Openpolis - Argomento: Fiomhttps://www.openpolis.it/2012-11-02T00:00:00ZPietro ICHINO: Sui 19 della Fiat anche il giudice ha commesso un errore - INTERVISTA2012-11-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656699Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
In nessun altro Paese al mondo un caso di discriminazione come questo sarebbe stato sanzionato con l'ordine giudiziale di costituzione di 19 nuovi rapporti di lavoro. La sanzione più appropriata ed efficace è costituita dal risarcimento del danno.
<p><b>Diciannove messi in mobilità per rispettare una sentenza dello Stato: non pensa che quello di Fiat sia una ritorsione?</b>
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Sul piano strettamente giuridico non lo è. Un effetto indiretto del provvedimento giudiziale è una eccedenza di personale; e il nostro ordinamento consente all’impresa di risolvere il problema con il licenziamento collettivo. Il punto è che non possono essere licenziati i 19 della Fiom neo-assunti, poiché sarebbe una reiterazione della discriminazione ai loro danni; ma sarebbe evidentemente inaccettabile che venissero licenziati al loro posto altri 19, che con lo scontro tra Fiat e Fiom non hanno nulla a che fare. Sono questi gli effetti velenosi di un provvedimento giudiziale sbagliato.
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<b>Perché sbagliato? Che cosa avrebbe dovuto fare il giudice in questo caso?</b>
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Di fronte a un caso come questo, in qualsiasi altro Paese il giudice avrebbe adottato la sanzione più appropriata, che è quella del risarcimento del danno: non dimentichiamo che qui non si tratta di licenziamento discriminatorio, ma di mancata assunzione, che è cosa assai diversa. L’esperienza statunitense mostra come un risarcimento salato possa costituire un deterrente efficacissimo contro un comportamento discriminatorio di questo genere. E non determina le situazioni assurde a cui assistiamo oggi a Pomigliano.
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<b>I sindacati nutrono dubbi sul fatto che Pomigliano possa riassorbire tutti i lavoratori come da accordi sindacali firmati a suo tempo; e nel frattempo all’interno della fabbrica il clima – comprensibilmente – si è fatto rovente. È ancora convinto che lo stabilimento campano sia un modello per l’Italia?</b>
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Guardi che anche i sindacalisti della Fiom riconoscono che lo stabilimento di Pomigliano è un gioiello sul piano tecnologico e produttivo. Chiunque conosca l’industria automobilistica lo riconosce. Altro è il problema della ripresa della produzione di auto a pieno ritmo negli stabilimenti italiani della Fiat: questo dipende da molti fattori, la maggior parte dei quali sfugge al controllo della stessa Fiat.
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<b>Quali strade possono essere intraprese oggi – da tutte le parti – per evitare che il rispetto di una sentenza della magistratura porti al licenziamento di diciannove persone?</b>
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Se fossi il ministro del lavoro, convocherei le parti per un tentativo di voltar pagina rispetto alla situazione assurda che si è determinata. Farei tutto il possibile per indurre la Fiom a firmare gli accordi aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco, cessando le ostilità e ottenendo così il riconoscimento dei propri rappresentanti in azienda; e per indurre la Fiat a rinunciare al licenziamento collettivo, risolvendo il problema con un contratto di solidarietà, in attesa della congiuntura positiva, che speriamo non si faccia attendere troppo.
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<b>L’accordo interconfederale tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil del giugno 2011 ha aumentato il peso della contrattazione aziendale in maniera considerevole. Non pensa che l’insistenza di Fiat nel chiamarsi fuori da questa intesa indichi una volontà di sottrarsi a un quadro di regole comuni e che la decisione di ieri di rispondere con una rottura a una sentenza dello Stato ne sia una conferma?</b>
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Se è per questo, anche la Fiom se ne chiama fuori, pur essendo parte della Cgil: altrimenti, dopo l’accordo interconfederale del giugno 2011 avrebbe firmato gli accordi aziendali Fiat, che ne hanno anticipato il contenuto. Quanto alla Fiat, che essa abbia inteso sottrarsi al sistema sindacale interconfederale è evidente. Ma quel sistema non è legge dello Stato. Il nostro ordinamento garantisce il pluralismo sindacale non soltanto sul versante dei lavoratori, ma anche su quello degli imprenditori. E il pluralismo serve perché modelli di relazioni industriali diversi possano confrontarsi e competere tra loro. In modo che i lavoratori e gli imprenditori stessi possano scegliere quello che ritengono produca i risultati migliori. Naturalmente, sempre nel rispetto della legge: su questo non può esserci alcun “pluralismo”.
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<b>Come mai un’azienda che si presenta come alfiere della modernizzazione industriale non è in grado di proporsi oggi alla platea dei suoi lavoratori in una logica di condivisione delle scelte? È solo un problema di comunicazione?</b>
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Per litigare occorre sempre essere in due. Sia Fiat sia Fiom hanno qualche ragione per accusarsi a vicenda. Ha ragione la Fiom, secondo quanto accertato dal giudice, quando accusa Marchionne di avere discriminato i suoi iscritti nelle assunzioni; ma ha ragione anche Marchionne quando accusa la Fiom di aver fatto la guerra fin dall’inizio – primavera 2010 – contro il suo piano industriale, sulla base di un principio che solo un anno dopo, con la firma dell’accordo interconfederale del 28 giugno, la stessa Cgil avrebbe riconosciuto come sbagliato: quello della rigida e assoluta inderogabilità del contratto collettivo nazionale.
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<b>Il partito di cui fa parte non ha mai avuto negli ultimi anni una posizione univoca sul caso Fiat. Oggi è possibile trovare una sintesi tra le varie anime dei democratici?</b>
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Sarebbe preoccupante che in un grande partito di centrosinistra tutti avessero la stessa posizione su di una vicenda complessa come questa, originata dagli accordi Fiat del 2010. L’unità del partito si deve esprimere nel voto, alle elezioni e negli organi elettivi; non certo nell’appiattimento di tutte le opinioni su quella del segretario. Sta di fatto che, da quarant’anni a questa parte, le mie opinioni non sono “fuori linea”: hanno il solo difetto di essere in anticipo di qualche anno rispetto a quelle del mio partito.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pietroichino.it/?p=23825&print=1">Secolo XIX | Salvatore Cafasso</a>Pietro ICHINO: «Non ho cambiato idea, la svolta di Marchionne era giusta» - INTERVISTA2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650426Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Il mondo politico e sindacale, quasi al completo, rimprovera a Marchionne scarsa chiarezza: e lei?</b>
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Non cambierei di una virgola le opinioni espresse negli ultimi due anni sulla vicenda dei contratti aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Sia sotto il profilo giuridico, perché quelle pattuizioni erano e restano pienamente legittime, sia sotto il profilo dell’opportunità sindacale e industriale di votare ‘sì’ ai relativi referendum.
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<b>Ma è un modello che di fatto rischia di venire meno se proprio la Fiat rinuncia ai suoi investimenti.</b>
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Innanzitutto, non dimentichiamo che nel 2003, quando Marchionne ha assunto la guida del Gruppo, la Fiat era in stato fallimentare. Aggiungo, poi, che quegli accordi hanno una parte rilevante del merito della svolta nel nostro sistema delle relazioni industriali che si è concretata l’anno successivo, con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, firmato anche dalla Cgil. Senza la vicenda Fiat, probabilmente quella svolta non ci sarebbe stata. E senza gli accordi aziendali del 2010 non ci sarebbero stati neppure gli investimenti in essi previsti; non vedo, dunque, che cosa i lavoratori interessati avrebbero guadagnato col respingere quegli accordi, come la Fiom li invitava a fare.
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<b>Ma la Cgil e la Fiom denunciavano il limite di quel piano.</b>
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È vero che il piano industriale lasciava aperti alcuni interrogativi sul futuro, ma che cosa mai avrebbero guadagnato i lavoratori e il nostro Paese dal respingerlo in limine? Oltre tutto quando quegli accordi sono stati discussi e sottoposti a referendum, non era ancora sorta la questione della esclusione della Fiom dalle rappresentanze sindacali riconosciute in azienda: esclusione che è avvenuta solo dopo la sottoscrizione, proprio in conseguenza del rifiuto di firmare da parte della stessa Fiom, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dal referendum del 1995.
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<b>Crisi di mercato a parte, secondo lei c’entra anche lo scontro giudiziario con la Fiom nella revisione dei piani Fiat per l’Italia?</b>
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Ero e resto dell’idea che la guerra senza esclusione di colpi condotta dalla Fiom contro il piano industriale della Fiat è stato un gravissimo errore, oltre che un fatto incompatibile con un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente. Certo non è questa guerra la causa della crisi che oggi gli stabilimenti Fiat stanno attraversando, ma altrettanto certamente essa non ha giovato né all’impresa, né ai lavoratori, né alla nostra immagine di fronte agli operatori economici di tutto il resto del mondo, come giustamente osserva <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KF10M">Alessandro Penati sulla Repubblica</a>.
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<b>Difficile però convincere oggi i lavoratori che il futuro è lo stesso.</b>
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Ho ben presente l’ansia, più che giustificata, che i lavoratori della Fiat oggi provano per la crisi attuale della nostra industria automobilistica; e sono ben convinto della necessità di una politica industriale che elimini le ragioni di quest’ansia. Ma questa politica non può che consistere nell’aprire il nostro Paese agli investimenti stranieri, facendone un luogo ospitale e attraente per chi vuole insediarvi le proprie iniziative economiche; non mi sembra che a questo scopo sia di aiuto il continuare a dipingere e trattare, qui da noi, come un demonio quello stesso Sergio Marchionne che i sindacati e i lavoratori americani considerano invece un grande capitano d’industria.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KH2QQ">Il Mattino | Nando Santonastaso</a>Maurizio ZIPPONI: L'Idv tenta i referendum: «La Fiom si unisca a noi» - INTERVISTA2012-08-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647947<br />
Lo strappo della foto di Vasto e il rimescolamento delle alleanze a sinistra, sanciti dall'incontro tra Bersani e Vendola, hanno costretto anche l'Italia dei valori a ricercare una sua strada in preparazione delle elezioni. La prima mossa del nuovo corso dipietrista è l'annuncio della prossima deposizione di 4 quesiti referendari, due contro la cosiddetta «casta» e due sul lavoro che puntano alla cancellazione dell'articolo 8 della manovra berlusconiana dello scorso agosto con cui si è aperta la strada alla fine del contratto nazionale e alla «rinascita» dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori, mandato in pensione da Fornero. Una mossa, questa, che ha creato scompiglio in quei settori sociali e sindacali che stavano preparando una mossa analoga: c'è la preoccupazione che l'Idv voglia mettere il cappello politico su una battaglia che dovrebbe avere il sostegno e la mobilitazione di diversi soggetti. Maurizio Zipponi, responsabile del lavoro per l'Idv, nega questa presunta egemonia e dice anzi di voler mettere il suo partito al servizio di un comitato il più ampio possibile.
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<b>La Fiom, la sinistra sindacale Cgil, associazioni di giuristi e un vasto movimento democratico stavano discutendo i tempi e le forme per fermare la corsa alla cancellazione dei diritti del lavoro. Perché avete deciso di metterci il vostro marchio?</b>
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Vorrei lanciare attraverso il manifesto un messaggio alle persone di buona volontà che come noi sono preoccupate per i rischi che corre la nostra democrazia. Teniamo i nervi saldi. Per l'Idv il programma è dirimente, è la precondizione per qualsivoglia alleanza che dev'essere alternativa al centrodestra e segnare una profonda discontinuità con il governo Monti. La prima discontinuità per noi sta nelle politiche per il lavoro. Dopo alcune incertezze e qualche dubbio sullo strumento referendario in alcune aree del movimento antiliberista, verificata l'infondatezza delle preoccupazioni di chi escludeva la possibilità di avviare il percorso elettorale con le elezioni in primavera, abbiamo deciso di approfittare di una finestra aperta: una volta depositati i quesiti alla Corte di Cassazione si possono raccogliere le firme, almeno 700 mila, tra l'inizio di ottobre e la fine di dicembre. Di conseguenza il referendum si dovrà fare entro un anno, al massimo all'inizio del 2014. Se nel frattempo un centrosinistra in discontinuità con il governo Monti avrà vinto le elezioni, sarà suo compito legiferare per riportare embrioni di democrazia nel lavoro, altrimenti i cittadini saranno chiamati a dire la loro con i referendum. Mi spiace che Nichi Vendola si sia aggiunto a coloro che sostengono, sbagliando, la non percorribilità della strada referendaria.
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<b>Cosa prevedono i due referendum sul lavoro?</b>
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L'abrogazione di alcune parti della nuova legge che riduce l'efficacia dell'art.18, per aumentarne invece l'efficacia e l'estensione. Rispetto all'art.8 berlusconiano puntiamo a riconquistare un principio: alcuni diritti devono essere a disposizione solo di chi lavora, non dell'impresa né dei sindacati, e in questo contesto il contratto nazionale rappresenta un elemento di civiltà.
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<b>Resta il fatto che avete scelto di partire da soli...</b>
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Non è così, non c'è tempo per le centralità identitarie dei singoli. E non c'è più tempo per tergiversare. Semmai, la cosa più importante ora è costruire un'azione unitaria. Chiedo solo che all'Idv venga riconosciuta la dignità di una forza politica che sta cambiando. Se è vero come è vero che l'obiettivo - la ricostruzione della democrazia nel lavoro - è comune, penso alla Fiom e a tanti altri soggetti e personalità, allora facciamo un comitato referendario unitario, noi ci mettiamo a disposizione come parte rispettata di un movimento per la democrazia partecipata. L'Idv, e non parlo solo a nome mio ma anche del presidente Di Pietro con cui siamo in piena consonanza, è pronta a fare un passo indietro per farne insieme due in avanti.
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<b>La strada referendaria e la ricerca di un rapporto con i movimenti si affiancano a una crescente distanza dalle scelte del Partito democratico. È una posizione condivisa nell'Idv? Alcuni brontolii si sono sentiti.</b>
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Non siamo il Pcus, dissensi ci sono anche tra di noi. Posso però dire con certezza che il 95% del partito condivide le scelte del presidente. Dopo il confronto c'è la composizione unitaria. È giusto che sia così, in un partito che attraversa una fase di grande cambiamento. Al centro di questo processo c'è la convinzione condivisa che la democrazia non è un mezzo ma il fine. In Italia la democrazia è stata violata, per esempio alla Fiat deve ben 11 tribunali si sono pronunciati contro le politiche di Marchionne. I tribunali parlano, mentre il presidente del consiglio e il presidente della repubblica tacciono. Ripeto: al centro mettiamo i contenuti e sulla base di contenuti condivisi si possono costruire le alleanze. Aggiungo che noi vogliamo parlare anche agli elettori del Pd che non condividono le scelte del gruppo dirigente.
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<b>E se sui referendum non si arrivasse a un comitato unitario?</b>
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Sarebbe un errore politico, a parte il fatto che qualora si presentassero più quesiti referendari sullo stesso tema, ogni soggetto proponente dovrebbe raccogliere almeno 700 mila firme. Ma la nostra proposta unitaria è squisitamente politica, abbiamo dimostrato di non aver problemi a raccogliere le firme. L'abbiamo già fatto con successo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IME7C">il manifesto - Loris Campetti</a>Gennaro MIGLIORE: «L'Idv chiarisca su G8, tortura e amnistia. O salta l'alleanza» - INTERVISTA2012-07-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647275<br />
È molto, molto arrabbiato, Gennaro Migliore che oggi sta con Sel ma che nel luglio 2001, ai tempi del G8 di Genova, era capogruppo di Rifondazione comunista alla Camera e componente della commissione Giustizia. Le parole di Antonio Di Pietro raccolte ieri dal manifesto hanno lasciato di sasso in molti - racconta Migliore - anche dentro il suo partito. Il carcere, l'amnistia, la tortura, i movimenti di Genova che «dovrebbero chiedere scusa» né più e né meno degli apparati di polizia... Sinistra ecologia e libertà si ritrova distante anni luce dall'Idv, proprio come nel 2007, ai tempi della bocciata Commissione parlamentare d'inchiesta sul G8, quando in parlamento sedevano, alla sinistra dei Ds, 150 tra deputati e senatori. E quell'immagine raccolta poco tempo fa a Vasto di colpo sembra già ingiallita. «Finché non ci sarà un chiarimento su questi temi - annuncia Gennaro Migliore - porrò il problema Di Pietro nel progetto di alleanza».
<p><b>Ma come? Da Di Pietro non se l' aspettava?</b>
<p>Certo, ricordo perfettamente l'immagine di Costantini che su telefonata di Di Pietro uscì per far mancare il numero legale nel voto sulla Commissione parlamentare d'inchiesta su Genova. Pensavo che quello fosse il periodo peggiore della sua carriera di giustizialista ma che in questi anni i rapporti con la Fiom e i movimenti fossero stati occasione di resipiscenza, e invece mi rendo conto che ha un back ground che non gli consente di uscire dall'idea che le questioni del mondo si affrontano o in un'aula di tribunale o gettando la chiave della galera. È un problema grosso per chi come me ha fatto Genova, è un non-violento, e ritiene alcuni principi - la cultura delle garanzie e il rispetto della Costituzione - non negoziabili. Molti hanno apprezzato la svolta a sinistra dell'Idv sulle questioni sociali ma queste dichiarazioni sono un tuffo nel passato, molto pericolose.
<p><b>Eppure il pensiero dipietrista è molto chiaro, non solo su amnistia, tortura o Genova.... Che c'azzecca, si potrebbe dire, l'Idv con la sinistra?</b>
<p>Ci sono questioni che vengono prima dello schieramento politico. Per me la cultura dello stato di diritto - una cultura liberale che è alla base delle migliori democrazie - viene prima di tutto. È stato proprio Di Pietro a impedire nel corso del governo Prodi le riforme strutturali, come sulle droghe o sull'immigrazione, leggi responsabili dell'attuale problema carcerario e della giustizia. La confusione che fa Di Pietro tra indulto, amnistia e condono dimostra che non ha fatto un passo avanti da quella vergognosa campagna che mise in piedi dopo l'indulto. E invece allora avremmo dovuto associare anche l'amnistia. L'ultimo provvedimento di questo tipo risale al 1986. Anche sulla tortura Di Pietro sa bene che se ci fosse stato il reato, il processo Diaz si sarebbe svolto in tutt'altro modo. Ed è sconcertante che non senta un'asimmetria tra le responsabilità dell'istituzione e quella dei singoli cittadini. Per non parlare delle commissioni d'inchiesta, che su questioni come l'omicidio di Peppino Impastato sono state fondamentali per accertare le responsabilità politiche, oltre a quelle giudiziarie. Le sue affermazioni sono di un populismo scadente e senza appello. Se vuole fare l'alleanza con noi deve sapere che non accetteremo più una coltre di impunità. E che il primo di noi che andrà in Parlamento si batterà per una Commissione d'inchiesta, senza la quale non si può voltare pagina su Genova. L'alleanza rientrerà pure in un suo progetto populista, ma non tutto è gratis.
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<a href="http://politici.openpolis.it/dichiarazione/2012/07/12/antonio-di-pietro/%C2%ABanche-i-movimenti-si-scusino%C2%BB-intervista/647274"><b>L'intervista all'on. Antonio Di Pietro «Anche i movimenti si scusino»</b>
</a>
<p><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HLW9P">il Manifesto - Eleonora Martini</a>Antonio POLITO: La sofferta e doppia identità di un partito2012-03-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626373<br />
Ai tempi del Pci vigeva una prassi: ogni svolta politica a destra andava preceduta da una svolta sociale a sinistra. Così per anni si abbinò alla vociante opposizione in piazza una fruttuosa consociazione in Parlamento. Forse è stata solo quest'antica sapienza a far invocare a D'Alema una svolta a sinistra per il Pd; o a indurre l'Unità a credere al Wall Street Journal, e a confondere Mario Monti con la Thatcher.
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Si capisce che poche ore prima di incontrare, per giunta nell'ufficio personale di Berlusconi, il nemico storico della Seconda Repubblica, e stringere con lui un patto per fondare insieme la Terza, il gruppo dirigente del Pd abbia voluto sventolare un po' di bandiere rosse in nome dell'articolo 18, a difesa del quale si sono levate del resto perfino le bianche insegne del cardinal Bagnasco. Ma è sotto gli occhi di tutti che non solo di tattica si tratta: nel Pd è in corso una ricollocazione strategica. E la storia più recente delle sue relazioni pericolose con la Cgil e con il Pdl ne sono la prova.
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Tra la sinistra politica e il grande sindacato rosso c'è sempre stata competizione. Per un lungo periodo la Cgil è stata più riformista e più moderata, da Di Vittorio a Lama fino a Trentin. Poi, con Cofferati, le parti si sono invertite e tali sono rimaste a tutt'oggi. La ragione sta nei differenti progetti politici. La Cgil è da sempre il laboratorio dell'unità delle sinistre (il che la rendeva paradossalmente più moderna e più plurale ai tempi del monolite comunista). Il Pd è invece nato per fare l'unità dei riformisti, con un inevitabile confine a sinistra. Dopo anni di duelli, si può dire che la partita si sia conclusa con la vittoria della Cgil. Sul fronte delle riforme sociali il Pd non ha né la cultura, né la forza, né il fegato per affermare e sostenere un punto di vista differente.
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Questo spiega perché, dopo tanti anni, il gruppo dirigente di quella che si definisce una forza riformista non può intestarsi una riforma che sia una. Se si escludono le liberalizzazioni di Bersani nel secondo governo Prodi, su pensioni, mercato del lavoro, sanità, scuola, pubblico impiego, è una storia di conati, di tentativi appena abbozzati e subito respinti, di battaglie debolmente ingaggiate e malamente perse. I giovani turchi del Pd, che oggi si teorizzano «socialdemocratici» per spiegare questo arretramento, dovrebbero ricordare che le grandi socialdemocrazie europee non sono mai scese a patti con il radicalismo sociale. Il Labour si riprese dalla notte del thatcherismo solo dopo aver spezzato il guinzaglio al quale lo tenevano le Union; la socialdemocrazia tedesca non ha fatto un governo con la sinistra di Die Linke anche a costo di perdere il governo; e l'ultimo socialista francese a soggiornare all'Eliseo fu il Mitterrand che scaricò dal governo i comunisti.
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Ma se il fronte sociale è perso, al Pd resta la politica. E qui interviene la seconda relazione pericolosa, quella con il Pdl. Proprio perché ha smarrito la sua egemonia nelle piazze, il Pd deve riconquistarla in Parlamento. Sa bene che il progetto frontista incarnato dal sindacato, che si spinge con la Fiom fino ai confini dei movimenti antagonisti, sarebbe la sua rovina. Rovina tattica, perché come si è visto a Napoli, a Milano, a Genova, a Bari, a Cagliari e perfino a Palermo, se regala il pallone delle primarie ai suoi competitori perde sempre. Ma anche rovina strategica, perché non c'è nessuno nel Pd che non rabbrividisca al pensiero di governare l'Italia con la foto di Vasto, dall'Afghanistan alla Tav. Ecco allora che il Pd ha bisogno del Pdl per liberarsi da quell'abbraccio con una nuova legge elettorale, nella speranza di andare al voto da solo, senza papi stranieri, senza rischiare primarie di coalizione, senza legarsi le mani sulle alleanze, magari assorbendo prima o poi la sinistra di Vendola ma scrollandosi di dosso le lobby dipietresche che lo assediano. Ciò che è andato perso sul piano del riformismo, sarebbe così recuperato sul piano politico.
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L'idea è questa: Bersani, dicendosi socialdemocratico all'europea, vuole fare ciò che provò Veltroni dicendosi democratico alla Kennedy e che prima ancora tentò D'Alema dicendosi post-comunista clintoniano. Difficile dire se potrà funzionare nel gran caos italiano. Ciò che è certo è che la bestia dell'antipolitica, allevata e nutrita a sinistra in questi anni, non si placherà per così poco, e morderà Bersani come addentò Veltroni «inciucioni» e D'Alema «dalemoni».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1CV4LL">Corriere della Sera</a>Paolo NEROZZI: «In gioco i diritti nei posti di lavoro. Giusto mantenere un filo di dialogo» - INTERVISTA2012-03-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625585Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Era «giusto essere in piazza» a titolo personale. Paolo Nerozzi, senatore pd ed ex segretario confederale della Cgil, ieri era con la Fiom. <p>
<b>Il Pd ha detto no alla manifestazione. </b>
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Bisogna sempre tenere un filo di rapporto. Io parlo per me e non a nome del partito. Sono iscritto alla Cgil dal 1971: io alle manifestazioni ci vado. <p>
<b>Era così importante da contravvenire alla linea? </b>
<p>Il problema grosso era di democrazia, specie nella vicenda Fiat, che è stata sottovalutata: un sindacato rappresentativo, anche quando non firma un contratto, deve poter esercitare i diritti sindacali. Sono state fatte pressioni soprattutto sulle lavoratrici a Pomigliano come ad Avellino. Io questo lo ritengo un motivo valido.<p>
<b>I lavoratori in piazza hanno "cercato" il Pd?</b>
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Ho l’impressione che ci sia un senso di abbandono, non tanto dal Pd, ma dalla politica. E questo può diventare un ulteriore ostacolo alla ricomposizione o alla ripresa di un processo di coesione sociale.<p>
<b>Ma la Fiom contestava il governo... </b>
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Molto meno di quanto lo contestano i farmacisti, i tassisti e altri. <p>
<b>Il governo tecnico ascolta la piazza? </b>
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E' portato a non ascoltare i corpi intermedi, però il fatto che per esempio la questione dell’ordine pubblico sia stata gestita con grandissima saggezza, cosa che si era persa negli ultimi anni è un segnale che va letto: è una forma di ascolto anche questa.
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<b> Il rinvio del tavolo sul lavoro è stata un’apertura.</b>
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Importante, sì, perché si è capito che gli ammortizzatori sociali sono la cosa più importante, il resto viene dopo.<p>
<b> Il Pd media sull’articolo 18.</b>
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Sarebbe meglio che le parti sociali facessero il loro lavoro. C’è un discreto grado di unità. I corpi intermedi hanno un valore decisivo nella società e bisogna stare attenti a non umiliarli.
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<b>Ma il fatto di non essere ieri in piazza è una scelta di campo sulle alleanze?</b>
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Non credo proprio, Bersani ha detto di no. Al termine del risanamento economico si deve tornare a un rapporto sano tra opposti schieramenti.
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1BY7FX">Avvenire - Roberta d’Angelo</a>ANTONIO BASSOLINO: «Il Pd si ricordi degli operai» - INTERVISTA2012-03-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625584<br />
L`ex ministro sfila ignorando il veto della segreteria: ho firmato io l`ultimo contratto delle tute blu.
<p>«Il Pd non dimentichi la questione operaia. Per vincere e cambiare il Paese non bastano le alleanze politiche. Servono anche quelle sociali. E non è immaginabile uno schieramento sociale nel quale non ci siano anche operai e lavoratori. Senza di loro è impensabile ogni progetto di trasformazione e cambiamento».
<p><i>Antonio Bassolino spiega anche così la sua presenza, ieri, al corteo della Fiom.</i>
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<b>L`ex sindaco di Napoli ha ritrovato la sua anima operaista?</b>
<p> «Fanno parte della mia storia l`attenzione e la passione politica, sociale e civile per i problemi della classe operaia. Non dimentico che nel mio breve periodo al ministero del Lavoro firmammo l`ultimo contratto unitario dei metalmeccanici, e che la mia giunta regionale varò le integrazioni al reddito per gli operai in cassa integrazione. E poi qui sono in discussione i diritti essenziali dei lavoratori a Pomigliano: più di 2 mila sono rientrati in fabbrica, non uno degli iscritti alla Cgil. Fatto insostenibile. La Repubblica italiana è fondata sul lavoro, non sulla discriminazione sul lavoro».
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<b>Parla delle discriminazione per gli iscritti alla Fiom?</b>
<p> «Evidente. Come è evidente che oggi esiste un caso Fiat, con la Fiom che non ha rappresentanza sindacale negli stabilimenti del gruppo. Auspico un`iniziativa parlamentare per una norma legislativa che, in caso di divergenza tra sindacati, in presenza di un referendum tra lavoratori, consenta al sindacato che non ottiene la maggioranza di poter comunque esercitare la propria rappresentanza sindacale».
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<b>Il Pd aveva deciso di non partecipare alla manifestazione, ma lei ha forzato il veto.</b>
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«C`è reciproca autonomia tra sindacato e partito. Il Pd ha deciso che i suoi dirigenti non partecipassero alla manifestazione, per non confondere questioni sindacali ed altre questioni, come quella della Tav o delle polemiche con il governo. Ma io penso che il tema dei diritti dei lavoratori sia prevalente sulle altre valutazioni. D`altra parte io non ho incarichi di rilievo nel partito».
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<b>Dunque è libero di sfidarlo?</b>
<p> «Non è stata affatto una sfida. Penso che Bersani stia facendo un buon lavoro. In piazza c`erano migliaia di militanti ed elettori del Pd. Il rapporto con quel mondo che oggi era a Roma è un rapporto importante. Un`alleanza di governo deve comprendere anche queste forze, come quelle sane della borghesia italiana, quella produttiva e quella intellettuale. Come immaginare uno schieramento sociale senza operai e lavoratori?»
<p><b>Nessun imbarazzo per la presenza dei No Tav?</b>
<p> «Io non sono contro la Tav. Su questo non seguo la Fiom. Ma ero in corteo perché sono dalla parte dei diritti dei lavoratori».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1BY4V7">la Repubblica - Bianca De Fazio</a>Furio COLOMBO: «Mi ribello. Il Pd dimentica il lavoro»2012-03-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625568Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Mi ribello al partito, perchè trovo inaccettabile che dia ordini su temi che riguardano la coscienza e perchè ritengo che si tratti della questione più importante per chi vota a sinistra e sa che il lavoro è il cuore di ogni cosa che si voglia definire di sinistra».«Il Pd così abbandona i lavoratori».
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<i>Il deputato del Pd, ha abbracciato il fronte della dissidenza e ha deciso di scendere in piazza con la Fiom.</i><br />
<br/>fonte: <a href="http://www.lettera43.it/politica/42805/pd-a-qualcuno-piace-fiom.htm">lettera43.it</a>Furio COLOMBO: "Il popolo del Pd sta con la Fiom" - INTERVISTA2012-03-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625582Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
“Io so che la sinistra è il lavoro, dobbiamo stare al fianco dei sindacati”.
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Si avvicina lo sciopero generale dei metalmeccanici (9 marzo), mobilitazione alla quale il Pd ha dichiarato di non aderire. Furio Colombo, ex direttore dell’Unità e deputato dei democratici, ha invece annunciato la sua partecipazione. Articolotre.com lo ha intervistato per conoscere le sue posizioni.
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<b>Furio Colombo, lei ha annunciato che scenderà in piazza con la Fiom. Sente di interpretare una posizione presente nell’elettorato del Pd?</b>
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Secondo me l’elettorato è in larga maggioranza sulle posizioni della Fiom, se no perché dovrebbe votare Pd? A maggior ragione in un momento come questo che vede i lavoratori sotto attacco, sia per la villania di Marchionne, sia per il rischio di chiusura degli stabilimenti. La maggioranza degli elettori del Pd sta dalla parte dei lavoratori, più che su quella di Marchionne. Nello scontro in atto certamente intendono stare dalla parte dei lavoratori e non da quella di chi ha lanciato lo scontro. Per questo la posizione del partito non credo rappresenti l’elettorato.
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<b>Con queste posizioni non vede il rischio di perdere di vista l’elettorato progressista?</b>
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Certamente c’è il rischio di perderlo, il pericolo più grande che corriamo è a mio avviso quello dell’astensionismo, perché non vedo una gran corsa verso altri obiettivi che siano più attraenti.
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<b>Il Pd dice che non sarà presente perché ci sono i No Tav. Lei che idea si è fatto della Torino-Lione?</b>
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L’idea di fondo è che la democrazia si debba fermare davanti alla grande opera. <br />
Io non sono nella posizione di prendere quella decisione, ma a me risulta da giornalista e da torinese che l’approvazione della maggioranza della popolazione non ci sia mai stata, quindi sarebbe necessario trovare un accordo. Inoltre non farei della Tav un elemento di salvezza per l’Italia, l’idea che porti dei vantaggi è insensata. I favorevoli sostengono, in primis, che la Tav a quanto pare ci connetterà all’Europa, ma con la Francia ho rapporti da anni, siamo già connessi e non cambia le cose risparmiare un’ora. L’altra argomentazione è che se non facciamo l’alta velocità favoriremmo la moltiplicazione del trasporto su gomma. Ora, posso anche sostare di fronte a questa obiezione riguardo all’aumento di un certo tipo di inquinamento, ma c’è un grosso paradosso…
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<b>Cioè?</b>
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Mi devono allora spiegare perchè nel frattempo vogliono costruire un’autostrada sopra l’Aurelia (Civitavecchia- Rosignano ndr), che per essere redditizia dovrà essere attraversata da migliaia di Tir. Perché lì invece bisogna moltiplicare la gomma? In questo modo avremo alta velocità della gomma da Roma a Torino, dove si dovrebbe poi passare su rotaie. Il filo conduttore è che la democrazia si ferma davanti alla grande opera, e questo non deve accadere. Io dico che penso prima alla democrazia e poi all’alta velocità: ma notando il fatto che da una parte si festeggiano i tir, dall’altra i treni, noto che la grande opera viene prima.
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<b>Bersani parla di democrazia proprio per difendere la decisione presa dalle istituzioni…</b>
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Non c’è fondamento in questa posizione, le faccio un esempio: noi abbiamo un presidente della Lega Nord in Piemonte, che fa opposizione al governo, ma gli offre il sostegno per la grande opera. Sono inspiegabilmente a favore del governo in questo caso mentre ci troviamo di fronte a una Lega che si oppone a tutto. Ci deve essere una ragione perché vi sia un consenso così vasto e così esteso che spinge per controllo e decisione senza assenso.
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<b>All’interno dello scontro tra componenti, il dibattito alleanze e leadership, che futuro vede per il Pd?</b>
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Il politichese io lo conosco meno, sono discorsi prevalentemente legati agli articoli dei notisti, che vi dedicano la loro vita. Io non credo a nulla di queste cose che stanno accadendo. Io auspicherei che non si perda la sinistra, so che la sinistra è il lavoro e so che quando i democratici americani hanno abbandonato il rapporto coi sindacati hanno perso la maggioranza dividendosi solo sulla politica estera. Quindi i sindacati vanno sostenuti, poiché osservano scrupolosamente le regole democratiche sul lavoro, e non vedo perché non dobbiamo stare dalla parte del lavoro, essendo il più grande partito della sinistra.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.articolotre.com/2012/03/intervista-a-furio-colombo-%E2%80%9Cil-popolo-del-pd-sta-con-la-fiom%E2%80%9D/67700/print/">Articolotre.com - Lorenzo Mauro</a>Dario FRANCESCHINI: Governo: nel 2013 si tornerà alla politica 2012-02-26T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625078Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Questo governo è per sua natura di transizione, sostenuto da avversari che si presenteranno alle prossime elezioni come avversari. Il che non vuol dire tornare all'Unione da una parte e Berlusconi dall'altra. Ma un bipolarismo normale. Non si tornerà alla politica di prima, ma si tornerà alla politica".
<p>Lo dice il capogruppo del Pd <a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=6925"><b>Dario Franceschini</b>, intervistato dal 'Corriere della Sera'</a>.
<p><a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=6925"><b>Intervista a Dario Franceschini - Corriere della Sera</b></a><br />
<br/>fonte: <a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=6925">Corriere della Sera</a>Giorgio NAPOLITANO: Inutili tutti gli appelli della sinistra anti-italiana 2011-09-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609427Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica<br/><br/>Napolitano firma il decreto: la manovra è legge
Questa mattina Napolitano ha firmato il provvedimento della manovra approvato ieri dalla Camera. Dalla Fiom a Vendola, dal Manifesto ai democratici: disattese le speranze della sinistra che, nei giorni scorsi, aveva lanciato diversi appelli al capo dello Stato a non firmare i provvedimenti
Roma - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato il provvedimento della manovra approvato ieri dalla Camera. Disattesa la sinistra che, nei giorni scorsi, aveva lanciato diversi appelli al capo dello Stato a non firmare i provvedimenti.
Disattesa la sinistra catastrofista Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, si era rivolto a Napolitano affinché, "in quanto garante della nostra Costituzione, non firmi una legge in contrasto con i principi della Carta". A stretto giro era arrivata la risposta del Quirinale: <b>"Sorprende che da parte di una figura di rilievo del movimento sindacale si rivolgano al presidente della Repubblica richieste che denotano una evidente scarsa consapevolezza dei poteri e delle responsabilità del Capo dello Stato".</b> Questa mattina sul Manifesto un nuovo appello, questa volta di esperti di diritto: "Eccellentissimo presidente Napolitano - scrivono Alberto Lucarelli, Ugo Mattei e Luca Nivarra - le scriviamo come giuristi che, dopo anni di impegno civile a favore di buone regole giuridiche a protezione dei beni comuni e per il buon governo del patrimonio pubblico abbiamo redatto i quesiti referendari 1 (servizi pubblici locali) e 2 (tariffa per il servizio idrico integrato)". Per i tre esperti la manovra è incostituzionale perché, spiegano, stravolge il risultato dei referendum. "La invitiamo - concludono perciò - a non promulgare l'articolo 4 del decreto". Apparentemente è stato proprio per evitare il moltiplicarsi degli appelli a non firmare che Napolitano ha immediatamente licenziato il provvedimento.
<br/>fonte: <a href="http://www.ilgiornale.it/interni/napolitano_firma_decreto_manovra_e_legge_inutili_tutti_appelli_sinistra_anti-italiana/manovra-giorgio_napolitano-decreto-legge-sinistra/15-09-2011/articolo-id=545948-page=0-comments=1">www.ilgiornale.it</a>Nichi VENDOLA: "Primarie? Facciamole nel 2011 e io sono pronto" - INTERVISTA2011-09-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it608050Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
Certo, Nichi Vendola non si è mai nascosto dietro le perifrasi, ma ora si dice pronto alla sfida. L’indimenticabile agosto, che ha fiaccato il governo senza rafforzare il Pd ed ha acceso un diffuso sentimento anti-casta, è come se avesse reso inevitabile il bagno di popolo rappresentato dalle Primarie: “Sì, penso che le Primarie siano il punto in cui tutti riusciamo a staccare la spina da un quadro torbido, un processo di ri-politicizzazione non passiva della società”.
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<b>Il Pd finora ha fatto orecchie da mercante, ma con questo “clima” come si farà a dire: il capo ce lo scegliamo in quattro stanze di partito…</b>
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“Sono tranquillo: le Primarie non sono mai state veramente in discussione. Anche perché mai come oggi la politica si mostra debole, senza pensieri”.
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<b>Per renderlo competitivo, il candidato del centrosinistra entro quando dovrebbe essere incoronato?</b>
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“Prima si fanno le Primarie e meglio è. La cosa migliore sarebbe farle entro la fine di quest’anno”.
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<b>I malevoli dicono: Vendola alla fine si contenterà di fare il capo della sinistra radicale. Lo dica chiaramente: lei punta a rappresentare tutti i progressisti?</b>
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“Ad un certo punto ho avuto davvero la tentazione del monaco, perché la mia richiesta sembrava una civetteria, una sindrome leaderistica. Però voglio fare la mia parte per riscattare la politica dalla sua condizione di degrado morale, di chiacchiericcio inascoltabile, rimettendola in connessione con la vita, riscattandola dallo stallo nella quale l’hanno portata i maestri della realpolitik”.
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<b>Dopo tanto tatticismo, inconsueto nel personaggio, Renzi ora ammette: farò le Primarie. E la punzecchia sul suo sinistrismo…</b>
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“Sono contento se Renzi si candida. Gli faccio notare che non è la Fiom ad aver chiuso Termini Imerese”.
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<b>Ma se lei continua a ripetere che la Fiom ha sempre ragione, che i padroni sono quasi tutti affamatori di operai e i magistrati sono infallibili, come farà a parlare a tutto il Paese?</b>
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“E infatti io non ho mai detto quel che lei mi attribuisce, non ho una visione manichea della realtà. Io voglio parlare con l’impresa e lo faccio da sette anni. Per esempio: nell’edilizia bisogna continuare a gonfiare di anabolizzanti le periferie o fare molto più edilizia del recupero? Io non mi voglio impiccare sull’albero delle ideologie, ma discutere di merito. Ognuno di noi non può essere soltanto quello di ieri”.
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<b>Da anticonformista se la sente di ammettere che le drastiche misure anti-evasione non sono così male?</b>
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“Non deve depistare questa controversia barocca. Il teorema vero del centrodestra resta lo stesso: blindatura della ricchezza criminalizzazione della povertà. Mi scusi, ma un governo che si è comportato come un Al Capone istituzionale, che credibilità può avere nell’invocare giustizia divina contro gli evasori fiscali? La galera per i i tre milioni in su è una nuova “tremontata”".
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<b>Come si fa a dirlo, a prescindere di qualsiasi verifica?</b>
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“La modalità comunicativa di Tremonti oramai è abbastanza leggibile. Anzitutto c’è un grande annuncio che serve a drogare i i titoli dei giornali e a depistare l’opinione pubblica dall’essenza della sua politica: macelleria sociale, senza intaccare i privilegi della casta finanziaria, ma uccidendo il Welfare e portando ad un violento impoverimento del ceto medio”.
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<b>Un violento impoverimento per opera di Tremonti: non esagera?</b>
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“Scusi ma come dovrei esprimermi quando il governo, tagliando su scuola e ricerca, intacca il principale capitale sociale del ceto medio? La certezza di poter investire sui propri figli. Dove è la crescita? La crescita eco-sostenibile entro un nuovo modello di sviluppo non è retorica domenicale, ma non ne ne parla”.
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<b>Il Pd ha anticipato e poi dato ragione al governo sulla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. D’accordo?</b>
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“La proposta è irricevibile. Non si fa prima a cancellare gli articoli 1 e 3 della Costituzione? La verità è che si va disfacendo questa Europa, ostaggio di tecnocrazie che parlano da luoghi invisibili, come oracoli. Le stesse tecnocrazie che hanno contribuito alla catastrofe. Ma se la politica è l’ombra del mercato, vivrà come un mercatino”.
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=13UAPQ">La Stampa - Fabio Martini</a>Paolo FERRERO: Il 6 e il 7 settembre saremo in piazza con la FIOM e raccoglieremo le firme per la patrimoniale2011-08-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it607916<br />
Il 6 e 7 settembre saremo in tutte le piazze italiane a manifestare con la Fiom in concomitanza con la discussione sulla manovra che si terrà in Senato. <br />
Noi comunisti saremo in piazza a manifestare contro le misure del governo e raccoglieremo le firme sulla nostra proposta di manovra alternativa basata sulla patrimoniale sulle grandi ricchezze. L’unico modo per difendere il reddito dei poveri e dei lavoratori è quello di far pagare i ricchi.<br />
<br/>fonte: <a href="http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3825">blog ufficiale</a>Cesare DAMIANO: Marchionne non ha più alibi2011-07-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590212Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La sentenza del tribunale di Torino sull’accordo per la costituzione di una nuova società per la gestione dello stabilimento Fiat di Pomigliano, dovrebbe indurre le parti a uscire dalla logica del conflitto e a riprendere quella del confronto.
Respingendo il ricorso della Fiom, il giudice ha riconosciuto che la newco creata dalla Fiat non è un ramo d’azienda. Al tempo stesso però, sostenendo che il Lingotto ha messo in atto una condotta antisindacale, consente alla Fiom di “rientrare” in fabbrica costituendo la propria rappresentanza sindacale aziendale, pur non essendo firmataria di quell’accordo.
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Si tratta di una decisione “salomonica” che lascia i contendenti soddisfatti (o scontenti) a metà, ma che consente di rimettere in moto la via contrattuale. La situazione di crisi profonda in cui si trova il paese e che coinvolge anche la casa torinese, operai e impiegati inclusi, suggerirebbe la scelta di una sorta di disarmo bilaterale. Che porti la Fiom a rinunciare alla promozione di ricorsi individuali dei lavoratori e che spinga la Fiat a rompere gli indugi sugli investimenti annunciati, rinunciando a sua volta a ricorrere contro la sentenza. Non si può attendere oltre. I venti miliardi di euro previsti per dar corpo al progetto, sin qui soltanto annunciato, di Fabbrica Italia – che non riguarda solo Pomigliano, ma l’insieme degli stabilimenti dell’auto, Mirafiori compresa – vanno resi subito operativi.
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Sarebbe drammatico se, come è stato paventato in questi giorni, la sentenza producesse su questo fronte una situazione di stallo. In gioco, accanto al futuro delle relazioni sindacali, c’è il destino degli stabilimenti Fiat, della ricerca, della produzione e dell’occupazione. Cioè il destino dell’industria italiana dell’auto. Un settore strategico che il nostro paese, se non vuole avviarsi irreversibilmente sulla strada del declino industriale, non può permettersi di perdere.
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Per uscire da questa situazione e riprendere la via del confronto, l’unica strada possibile sarebbe una condivisione da parte di Fiat e Fiom delle regole definite da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria lo scorso mese di giugno. In quell’accordo non solo c’è una risposta ai temi della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato, perfettamente in linea con i contenuti della sentenza di Torino su questo argomento. Si dà anche una risposta al tema – delicatissimo dopo la lunga stagione degli accordi separati – dell’esigibilità delle intese aziendali.
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Secondo quanto concordato, infatti, gli accordi aziendali hanno effetto vincolante per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori e per le associazioni firmatarie dell’intesa interconfederale (cioè Cgil, Cisl, Uil e Confindustria) che operano all’interno delle singole fabbriche, quando siano approvati dalla maggioranza dei componenti delle Rsu eletti secondo le regole attualmente in vigore. Una norma chiara che attende di essere messa in pratica attraverso la buona volontà di tutte le parti in campo.
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Solo accettando questa cornice di nuove regole si possono infatti superare, con equilibrio, gli elementi di conflittualità che caratterizzano negativamente la situazione attuale. È necessario però che anche il governo faccia la propria parte. Finora, sull’intera vicenda Fiat, Berlusconi e il suo esecutivo sono stati totalmente assenti.
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Quando sono intervenuti, lo hanno fatto unicamente per soffiare sul fuoco delle divisioni interne al sindacato. Un comportamento irresponsabile che non può essere tollerato più a lungo. I venti miliardi di investimenti previsti per Fabbrica Italia devono tradursi in realtà da subito. La disastrosa situazione di crisi in cui versa il paese non può più sopportare rinvii. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=12BLT1">Europa</a>Cesare DAMIANO: Ci auguriamo disarmo tra Fiat e Fiom2011-07-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590119Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
"La recente sentenza del tribunale di Torino che riguarda il contratto firmato il 29 dicembre scorso per la Fiat di Pomigliano dovrebbe indurre le parti in causa ad uscire da una logica di conflitto. Il giudice riconosce che la newco non è un ramo d'azienda ma, al tempo stesso, consente alla Fiom di costituire la propria rappresentanza sindacale aziendale anche se non è firmataria di quell'accordo. Si tratta di una sentenza giudicata da alcuni commentatori 'salomonica', che consente però di rimettere in moto la via contrattuale e di abbandonare quella giudiziaria".
<p> Lo dichiara in una nota Cesare Damiano, capogruppo PD in Commissione Lavoro.
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"Ci auguriamo - prosegue - che avvenga una sorta di "disarmo bilaterale" tra Fiat e Fiom che porti alla rinuncia, da parte di quest'ultima, alla promozione di ricorsi individuali dei lavoratori contro la sentenza e che consigli alla Fiat di rompere qualsiasi indugio circa gli investimenti. Tornare ad un clima di normale confronto contrattuale significherebbe dare la certezza, ormai non più differibile per il bene del Paese e dei lavoratori, dell'effettuazione dell'investimento di 20 mld di euro di Fabbrica Italia che riguarda non solo Pomigliano ma l'insieme degli stabilimenti dell'auto, compreso Mirafiori.
<p>Il recente accordo tra Cgil,Cisl e Uil e Confindustria sulle regole di rappresentanza e di rappresentatività, dimostra di essere un efficace punto di riferimento per uscire da una trincea di paralizzante contrapposizione tra le ragioni dei lavoratori e quelle dell'impresa. La sentenza, in fondo, suggerisce di superare la contesa in corso affidandosi a queste nuove regole del gioco: Anche noi riteniamo che sia questa la strada migliore da seguire". <br />
<br/>fonte: <a href="http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2011/07_luglio/17/fiat_damiano_pd_ci_auguriamo_disarmo_tra_azienda_e_fiom,30614395.html">TMNews</a>Paolo FERRERO: Prc, il nuovo percorso dell'VIII congresso si apre con il Comitato Politico2011-07-11T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it589970<br />
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«Un vero cambio di fase caratterizzato dalla crisi del berlusconismo e del liberismo, e con grandi manovre in corso per evitare che se ne esca a sinistra».
<p>E’ con questo quadro che il segretario del Prc Paolo Ferrero ha aperto i lavori del Comitato politico nazionale, che si concluderà oggi a Roma (centro congressi Cavour).
Questo Cpn, il primo dopo i referendum di giugno, darà l’avvio alla fase congressuale che si concluderà con l’appuntamento di dicembre, presumbilmente a Napoli. Da qui usciranno quindi le due commissioni per il “Regolamento” e per il “Documento politico”. A ottobre, subito dopo la definizione dei documenti, toccherà ai congressi dei circoli dare l’avvio al confronto interno, mentre a novembre sarà la volta delle assise di federazione e, a seguire, quello nazionale.
Un congresso che il segretario del Prc ha auspicato unitario, nella prospettiva del superamento delle correnti.
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Ma per tornare alla parte analitica del suo intervento, il leader del Prc ha insistito molto sul fatto che i risultati positivi di Napoli e Milano, e sui “Quattro sì” al refendum non devono far abbassare la guardia. C’è sì una ripresa dell’iniziativa dal basso, un fatto sostanziale difficilmente negabile, ma, dall’altra parte, si sta cercando in tutti i modi di non trasformare questo patrimonio in un nuovo indirizzo politico. Insomma, un risultato, quello uscito dalle urne, che viene in qualche modo tenuto a distanza quasi ad evitarne il “contagio”.
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Si stanno prospettando segnali inquietanti. Innanzitutto, la proposta di legge del Pd sull’acqua che di fatto riapre alla privatizzazione, non mettendo i comuni nelle condizioni di evitarla, in quanto i loro bilancio sono continuamente oggetto dei tagli da parte del governo centrale, e imponendo al risultato politico sui beni comuni una battuta di arresto. Non solo, anche ciò che arriva dal sindacato, con l’accordo del 28 giugno, non è che possa essere valutato in modo positivo. Anche se da una parte il testo «non arriva dove dice Marchionne», sottolinea il segretario del Prc, dall’altra «apre una falla nel contratto nazionale». Falla che di fatto crea le premesse «per mettere i lavoratori in competizione tra loro». Questo per stare al merito. C’è poi il valore politico di quell’intesa, che parla della «chiusura del cerchio» verso la Fiom e della sostanziale accettazione del modello dell’accordo del 2009 e della egemonia della Cisl. Insomma, come è stato detto nel corso del dibattito, un «suicidio» da parte del sindacato, e un «omicidio» nei confronti della classe. C’è da dire che nel corso del dibattito (di cui daremo conto nei prossimi giorni) il tema dell’accordo del 28 giugno è stato molto gettonato, e l’invito prevalente è stato quello a non eccedere nei toni.
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Cosa vuol dire tutto questo per il Prc, che si appresta a celebrare il suo ottavo congresso?
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Innanzitutto, una scelta chiara rispetto all’internità ai movimenti. <br />
Una scelta che ha come primo impegno concreto la proposta della Costituente dei beni comuni e, come nodo politico, quello dell’unità nella prospettiva di un segno fortemente antiliberista. Parallelamente, una «accentuazione» dal basso del profilo della coalizione che porti direttamente alle ”primarie di programma”.
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Da questo punto di vista, il senso di imprimere una svolta unitaria al congresso è in relazione alla necessità di dare un segnale forte di non frammentazione. Indispensabile in un momento in cui occorre contare sulle proprie forze, anche per quanto riguarda l’adeguamento della macchina organizzativa alle risorse effettive del partito.
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I nodi che dovrà affrontare il congresso hanno al primo punto la democrazia, soprattutto in connubio con quella che Paolo Ferrero chiama «la dignità» degli individui. Ovvero, una democrazia che decida sulla questioni importanti e che non significhi solo voto ma partecipazione ai processi politici e sociali e costruzione del proprio destino.
<p> Il secondo punto, direttamente connesso al primo ha come riflessione i ”beni comuni”, come la prima vera occasione di declinare la critica alla forma della merce. Tema, questo, che ci introduce al terzo punto, quello della ricerca di soluzioni concrete allo strapotere dell’economia finanziaria. Strapotere che è sicuramente in capo al potere politica e alla sua opera di ”deregulation” costruita negli anni.
<p>«Proprio per questo è possibile introdurre, al contrario, una regolamentazione che non consenta più alla speculazione finanziaria di agire come un bombardiere imprendibile anche dal fuoco della contraerea», sottolinea Ferrero.
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E poi ci sono i nodi politici, ovvero un giudizio schietto sul percorso della Federazione della sinistra a partire dalla considerazione sulla sua natura di strumento per la costruzione di un programma di fase nella prospettiva della sinistra di alternativa e della sua presenza istituzionale.
Infine, il documento del congresso dovrà contenere anche un ragionamento sull’utilità del Prc dal punto di vista della costruzione delle relazioni sociali e della proposta politica e culturale, «ovvero l’utilità di rifondazione per l’oggi e per il domani».
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In sostanza, ha detto Paolo Ferrero chiudendo il suo intervento, l’obiettivo del congresso deve essere quello di stabilire una linea chiara su quattro punti: l’uscita dal berlusconismo, l’unità delle forze a sinistra del Pd, il consolidamento antiliberista dei movimenti e l’attualità del comunismo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.liberazione.it/news-file/gia_presente_11579_40_Rifondazione.htm">Liberazione - Fabio Sebastiani</a>Paolo FERRERO: Sì a Bertinotti, Cofferati e Ferrara. Ma le iniziative?2011-07-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it589855<br />
Condivido pienamente la proposta avanzata da Bertinotti, Cofferati e Ferrara sulla necessità di dar vita ad uno spazio pubblico di confronto a sinistra per discutere a partire dall'accordo interconfederale siglato qualche giorno fa. E' infatti del tutto evidente che la valenza dell'accordo non è solo sindacale ma politica.
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Se l'essenza del neoliberismo, dal punto di vista dei rapporti di classe, è l'asimmetria di poteri tra il capitale finanziario - mobile e immateriale - e gli uomini e le donne in carne ed ossa - impastoiati dai loro bisogni, dal loro legame con il territorio, dal loro "rimanere umani" - l'accordo aggrava questa disparità di poteri. Lo fa principalmente in due modi. Da un lato riducendo la cogenza del Contratto nazionale di lavoro e dall'altro derubricando nella sostanza il tema del referendum come fondamento democratico del rapporto tra sindacato e lavoratori.
<p>Questi due nodi che - in larga parte per merito della Fiom - sono stati al centro del conflitto politico sindacale in questi anni sono entrambi affrontati e risolti in modo negativo.
<p>Certo non come avrebbe voluto Marchionne, del resto solo il codice militare prussiano conteneva il suicidio come atto previsto dal regolamento. Diciamo che l'accordo è molto vicino a quello che volevano Confindustria, Cisl e Uil, in piena continuità con l'accordo separato del 2009 e molto distante dalla battaglia che la Cgil ha condotto in questi anni dalla difesa dell'Articolo 18 in avanti.
<p>
Un accordo neocorporativo che accentua la frantumazione della classe e rende più complicato costruire linee di difesa nella crisi. Un accordo che pare prefigurare la base materiale per una uscita morbida dal ventennio berlusconiano, mantenendone inalterato il suo segno di classe. Altro che accordo sindacale che non ha valenza politica! Per questo a sinistra di questo accordo va discusso e a fondo.
<p>
A questo punto mi permetto di fare un invito a Bertinotti, Cofferati e Ferrara. Nei mesi scorsi, ho più volte fatto appelli unitari a sinistra, anche articolando proposte di iniziative comuni. Non ho mai ricevuto risposta. Evidentemente dai risentimenti siamo passati ai sentimenti, ma dai sentimenti alla volontà politica unitaria il passo è lungo. Per questo chiedo a voi di convocare un tavolo di discussione, rivolto a chi ritenente, in modo che la discussione si faccia.<br />
A Risentirci.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=11VIE3">Il Manifesto</a>Giuseppe GIULIETTI: Tutti in piedi per la libertà di informazione2011-06-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it585199Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
“Tutti in piedi per la libertà di informazione, in tutte le piazze d’Italia”, così, parafrasando il titolo della bellissima serata promossa a Bologna dalla Fiom e dalla squadra di Annozero, potremmo chiamare una grande giornata nazionale per la libertà di informazione, capace di coinvolgere tutte le piazze, quelle reali e quelle virtuali. Sui palchi in prima fila potremmo chiamare tutti gli invisibili, tutti quei volti ignoti che stanno animando la “nuova resistenza nazionale” e che spesso, troppo spesso, non trovano rappresentazione mediatica e politica.
<p>
Magari potremmo chiedere alle ragazze e ai ragazzi che stanno occupando il Teatro Valle a Roma di mettere il loro talento e la loro irresistibile vitalità e creatività a disposizione di questa grande giornata per la libertà della cultura contro ogni forma di bavaglio e di privatizzazione dei beni comuni.
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Non si tratta, solo e soltanto, di esprimere la nostra solidarietà e vicinanza a quanti sono stati e saranno ancora colpiti dagli editti del Caimano, ma anche e soprattutto di rivendicare un diritto che costituisce la premessa stessa per il libero esercizio del voto.
<p>
“I referendum hanno dimostrato che in Italia non c’è un regime e che si può vincere anche senza le tv”, questa tesi l’abbiamo già sentita e non ha portato fortuna neppure a chi l’ha sostenuta. In realtà la vittoria è arrivata nonostante la censura e nonostante le omissioni che comunque hanno contribuito ad ostacolare il vento del cambiamento, senza questo servizio d’ordine costoro sarebbe stati spazzati fuori da tempo, anzi forse non sarebbero mai nati.
<p>
Sarà appena il caso di ricordare, agli smemorati di ogni colore, cosa accadde a Prodi quando, nel giro dell’ultima settimana elettorale, si vide mangiare un vantaggio di oltre 10 punti.
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Chi avesse dei dubbi si vada a leggere i più accreditati rapporti internazionali sulla anomalia italiana. In ogni caso anche i governi comunisti crollarono nonostante avessero il controllo totale delle tv. Non erano forse regimi ugualmente?
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Il regime mediatico e non solo, dunque, esiste e lotta contro di noi. È probabile che sia ormai giunto al capolinea, perché la realtà fattuale si è presa la sua rivincita, ha svelato le bugie berlusconiane, e soprattutto non c’è tv che tenga quando le condizioni di vita dei cittadini non corrispondono agli spot del capo e delle sue tv, il tutto aggravato dalle sue continue e pagliaccesche esibizioni a colpi di bunga bunga.
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La marea degli scontenti e persino dei risentiti da lui stesso aizzati, probabilmente travolgerà ciò che resta degli emuli di Salò, ma la questione del regime mediatico resta e resterà in tutta la sua gravità.
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Nelle prossime ore il Caimano giocherà la carta di sempre: l’occupazione delle piazze mediatiche.
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Dopo aver allontanato Santoro dalla Rai, proverà con la Gabanelli, con il programma “Vieni via con me”, minaccerà a colpi di tariffe telefoniche e di frequenze da assegnare, Sky e La7, tenterà di assestare qualche colpo o qualche dossier contro De Benedetti e contro gli azionisti di RCS.
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Forse non ci riuscirà, ma ci proverà e per questo dobbiamo rianimare le mille piazze d’Italia su una questione che è vitale per assicurare il buon funzionamento dell’ordinamento democratico.
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Da qui la decisone di Articolo 21, di Libertà e Giustizia, di Move.On, di Progetto Viola e di tanti altri di lanciare una petizione per chiedere che dalla Rai siano cacciati i sequestratori, che gli uomini della P4 si dimettano, che Annozero torni al suo posto, che la corte dei conti colpisca quelle e quelli che stanno portando a compimento il disegno della P2 di “dissolvere la Rai”, o meglio quello che ancora resta in vita.
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Tutti in piedi dovremo anche chiedere a noi stessi, a tutte le forze di opposizione di sottoscrivere un programma minimo comune che reciti più o meno cosi: “I sottoscritti si impegnano, nei primi cento giorni del futuro governo, ad approvare una legge che decreti la incandidabilità alle elezioni, di ogni ordine e grado, dei titolari di concessioni nel settore dei media. Inoltre, contestualmente, sarà reintrodotta la normativa antitrust e l’autorità di garanzia sarà composta da un solo giudice nominato dal presidente della repubblica. Per quanto riguarda la Rai sarà recepita legge spagnola che prevede un comitato editoriale composto dai migliori talenti della cultura, della ricerca, dello spettacolo, del giornalismo e i partiti, a partire dai nostri, non potranno più esercitare forma alcuna di controllo diretto sulla gestione e sulla autonomia editoriale della Rai. Saranno infine eliminate tutte quelle norme che continuano a disturbare il corretto e doveroso esercizio del diritto di cronaca”.
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Speriamo che, almeno questa volta, si possa arrivare, possibilmente prima delle elezioni, ad un progetto condiviso, e affinché non si ripetano le scene del passato si potrebbe persino nominare un comitato dei garanti incaricato di vigilare sulla effettiva applicazione del programma, magari potremmo chiedere proprio a Stefano Rodotà, a Margherità Hack, ad Andrea Camilleri, a Paolo Flores d’Arcais, a Barbara Spinelli, a Federico Orlando, e ai tanti che proprio dallo spazio di MicroMega, non hanno mai smesso di battersi per presidiare i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione.
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Già, perché checché se ne dica e se ne scriva, il regime mediatico non solo è esistito, ma esiste ancora e può fare danni etici e politici devastanti.
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Sarà il caso di non dimenticarlo, per l’oggi e per il domani!<br />
<br/>fonte: <a href="http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/06/20/giuseppe-giulietti-tutti-in-piedi-per-la-liberta-dinformazione/">MicroMega</a>Pietro ICHINO: Chi ha paura del modello tedesco ?2011-06-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it585181Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Caro Direttore, <br />
sono in molti ad attendersi che i giudici del <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=11C0YI"><b>lavoro</b></a>, cui la Fiom ha fatto ricorso contro gli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori, decidano la sorte del contratto collettivo nazionale di lavoro e dei suoi rapporti con la contrattazione aziendale. Comunque vadano i giudizi, quelle attese andranno deluse. A Torino l’altro ieri il giudice ha avvertito le parti in causa che i contratti stipulati sono in sé legittimi: dunque produrranno i loro effetti quale che sia la sentenza, la quale verterà soltanto sul punto se ci sia stata o no una violazione procedurale ai danni della Fiom e quali debbano essere le procedure sindacali da seguire per l’attivazione dei nuovi stabilimenti.
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La questione della struttura della contrattazione collettiva devono dunque risolverla Confindustria e sindacati, che si incontrano domani per discuterne. E, se a quel tavolo non si arriverà a un grande accordo interconfederale sottoscritto da tutti – come riuscì a ottenere nel luglio 1993 il ministro del Lavoro Giugni, con un’opera di sapiente tessitura e cucitura – questa volta tutti concordano che debba essere il legislatore a sciogliere il nodo. <br />
Anche il protocollo firmato nel 1993 da tutti i sindacati, del resto, prevedeva la necessità di un intervento legislativo in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia dei contratti collettivi di diverso livello.
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Se ne è discusso a Genova nei giorni scorsi, nell’assemblea programmatica del Pd, con la partecipazione anche dei segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e del direttore generale di Confindustria. Uno spettatore non esperto di politichese e di sindacalese avrebbe stentato a cogliere le differenze di orientamento negli interventi che si sono susseguiti su questo punto. Tutti – anche il rappresentante degli industriali ‑ hanno sottolineato l’irrinunciabilità del contratto collettivo nazionale. Per un motivo molto semplice e da tutti condiviso: due terzi dei lavoratori italiani non sono coperti dalla contrattazione aziendale.
<p>Se dunque non ci fosse il contratto nazionale, questi due terzi dei rapporti di lavoro resterebbero senza regole sulle materie riservate alla contrattazione collettiva (soprattutto retribuzione e inquadramento professionale).
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La questione cruciale – sulla quale però il dibattito e il documento conclusivo dell’assise di Genova sono stati molto vaghi ‑ è se, a quali condizioni ed entro quali limiti il contratto aziendale possa sostituire la disciplina contenuta in quello nazionale. È la questione che la vicenda Fiat ha posto bruscamente all’ordine del giorno delle relazioni industriali italiane, strappando la tela non soltanto del protocollo del 1993, ma anche dell’accordo del 2009 con cui Cisl, Uil e Confindustria, al costo di uno scontro durissimo con la Cgil, avevano molto timidamente aperto alcuni spazi di derogabilità del contratto nazionale.
<p>Se si toglie la Fiom, che si batte per il ripristino integrale del vecchio assetto della contrattazione collettiva, oggi l’opinione che va per la maggiore nelle organizzazioni sindacali, Cgil compresa, e nel Pd è che si debba andare in direzione di uno “snellimento” del contratto nazionale, pur conservandone l’inderogabilità, per lasciare più spazio alla contrattazione aziendale. Senonché, se “snellimento” significa riduzione del contenuto del contratto, in tutta la vasta area dove la contrattazione aziendale ancora non riesce ad arrivare questo necessariamente riduce la protezione dei lavoratori.
<p>Logica vuole, dunque, che il contratto collettivo nazionale conservi la sua capacità di regolare compiutamente il lavoro in quella vasta area; ma questo implica che la contrattazione aziendale possa più largamente sostituire la disciplina nazionale. Quanto largamente? Molto.
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Nell’era della globalizzazione, il sindacato deve poter negoziare a 360 gradi su piani industriali anche fortemente innovativi in materia di organizzazione del lavoro, di struttura delle retribuzioni, di distribuzione dei tempi di lavoro. E deve poterlo fare in azienda; perché è al livello aziendale, non a quello di un intero settore, che l’innovazione si presenta nella fase iniziale della sua diffusione. È vero che non tutta l’innovazione è buona; ma se per paura di quella cattiva ci chiudiamo anche a quella buona, il Paese continua a non crescere. E gli investimenti stranieri si fermano alle Alpi.
<p>Nella Germania che è stata per decenni la patria del modello della contrattazione centralizzata, da diversi anni si è introdotta la regola che consente al contratto aziendale di sostituire il contratto nazionale in parte o anche del tutto. Perché mai ciò che sta dando buona prova in Germania dovrebbe essere impraticabile in Italia?
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D’altra parte, sindacati e Confindustria possono benissimo accordarsi per mettere briglie più strette alla contrattazione aziendale. Ma non possono impedire a un imprenditore di tenersi fuori dal loro gioco. Se dunque essi vogliono evitare che la riforma della contrattazione la facciano di fatto le imprese non associandosi a Confindustria, faranno bene a guardare con più attenzione e meno chiusure mentali al modello tedesco.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=11C03D">Corriere della Sera</a>Francesco GIORDANO: «Un partito con il Pd» - INTERVISTA2011-04-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it559998<br />
Per i vendoliani l'alleanza non basta: serve una nuova formazione. Le primarie si allontanano «ma Vendola chiede innovazione e unità» ai democratici. Sciopero generale della Cgil, comunali e referendum: Berlusconi può essere sconfitto. Obiettivo? Un soggetto unico.
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«Bisogna costruire qui e ora un nuovo soggetto politico, una nuova sinistra che faccia dell'unità e dell'innovazione culturale il perno dell'alternativa a Berlusconi». Per Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione e dirigente del partito di Vendola, Sinistra e libertà «da sola non basta». E' questo il senso del «patto di consultazione» proposto ancora ieri dal governatore pugliese a Pd e Idv. Un «oltre Berlusconi» declinato in modo un po' diversamente dal Bersani in maniche di camicia.
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<b>Giordano, Sel propone un «patto di consultazione» a Pd e Idv ma Bersani vi risponde che state già facendo qualcosa in più, visto che siete alleati alle amministrative...</b>
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Purtroppo le cose non stanno così e non sono così semplici. Dobbiamo prendere decisioni importanti, il patto di consultazione e di unità è decisivo, altrimenti non saremo credibili. Col Pd bisogna battere molto il tasto dell'unità perché entro giugno ci sono appuntamenti fondamentali per un'alleanza che vuole essere alternativa a Berlusconi: lo sciopero generale della Cgil, le amministrative e i referendum. Il treno sta passando. E se non lo prendiamo ora vuol dire che l'alternativa alla destra non è ancora pronta.
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<b>Vedi un Pd troppo timido sullo sciopero generale della Cgil?</b>
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E' in gioco non solo il contratto nazionale ma anche un tema fondamentale come il diritto di sciopero. Il Pd da che parte sta nella vertenza Bertone? Era da sciocchi pensare che Mirafiori e Pomigliano fossero un'eccezione. Come si vede, avevamo ragione noi: la Fiat continua ad affossare i diritti e a perseguire l'abbattimento del costo del lavoro senza investire in qualità e innovazione. Non a caso le macchine di Marchionne non si vendono. Lo sciopero generale va sostenuto perché può rappresentare l'approdo e l'identità sociale di una nuova coalizione, un centrosinistra unito che mette il lavoro al centro della sua proposta.
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<b>Come si concilia però la critica a Marchionne con il sostegno a Piero Fassino a Torino?</b>
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La nostra presenza in quella coalizione serve proprio a condizionare le sue politiche e a fargli cambiare di segno. Fassino lo sa: non è mai stato in discussione, e non lo sarà mai, il nostro appoggio alla Fiom e al sindacato. L'accordo con il Pd è reciproco.
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<b>Insistere su un patto tra partiti non significa che alle primarie non ci credete più nemmeno voi?</b>
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Le primarie verranno. Questa proposta è propedeutica a definire il perimetro dell'alternativa. Contro i referendum Berlusconi le sta tentando tutte. Come nel gioco delle tre carte rinvia il nucleare perché sa che farebbe da calamita per il quorum. Mi piacerebbe discutere con il Pd anche di acqua pubblica e rinnovabili, dell'alternativa economica a Tremonti. Dobbiamo iniziare a farlo.
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<b>D'Alema però (e non solo lui) continua a escludere le primarie.</b>
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D'Alema è sempre D'Alema. Segue lo stesso schema fin da ragazzo: cerca un accordo con pezzi del centrodestra per portarli a sinistra. Ma aspetta Godot. Dobbiamo provare ad animare questo processo unitario dotandolo di una partecipazione di massa. Se il Pd non investe sullo sciopero generale e sui referendum non avremo più il tempo di cambiare marcia. Stiamo vivendo un passaggio epocale, le miserie della politica italiana occultano a stento quello che sta accadendo nel mondo. Bisogna investire qui e ora sulla fondazione di una nuova sinistra in grado di costruire un modello culturale e politico nuovo, una diversa idea di democrazia.
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<b>Sel non è sufficiente per questa «nuova sinistra»?</b>
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Sel da sola non basta. Continuo a pensare che bisogna costruire un unico soggetto politico. L'affondo unitario di Vendola sul Pd ha esattamente questa ambizione. Certo, come dice Nichi, aspettiamo a mettere il carro davanti ai buoi ma questo processo intanto dobbiamo costruirlo.
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<b>Rifondazione e il Pdci sono esclusi da questa coalizione?</b>
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Lungi da noi il voler ridurre la platea. E' Rifondazione ad aver detto che non è disponibile a una coalizione di governo. E' un tema che ci divide da tempo e secondo me è auspicabile una loro maturazione. Il problema non è nostro. L'unità di partiti, movimenti e associazioni è dirimente per costruire una sinistra nuova. Ma per battere la destra non puoi più eludere il tema del governo, dell'unità e dell'innovazione culturale. Come opposizione siamo già uniti, in molti casi lavoriamo insieme. Ma le forze vanno unificate di più fino a costruire un nuovo soggetto politico. La scomparsa di una grande sinistra in questo paese è un'anomalia che va sanata.
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<b>Berlusconi a Milano si è candidato per il Pdl. Pensi che il Pd sia pronto a una sfida così importante?</b>
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Penso che a Milano anche nel Pd si sia messo in moto un processo positivo. Le primarie e la figura straordinaria di Pisapia stanno facendo dare il meglio a tutte le forze politiche. C'è una partecipazione che va anche oltre i partiti. Milano non è ancora il laboratorio della nuova sinistra ma è sicuramente un segnale di buona politica.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=Z891J">Il Manifesto - Matteo Bartocci</a>