Openpolis - Argomento: dirigenzahttps://www.openpolis.it/2009-11-09T00:00:00ZRosy BINDI: «No alle riforme se servono solo al Cavaliere» - INTERVISTA2009-11-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it418800Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) - Vicepres. Camera <br/><br/><br />
C’è una cosa, prima di tutto, che Rosy Bindi - neopresidente del Pd - tiene a chiarire: perché non vorrebbe che in tutto questo mare di parole circa il nuovo inizio, la ripartenza, il partito di alternativa piuttosto che di opposizione, ecco, in tutto questo sorgesse qualche equivoco. <br />
Dice: «Visto che il tema è come al solito sul tappeto, vorrei che Berlusconi avesse chiara qual'è la nostra posizione: in materia di giustizia, se le proposte continuano a essere costruite esclusivamente sulle sue necessità, confermo che la disponibilità del Pd a discuterne non c’era prima e non c’è adesso. Se ci riesce, quelle riforme se le faccia approvare dalla sua maggioranza: ma osservo che, nonostante le pressioni al limite del ricatto, comincia ad avere dei problemi anche lì».
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<b>Come passo d’avvio di un nuovo dialogo non è granché...</b>
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«E su cosa dovremmo dialogare, scusi? Sulla ragionevole durata dei processi, della quale il premier si ricorda solo adesso perché gli è stato bocciato il lodo Alfano? Con Berlusconi siamo alle solite: fallisce una strada e allora ne prova un’altra. Ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso: sottrarsi ai processi che lo attendono».
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<b>Qualcuno aveva inteso che con il “nuovo corso” la posizione del Pd potesse modificarsi: aveva inteso male?</b>
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«Certamente. E prima di tutto non aveva inteso Bersani, che anche sabato al Palafiera è stato chiarissimo: noi siamo pronti da subito a impegnarci per la riforma della giustizia civile, che interessa davvero milioni di cittadini. <br />
Ma sulla giustizia penale non accettiamo una discussione che sia condizionata dalla posizione personale del presidente del Consiglio. E guardi che ce ne spiace».
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<b>Ve ne spiace?</b>
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«Certamente. Perché occorrerebbe davvero intervenire per rendere più rapido ed efficace il funzionamento della macchina giudiziaria».
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<b>Cambiano i segretari ma il tasso di antiberlusconismo del Pd sembra restare immutato: c’è chi ne sarà deluso, forse.</b>
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«Chi si dice deluso, dovrebbe ricordare come era cominciata questa legislatura: all’insegna della nostra massima disponibilità al confronto. Se lo ricorda Veltroni? Rispettoso in campagna elettorale e poi, a esecutivo insediato, aperture, disponibilità al dialogo, governo ombra...».
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<b>E poi?</b>
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«E poi è cominciata la stagione dei lodi, della propaganda, degli attacchi personali. Il solito Berlusconi, insomma. Ed è vero che lì anche la nostra opposizione ha cambiato tono, fin quasi a entrare in concorrenza con Di Pietro, che forse se ne è addirittura avvantaggiato».
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<b>E’ tempo quindi, dopo l’avvio di Veltroni e la segreteria di Franceschini, di una rifondazione? E’ questo, insomma, il mandato di Bersani?</b>
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«Nient’affatto. La verità è che, al di là delle battute d’arresto e degli errori che tutti abbiamo fatto, io considero questi ultimi 15 anni - dall’Ulivo fino al Pd - come una storia unica. E’ per questo, per intenderci, che così come ai tempi non mi piaceva la “nuova stagione” coniata da Veltroni, non mi pare il caso oggi di parlare di “rifondazione”. Bersani non parte da zero, e noi non dobbiamo ricominciare tutto ogni volta da capo. <br />
Oggi possiamo andare avanti e fare delle cose anche in ragione degli errori che abbiamo alle spalle».
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<b>Bersani, appunto: che segretario sarà?</b>
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«Io lo considero, per molti versi, il continuatore di Prodi: come Romano, non ha bisogno di strillare per dimostrare il suo antiberlusconismo. Ed ha uno stile e un messaggio fatto di semplicità che arriva a tutti. In un periodo di risse, salotti tv e cadute di stile, si presenta come un uomo che vive la realtà comune alla gente normale. Ed ha ragione a dire che Silvio Berlusconi lo si batte certo non cedendo su nulla: ma piuttosto che strillare soltanto, occorre avanzare al Paese proposte più forti di quelle del premier, mostrando il profilo di un partito già pronto per il governo».
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<b>Qualche strillo, in verità, si è sentito anche alla vostra Assemblea nazionale dell’altro giorno: quanto è rimasta colpita dal duro intervento di Franco Marini?</b>
<p> «Molto, se devo dire la verità. Il partito va rafforzato col concorso di tutti: e uno dei motivi del mio sostegno a Bersani, è stata la certezza che avrebbe lavorato alla costruzione di un partito inclusivo. Intorno alla sua linea politica, l’unità del Partito democratico la si troverà. E’ per questo che non nascondo che il discorso di Marini mi ha un po’ toccato anche sul piano personale».
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<b>Si è forse sentita offesa?</b>
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«Non è questo il punto. Il punto è che non si può dire che in questo partito la cultura popolare non sia rappresentata: io sono presidente, Letta è vicesegretario e Franceschini è capogruppo a Montecitorio. E noi a quale storia apparteniamo? Io non credo che la cultura popolare possa essere ristretta in una corrente, perché è ben più larga e ben più forte. E non riconoscerlo mi sembra ingeneroso».
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<b>Posso chiederle, in conclusione, come mai si è commossa tanto quando ha parlato all’Assemblea nazionale?</b>
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«Per l’applauso che mi è stato riservato anche da chi aveva sostenuto altre candidature alla segreteria del partito. <br />
E soprattutto perché, dopo 20 anni di vita spesa alla realizzazione di un progetto, l’elezione a Presidente del Pd mi è parsa un grande riconoscimento ad un percorso politico e ad un impegno personale e collettivo che da oggi riprende con entusiasmo immutato».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=O2CQE">La Stampa - Federicco Geremicca</a>Renato BRUNETTA: Nel mirino di Brunetta ora c'è il nepotismo2009-09-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it417562Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro PA e innovazione (Partito: PdL) <br/><br/><br />
Renato Brunetta torna alla carica e lancia una nuova battaglia contro il nepotismo nella Pubblica Amministrazione. L'esempio è la Regione Piemonte.
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«Basta parenti alle dipendenze dei manager. Non voglio più che dirigenti della sanità abbiano sotto di sè personale fino al terzo grado di parentela», sono queste le parole del ministro per l'Innovazione e la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta dette durante il colloquio di ieri con il direttore di Tgcom, Paolo Liguori.
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La richiesta di una maggiore concretezza da parte di Brunetta non si è perciò fermata alla cosidetta "lotta ai fannulloni"; il ministro non ha abbassato la guardia e soprattutto non ha smesso di scandagliare le zone oscure delle amministrazioni pubbliche: «Il nepotismo non dovrà essere più tollerato - ha rilanciato - voglio una PA che funzioni».
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Brunetta porta ad esempio la decisione del Presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, che vieta l'assunzione di coniugi, figli, e parenti vari delle figure di vertice della sanità piemontese nelle aziede da queste dirette. Il ministro vorrebbe esportare da Nord a Sud tale sbarramento per sconfiggere la cattiva società civile e la cattiva politica.
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L'approssimarsi dell'uscita dalla crisi economica, sostiene Brunetta, è poi il clima ideale per superare tali difficoltà. «Cina e Stati Uniti stanno uscendo, l'economia mondiale è collegata e quindi anche noi stiamo uscendo», ha ribadito.
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Se da un lato il ministro è convinto che da noi la crisi sia stata meno grave del previsto, dall'altro ritiene opportuno che vengano fatti sforzi soprattutto da parte di quei soggetti che non sono stati toccati dalle manovre contenitive. «Banche e grande finanza sono all'origine della crisi. Hanno assorbito miliardi di aiuti dallo Stato e ora non possono non dare soldi ai clienti», ha poi concluso.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pubblicaamministrazione.net/leggi-e-norme/news/1984/stampa/nel-mirino-di-brunetta-ora-ce-il-nepotismo.html">PubblicaAmministrazione.net - Lorenzo Gennari</a>Renato BRUNETTA: Brunetta: "Ora risorse al lavoro autonomo"2009-07-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it401882Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro PA e innovazione (Partito: PdL) <br/><br/>"L'avvitamento della crisi è finito. Il peggio sembra passato e siamo entrati in una fase di stallo. È la fase più delicata. Per questo il governo ha messo in campo misure forti come il piano casa e il decreto anticrisi. Ed è forse è il momento di dedicare più attenzione al lavoro autonomo e cioè a quella parte del sistema produttivo formato da artigiani, commercianti, piccole imprese, agricoltori e co.co.co (lavoratori a progetto ndr)" spiega a Il Tempo, il ministro dell'Innovazione nella Funzione Pubblica, Renato Brunetta
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E le risorse dove si trovano?<br />
«Se, come penso, il trend dell'occupazione nel lavoro dipendente andrà verso la stabilizzazione, e anzi comincerà a migliorare, potremmo riutilizzare parte degli otto miliardi di euro stanziati dal governo per gli ammortizzatori sociali per la cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Una volta fatta la proiezione statistica delle effettive necessità per il 2009 e il 2010 e, accantonate le somme necessarie, si potrebbero liberare subito i fondi per incentivare e aiutare gli autonomi».
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Un ragionamento che contrasta con i dati del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) che danno a rischio circa 500 mila posti a fine anno?<br />
«Non lo sa nessuno che tipo di conseguenze può avere questa crisi. È facile dare i numeri: 100, 200 o 300 mila persone senza lavoro. Ma, ripeto, nessuno può avere una capacità previsiva in un contesto del genere. Al contrario è un momento in cui bisogna far ritornare la fiducia tra i cittadini e gli operatori economici».
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Torniamo al suo progetto a favore degli autonomi. È praticabile?<br />
«Lo proporrò al governo con la motivazione che è l'ora di far ripartire il circolo virtuoso anche in questo settore. Stimolando e incentivando il lavoro autonomo, infatti, aumentano i consumi e il reddito. Il circuito produttivo si mette in moto e diminuisce ulteriormente il ricorso agli ammortizzatori».
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Tra gli impulsi dati al sistema economico è arrivato anche il piano casa. In parte deriva da una sua intuizione. <br />
«Parto dal presupposto che come ho detto all'inizio del 2009, quando nessuno lo diceva, che il potere d'acquisto delle famiglie con un reddito fisso sarebbe aumentato o al massimo stabile. I risparmi si sono creati ma non sono stati utilizzati per acquistare beni di consumo durevoli. Il piano casa va in questa direzione. Anzi abbiamo ora tre piani casi che agiscono contemporaneamente. Quello che prevede la rottamazione delle vecchie abitazioni, quello per la costruzione di 100 mila nuovi alloggi popolari e quello per l'acquisto delle case a canone sociale con una formula di riscatto a 15 anni da parte degli inquilini. Mi riconosco la paternità di quest'ultimo pezzo del piano casa messo nella Finanziaria del 2006».
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Sarà la soluzione per rilanciare l'economia?<br />
«Contribuirà ad assorbire la montagna di liquidità che paradossalmente la crisi finanziaria ha creato. E darà un forte impulso al sistema produttivo perché l'edilizia è un comparto con un coefficiente di attivazione dell'economia molto elevato. Costruire case significa arredamento, ferro, cemento e tanti altri fattori produttivi che si mettono in movimento».
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Passiamo alla sua missione ministeriale. Siamo vicini all'obiettivo di una trasformazione radicale della pubblica amministrazione?<br />
«Faccio parlare i numeri. Abbiamo recuperato con la lotta all'assenteismo 14 milioni di giornate di lavoro. L'equivalente di 70 mila occupati in più. Abbiamo riportato al fronte un esercito che non ne voleva sapere di andare in guerra. Abbiamo realizzato un'operazione «trasparenza» che ha dato buoni frutti. Penso alle consulenze e ai distacchi sindacali che entro pochi mesi saranno ridotti alla metà. Stiamo predisponendo la pubblicazione dei curricula e stipendi di dirigenti pubblici e già reso disponibili quelli dei manager delle aziende di servizi pubblici. Abbiamo rinnovato i contratti e avviato il sistema della customer satisfaction compresa la class action.
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I prossimi progetti già in rampa di lancio?<br />
«Dopo un anno di start-up in autunno partirà l'implementazione della sanità, della giustizia, della scuola e della burocrazia elettronica. Un'iniziativa che prevede di eliminare la carta e portare tutti i flussi di informazioni e i servizi sulla rete entro il 2012».
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Cosa manca ancora perché sia soddisfatto del suo operato?<br />
«L'aumento della produttività del settore pubblico. È un assedio che facciamo alla fortezza dell'insensibilità. Ho fatto un conto e cioè che alla fine della legislatura possiamo aumentare la produttività del 50%. Significa il 50% in più di scuola, università e giustizia e altro. Tutto questo a costo zero potrà portare un aumento del 20-30% del tasso percentuale di Pil. Possiamo colmare un gap con gli altri paesi. Quando noi crescevamo al 2% gli altri crescevano al 3%. Con questa riforma possiamo aumentare la ricchezza prodotta al livello dei nostri partner».
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I cittadini sono dalla sua parte. I dipendenti un po' meno. Ce la farà a riconquistarli?<br />
«Mi basta avere dalla mia parte 60 milioni di italiani che sono i miei clienti e i finanziatori con le loro tasse. Sono anche i controllori a cui sto dando voce». E i lavoratori? «Dai sondaggi risulta che dei 3,6 milioni di statali il 50% sta con me. Sono i più bravi e meritevoli. Dell'altro 50% una metà è recuperabile. L'altra metà è a perdere. Si tratterà di dare premi alla prima parte, convincere chi è rimasto a guardare e stanare i renitenti».
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Ma come sarà misurata la produttività<br />
«La mia legge prevede l'istituzione di un'agenzia autonoma per la valutazione che utilizzerà parametri assolutamente oggettivi. Il 50% delle risorse andrà ai migliori e cioè al 25% dei dipendenti più bravi. E per essere promossi bisognerà restare tra i migliori per tre anni consecutivi
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Parliamo dei dirigenti. L'uscita dopo 40 anni di lavoro considerati anche i contributi figurativi non è piaciuta a molti di loro. Qualcuno ha parlato di una forma di spoil systems.<br />
«Non è una rottamazione. Con la disposizione si esce al massimo tre anni prima rispetto alla data massima di pensionamento. Tra l'altro la legge prevede che le amministrazioni predispongano piani per l'utilizzo di quella che resta una facoltà. Se un'amministrazione ha dei bravi dipendenti se li può tenere. Se invece pensa che sia necessario ripianare sacche di eccedenza e vuole far ripartire il ricambio generazionale lo può fare, ma con piani e regole valide per tutti, e non solo per alcuni di loro. Insomma non è un'arma per consentire regolamenti di conti tra i vari capi degli uffici».
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Se si scorrono gli elenchi telefonici di ministeri. università e aziende sanitarie i cognomi spesso si ripetono. Ha in mente qualcosa per sconfiggere il nepotismo nelle carriere pubbliche?<br />
«Non dipende da me. Per mettere alle strette questa pratica bisogna aumentare la trasparenza e la meritocrazia. Ad esempio mettendo sotto pressione il sistema pubblicando in rete nomi, cognomi e curricula dei dirigenti. Lo farò da settembre. La gente potrà vedere dove si annida il nepotismo».
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Vedere ma non agire?<br />
«L'unico modo per combattere i raccomandati è rendere corrette e pulite le procedure di concorso, a partire da quelli in magistratura. Metterò in rete chi sono i commissari d'esame, chi ha vinto le selezioni, i voti e quant'altro, per consentire un controllo a tutti. La trasparenza è la chiave per battere il fenomeno.<br/>fonte: <a href="http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/07/23/1050964-brunetta_risorse.shtml">Il Tempo</a>Pietro ICHINO: Pd: "Vedo pregi e difetti in entrambe le candidature presentate fino a oggi"2009-06-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391752Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Ai molti che mi chiedono delle mie scelte nella competizione congressuale rispondo - e non è una risposta diplomatica - che vedo pregi e difetti in entrambe le candidature presentate fino a oggi.
<p>Più specificamente, riconosco a Pierluigi Bersani una maggiore capacità di comunicazione e una personalità politica più spiccata rispetto a Dario Franceschini;<br />
dello schieramento che sostiene Bersani, però, non mi piacciono alcune cose:<br />
- la tendenza a costituirsi in corrente e a riproporre la vecchia forma-partito;<br />
- la tendenza a prendere le distanze rispetto al metodo statutario delle primarie per l’elezione del segretario-candidato premier (scelta, questa, che invece considero fondamentale);<br />
- la tendenza a concepire la politica del lavoro del Pd in chiave “laburista”, cioè come espressione in sede parlamentare degli interessi propri del movimento sindacale; oppure, in una situazione di divisione tra le confederazioni maggiori, a costruire un rapporto privilegiato tra Pd e Cgil (sarà interessante vedere se e come inciderà su quest’ultima tendenza l’alleanza tra Bersani ed Enrico Letta).
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Non mi sembra, invece, che - almeno per ora - le due candidature presentino differenze apprezzabili sul terreno della concezione laica del partito e dello Stato: vedo uno degli aspetti più positivi della dialettica che si è instaurata in seno al Pd in queste ultime settimane nel fatto che in entrambi gli schieramenti che stanno delineandosi si mescolano ex-diessini, ex-margheritini e persone che non provengono da alcuna delle due vecchie formazioni politiche.
<p>Sono convinto che, quale che sia l’esito del congresso, ne risulterà comunque rafforzata la scelta della laicità come metodo indispensabile per la cooperazione tra credenti di tutte le fedi e non credenti nel governo della res publica.
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Quando il quadro delle candidature sarà completato, sceglierò tenendo conto della concezione del partito e del programma di governo che i candidati avranno proposto. Per questo seguo con molta attenzione quello che propone la nuova generazione dei democratici, il 30 giugno a Roma andrò ad ascoltare Bersani, il 2 luglio ad ascoltare Veltroni (che mi ha invitato a svolgere in quell’occasione un intervento); e sarei anche molto interessato ad ascoltare Chiamparino, se decidesse di candidarsi.
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Sul piano dei contenuti programmatici concreti, per il momento mi sembra che ci sia da segnalare soltanto il contributo al dibattito congressuale presentato da Enrico Morando il 26 giugno;<br />
ha il difetto di essere un po’ troppo lungo, ma i frequentatori di questo sito non faticheranno a trovare, nella seconda parte, forti assonanze con le mie proposte, particolarmente nei capitoli dedicati alle politiche del lavoro, delle relazioni industriali e dell’immigrazione. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pietroichino.it/?p=4208">www.pietroichino.it</a>Luciano VIOLANTE: «Il nuovismo del leader è un errore» - INTERVISTA2009-06-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391731<br />
«Sono amico di entrambi, aspetto i loro progetti per scegliere chi sostenere»: Luciano Violante chiede a Franceschini e Bersani di scoprire le carte. Ma difende Bersani dall’accusa di rappresentare il «vecchio».
<p> <b>Un avvio di congresso duro. Cosa ne pensa?</b>
<p> «Franceschini ha fatto bene in questi mesi. Ora mi è sembrata contraddittoria, per come ha gestito il partito e con la sua stessa elezione alla quale tutti abbiamo contribuito, la presa di distanza da ”quelli che c’erano prima”. A chi si riferiva? A Veltroni, Marini, D’Alema? <br />
Comunque, non ci si presenta mai contro qualcuno ma per un progetto».
<p> <b>È venuto meno al ruolo di segretario di tutti?</b>
<p> «Non esageriamo. È stato un errore, peraltro rilevato da molti: siamo in una situazione certamente delicata e non godiamo di buona salute, sarebbe giusto confrontarci sul futuro del partito, sulla lettura della società italiana, su come superare i nostri handicap. Ma sono convinto che se ne sia reso conto anche Franceschini che in Direzione non ha usato più quei toni».
<p> <b>Di fatto si discute di due nomi...</b>
<p> «Diamogli tempo per mettere i loro progetti. Certamente entrambi dovranno dirci che idea di partito e società hanno.<br />
Io spero che entrambi coltivino il senso di appartenenza: una organizzazione politica non è una bocciofila ma un luogo dove si vivono sentimenti, appartenenze ideali, voglia di impegno».
<p> <b>Veltroni, a sostegno di Franceschini, vuol tornare allo spirito del Lingotto. È la strada giusta? O fu, come ritiene qualche sostenitore di Bersani, l’inizio della fine del governo Prodi e dell’Ulivo.</b>
<p> «È ingeneroso addebitare al Lingotto la fine di un governo che cadde perché un pezzo di maggioranza fece l’accordo con l’avversario. Penso però che la resurrezione delle idee, in genere, non ha campo in politica. Piuttosto che riesumare cose del passato, è meglio dire cosa si vuol fare per il futuro, guardando sempre avanti».
<p> <b>Bersani è dipinto come l’interprete di un Pd che dovrebbe somigliare di più alle socialdemocrazie, in crisi in tutta Europa.</b>
<p> «Intanto, la tradizione socialdemocratica ha dato il welfare a tutta Europa. Può darsi che si sia consumata e che si debba pensare ad un altro modello di partito. Ma non mi pare che Bersani sia propugnatore del passato. Ha fatto il ministro guardando positivamente al futuro. Come quando ha amministrato la regione Emilia Romagna. È una persona pragmatica, non un romantico nostalgico. E anche Franceschini non è legato al passato. Mettiamoli alla prova, poi decideremo».
<p> <b>Anche lei critica lo Statuto che affida alla primarie la scelta del segretario?</b>
<p> «Le primarie, per definizione, sono un momento di selezione di candidature. Vanno benissimo per individuare candidati sindaci o presidenti di provincia e regione. Per il Pd, invece, sono decisive per la elezione del segretario: si consegna il diritto di scegliere la guida del partito a chi non ne fa parte. A me sembra un errore».
<p> <b>Ma quelle regole le avete votate tutti assieme.</b>
<p>«Se abbiamo commesso tutti assieme una sciocchezza non è il caso di confermarla. Se si smarrisce il confine tra iscritti ed elettori, si perde anche il senso di appartenenza: gli iscritti montano i gazebo e gli elettori scelgono il segretario. Qualcuno potrebbe anche seccarsi».
<p> <b>È stato un errore non rinviare il congresso?</b>
<p> «È stato giustissimo. Lo avremmo fatto lo stesso ma sott’acqua. E sarebbe stato peggio».
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MQKQU">Il Mattino - Teresa Bartoli</a>Dario FRANCESCHINI: Pd al voto. «Congresso a ottobre. Improponibile rinviarlo» 2009-06-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391720Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />Approvato il regolamento che fissa le tappe congressuali del partito. Il congresso al via il 10, le primarie il 24 <br />
Passa la linea Franceschini, 7 contrari<br />
Marini si schiera a sostegno dell'attuale segretario: «Con Dario ci sarà una ripresa»<br />
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La direzione del Partito Democratico ha dato via libera al congresso di ottobre approvando, con 7 voti contrari, il regolamento che fissa le tappe congressuali.<br />
Passa dunque la linea dell'attuale segretario Dario Franceschini, che nell'intervento che ha aperto la direzione del partito al Nazareno ha giudicato «improponibile» l'ipotesi di un rinvio del Congresso ventilata da alcuni esponenti come Anna Finocchiaro e Francesco Rutelli.<br />
«È improponibile rinviare il Congresso - ha detto in mattinata Franceschini -: lo Statuto parla chiaro e io ho preso un impegno con la Costituente che mi ha eletto». <br />
Il segretario, nonché candidato, ha aggiunto: «Voglio un Congresso vero che traghetti il Pd verso una fase nuova. Il Partito ha bisogno di un confronto serio, preciso e magari anche duro perché alla fine del percorso bisogna avere una guida forte e una piattaforma politica forte».
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<b>Il regolamento</b><br />
Il regolamento approvato conferma tutti i passaggi congressuali: il 10 ottobre si svolgerà il congresso che selezionerà i candidati alla segreteria che poi si presenteranno alle primarie, che si svolgeranno il 24 ottobre. <br />
È passato anche la regola che fa sì che alle primarie <b>voteranno iscritti e non</b>. Se nessuno dei candidati raggiunge la maggioranza assoluta, si andrà al ballottaggio con voto segreto all'Assemblea nazionale tra i due candidati più votati alle primarie. Nonostante le perplessità espresse in direzione sulla farraginosità del regolamento, al momento del voto ci sono stati solo sette contrari su una platea di 150 membri.
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L'appoggio di Marini<br />
E in vista delle primarie Franceschini incassa l'appoggio dell'ex presidente del Senato, Franco Marini: «Sosterrò al congresso Dario Franceschini per la sua azione di tenuta e di ripresa del partito e non perché abbiamo origini comuni visto che io spero in un congresso che sia di rimescolamento».<br />
«Certo - afferma Marini riferendosi all'esito delle elezioni europee e dei ballottaggi - non abbiamo vinto, ma da questo risultato, cioè il fatto che la destra non ha sfondato alle europee e che i ballottaggi hanno segnato la possibilità di tornare a vincere, i militanti hanno visto che in Italia c'è un'unica opposizione alla destra, cioè il Pd». «Sembravamo spacciati ha aggiunto l'ex presidente del Senato ed invece oggi si riprende forza ed il merito è di Franceschini per la sua determinazione».
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<b>Bersani</b><br />
Dal canto suo, l'altro candidato, Pierluigi Bersani, afferma al Tg1 di sentire l'esigenza, come tutti, «di aprire la strada a una nuova generazione. Il problema - spiega l'ex ministro - è vedere come. Io comincerò dai giovani, ma non parlerò loro di 'vecchio' e di 'nuovo'. Parlerò di Italia. Di noi e di come possiamo essere più utili a questo Paese, correggendo anche qualche errore». <br />
Io non faccio questo confronto contro nessuno», ribadisce Bersani riferendosi alla competizione per la guida del partito. «Abbiamo bisogno di tutti: il nostro problema è il radicamento nei ceti popolari, nei ceti produttivi, nei territori. Bisogna discutere di come arrivare a questo». Dopo le elezioni il Pd «riparte cercando la sua strada laddove deve avere le sue radici: noi dobbiamo essere un partito popolare, questo è il punto. E dobbiamo anche essere un partito che funziona - conclude - se vogliamo essere utili al Paese».
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<b>Ipotesi Chiamparino</b><br />
La sfida vera, dunque, è per ora a due, tra il segretario Franceschini e Bersani. Anche se aumenta la pressione sul sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, perché si candidi come 'terzo uomo' in grado di rompere il duello.<br />
Goffredo Bettini, dirigente del Pd, lo dice chiaramente: «Si conferma l'assoluta esigenza di uscire da uno scontro a due tra Franceschini e Bersani e penso quindi che ci sia lo spazio politico per una terza candidatura vista l'insofferenza per uno scontro che può apparire non completo». «Chiamparino - prosegue - è un amministratore formidabile e un dirigente che sin da subito ha creduto nella parte più dinamica del Pd». <br />
Per ora il sindaco di Torino sembra più orientato a non scendere in campo: «Allo stato attuale è no, ma in politica le cose possono cambiare e non si può mai dire mai...».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.corriere.it/politica/09_giugno_26/franceschini_congresso_d241635c-6235-11de-8ba1-00144f02aabc_print.html">Corriere della Sera.it</a>Renato BRUNETTA: P.A.: Brunetta, sto preparando decreto tetti compensi manager2009-05-14T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it391245Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro PA e innovazione (Partito: PdL) <br/><br/><br />
''Sto preparando il decreto sui tetti dei manager pubblici''. Lo ha detto il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. ''Se si chiede efficienza ai dipendenti i primi a dare un segno moralmente coerente sono i dirigenti e i manager pubblici''. <br /><br />
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Ha poi annunciato che la prossima settimana saranno pubblicati on line i nomi e i relativi compensi di 30 mila amministratori di 10 mila enti partecipati, rilevando come nella prima pubblicazione mancava quasi tutto lo Stato.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.unita.it/newsansa/32351/pa_brunettasto_preparando_decreto_tetti_compensi_manager">l'Unità.it</a>Marco Causi: «Basta spoils system: selezionare i dirigenti in base al merito»2009-03-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it390790Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il pd ci ha provato a inserire nel federalismo
anche nuove norme per la selezione
dei dirigenti pubblici. La Lega ha
detto no. Alla fine la proposta, presentata
da Marco Causi, è stata recepita come raccomandazione
al governo. «Di fatto è un
superamento dello spoils system - spiega
Causi - credo che si possano adottare criteri
più trasparenti per la selezione della
dirigenza. Nelle tecnostrutture deve valere il merito e la professionalità,
non la politica».<br />
Insomma, sarebbe una battaglia
contro la casta, quella che si annida in tutti
i rivoli della Pubblica Amministrazione,
dalle Asl agli enti regionali, le municipalizzate,
le agenzie del territorio.<br />
«Non si
escludono i dirigenti interni agli enti locali
- continua Causi. Il solo Comune di Roma
ne ha 350. Altrettanti sono quelli di società
controllate. In Italia si arriva a circa
20mila dirigenti apicali».<br />
Curriculum,selezione,
concorsi. Anche per le società come l’Acea,
quotata in Borsa? «In quel caso mi piacerebbe seguire il metodo americano
- conclude Causi. <br />
Una rosa di candidati
che si presentano in consiglio, anche
davanti alla stampa, e spiegano come
vorrebbero gestire l’azienda».<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=L6J0C">l'Unità - Simone Collini</a>Massimo D'ALEMA: «Pd. Indietro non si torna ma così non va: ci vuole più impegno» - INTERVISTA2009-02-01T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388493Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Dal Partito democratico non si torna indietro. L’idea che ad un tratto possano di nuovo materializzarsi Ds e Margherita è sciocca e irrealistica. Il problema del Pd non è questo: è il nostro progetto ancora incompiuto. Il problema sono i passi avanti che ci mancano». Massimo D’Alema torna, dopo la direzione di dicembre, a parlare del Pd, del suo «malessere», della «proposta di governo» e del futuro da costruire. «Questo - dice - è il momento dello sforzo comune, di raccogliere le forze per affrontare la sfida». L’intervista muove da qui. Anche se D’Alema non tarda a contestare la tesi, cara al vertice del Pd, che le difficoltà dipendano innanzitutto dalla litigiosità interna.<br />
<b>Di cosa soffre allora il Pd?</b><br />
«Costruire un grande partito è prima di ogni altra cosa un’impresa culturale e organizzativa. Il nostro deficit è qui. E non serve cercare spiegazioni di comodo, tanto meno etichettare come dalemiani tutti coloro che dissentono. La pluralità di opinioni tra noi è insopprimibile: va governata con prudenza e responsabilità di tutti».<br />
<b>Cosa intende per impresa culturale e organizzativa?</b><br />
«Che c’è bisogno di grande energia per radicare un partito nuovo, per rimotivare i militanti e per far convivere il loro impegno con forme di partecipazione diretta dei cittadini. E che, accanto al radicamento sociale, l’altra grande questione politica è il radicamento nella storia nazionale, la “giustificazione storica” del Pd. Spero che la prossima Conferenza programmatica ci aiuti a fare quei passi che fin qui sono mancati».<br />
<b>Intanto Bersani s’è fatto avanti come possibile contendente alla leadership di Veltroni. Lei lo sosterrà dopo le europee, quando verrà il tempo del congresso?</b><br />
«Mi pare che Bersani abbia detto correttamente che oggi non ci sono candidature né congressi, ma un lavoro comune per affrontare al meglio europee e amministrative. Poi, è fin troppo banale dire che dopo il voto si discuterà. Siamo un partito, appunto, democratico».<br />
<b>
Lei però a dicembre parlò dell’amalgama ancora non riuscito. E più di qualcuno le attribuì il progetto di una nuova sinistra di matrice socialista nel dopo-Pd.</b><br />
«Le mie parole allora furono decontestualizzate e completamente falsate. Stavo replicando alla tesi che il Pd soffriva a causa di correnti verticali e ben strutturate. Mi sembrava una critica tranchant e, per di più, infondata. Ho risposto che l’amalgama ancora non c’è e che non bisogna confondere le correnti con i riflessi, peraltro un po’ confusi, delle appartenenze precedenti».<br />
<b>Resta il problema della rappresentanza politica della sinistra. Problema che non riguarda solo il destino di Ferrero e Vendola. Non le pare che il Pd si stia scoprendo a sinistra, come dimostra il gelo con la Cgil sulla riforma dei contratti?</b><br />
«La migliore tradizione della sinistra italiana è riformista. Senza questa storia, senza questa presenza il Pd verrebbe meno al suo progetto di unire i riformisti. Certo, la sinistra è uno degli affluenti del Pd. Ma il Pd non nasce per cancellarla. Al tempo stesso, è naturale che viva una sinistra fuori dal Pd, senza rivendicazioni di esclusive. E sono anche convinto che quest’area, nel suo complesso, non stia arretrando sul piano dei consensi».<br />
<b>E il rapporto con la Cgil?</b><br />
«Il Pd non deve sempre andare d’accordo con la Cgil. Io stesso ho avuto confronti duri quando ancora c’erano i Ds. Oggi però sono convinto che escludere il maggiore sindacato, non da un contratto di categoria, ma dalla riforma del sistema contrattuale, sia una forzatura e un errore. Sono convinto da molti anni che si debba riformare il modello contrattuale nel senso di accrescere il peso della contrattazione salariale nei luoghi di lavoro. Tuttavia, non mi convincono alcuni punti di merito, innanzitutto perché non mi sembra pienamente garantita per i lavoratori più deboli la difesa del potere d’acquisto del salario rispetto all’inflazione reale. E poi, perché detassare gli aumenti contrattati a livello aziendale e non anche quelli negoziati sul tavolo nazionale? Perché usare il fisco per dare di più a chi ha già di più e togliere a chi ha di meno?»<br />
<b>
L’accordo per fissare lo sbarramento al 4% alle europee sembra fatto. D’Alema voterà a favore?</b><br />
«Sono un parlamentare disciplinato che segue sempre le indicazioni del gruppo. Sull’accordo però vanno distinti due aspetti. Nel merito giudico il compromesso accettabile. Le preferenze sono rimaste a garanzia del potere degli elettori. E, anche se continuo a ritenere più giusta la soglia del 3% anziché il 4, prendo atto che il negoziato con Berlusconi non possa offrire di più. Accanto al merito però bisogna anche valutare gli effetti politici. E su questo ho più di una preoccupazione...».<br />
<b>Insomma, sta consigliando a Veltroni di fermarsi e rinunciare alla riforma.</b><br />
«Non ho compiti di direzione politica e rimetto le valutazioni al gruppo dirigente. Domando però se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con potenziali alleati alle amministrative, ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell’opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari. Se la decisione sarà di andare avanti, spero almeno che si attenuino alcuni aspetti tecnici dello sbarramento. Ad esempio, è ingiusto negare il rimborso a tutti coloro che non arrivano al 4%. Per il rimborso elettorale si può anche fissare una soglia più bassa. Democrazia è anche partecipare, provare. È giusto disincentivare le liste dello zero virgola. Ma non si può alzare un muro».<br />
<b>Lei ha parlato di potenziali alleati. Le alleanze sono motivo di divergenze strategiche nel Pd. Lei punta sempre su Casini e Vendola come interlocutori privilegiati?</b><br />
«Non si pone così il tema delle alleanze. Gli alleati non si possono reclutare alla maniera della marina britannica di un tempo: una botta in testa e via, arruolati. Non posso allearmi con chi non condivide il medesimo progetto. Il tema per il Pd non è allora quali alleati scegliere. Il tema è come preparare la sfida del governo. Che vuol dire: costruire un programma efficace e una coalizione credibile per realizzarlo. Alle elezioni il Pd era alleato con l’Idv. Non credo che oggi si possa lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv».<br />
<b>L’accordo sullo sbarramento potrebbe riproporre la tentazione dell’autosufficienza e del bipartitismo.</b><br />
«In Italia non c’è il bipartitismo. Alle ultime elezioni Lega e Idv hanno ottenuto incrementi persino maggiori di Pdl e Pd. Neppure in Europa c’è il bipartitismo, ma un bipolarismo fondato su due forze prevalenti. È questo l’approdo più razionale anche per le riforme. Intanto è bene che il Pd cominci a lavorare sui contenuti e ad aprire il confronto sui temi politici e istituzionali innanzitutto con le forze che oggi si trovano all’opposizione».<br />
<b>Ma Di Pietro è ancora un interlocutore plausibile dopo la reiterata polemica con il Presidente della Repubblica?</b><br />
«Di Pietro si proclama paladino dell’indipendenza della magistratura, ma sempre più si fa rappresentante di singoli magistrati e di singole Procure, talvolta schierate contro altri magistrati e altre Procure. Questo intreccio tra inchieste particolari e lotta politica è inquietante. Vedo che anche nel movimento di Di Pietro si colgono dei malumori per questo e per gli attacchi pretestuose e talora volgari al Capo dello Stato. Spero che Di Pietro si fermi, perché altrimenti diventerebbe impossibile ogni rapporto».<br />
<b>La riforma della giustizia è il terreno di un possibile incontro con il governo?</b><br />
«Dipenderà dalle proposte del governo. Sulle intercettazioni ha fatto bene a non modificare la lista dei reati, ma sbaglia a limitare le capacità investigative dei magistrati. Sarebbe meglio concentrarsi sulla tutela della privacy e sui limiti alle pubblicazioni. Sulla crisi più generale della giustizia il banco di prova riformatore è la rapidità del processo civile, oltre che la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Passa da qui una riforma nell’interesse dei cittadini. Ma allo stato mi pare che Berlusconi pensi ad altro».<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilmessaggero.it/stampa_articolo.php?id=44647">Il Messaggero - Claudio Sardo</a>Rosy BINDI: « Pd a rischio. Letta e Rutelli sbagliano tutto. Parisi? Non è Prodi» - INTERVISTA2009-01-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388425Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) - Vicepres. Camera <br/><br/><br />
<b>Rosy Bindi, da tempo non si esprime sul Pd. Anche lei crede che sia in pericolo?</b><br />
«Vedo sensibilità molto diverse su questioni fondamentali. Ieri Gaza. Oggi l'accordo sui contratti. Enrico Letta approva e afferma che siamo nel solco del governo Prodi. Sbaglia: noi l'accordo non lo siglammo, mai l'avremmo fatto senza la Cgil, e poi non eravamo in un periodo di crisi drammatica. Veltroni dice che l'accordo va bene ma la Cgil andava ascoltata. Sbaglia anche lui: in questi casi il metodo è il merito. Io sto con Ciampi: dividere i lavoratori in una fase come questa è imperdonabile, e il Pd deve denunciarlo, con una voce sola».<br />
<b>Obiettivo remoto.</b><br />
«In campo ci sono due strategie. Coloro che considerano il Pd come il compimento dell'Ulivo: un partito plurale, che però sa trovare una sintesi. E coloro che concepiscono il Pd come un partito di sinistra, che ha metabolizzato qualche cattolico democratico ... tipo la Bindi, che va benissimo perché è più a sinistra di qualcun altro; con pochi che vanno verso Casini, e tanti che vanno verso Vendola. Non a caso da una parte si vagheggiano nuovi partiti di centro, dall'altra Rina Gagliardi propone di fare un bel partito di sinistra con D'Alema».<br />
<b>E lei, Rosy Bindi?</b><br />
«Io continuo a credere nel progetto del Pd: l'inadeguatezza di una classe dirigente non deve cancellarlo. Di solito mi chiedono di parlare di Moro e Berlinguer; l'altro giorno invece mi hanno invitato a un convegno sul primo centrosinistra, e ho dovuto prepararmi su Moro e Nenni. E ho avuto la conferma che, ogni qualvolta si è tentato di unire i riformismi italiani, il progetto ha sempre avuto dei nemici. Anche il progetto del Pd ha molti nemici, esterni e forse non solo. Per questo lo dobbiamo difendere».<br />
<b>Veltroni lo sta facendo in modo adeguato?</b><br />
«Penso tuttora che Veltroni sia l'interprete più autentico del progetto originario. Però la sintesi è compito suo. E la sintesi non si fa con il "ma anche", né imponendo una posizione egemonica su un'altra».<br />
<b>L'egemonia pare quella degli ex diessini.</b><br />
«Ma io non accetto che, non riuscendo a far valere le proprie idee dentro il proprio partito, si debba cercare altrove la forza che non si ha. In ventiquattr'ore abbiamo scelto di mettere fine all'Unione; ora sarebbe sbagliato scegliere in ventiquattr'ore di ricreare l'unità a sinistra, come dicono alcuni ex diessini, o di allearci con l'Udc, come sostengono Letta e Rutelli. Non ha senso affidare il moderatismo all'accordo con altri: alla Cisl che sigla la riforma dei contratti, all'Udc che a Trento si allea con noi (per poi schierarsi con Berlusconi in Abruzzo e in Sardegna). Così come è sbagliato affidare i valori cristiani alle intemperanze dei teodem. Se i cattolici hanno bisogno di Buttiglione per contare nel Pd, significa che hanno fallito».<br />
<b>Parisi e i prodiani hanno assunto una posizione molto polemica verso il Pd.</b><br />
«Innanzitutto, nessuno è più prodiano di un altro. Prodi è Prodi. Non è ammutolito, scrive editoriali importanti sull'economia; nessuno può parlare a nome suo. Per me è di Prodi solo quel che firma Prodi».<br />
<b>Quanto a Parisi?</b><br />
«La nostra idea del Pd resta la stessa. Ma il suo atteggiamento non è produttivo. Limitandosi alla polemica e chiamandosi fuori dai momenti decisionali nella vita del partito, si preclude la possibilità di incidere».<br />
<b>Di Pietro vi sta portando via i voti degli antiberlusconiani duri e puri.</b><br />
«A Di Pietro un po' di umiltà non farebbe male. L'alleanza con lui è stata stretta dagli stessi che teorizzavano la vocazione maggioritaria. Ora stiamo attenti sia a non diventare subalterni a Di Pietro, sia a non trasformarci in una brutta copia della destra. Ad esempio sarebbe un grave errore farci trascinare a un accordo per vietare le intercettazioni, ascoltando Berlusconi che parla del "più grande scandalo" della Seconda Repubblica. Non vorrei diventasse il più grande mistero: un uomo che controlla 350 mila persone non è un semplice consulente di De Magistris».<br />
<b>I teodem non sono alleati ma fondatori del Pd.</b><br />
«Un partito riformista non si divide in clericali e ribelli. Sa dialogare tutto insieme con la Chiesa, come hanno saputo fare Sturzo, De Gasperi, Moro, Bachelet».<br />
<b>
Marini pare molto insoddisfatto degli allievi che ha messo ai vertici del partito, Franceschini e Fioroni.</b><br />
«Non è la prima volta che Marini non è contento delle persone su cui ha investito. Si è fidato di Martinazzoli, di Buttiglione, di D'Alema, di Rutelli, e ogni volta si è ricreduto. Se non altro sa cambiare idea...».<br />
<b>Da cattolica e da ex ministro della Sanità, cosa pensa del caso Eluana e dell'intervento della Bresso?</b><br />
«C'è una sentenza. Va applicata, nel modo più discreto possibile: le strutture sanitarie in Italia sono in grado di farlo. Per questo la Bresso ha sbagliato a dirlo. Ma l'intromissione del governo è inaccettabile: il dovere della politica è semmai fare una legge che regoli il testamento biologico senza introdurre l'eutanasia. E paradossale che il Pd si laceri nelle proprie divisioni anziché rilanciare il progetto e dare un contributo al Paese proprio nel momento in cui Berlusconi conferma la sua inadeguatezza».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KKG4L">Corriere della Sera - Aldo Cazzullo</a>Massimo D'ALEMA: Pd. D’Alema rompe la tregua: ora tocca a me2009-01-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it388152Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
L’ex premier spara a zero su Veltroni: "Troppi ritardi e incertezze. Anziché attaccarmi, doveva governare il Pd". Poi si fa avanti: "Per rilanciare il partito servono le maggiori personalità. Sono pronto a dare il mio contributo" <br />
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Roma - Il Pd non è «governato», attacca Massimo D’Alema. I suoi vertici si sono occupati di «demonizzare» lui, invece di risolvere i problemi e ora la «confusione» interna è tale che occorrerebbe una sorta di gabinetto di crisi, una «chiamata a raccolta» di tutti i dirigenti per rilanciare.
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Rompe un lungo silenzio, l’ex ministro degli Esteri, per farsi intervistare dalla «sua» Red Tv. Vuol soprattutto dire la sua sulla crisi di Gaza e le responsabilità di Israele, ma il giornalista ospite che lo intervista (il direttore del Riformista Antonio Polito) lo incalza sulla situazione non esattamente rosea del partito. E lui non si sottrae. La «tregua» chiesta da Walter Veltroni fino alle Europee? «Io sono già da tempo unilateralmente impegnato» a rispettarla, assicura Massimo D’Alema. E a testimonianza chiama in causa i quotidiani: «Se sfoglia i giornali, si accorgerà che non sono nelle cronache sulle difficoltà del Pd». <br />
Ma il dibattito interno è stato caratterizzato da polemiche «amareggianti», da «confusione e sensazione di mancanza di responsabilità da parte di diversi». In particolare, lui (D’Alema) si è troppo spesso sentito «tirato per i capelli attraverso cose che non avevo detto, complotti di fantomatici dalemiani». Categoria di cui, come si sa, D’Alema ha spesso smentito l’esistenza.
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La critica al gruppo dirigente veltroniano è pesante, l’accusa di D’Alema è di aver usato lui e le sue iniziative, «demonizzandole», come l’alibi di difficoltà che invece nascevano da ben altro: «È stato sbagliato, anziché affrontare i problemi del partito, alimentare una campagna per cui il Pd si trovava in una situazione splendida se non fosse per D’Alema che era cattivo, con le sue iniziative, le sue correnti, i suoi convegni». <br />
Invece di capire che «la fondazione (ItalianiEuropei, ndr) e la associazione (Red, ndr) sono una risorsa per il partito».<br />
Invece di prendersela con lui, insomma, «si doveva pensare a governare un po’ di più il Pd». Che invece sta pagando il fio di troppi «ritardi e incertezze».
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«Ora - conclude - è utile chiamare a raccolta le maggiori personalità del partito per pensare cosa fare per rilanciare il progetto». Davanti alle difficoltà del Pd Massimo D’Alema crede che la conferenza programmatica debba diventare l’occasione di un «rilancio del partito» e afferma: «Io sono pronto a un contributo, anche se non ho ricevuto chiamate».
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L’idea del «gabinetto di crisi» non piace affatto ai veltroniani: «C’è stata una direzione meno di un mese fa che si è conclusa unitariamente», sottolinea Goffredo Bettini. Ma il coordinatore politico del Pd, che proprio di impostare la conferenza programmatica di marzo si sta occupando, assicura che quella sarà «l’occasione per il rilancio, e coinvolgeremo tutte le personalità del partito, inclusi gli iscritti e gli esponenti della società civile, anche esterni al partito». Se ne discuterà oggi nella riunione del coordinamento del Pd, e Bettini è convinto che «convenga anche a Walter» avere da D’Alema e dalla sua Fondazione «il massimo di contributo» alla piattaforma da varare.
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Intanto un nuovo attacco al quartier generale arriva da Francesco Boccia, vicino ad Enrico Letta. Che se la prende con nuora (il solito Peppe Fioroni e le sue «cadute di stile» contro Soru, Zingaretti e lo stesso Letta) perché suocera Veltroni intenda: «Se Walter si fa rappresentare da Fioroni, come può stupirsi degli innumerevoli mal di pancia che ci sono?». Quel che succede nel Pd è «stucchevole», «l’apparato organizzativo» che Veltroni ha deciso «sembra una holding, incentrato su 4 persone», e «ha avuto una delega in bianco con i risultati che si vedono». Così Boccia auspica che «di qui alle Europee nessuno più fiati», a parte il segretario. Poi, annuncia, «si tireranno le somme». <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=320457&PRINT=S">Il Giornale - Laura Cesaretti</a>RENATO SORU: «Io mi sono dimesso per molto meno...» - INTERVISTA2009-01-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it387595Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Sardegna (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Sardegna (Lista di elezione: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) <br/><br/><br />
«Si sono riviste persone che rappresentano il vecchio»<br />
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Il Governatore della Sardegna Renato Soru non vorrebbe parlare di tutto quello che sta accadendo nel suo partito, il Pd. Vorrebbe parlare solo della sua campagna elettorale, «della sfida durissima che stiamo conducendo per riuscire a vincere le elezioni di metà febbraio, di fronte a una destra molto combattiva, con il suo leader che è sceso in campo direttamente qui da noi invece di occuparsi delle gravi emergenze internazionali che angosciano il mondo e che tengono impegnati tutti gli altri capi di governo...».<br />
<b>Però, Governatore, non esiste solo la Sardegna, il Partito democratico è al centro di un terremoto politico e giudiziario, qualcosa da dire ce l’avrà anche lei?</b><br />
«Intanto sono un Governatore uscente, perché non è affatto detto che riusciremo a vincere. Come le spiegavo, qui il centrodestra sta mobilitando tutti i mezzi a sua disposizione, e sono tanti, per riuscire a ribaltare la situazione, a cominciare appunto dal premier che ha annunciato che sarà in Sardegna per nove volte: un record».<br />
<b>E secondo lei perché tutto questo interesse?</b><br />
«Perché vogliono dimostrare che il centrosinistra non è capace di governare, esattamente il contrario di quello che vogliamo dimostrare noi».<br />
<b>
Nel frattempo però nel Continente, come chiamate voi l’Italia, il Partito democratico non gode di ottima salute. Prendiamo il caso Napoli, lei al posto di Bassolino o della Iervolino si sarebbe dimesso?</b><br />
«Posso risponderle solo così: io mi sono dimesso per molto meno. Dopo di che, ognuno decide per conto suo, non voglio giudicare gli altri».<br />
<b>Ma allora come spiega che Veltroni sta spedendo commissari in molte regioni, soprattutto quelle colpite dalla questione morale?</b><br />
«Perché dopo un inizio promettente, le primarie, la grande partecipazione di forze nuove, di giovani che si sono affacciati alla politica sull’onda della proposta e della speranza suscitata da Veltroni, abbiamo subito un rinculo, un contraccolpo, una vera e propria involuzione».<br />
<b>Cioè, che cosa è successo?</b><br />
«Che vecchie forze, vecchi personaggi, gente destinata ormai a uscire di scena è tornata alla ribalta e si è ripresa un pezzo di potere che non le spettava. E qui si sono riviste persone che rappresentano la parte meno nuova e meno proponibile del Pd. A livello nazionale e qui da noi».<br />
<b>
Al di là dei nomi che Soru non vuole fare, nasce così la questione morale?</b><br />
«Certo, quando si rinuncia alla politica, quando non ci si impegna in un lavoro lungo e faticoso, ricompaiono le scorciatoie. Gli egoismi, le piccole furberie di chi lascia fare abusi edilizi, di chi inquina o lascia inquinare, di chi evade le tasse e favorisce l’evasione... Ma il nostro dovere è di contrastare questa deriva, questa involuzione».<br />
<b>Ma lei non ha l’impressione che l’intero progetto del Partito democratico rischi di fallire?</b><br />
«Neanche per sogno, sarebbe un disastro per l’Italia».<br />
<b>Nelle scorse settimane è stato fatto anche il suo nome tra i possibili successori di Veltroni nel caso si decidesse di cambiare leader. Lei sarebbe disponibile?</b><br />
«Io mi sono appena ricandidato a guidare la Sardegna e spero di farlo per i prossimi cinque anni».<br />
<b>Neanche se la Patria chiama?</b><br />
«La mia piccola Patria è la Sardegna».<br />
<b>Ma secondo lei la leadership di Veltroni è salda?</b><br />
«Guardi, io non sono molto esperto di queste questioni. C’è stata un’importante riunione della Direzione del Partito che ha confermato la fiducia al segretario. Ci voglio credere».<br />
<b>
Vi sentite spesso con Veltroni?</b><br />
«Mi ha chiamato anche stamattina (ieri, ndr), mi ha incoraggiato per la campagna elettorale: abbiamo parlato solo di questo. E mi è arrivato anche un gradito messaggio di Di Pietro».<br />
<b>Ultima domanda: la sua «Unità» come va?</b><br />
«Me ne tengo lontano, la compro, la leggo ma non telefono mai al direttore e tantomeno agli amministratori».<br />
<b>Almeno le piace?</b><br />
«Molto. Prima non la leggevo, adesso invece sì». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KDTUU">La Stampa - Riccardo Barenghi</a>SERGIO CHIAMPARINO: «I vertici Pd? Distanti e inadeguati» - INTERVISTA2009-01-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383574Alla data della dichiarazione: Sindaco Comune Torino (TO) (Partito: PD) <br/><br/><br />«Sbagliato non condannare politicamente la gestione della vicenda rifiuti in Campania. Il problema etica esiste. Ce l'ha pure Di Pietro, che ha dimostrato che la raccomandazione non è mai morta».<br />
<br />
<b>Sindaco Chiamparino, nel Pd si è aperto l’ultimo fronte. Dopo la querelle sul fatto che il partito è stato a lungo schiacciato sulle posizioni di Di Pietro e il dibattito sulla questione morale, ci si mette anche il presidente della Provincia di Trento Dellai. Dice che il Pd è «un partito socialista dove la cultura del popolarismo è sparita». Cosa ne pensa?</b><br />
«Socialista? Potessi rispondere con una battuta direi “magari!”».
<br />
<b>Non è d’accordo?</b><br />
«Guardi, penso che Dellai abbia voluto dare due messaggi. Da una parte, forte del successo elettorale, cerca di spostare il baricentro del Pd più al centro. E dall’altra sottolinea la necessità di una vera autonomia territoriale rispetto ai vertici centrali del partito».<br />
<b>Un suo pallino da tempo...</b><br />
«Credo sia arrivato il momento di uscire dagli schemi politici del ’900. Serve grande attenzione per il territorio e su questo punto ci misureremo a breve, quando si riunirà il coordinamento del Nord».<br />
<b>Cosa si aspetta?</b><br />
«Capiremo se è possibile avere un’autonomia reale rispetto ai vertici centrali che sentiamo distanti e inadeguati oppure se il coordinamento non sarà altro che un altro livello interno al Pd per trasmettere le direttive che arrivano dal centro».<br />
<b>Si dice che Veltroni non ne sia entusiasta perché perderebbe potere sul partito...</b><br />
«Questo non lo so. Di certo, la nostra esigenza è reale e per ora nessuno si propone scissioni nel Pd».<br />
<b>
E nella stessa direzione va l’idea di un direttorio che affianchi il segretario?</b><br />
«Continuo a pensare che sia la via da seguire per gestire la delicata fase delle elezioni. Un direttorio che si affianchi ai leader storici del partito così da conciliare la massima autonomia sul territorio (sui programmi e sulle alleanze, vedi Dellai) e la massima unità a livello centrale (dando l’immagine di un partito che lavora in una sola direzione per tutto il Paese).<br />
<b>Non sarà che si vuole commissariare Veltroni?</b><br />
«Assolutamente no. Da una parte c’è una leadership individuale come quella di Berlusconi che ha le sue peculiarità, dalla nostra c’è invece l’esigenza di una leadership collettiva».<br />
<b>
Dellai dice che il Pd è troppo a sinistra, altri sostengono che è schiacciato su Di Pietro. Faticate a trovare una vostra identità?</b><br />
«Non mi pare che siamo così appiattiti su Di Pietro, al di là di quel che ripete come un mantra Berlusconi. Certo, delle incertezze le abbiamo avute. Anche perché da dopo le elezioni l’Idv non ha mai mantenuto gli impegni presi, a differenza nostra. Ma bisogna uscire dallo schema per cui l’alternativa al centro è Di Pietro perché c’è tutta un’area culturale di sinistra (dal sindacato alla sinistra radicale) che è ben più importante dell’Idv. Il punto è che è arrivato il momento che il Pd trovi un suo profilo autonomo».<br />
<b>Le inchieste giudiziarie potevano essere un’occasione. Ma siete andati in ordine sparso, prima difendendo la magistratura e ora prendendone le distanze...</b><br />
«Ci siamo trascinati dietro l’immagine del partito schiacciato sulle posizioni della magistratura qualsiasi cosa accada. Un errore, perché rispettare i giudici non vuol dire non poter discutere».<br />
<b>Cosa si sarebbe aspettato dai vertici del Pd?</b><br />
«Una netta distinzione fin dall’inizio tra l’aspetto giudiziario e quello dell’etica pubblica. Nel primo caso, con procedimenti in corso, è necessario il massimo del garantismo. Nel secondo, invece, pur non trattandosi di comportamenti delittuosi bisogna condannare il malcostume di intrecci affaristici poco trasparenti o atteggiamenti spregiudicati».<br />
<b>Un esempio?</b><br />
«La vicenda della Campania, dove un’intera comunità non è riuscita a smaltire i rifiuti. Sul fronte giudiziario bisogna aspettare la conclusione delle inchieste, ma è impossibile non dare un giudizio politico netto, a cominciare dagli stessi interessati. Serve una svolta chiara e comprensibile all’opinione pubblica».<br />
<b>Bassolino è rimasto al suo posto, la Iervolino si prepara a un rimpasto. Pensa che sia «comprensibile» per l’opinione pubblica?</b><br />
«Mi pare una sfida molto difficile, ma è giusto che ognuno si assuma le sue responsabilità. Se la Iervolino si sente in grado di poter dare un segnale di forte rinnovamento in questo modo, vada avanti e aspetteremo i fatti. È chiaro che con un fallimento le responsabilità diventeranno ancora più grandi».<br />
<b>
Che idea si è fatto delle inchieste che hanno coinvolto il Pd negli ultimi mesi?</b><br />
«Quello che è successo a Pescara con lo stesso giudice che su D’Alfonso ha cambiato parere nel giro di una settimana è surreale e mi ha fatto correre un brivido sulla schiena. E anche su Del Turco aspetterei, non escludo qualche clamoroso errore giudiziario. Poi ci sono anche casi indubbiamente da verificare e che sono il sintomo di un problema di etica pubblica che non riguarda solo il Pd».<br />
<b>
Per esempio?</b><br />
«È così trasversale che c’è dentro anche un partito ipergiustizialista come quello di Di Pietro. Che ha dimostrato come l’italianissima raccomandazione non sia mai morta».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KCWOU">Il Giornale - Adalberto Signore</a>Massimo D'ALEMA: «No alle riforme di Berlusconi: velleitarie e improbabili» - INTERVISTA2008-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383178Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Presidente D’Alema, l’Istat non è ottimista come Berlusconi: un milione di famiglie non ha i soldi per mangiare...</b><br />
«La situazione è estremamente grave e io credo che bisogna mettere al centro una crisi sociale ed economica senza precedenti. Sono oltre tre milioni i precari che rischiano di non veder confermati i loro contratti. Di fronte a questa realtà il governo ha deliberatamente deciso di non far nulla... ».<br />
<b>Sacconi vuole la settimana corta...</b><br />
«Si avanza qualche proposta anche ragionevole, ma siamo ai pannicelli caldi rispetto ai programmi imponenti di altri Paesi. Noi siamo agli appelli di Berlusconi al buon umore. Il governo è paralizzato dai contrasti e sottovaluta gravemente la situazione»<br />
<b>
La crisi è stata al centro della direzione Pd di venerdì scorso...</b><br />
«Veltroni ha indicato problemi e soluzioni. Mi pare un progetto importante quello di dedicare un punto di Pil a una grande manovra anti crisi fatta di misure sociali, sostegni allo sviluppo e investimenti. A queste proposte Berlusconi ha risposto lanciando improbabili e velleitarie riforme della Costituzione».<br />
<b>Annunci che non avranno seguito, quindi, quelli sul presidenzialismo?</b><br />
«Faccio notare che pochi minuti dopo la dichiarazione del premier Bossi ha detto “non se ne parla neanche”. E, comunque, già 10 anni fa abbiamo tentato di fare una riforma delle istituzioni che prevedeva, tra le altre cose, l’elezione diretta del Capo dello Stato. Berlusconi, poi, si è tirato indietro».<br />
<b>Niente riforme condivise, quindi?</b><br />
«Se si vuole affrontare con serietà il tema il punto di partenza è la bozza Violante. Da quel documento abbiamo preso le mosse per la proposta delle fondazioni, che rimane il testo più serio e condiviso per riforme costituzionali e legge elettorale».<br />
<b>Il governo annuncia per imminente la riforma della magistratura...</b><br />
«Non c’è dubbio che in questo paese ci sia bisogno di una giustizia più veloce ed efficiente, ma le riforme prospettate da Berlusconi peggiorano i mali. Non credo, infatti, che la risposta sia nella separazione delle carriere, che porterebbe i pm a essere ancora di più un potere separato. Abbiamo bisogno, invece, che la cultura della giurisdizione orienti e spinga le procure a muoversi con efficacia, ma anche con senso della misura e saggezza. Le vicende di questi anni ci spingono alla fiducia, ma anche alla cautela. Sono troppi i casi in cui al clamore delle indagini fanno seguito proscioglimenti clandestini che non restituiscono alle persone e alle istituzioni alcun risarcimento per il danno subito».<br />
<b>
Un rischio presente anche nelle inchieste di Napoli e Pescara?</b><br />
«Spero si accerti che non sono stati commessi degli illeciti e che la magistratura, nello svolgimento sereno e indipendente del proprio lavoro, possa arrivare a queste conclusioni. E mi pare che, in qualche caso, si vada ridefinendo e ridimensionando la portata delle accuse. Anche per questo, prima di formulare un giudizio definitivo sulla politica, o sul Pd, vale la pena di attendere e valutare».<br />
<b>Ma non è evidente il venir meno di una tensione etica nella politica?</b><br />
«Certo e io non lo sottovaluto affatto. Ma questo aspetto non può essere confuso con quello giudiziario. La reazione all’emergere di concezioni della politica assai discutibili non può essere affidata alle procure della Repubblica. L’unico rimedio, qui, è avere un partito vero. Un partito forte è in grado di sapere, nella gran parte dei casi, se un amministratore sotto inchiesta è una persona perbene oppure no. Perché lo conosce, ne segue il lavoro e lo giudica quotidianamente. Sa, cioè, se bisogna difenderlo o no, sempre in un rapporto corretto con i magistrati. Il venir meno di questa forma fondamentale di vita della democrazia alimenta solitudini e visioni personalistiche della politica. Anche per questo abbiamo iniziato a riflettere sulla primarizzazione della vita interna del Pd. Se perfino per fare il segretario di sezione devi farti la campagna elettorale, il rischio di sprofondare nella logica dei potentati personali diventa fortissimo».<br />
<b>Basta costruire il partito per evitare l’emergere di una questione morale, quindi?</b><br />
«L’idea che il Pd sia travolto dalla questione morale non l’accetto. Oltre che con la costruzione del partito, all’emergere di casi di malcostume si deve rispondere con una radicale riforma della politica che dovrebbe partire, a mio giudizio, da una drastica riduzione del ceto politico, che ne aumenterebbe l’autorevolezza e che rafforzerebbe anche i poteri di controllo delle istituzioni».<br />
<b>
Lei batte sul tasto del partito, la direzione ha dato un segnale chiaro...</b><br />
«Abbiamo avuto una riflessione critica sul partito, ma al contrario ho letto ricostruzioni sconcertanti».<br />
<b>
Lei ha parlato di amalgama mal riuscito...</b><br />
«Le frasi vanno lette nel loro contesto. Walter per primo ha denunciato una situazione di difficoltà indicando come causa il correntismo. Io, condividendo la preoccupazione, ho detto che vedo più il rischio dell’anarchia e della frantumazione. Il correntismo sarebbe, a suo modo, un ordine discutibile ma un ordine. L’unico modo per amalgamare le forze è quello di fare un partito vero. Ma se a livello centrale e periferico si incontrano i dirigenti ex Ds da una parte e quelli ex Margherita dall’altra, riunioni che io non promuovo e alle quali non partecipo, debbo desumere che fin qui la fusione non è perfettamente riuscita. Spero che siamo alla vigilia di un’azione energica perché questi fenomeni non ci verifichino più».<br />
<b>
Per Veltroni la fusione è avvenuta nel popolo del Pd...</b><br />
«Non sono in disaccordo con lui. Ma un partito è anche fatto di gruppi dirigenti e questa fusione dobbiamo determinarla anche a quel livello».<br />
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E c’è molto da fare anche sul rinnovamento...</b><br />
«Io ho già dato il buon esempio: non faccio parte di nessun organismo di partito e, quindi, non difendo posti che non ho. In questi mesi ho promosso 37 iniziative di livello nazionale e internazionale, seminari di grandissimo rilievo. Non avrei avuto il tempo per organizzare correnti. Ho un alibi: l’enorme mole di lavoro prodotto da un centro di cultura riformista come ItalianiEuropei. Acceleriamo il rinnovamento, comunque. E cerchiamo di mettere i giovani che hanno delle idee innovative in condizione di poter giocare la loro partita. Ma non usiamo questo tema strumentalmente in chiave di polemica tra noi coetanei che veniamo da una stessa generazione».<br />
<b>Si riavvia il Pd, quindi?</b><br />
«La relazione di Veltroni ha offerto una base seria di discussione. C’è stato un dibattito vero. La Direzione ha rappresentato un passaggio positivo da cui ripartire. Adesso spetta al gruppo dirigente e al segretario unire tutte le forze perché lavorino insieme».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=KACMB">l'Unità - Ninni Andriolo</a>VALTER VELTRONI: "Cambiamo o sarà il fallimento"2008-12-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383130Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Riuniti gli stati generali. Il leader: "Siamo un partito di gente perbene". Cresce la fronda anti-Idv: "Troppo diversi da noi. Così sembriamo l’Unione"
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Tesi, antitesi e sintesi finale unanime: la direzione del Pd, convocata da Walter Veltroni nel pieno della tempesta di queste settimane, segue il copione di sempre. Lui, il segretario, intona il canto.
<p>L’altro, Massimo D’Alema, gli fa il controcanto infilando tra le righe critiche pesanti. Alla fine, come se nulla fosse, si vota tutti insieme.<br />
C’è da dire, però, che dopo un anno di dispetti, sgambetti e messaggi trasversali attraverso i giornali, ieri il Pd ha vissuto il suo primo dibattito aperto e «fuori dai denti», come dice Nicola Latorre, in una sede politica ufficiale.
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<b>L’alternativa, per il Pd, è «secca e drammatica»</b>, avverte Veltroni aprendo i lavori. «O innovazione o fallimento». Il segretario difende con orgoglio la sua creatura: «Siamo un partito di persone per bene», e «per i disonesti non c’è posto nel Pd». Si ribella alla «immagine deformata e ingiusta» che ne dà l’informazione, atttraverso «il quotidiano bollettino delle inchieste».<br />
Avverte di essere «pronto a pagare anche un prezzo elettorale», pur di eliminare le mele marce. «Se non innoviamo, saremo travolti». E invoca il «ricambio» e annuncia di voler preparare «un forte avvicendamento con una nuova generazione». Nel frattempo, alla fronda interna chiede «maggior spirito di squadra», perché altrimenti il Pd «rischia di diventare come l’Unione, paralizzata dalle differenziazioni e che segava l’albero su cui era seduta». Quanto alle inchieste, Veltroni ribadisce la consueta «fiducia nella magistratura», che però deve saper usare il suo «grande potere» con una «grandissima responsabilità».
<p> Riforma della giustizia? «Non cambiamo linea», annuncia: se ne può discutere, ma va trattata con i magistrati. E Di Pietro? Nessuna rottura: «Siamo diversi e l’ho già detto più volte. Questo non significa che a livello locale non si possano trovare convergenze». La mozione con cui Marco Follini aveva chiesto di escludere «un’alleanza politica generale» con l’ex pm viene bocciato. Ma D’Alema si astiene.<br />
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Apre il dibattito la neodeputata Alessandra Siracusa, e i toni sono subito cupi: «raptus autodistruttivo» del Pd, «venticelli velenosi» che circolano all’interno, ma attenti che «dopo il Pd non c’è niente». Segue Alfredo Reichlin, e inizia il controcanto al nuovismo veltroniano: «Attenti a non esagerare con queste chiacchiere sul nuovo, perché se buttiamo a mare le nostre storie cosa resta?». Gianni Cuperlo attacca duramente il «giustizialismo populista» di Di Pietro, e denuncia il «deficit di autorevolezza» dei «nuovi» dirigenti dell’era veltroniana, l’eccesso di «cooptati per fedeltà». Latorre picchia duro anche lui su Di Pietro («Non mi spiego perché gli abbiamo regalato la guida della coalizione in Abruzzo») e sul «nuovismo». <br />
<b>Chiamparino</b> denuncia la «frammentazione correntizia, che diventa mero sistema di potere», il rischio che il Pd «non sia più percepito come uno strumento utile» e quello che dopo le Europee «salti l’idea costituente di Pd, e ognuno se ne vada per conto suo». Bersani demolisce «l’utopia distruttiva di un partito in presa diretta con la società». E si «stupisce dello stupore perché ci si è accorti che le primarie sono diventate delle microfeudalizzazioni». Si appella alla «solidità delle nostre radici» contro una «innovazione che non si sa cos’è».
<p> E infine interviene D’Alema col suo do di petto. Il Pd? «Un amalgama mal riuscito», magari il problema fossero le correnti: «Almeno ci sarebbe un ordine». Le attuali difficoltà non nascono dalle inchieste: «La questione giudiziaria diventa morale quando si associa a una crisi politica», per questo il Pdl (che non è in crisi politica) non ne risente. Berlusconi «ha un’idea di Italia, una gerarchia di interessi e di rapporti» che al Pd mancano. E se il Pd resta con Di Pietro «si condanna al minoritarismo». D’Alema respinge aspramente la «dialettica vecchio-nuovo» veltroniana: «se mai è dialettica onesto-disonesto». Il problema è che «serve un partito vero», che sappia selezionare i dirigenti e «anche difendere chi va difeso». Se si vuol affrontare la crisi, oltre alla «innovazione serve anche autorevolezza». Che evidentemente manca.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=315723&PRINT=S">Il Giornale - Laura Cesaretti</a>Riccardo VILLARI: I democrat imparino da Fiorello - INTERVISTA2008-12-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383128Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: CN) - Pres. commissione Senato Vigilanza Rai (Gruppo: Misto) - Senatore (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
«Sono addolorato».<br />
<b>Ma come, presidente Villari, non gode a vedere com’è il partito che lo ha espulso?</b><br />
«No. Perchè il Pd è ancora, e sempre sarà, la mia casa».<br />
<b>I padroni di casa si tirano i piatti?</b><br />
«Ma senza il coraggio e l’umiltà di mettersi in discussione. Quasi nessuno fa autocritica. Si credono intoccabili. Si auto-promuovono per cooptazione, quando invece io sono stato votato, e molto, alle primarie».<br />
<b>Lei un eletto del popolo e loro dei mandarini?</b><br />
«Quanti voti ha preso in Sicilia la Finocchiaro, che poi è stata fatta presidente del gruppo al Senato? Pochissimi. Chi sono quelli della corte di Veltroni? Gente senza radicamento. Anonimi. Sconosciuti. Sanno solo sentenziare. Poi arrivano nei territori e nessuno li conosce. Sa qual è la cosa che più mi fa male?».<br />
<b>No.</b><br />
«Vedere il nostro partito che non riesce a darsi una radice popolare. Il Pd è elitario e autoreferenziale. Pensano agli organigrammi. Fanno piccola tattica....».<br />
<b>Mentre lei fa grande politica?</b><br />
«Io dico che vanno recuperati il profilo valoriale e il progetto politico».<br />
<b>L’unico immacolato è lei, per questo l’hanno espulsa?</b><br />
«Non dico questo. Dico che io l’autocritica la faccio. Mentre Veltroni e altri, no. La colpa di quello che sta succedendo di chi è: degli amministratori napoletani, degli elettori abruzzesi?».<br />
<b>
Se il popolo non ti vota va cambiato il popolo e non il vertice del partito, diceva Brecht. L’hanno preso in parola?</b><br />
«Quella è una compagnia di giro che si passa vicendevolmente le poltrone. E sta sentendo il tono di voce con cui le sto parlando?».<br />
<b>Non scoppi a piangere.</b><br />
«No. Ma a me che credo in un partito popolare e riformista, questa situazione procura sofferenza. C’è un peccato originale. Quello di voler somigliare a Berlusconi. Facendo un partito dove non ci si parla e si danno e ricevono soltanto ordini. L’autoritarismo non dovrebbe far parte del nostro Dna».<br />
<b>
Lo dice proprio lei che viene accusato di intendersela col Cavaliere?</b><br />
«Berlusconi esclama spesso: io questo Villari non lo conosco. Dice il vero. Ma ciò che è più paradossale è che io non ho mai parlato personalmente con Bettini. Eppure, l’avrei voluto fare».<br />
<b>Ma nel Pd le chiacchiere sono troppe, non poche.</b><br />
«Manca la discussione vera. Non ci conosciamo. Non c’è fraternità. E al vertice del Pd siede troppa gente che sta solo sui giornali e non conosce la realtà. Sono degli zombie».<br />
<b>Pure D’Alema, pure Rutelli?</b><br />
«Dell’uno ho apprezzato che s’è candidato in Campania, mettendo la propria faccia in una battaglia difficilissima. Di Rutelli apprezzo l’autocritica su come è stata gestita la vicenda della Vigilanza Rai».<br />
<b>Di Pietro vi si mangerà?</b><br />
«Ha molto appetito nei nostri confronti».<br />
<b>Ma perchè «nostri»: lei è fuori!</b><br />
«Aspetto di essere risarcito».<br />
<b>
E ora «lardo ai giovani»? Cioè diamo un po’ della ciccia del potere ai 30-40enni?</b><br />
«Di solito vengono cooptati, mandati in Parlamento e di loro si perdono le tracce. E invece, sarebbe educativo favorire il ricambio, mandando i giovani sul territorio a farsi le ossa, a imparare il linguaggio delle periferie. Fiorello mica ha esordito su RaiUno in prima serata! Ha fatto la gavetta nei villaggi turistici». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=K92W2">Il Messaggero - Mario Ajello</a>ANDREA FERRAZZI: «I giovani in politica devono essere capaci di farsi spazio» - INTERVISTA2008-12-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383140Alla data della dichiarazione: Vicepres. Provincia Venezia (Partito: DL) - Assessore Provincia Venezia<br/><br/><br />
Mai come in questo periodo è attuale (e preziosa) la Scuola Veneta di Politica visto il monito del segretario nazionale Walter Veltroni: “Nel PD innovazione o fallimento”. Andrea Ferrazzi, responsabile regionale della formazione, sottolinea proprio questo aspetto: «C’è bisogno oggi più che mai di una nuova classe dirigente – afferma - Ne ha bisogno il Partito Democratico e ne ha bisogno tutta la politica italiana».<br />
<b>Ferrazzi, a due mesi dal seminario d’avvio, come sta andando la Scuola?</b><br />
Abbiamo avuto più del doppio di iscrizioni rispetto a quelle previste. 140 iscritti, un’età media di 32 anni, molte donne. Registriamo una grande partecipazione, un grande entusiasmo da parte dei ragazzi.<br />
<b>I giovani stanno dunque reagendo bene…</b><br />
Sì, chiedono di partecipare di più, tanto che stiamo pensando di creare un’associazione. C’è grande desiderio di approfondire gli argomenti. Con questa voglia di partecipazione, i giovani dicono no alla politica sterile e sì alla politica concreta. Le discussioni finiscono sempre dopo l’orario stabilito e i docenti sono sempre più motivati visto l’interesse dei ragazzi.<br />
<b>Avete già assegnato gli stages?</b><br />
Gli stages sono previsti per febbraio quindi stiamo partendo in questi giorni con l’organizzazione.<br />
<b>
Sono emerse delle proposte che saranno prese in considerazione dai vertici?</b><br />
Stiamo già approfondendo la fattibilità di alcune iniziative come la costituzione dell’associazione e l’organizzazione di ulteriori laboratori di approfondimenti tematici. Inoltre stiamo valutando la possibilità di permettere ai ragazzi di partecipare ad alcune fasi della politica attiva, come le riunioni di coordinamento ad esempio.<br />
<b>Quali sono le possibilità concrete di futuri sbocchi nel mondo della politica per i giovani dopo la Scuola?</b><br />
Gli sviluppi futuri dipendono da due fattori: da quanto spazio lascia il sistema e dalla loro capacità di ricavarsi gli spazi. Di certo c’è che il rinnovamento è necessario e improcrastinabile. I ragazzi devono imparare a fare squadra, creare un patto generazionale come punto di forza. Non devono limitarsi a rivendicare, ma determinare i processi di cambiamento in maniera continuativa per creare una nuova classe dirigente.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=597">Uff. Stampa - web site - Pd Veneto</a>Gianfranco FINI: Se qualcuno pensa di salvarsi dal discredito sbaglia2008-12-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383104Alla data della dichiarazione: Pres. Camera (Lista di elezione: PdL) - Deputato (Gruppo: FLI) <br/><br/><br />
"I Partiti devono rivedere i loro ruoli" <br />
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Roma - Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è molto attento, per sua stessa ammissione, alla cosiddetta questione morale e sostiene che "se oggi in Italia c'è qualcuno che pensa di salvarsi dal discredito mentre gli altri naufragano, ha fatto male i suoi conti". <br />
Intervenendo a un corso di formazione politica dei giovani del Pd, oggi a Roma, Fini sottolinea infatti la necessità di un colpo di reni da parte di tutta la classe politica, una "spinta" che deve partire dal fissare le regole di come e dove si sceglie la classe dirigente. <br />
"La politica di responsabilità su questo ne ha: ad esempio - dice il presidente della Camera - nei partiti, in tutti, c'è un eccesso di giovanilismo verbale. Siccome si è coscienti del distacco fra i giovani e il mondo istituzionale - spiega - si fanno tante belle dichiarazioni e prese di posizione", ma poi rimane soltanto la logica della cooptazione, che può avere successo "soltanto se chi coopta è illuminato". <br />
Poi, c'è il problema della questione morale vera e propria: "La selezione di chi deve essere chiamato ad amministrare la cosa pubblica non può essere lasciata al caso. I partiti devono predisporre una classe dirigente capace di confrontarsi con i problemi che ha chi amministra a livello locale e chi ha invece compiti politici nazionali, come parlamentari e ministri, e devono chiedersi quali sono le logiche con cui si entra a far parte della classe dirigente, altrimenti si rischia di rimanere ancorati alla logica della cooptazione". <br />
Infine, per Fini c'è la necessità che "negli statuti dei partiti sia ben chiaro dove e come si decide". <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.apcom.net/newspolitica/20081219_165700_51f4334_52738.html">Apcom</a>Arturo Mario Luigi PARISI: «Ma in democrazia chi perde passa la mano» - INTERVISTA2008-12-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383079Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«La fiducia che i cittadini hanno nella magistratura mi porta a escludere che ci possa essere un disegno. Penso che le coincidenze siano nella percezione e nella comunicazione più che nella realtà». A preoccupare Arturo Parisi, esponente ulivista del Pd, è molto di più la crisi politica del suo partito che non il susseguirsi di avvisi di garanzia.<br />
<b> La questione morale, però, non riguarda solo la sinistra ma sembra legata a un progressivo scollamento tra una dimensione etico-civica e l’attività politica.</b><br />
«Se i casi sono giudiziari lasciamoli ai magistrati, per rispetto di tutti. Se la questione è morale, invece, è bene che siano le persone a fare ognuna per sé l’esame di coscienza, evitando di battere il mea culpa sul petto del vicino. E allora ce n’è per tutti. Ci vorrebbe pure che la morale facesse questione solo per la sinistra!»<br />
<b> Il Pd saprà affrontare la situazione? E gli inquisiti si faranno da parte?</b><br />
«Che c’entrano gli inquisiti! Innanzitutto i fatti contestati si riferiscono quasi sempre a un tempo passato. La crisi del Pd è essenzialmente politica. Dopo aver detto che intendevamo non solo fondare un nuovo partito ma un partito nuovo, non siamo riusciti a spiegare ai cittadini in cosa consistesse questa novità. Ma quel che è peggio, ci rifiutiamo di capire che è per questo che i cittadini non ci hanno premiati e ora vanno abbandonandoci».<br />
<b> Le difficoltà non saranno solo colpa di Veltroni...</b><br />
«Ognuno di noi ha la sua parte di responsabilità, a cominciare da me. Veltroni, come ogni guida di turno, si trova tuttavia a dar conto del cammino lungo il quale ha guidato il partito. Nelle democrazie moderne, a cominciare da quella americana che tanto piace a Veltroni e a me, si è affermata la regola che chi perde passa la mano. Semplicemente, senza troppe discussioni. Solo così si può chiudere con le recriminazioni sul passato e riaprire la prospettiva del futuro».<br />
<b> Veltroni parla di maggiore innovazione. Significa anche cambiare il vertice del Pd?</b><br />
«Non condivido l’idea che la distinzione tra il vecchio e il nuovo sia di natura penale e ancor meno morale, bensì politica. Come in ogni campo, anche in politica nuovo è chi sostiene la necessità di cambiare e vecchio chi ritiene che sia meglio continuare come prima. Anche se Veltroni è stato sconfitto, considerato che ha ritenuto che per il Pd fosse arrivato il tempo di fare da soli, è certo più nuovo di me che ritenevo e ancora ritengo valida l’esperienza dell’Ulivo. Non per questo i nuovi possono vantare una moralità superiore o un maggiore rispetto delle regole».
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=K89KH">Il Mattino - Maria Paola Milanesio</a>Luciano VIOLANTE: Non fermiamo la riforma della giustizia2008-12-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it383077<br />
La direzione del Partito democratico si riunirà domani.<br />
Discuterà certamente delle difficoltà politiche ed organizzative del partito, ma non potrà ignorare le in inchieste che stanno colpendo molti suoi amministratori.<br />
Le due questioni, quella politico-organizzativa e quella giudiziaria non sono tra loro indipendenti; la seconda è la conseguenza della prima.
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Tutti siamo presunti innocenti sino a sentenza definitiva. Ma questo vale nei tribunali. In politica la responsabilità è oggettiva: bisogna farsi da parte quando si interrompe il rapporto di fiducia con i cittadini e quando cessa la credibilità personale e politica. Il sindaco di Pescara lo ha fatto ed è stata una decisione saggia. Altri dovrebbero seguirlo. Tuttavia il Partito democratico non può trincerarsi dietro alcune singole dignitose decisioni individuali perché è in discussione il modello di partito.
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Le organizzazioni regionali e provinciali del partito non devono essere lasciate a sé stesse. La scelta del governo ombra ha separato il gruppo dirigente nazionale dal resto del partito. I ministri ombra, come i ministri veri, non si occupano del partito ma della attività parlamentare e del rapporto maggioranza-opposizione in relazione ai singoli temi. Conseguentemente sono scomparsi quelli che nei grandi partiti erano i responsabili di settore, dirigenti politici chiave di una forza politica che aiutava la crescita sul territorio, acquisiva idee, entrava in contatto con energie fresche, costruiva un ramificato rapporto con settori della società, del mondo del lavoro e delle professioni. I responsabili locali, quando c’era un problema, un segnale di allarme, una preoccupazione ne parlavano con il responsabile centrale. A quel punto il centro sapeva cosa accadeva in periferia e la periferia aveva indicazioni di comportamenti dal centro. Il ministro ombra non può fare questo perché non è questo il suo compito. Aver ritenuto fungibili le cariche di ministro ombra e responsabile di settore o aver ritenuto non più necessaria la figura del responsabile di settore è stato il primo errore.
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In periferia molto spesso le cariche istituzionali sono prevalenti nei confronti del partito. Il sindaco della grande città, il presidente della Provincia importante o della Regione sono eletti direttamente dai cittadini e questo conferisce loro un peso specifico assai rilevante anche nei confronti del partito. Ma qui sta anche un possibile punto debole della vita politica. Se il partito, come accade in molte realtà territoriali, è concretamente governato non dagli organismi dirigenti, ma dal sindaco o dal presidente di Regione, viene meno quel principio di bilanciamento tra pesi e contrappesi che consente ad entrambe le realtà, l’istituzione e il partito, di vivere un rapporto fondato sul confronto franco, e se necessario duro, tra soggetti autonomi l’uno dall’altro. Quando non è così il partito diventa uno sgabello, incapace di capire che cosa succede sulla propria testa e buono solo a fare da piedistallo alla carica istituzionale. Credo che in qualche realtà proprio questa situazione abbia impedito al Partito democratico di prevedere e di intervenire tempestivamente.
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Terza ed ultima questione. I partiti sono di due categorie: carismatici e democratici. La differenza, con un po’ di approssimazione è questa: nel partito democratico è il partito che sceglie il leader; nel partito carismatico è il leader che sceglie il partito e i suoi dirigenti a propria immagine e somiglianza. Partiti carismatici sono Forza Italia, La Lega e Italia dei Valori. Partiti democratici sono il Pd, Alleanza nazionale, l’Udc. Nei partiti carismatici il centro è la figura del capo; tutto ruota attorno a lui, alla sua volontà, alle sue dichiarazioni. Nei partiti democratici il centro è costituito dal gruppo dirigente, non elefantiaco, costituito da persone di età e generazioni diverse, di diversa provenienza territoriale che, per esperienza, cultura, serietà, stima e perché hanno dimostrato di valere, dirigono il partito insieme al segretario. Il Partito democratico ha bisogno di questo tipo di gruppo dirigente scelto in base al principio di responsabilità: se l’esperienza va bene si è confermati o promossi, se va male si è sostituiti. Nei partiti democratici quando manca un gruppo dirigente con queste caratteristiche si indeboliscono l’appartenenza e l’organizzazione, i valori ideali e la struttura: nelle crepe può infilarsi chiunque.
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Queste sono solo alcune delle idee che le vicende di questi giorni fanno venire in mente. Ma di due cose sono assolutamente certo: non c’è tempo da perdere e la riforma della giustizia non deve essere fermata dagli avvenimenti di questi giorni. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=K867J">Il Riformista - Luciano Violante</a>