal centrodestra italiano e dalla sua rivoluzione liberale. Il nostro schema, lo schema del Riformista, è stato fin dall’inizio il seguente: la destra rivolterà la vecchia Italia come un calzino, con le sue riforme liberali, e sarà un’operazione dolorosa. <br />
La sinistra si troverà dunque a governare un giorno un’Italia più moderna, alla cui modernità dovrà adeguarsi per non perderne i benefici, se vorrà renderla più equa socialmente.
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<b>Tante cose</b><b> sono</b> cambiate nel mondo in questo decennio, e molti schemi interpretativi anche nostri non sono più validi. Però niente di tutto ciò che è cambiato giustifica il fallimento liberale e riformista dal centrodestra. E senza quello stimolo, diventa francamente impossibile fare la lezione al centrosinistra. Le mancate riforme di Berlusconi sono il più formidabile alibi fornito alla sinistra per abbandonare a sua volta la via delle riforme. Quando una parola diventa vana, nessuno crede più al suo significato. A questa demolizione semantica la congiuntura politica italiana ha sottoposto un giornale che si chiama il Riformista. Prima abbiamo riportato quell’aggettivo nel lessico della politica italiana. E poi, quando tutti se ne fregiavano tronfi, lo abbiamo visto fare a pezzi nella pratica di una politica che di riforme non parla nemmeno più.
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<b>Per questo</b>, quando in questi anni ho ricevuto suggerimenti più o meno autorevoli ad essere più comprensivo con Berlusconi, a non occuparci di Noemi e di Patrizia e di Ruby ma di politica, ho sempre finito per rispondere a miei suggeritori: scusa, ma quale politica? L’altro giorno Franco Bechis ha fatto su Libero un impietoso calcolo numerico del nulla prodotto dal governo negli ultimi due anni. E ieri Galli della Loggia sul Corriere ha descritto con mirabile precisione l’incantesimo nel quale berlusconismo e antiberlusconismo, le uniche due tribù rimaste sul campo di battaglia, hanno precipitato la politica italiana e, di conseguenza, l’Italia.
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<b>In questi anni</b> mi è risultato sempre più evidente che Berlusconi non era il prezzo, più o meno alto a seconda dei gusti, da pagare alla soluzione del problema italiano; ma era egli stesso il problema italiano, che paradossalmente infettava i suoi oppositori dei suoi stessi difetti, costruendo così la sua strategia darwiniana di resistenza e di sopravvivenza del più adatto. Perché nell’Italia di oggi, nell’Italia che lui ha contribuito più di chiunque altro a modellare, lui è ancora il più adatto a vincere. Ed è questo che oggi mi divide anche da tanti amici che condivisero con me l’avventura del primo Riformista: ho smesso di sperare in Berlusconi per dare una scrollata alla sinistra italiana.
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<b>Ci sarà dunque</b> da ripensare molte cose per chi verrà dopo. E però prima o poi il tappo salterà, e la politica ricomincerà, e si schiuderà un po’ alla volta quella terra di mezzo in cui il Riformista sa pascolare così bene. Ci vorranno persone capaci, irriverenti e indipendenti come nella tradizione di questo giornale, per cogliere quella nuova opportunità. Colleghi come Stefano Cappellini, che assumerà dal 1° gennaio la direzione del giornale, che fu tra i giovanissimi fondatori, al quale vanno la mia fiducia e il mio augurio; e poi, dopo di lui, al direttore che una nuova proprietà sceglierà.
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<b>Ringrazio tutti</b> coloro che, in redazione e nell’azienda, mi hanno aiutato e sostenuto in questi anni con il loro lavoro, il loro impegno, la loro creatività. Rimangono tutti e si faranno valere. E soprattutto ringrazio i nostri lettori, una piccola ma appassionata e influente comunità che ci ha seguito fin dal primo giorno, e che non molla certo adesso: vero capitale sociale di questa azienda, e mia personale stella polare in tutti questi convulsi e fantastici anni che ho vissuto al Riformista.
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Antonio Polito
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WFEX6">Il Riformista</a>Paolo FERRERO: «Rifondazione è in movimento, Berlusconi è fermo all'Ottocento» - INTERVISTA2010-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548985 <br />
<b>Segretario, se andassero in porto i tagli all'editoria, questa potrebbe essere una delle ultime interviste a "Liberazione". Bel regalo di Natale dal governo Berlusconi....</b>
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Berlusconi ha un'idea fascista dell'informazione. Mettere in ginocchio giornali e piccoli editori significa trasformare l'informazione in informazione di regime. Nella stampa dei poteri forti. Ma chi pensa che l'antidoto al regime sia il mercato commette un grave errore. Magari chi è nelle grazie degli imprenditori avrà pubblicità e soldi, ma chi invece li critica, chi contesta il sistema non avrà una lira. Il mercato non è un antidoto alla lottizzazione o al regime, ne è l'altra faccia.
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<b>E l'altra faccia di questo governo sono le piazze piene di studenti che protestano, non solo contro la riforma Gelmini ma contro la loro precarietà esistenziale.</b>
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Questo movimento nasce dentro la crisi economica. Un'intera generazione che si ribella a un destino di precarietà, al ruolo che le è stato riservato dalle classi dominanti e dalle politiche europee. La gestione capitalistica della crisi mette in ginocchio le nuove generazioni e prevede il loro impoverimento. Essere giovani oggi non è solo una condizione generazionale ma è come appartenere ad una classe sociale sfruttata, precarizzata, senza speranza. Va colto il nodo strutturalmente, potenzialmente anticapitalistico della condizione giovanile oggi.
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<b>I ragazzi chiedono futuro, la politica è incapace di rispondere.</b>
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Questo movimento è nato e sta crescendo dentro la crisi della politica. Nati e cresciuti dentro il bipolarismo, i giovani di oggi non hanno mai avuto alcuna risposta dalla politica. Non sperano più nella capacità della politica di affrontare e risolvere i problemi della loro condizione sociale e si potrebbe dire anche esistenziale. Le proteste del '68 e del '69 trovarono uno sbocco politico attraverso partiti, sindacati, associazioni. Anche il movimento di Genova ha avuto un legame forte con la politica, con un importante ruolo di Rifondazione comunista. Oggi no, non più. Le delusioni che i giovani hanno avuto in questi vent'anni dai diversi governi - compreso Prodi e Rifondazione - hanno prodotto una sfiducia verso i partiti che è del tutto comprensibile. La politica non è vista come il terreno attraverso cui si possono cambiare le cose. Da qui un senso di estraneità e di rivolta, che chiede il cambiamento ma proprio per questo non ritiene i partiti uno strumento utile a dare una risposta. Vi è una grossa domanda politica, di cambiamento, che giustamente è diffidente verso la politica così come oggi è organizzata nel teatrino bipolare dell'alternanza tra simili.
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<b>I ragazzi in piazza esprimono valori forti: la cultura, la ricerca, il lavoro.</b>
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Il movimento chiede un cambiamento radicale della società: diritto allo studio, un lavoro decente, una vita degna di essere vissuta. I ragazzi si ribellano a un mondo dove i soldi sono gestiti dalle banche, i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri aumentano giorno dopo giorno. Diciamo che la radicalità dei contenuti non ha oggi un linguaggio e un universo simbolico a disposizione per rappresentare la propria voglia di cambiamento. A questo nodo politico dobbiamo lavorare per porci l'obiettivo di formulare, con i ragazzi e le ragazze del movimento, delle risposte.
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<b>C'era molta rabbia in piazza.</b>
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Alcune forme di protesta sono frutto di questa giusta arrabbiatura per l'impermeabilità del sistema politico. Così come sono il frutto della spettacolarizzazione del sistema dell'informazione: per finire in prima pagina non devi fare un corteo pacifico di centomila studenti ma devi fare a botte. Il sistema è questo. I moralisti dell'informazione che se la prendono con gli studenti rivoltosi sono gli stessi che parlano degli studenti solo se ci sono casini.
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<b>E la politica? Si chiude nelle zone rosse?</b>
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Il potere si è blindato nella zona rossa. L'unico che ha fatto un gesto politico positivo è stato Napolitano, ricevendo gli studenti e quindi riconoscendo le ragioni della loro protesta. La politica ha dato di sé uno spettacolo devastante: compravendita di voti, passaggi di casacca. Il Governo non si è posto il problema di ascoltare i ragazzi. Li considera nemici senza neppure discuterci. Cercano di trasformare un problema politico in problema di ordine pubblico. La democrazia conquistata a fatica nel novecento viene cancellata con un colpo di spugna. Fra Bava Beccaris che a fine ottocento spara con i cannoni sulla folla e Giovanni Giolitti che non manda i soldati contro gli operai che occupano le fabbriche c'è una differenza profonda. Beccaris non riconosce la questione sociale, per lui è solo un problema di ordine pubblico. Giolitti fa l'esatto contrario. Ora Berlusconi sta uscendo dal novecento per tornare all'ottocento. Chi non è d'accordo con lui, chi protesta è un nemico.
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<b>Di politici in piazza mercoledì ce ne erano ben pochi. E un unico segretario, lo stiamo intervistando.</b>
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In piazza c'era Rifondazione comunista, la federazione della Sinistra, mancava l'opposizione parlamentare. Del resto le avances del Pd al Terzo polo sono politicamente devastanti. Il più grande partito di opposizione ha teso la mano a chi come Fini vota la riforma Gelmini e avvalla le politiche del governo sul lavoro. Così facendo la politica si autoconfina nella zona rossa.
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<b>Quali saranno i prossimi passi?</b>
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Rifondazione è nel movimento. In strada come sui tetti. Vogliamo capire ed imparare. Vogliamo partecipare ad organizzare le lotte e a sviluppare la riflessione su come costruire un progetto di trasformazione, un movimento politico di massa. Abbiamo contribuito alla riuscita della mobilitazione del 16 ottobre, siamo dentro le lotte studentesche. Vogliamo continuare a starci per costruire insieme un rafforzamento del movimento e un dialogo tra studenti e lavoratori che metta in discussione la comune condizione di sfruttati senza prospettive.
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<b>Ora che la Gelmini ha avuto il via libera del Parlamento che ne sarà del movimento, studentesco e non solo?</b>
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Durerà se saprà costruire "istituzioni di movimento". Nel biennio '68-'69 successe così: nacquero consigli di fabbrica, comitati di zona. Dopo Genova sono nati i social forum. La ribellione contro un provvedimento ingiusto può e deve trasformarsi in un movimento di massa per cambiare lo stato delle cose presenti, per fare questo deve sedimentarsi in forme di partecipazione democratica. E' questa la sfida delle prossime settimane.
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<b>Che fare allora?</b>
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Occorre evitare due errori. Il primo è mettere al centro dell'azione del movimento la sola rivolta. Ci riporta diritti all'ottocento. Lo stato si chiude nella zona rossa e a te non resta che dar l'assalto al municipio. Per cambiare lo stato delle cose non basta il carnevale della rivolta. La reazione è comprensibile ma non è sufficiente. Un altro errore è pensare che lo sbocco del movimento sia quello elettorale, come una specie di passaggio di testimone dalla lotta alla rappresentanza istituzionale. Fu l'errore fatto da Rifondazione dopo Genova. Evitare il ribellismo e il politicismo per costruire consapevolmente un movimento politico di massa che si sedimenti nel tempo e nello spazio. Si dia una prospettiva e si radichi sui territori.
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<b>Domanda delle domande: come sconfiggere Berlusconi? Stiamo parlando di David contro Golia.</b>
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Bisogna sconfiggere Berlusconi e costruire un'alternativa al bipolarismo. Se continuiamo a ragionare secondo la logica del meno peggio - essenza del bipolarismo - non andiamo da nessuna parte. Noi vogliamo costituire un fronte democratico con chi effettivamente si oppone a Berlusconi, non con chi vota i suoi provvedimenti, come Fini. Per questo diciamo al Pd di smetterla con il politicismo e di costruire da subito il fronte democratico delle opposizioni, che deve essere costruito nel paese prima che sul terreno elettorale. Parallelamente proponiamo a tutta la sinistra, da Sel alle forze alla nostra sinistra, di formare un polo della sinistra italiana perché questo centrosinistra è totalmente inadeguato per rispondere alle richieste degli studenti e anche a quelle degli operai. Occorre costruire un fronte democratico per sconfiggere Berlusconi e un polo della sinistra per sconfiggere anche il berlusconismo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WBDC9">Liberazione - Frida Nacinovich</a>Giuseppe GIULIETTI: «Giornali nel mirino. Non c’è tempo da perdere» - INTERVISTA2010-10-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547441Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Siamo alla stretta finale, poco più di due mesi al trentun dicembre e decine di testate, Liberazione compresa, che non sanno se continueranno a ricevere i contributi pubblici. «Sarebbe la fine del pluralismo dell’informazione», dice Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21.
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<b>Dov’è la riforma dell’editoria?</b>
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Il governo annuncia da oltre due anni una legge di riforma dell’editoria. Non l’ha mai presentata. Non solo, i giornali di famiglia del Presidente del consiglio alimentano una campagna generica contro tutte le testate che attualmente percepiscono i contributi. Nella legge finanziaria non viene né ripristinato il fondo per l’editoria né i diritti soggettivi. L’unico segnale di vita, il sottosegretario con delega all’editoria Bonaiuti, l’ha dato solo sul lodo Alfano.
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<b>Necessità di bilancio, si dice. Ma non sarà in gioco, qui, un progetto politico di attacco al pluralismo dell’informazione?</b>
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Io cerco sempre di respingere qualsiasi idea complottarda. Abbiamo sempre cercato in questi anni di portare avanti un lavoro comune con tutti, sindacati e associazioni. Ci siamo resi disponibili alla riforma dell’editoria in accordo con tutte le testate. Le vie per eliminare le corruzioni ci sono, le abbiamo indicate. Abbiamo persino cercato le convergenze con chi era disponibile all’interno del centrodestra. Ma di fronte a quello che sta accadendo, sì, debbo ritenere che ci sia un progetto politico per liberarsi delle voci scomode.
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<b>Come “Liberazione” altre testate rischiano la chiusura. C’è bisogno di un fronte comune. Quali saranno i prossimi passaggi?</b>
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Condivido integralmente l’allarme di Liberazione e degli altri. Sono sicuro che nelle prossime due settimane sul tema della editoria - come sul tax credit del cinema - verranno votati documenti unitari per la Commissione cultura della Camera. Prevedo che alla Camera e al Senato verranno votate due risoluzioni che chiederanno al governo di reintegrare il fondo e il diritto soggettivo, e di procedere alla riforma dell’editoria. La mia sensazione, però, è che subito dopo questi due documenti finiranno alla Commissione bilancio, dove il governo darà parere negativo. Sarà messa la fiducia e verranno fatti decadere gli emendamenti. E’ il vecchio rituale, documenti approvati in commissione e poi bocciati dal ministro Tremonti. Chi nel centrodestra ha posizioni diverse non potrà neppure votare.
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<b>Berlusconi non è granché incentivato a reintegrare il fondo per l’editoria, di cui godono i giornali critici verso il governo. O no?</b>
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Berlusconi vuole eliminare tutto quello che non sopporta.<br />
Come è suo interesse far fuori voci a lui sgradite nel cinema italiano, anche nella platea dei giornali intende eliminare le testate critiche, da Liberazione all’Avvenire, dall’Unità al Secolo d’Italia. E’ del tutto evidente che Berlusconi, controllando in gran parte la raccolta pubblicitaria, avrebbe ben altri mezzi - sopra e sotto il banco - per compensare i pochi amici scontentati. Per giornali come Liberazione e il Manifesto, invece, la situazione diventerebbe drammatica. Ci sono giornali che hanno perso pubblicità in seguito all’appello di Berlusconi a disinvestire.
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<b>Se in Parlamento la strada è bloccata cosa si può fare all’esterno?</b>
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I parlamentari devono comunque provarci e crederci fino all’ultimo. Il loro dovere è fare in modo che questi emendamenti vengano inseriti nella finanziaria. E qualora il governo volesse a tutti i costi mettere la fiducia, premere sulla maggioranza perché nel maxi-emendamento ci siano i provvedimenti sull’editoria. Detto questo, consiglierei a tutte le associazioni del settore, sindacati, ordini professionali, edicolanti, piccoli editori, di far sentire la propria voce e subito. Iniziative visibili, trasparenti e clamorose, nelle forme e nei contenuti.
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<b>Non sarà una battaglia popolare, nell’opinione pubblica dare soldi ai giornali è uno spreco, no?</b>
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Non si possono fare solo le battaglie popolari. Sicuramente ci vuole una riforma dell’editoria. Ma non si può accettare che il governo del conflitto di interessi lasci morire decine di testate, come se nulla fosse. La Costituzione garamtisce il pluralismo, lo ha ricordato Napolitano. Anche quelli che pensano che sia meglio chiudere tutto e tutti, un giorno si sveglieranno. Se non ci fosse stata Liberazione non avremmo le denunce su quanto accaduto a Genova, sulle vicende di Cucchi e Aldrovandi o sulle morti sul lavoro. Potrei parlare anche del manifesto, dell’Unità o di altre testate del mondo cattolico. Pur diverse tra loro, tutte queste esperienze editoriali hanno prodotto inchieste e dossier che poi sono entrati nel circuito della comunicazione ufficiale.
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<b>Anche il mondo dello spettacolo, del cinema e della televisione è in subbuglio, per non parlare di scuola, università e ricerca. Non sarebbe ora di unire questi movimenti?</b>
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Dovremmo mettere in rete tutte le proteste. E’ in atto con la finanziaria il progetto di demolire i settori della formazione, dell’informazione e della cultura. Sarebbe opportuno che durante la discussione della finanziaria alla Camera e al Senato ci fossero iniziative comuni. Non ciascuno per sé, ma uniti. Sarebbe un errore andare a tante trattative separate, ognuno per proprio conto, nella speranza di poter strappare sottobanco qualche concessione. Non cadiamoci.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=UX6S3">Liberazione - Tonino Bucci</a>Anna FINOCCHIARO: «Da qui comincia il massacro delle libertà, vogliono coprire pubblici misfatti»2010-06-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it501710Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />Sintesi della dichiarazione di voto di Anna Finocchiaro nell'Aula di Palazzo Madama:
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Il Paese aveva bisogno di una riforma delle intercettazioni telefoniche.
<p> Ne aveva bisogno perché è intollerabile che sulle pagine dei giornali appaiano notizie che o sono coperte dal segreto istruttorio o non sono inerenti alle indagini e sono pubblicate soltanto per ledere la privacy e la dignità dei soggetti.
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È intollerabile che si faccia mercato della dignità dei soggetti ed è intollerabile che vi siano fughe di notizie rispetto ad atti investigativi che probabilmente vengono frustati nella loro efficacia dalla fuga di notizie stesse.
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Noi volevamo una buona legge, tanto è vero che già dai primi atti del governo Prodi della scorsa legislatura, e anche in questa legislatura, con due proposte di legge una delle quali firmata dalla capogruppo, abbiamo chiesto la riforma della disciplina delle intercettazioni telefoniche.
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Quindi, una buona legge sulle intercettazioni telefoniche che tutelasse la privacy e la dignità dei soggetti a qualunque titolo coinvolti nelle indagini.
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Ma questa non e' una buona legge.
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Innanzitutto perché questa legge limita l'uso delle intercettazioni telefoniche come strumento di acquisizione della prova.
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Punite la pubblicazione di atti di indagine e consentite solo la pubblicazione per riassunto fino alla fine delle indagini preliminari. Ma vi rendete conto dell'arbitrio che il giornalista può compiere per riassunto? Non voglio irritarvi, ma il caso Boffo e «Il Giornale» lo ricordate o no?
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Punite anche gli editori, perché casomai il giornalista o il direttore del giornale largheggiasse nell'informazione pubblica - ohibò! - interviene l'editore del giornale e dice: ma che mi volete far fallire? E di conseguenza l'editore eserciterà fuori dal suo ruolo - pensate ad una società per azioni, un'impresa come un'altra, che sta a Shangai e che è l'editore di un giornale italiano - un compito di vigilanza, di repressione, di censura per evitare di correre il rischio delle salatissime multe.
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Tutto questo tutela meglio la privacy dei soggetti? No.<br />
Questo tutela meglio, molto meglio, i criminali.
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Questo uccide il diritto dei cittadini ad essere informati.<br />
Questo provvedimento uccide la libertà di informazione tutelata dalla Costituzione. <br />
Tutelata una sola volta, presidente Berlusconi, perché mentre la parola «impresa», in varie forme, appare almeno tre volte nella Costituzione, le parole «libertà personale» e «libertà d'informazione» esistono una sola volta perché chi si sente vincolato alla Costituzione lo sa che non c'è bisogno di ripetere ciò che è sacro!
<br />
E allora chi oggi vota la fiducia, vota la limitazione della libertà di informare e di essere informato, la limitazione dei mezzi a disposizione degli investigatori per accertare reati, per individuare i colpevoli, per punirli.
<p>La verità allora è davvero un'altra: voi avete colto l'occasione in un momento assai imbarazzante, diciamo così, per il Governo e per la maggioranza di nascondere agli italiani i pubblici misfatti, l'esercizio deviato dei pubblici poteri, l'uso privato e la dissipazione delle pubbliche risorse.
<p>Voi volete nascondere, voi vi nascondete.<br />
Voi non volete controllo (ma questo lo sapevamo già):<br />
il popolo che citate così spesso lo volete cieco e sordo, manipolabile.<br />
Voi vi servite del popolo quando vi serve per celebrarvi, ma lo volete bue.
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La privacy che dite di tutelare è la vostra, è l'ombra nella quale volete continuare a fare i vostri affari.<br />
Chi si accontenta nella maggioranza, chi fa finta di non saperlo, oggi non può non saperlo.
<p>Io che tremo - non come voi, che l'adoperate in maniera sguaiata e volgare - quando pronuncio la parola libertà, non in nome mio ma nome d'altri, vi dico che qui oggi il mio Gruppo, che mi ha dato mandato sulla base di un'assemblea che abbiamo celebrato, non parteciperà al voto di fiducia e non parteciperemo perché noi vogliamo che risulti con ogni evidenza e con il rispetto sacro che abbiamo di quest'Aula e della legge il fatto che <b>da qui comincia il massacro della libertà</b>".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.senatoripd.it/gw/producer/dettaglio.aspx?ID_DOC=71702&t=/documenti/stampa.htm">senatoripd.it</a>Luigi Li Gotti: «Ma di quali modifiche parlano? I veri punti critici restano» - INTERVISTA 2010-05-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it500711Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: IdV) <br/><br/><br />
<b>Senatore Li Gotti (Idv), il Pdl ha deciso di accelerare e di portare il ddl in aula...</b>
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«Dobbiamo ancora discutere molte cose, ma quello che ho chiaro è che i punti più importanti, su cui è aperta la polemica, non sono oggetto di revisione. Nessuno, per esempio, sta pensando a modificare i tempi previsti per le intercettazioni. E’ una questione importantissima che mette a repentaglio la possibilità di svolgere le indagini»
<p>
<b>Il Pdl proporrà le modifiche direttamente all’assemblea di palazzo Madama...</b>
<p>«Il relatore Centaro si è detto disponibile a ritirare il suo emendamento che
riguarda l’inasprimento delle sanzioni agli editori, ma ovviamente non basta.Questo è un
provvedimento cruciale. C’è in gioco la possibilità per il
cittadino di conoscere gli atti di un’inchiesta»
<p><b>Perché tanta fretta, secondo lei?</b>
<p>«Il mandato di Berlusconi è chiaro, chiudere il
prima possibile buttandola sul discorso della
privacy. Ma che cosa c’entra la privacy con le
indagini giudiziarie, con la possibilità del magistrato di indagare sulla criminalità organizzata? Questo provvedimento è solo un modo per impedire alla gente di sapere cosa succede nel proprio condominio»
<p><b>Farete ostruzionismo?</b>
<p>«Ci prenderemo tutti i tempi necessari per la discussione degli emendamenti e proporremo le nostre modifiche. Su una questione così non si può fare in fretta...»
<p><b>Il Pdl, però, sembra intenzionato a chiudere. Secondo lei metteranno la fiducia?</b>
<p>«In quel caso sarebbe gravissimo, perché il testo è indecente. Se sarà approvato definitivamente, noi andremo al referendum per far decidere i cittadini su questa legge vergogna».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=RTGWA">Il Giorno - Il Resto del Carlino - La Nazione/Elena G. Polidori </a>GIOCONDO TALAMONTI: Comune di Terni - Atto di indirizzo: tariffe postali agevolate2010-04-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it497113Alla data della dichiarazione: Consigliere Consiglio Comunale Terni (TR) (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Al Sindaco del Comune di Terni<br /><br />
<b>Premesso che</b> il <i>decreto interministeriale</i> ha soppresso, a partire dal primo aprile u.s. le tariffe postali agevolate.<br /><br />
<b>Tenuto conto che</b> la decisione del Governo produce, sugli <b>editori</b>, gran parte dei quali piccoli e medi, un <b>pesante aggravio dei costi</b>, di difficile sostenibilità.<br /><br />
<b>Considerato che</b>, per tanti di loro, si fa reale il rischio di dover <b>cessare le pubblicazioni</b>. Un destino ben più pesante è riservato ai periodici della società civile e a quelli del volontariato.<br /><br />
<b>Ritenuto che</b> la pluralità delle informazioni rappresenta il sale della democrazia, perché crea opinione pubblica e costituisce il pilastro su cui si regge una società liberaldemocratica.<br /><br />
<b>Osservato che</b>, inoltre, le tariffe agevolate sono stabilite per legge e che un decreto interministeriale non può variare una legge,<br /><br />
<b>il gruppo di Rifondazione Comunista/Comunisti Italiani invita il Sindaco e la Giunta ad intervenire per:</b><br /><br />
• Diffondere la contrarietà al decreto della città di Terni;<br />
• Ascoltare le proposte delle associazioni del settore;<br />
• Manifestare presso il Governo perché ritiri il provvedimento;<br />
• Evitare un durissimo colpo all’editoria<br />
• Sostenere le associazioni. <br /><br />
Terni, 12 aprile 2010<br />
RC/CI<br />
Talamonti Giocondo;<br />
Nannini Mauro;<br />
Luzio Luzzi<br />
<br/>fonte: <a href="http://talamontigiocondo.blogspot.com/2010/04/comune-di-terni-atto-di-indirizzo.html">Il Blog Personale di Giocondo Talamonti</a>