Openpolis - Argomento: Pomiglianohttps://www.openpolis.it/2012-07-28T00:00:00ZPietro ICHINO: Ilva di Taranto. Lavoro o Salute? Il bilanciamento spetta alla politica - INTERVISTA2012-07-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647675Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Professor Ichino, la vicenda dell’Ilva di Taranto riporta la mente alle grandi mobilitazioni degli anni ’70 e ’80 al Sud contro i primi segnali di deindustrializzazione. Quali sono secondo lei le differenze?</b>
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La deindustrializzazione incipiente di quegli anni era un fenomeno di dimensioni mondiali. Il problema dell’Ilva di Taranto, oggi, è invece un problema tipicamente italiano.
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<b>In che senso?</b>
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Qui oggi abbiamo un intervento giudiziale, di portata drammatica per una grande azienda e per la vita di decine di migliaia di persone, motivato da un danno ambientale che è sotto gli occhi di tutti e che, in un Paese civile, avrebbe dovuto essere oggetto di controllo in sede amministrativa molto prima che intervenisse un giudice penale.
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<b>Ma la Regione ha stipulato un accordo con l’impresa su questa materia.</b>
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Più d’uno, se è per questo. Senza però esercitare in modo rigoroso i propri poteri di controllo circa l’adempimento di quanto dovuto e di quanto concordato. Il problema è sempre quello: in Italia il ruolo dei giudici si dilata innaturalmente perché essi svolgono una funzione vicaria rispetto ad amministrazioni che funzionano poco e male. Anche questo intervento dei giudici, suscita qualche interrogativo.
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<b>Per quale aspetto?</b>
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Dal punto di vista delle emissioni nocive, la situazione dell’Ilva è oggi molto migliore rispetto a dieci e ancor più rispetto a venti anni fa. Se il reato c’è oggi, lo stesso reato c’era anche in tutti gli anni passati, e in misura più grave. Per spiegare un insieme di provvedimenti giudiziali così gravi e improvvisi, occorre pensare che i giudici abbiano scoperto qualche cosa di più: per esempio frode e corruzione.
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<b>Qui comunque l’alternativa di fondo è tra lavoro e salute. Cosa bisogna scegliere in questi casi?</b>
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Anche al netto della frode e della corruzione, l’impatto di un grande stabilimento siderurgico sulla salubrità di qualsiasi territorio non è mai positivo. Il problema è stabilire il grado di sacrificio della salubrità della zona che siamo disposti a sopportare, pur di avere il lavoro e il benessere.
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<b>E come si stabilisce, secondo lei il grado di sacrificio accettabile?</b>
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L’unico vantaggio che abbiamo per il fatto di essere un Paese un po’ più arretrato rispetto ai nostri partner europei sta nella possibilità di fare riferimento a quel che fanno loro. La cosa più sensata che possiamo fare è proporci di allineare l’impatto ambientale di uno stabilimento come l’Ilva a quello di stabilimenti analoghi in Germania o in Svezia.
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<b>E se il gap rispetto a quei Paesi è troppo grande per essere superato dall’oggi al domani?</b>
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Dobbiamo imporci un superamento graduale, ma il più possibile accelerato, di quel gap. Questo, però, è cosa di competenza di una amministrazione regionale o statale, non di un giudice penale.
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<b>Il tema della salute e dell’ambiente non dovrebbe essere il primo impegno di un sindacato?</b>
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Sulla protezione della salute non si possono accettare compromessi: ce lo vieta, oltretutto, il diritto europeo. Sulla protezione dell’ambiente, invece, qualche compromesso è inevitabile, a tutte le latitudini e longitudini. Nessuno stabilimento siderurgico può avere un impatto ambientale nullo. Ma il bilanciamento tra interessi economico ed ecologico non può essere affidato al giudice: questo è compito del governo centrale e locale.
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<b>Ieri l’Unità ha proposto un parallelo tra la scelta che devono affrontare oggi i lavoratori dell’Ilva di Taranto con quella che due anni fa hanno dovuto affrontare i lavoratori della Fiat di Pomigliano.</b>
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Non scherziamo. Dal punto di vista della protezione della salute e sicurezza delle persone, il nuovo stabilimento di Pomigliano costituisce un’eccellenza assoluta, a livello mondiale. Lì il referendum riguardava soltanto alcune marginali modifiche della disciplina contenuta nel contratto collettivo nazionale in materia di orario, di pause e di trattamento di malattia. Credo che tutti in Puglia oggi, compreso Niki Vendola, sarebbero felici se potessero sostituire lo stabilimento dell’Ilva con dieci stabilimenti come quello di Pomigliano!<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IB64X">Il Mattino - Luciano Pignataro</a>Cesare DAMIANO: Marchionne non ha più alibi2011-07-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590212Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La sentenza del tribunale di Torino sull’accordo per la costituzione di una nuova società per la gestione dello stabilimento Fiat di Pomigliano, dovrebbe indurre le parti a uscire dalla logica del conflitto e a riprendere quella del confronto.
Respingendo il ricorso della Fiom, il giudice ha riconosciuto che la newco creata dalla Fiat non è un ramo d’azienda. Al tempo stesso però, sostenendo che il Lingotto ha messo in atto una condotta antisindacale, consente alla Fiom di “rientrare” in fabbrica costituendo la propria rappresentanza sindacale aziendale, pur non essendo firmataria di quell’accordo.
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Si tratta di una decisione “salomonica” che lascia i contendenti soddisfatti (o scontenti) a metà, ma che consente di rimettere in moto la via contrattuale. La situazione di crisi profonda in cui si trova il paese e che coinvolge anche la casa torinese, operai e impiegati inclusi, suggerirebbe la scelta di una sorta di disarmo bilaterale. Che porti la Fiom a rinunciare alla promozione di ricorsi individuali dei lavoratori e che spinga la Fiat a rompere gli indugi sugli investimenti annunciati, rinunciando a sua volta a ricorrere contro la sentenza. Non si può attendere oltre. I venti miliardi di euro previsti per dar corpo al progetto, sin qui soltanto annunciato, di Fabbrica Italia – che non riguarda solo Pomigliano, ma l’insieme degli stabilimenti dell’auto, Mirafiori compresa – vanno resi subito operativi.
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Sarebbe drammatico se, come è stato paventato in questi giorni, la sentenza producesse su questo fronte una situazione di stallo. In gioco, accanto al futuro delle relazioni sindacali, c’è il destino degli stabilimenti Fiat, della ricerca, della produzione e dell’occupazione. Cioè il destino dell’industria italiana dell’auto. Un settore strategico che il nostro paese, se non vuole avviarsi irreversibilmente sulla strada del declino industriale, non può permettersi di perdere.
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Per uscire da questa situazione e riprendere la via del confronto, l’unica strada possibile sarebbe una condivisione da parte di Fiat e Fiom delle regole definite da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria lo scorso mese di giugno. In quell’accordo non solo c’è una risposta ai temi della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato, perfettamente in linea con i contenuti della sentenza di Torino su questo argomento. Si dà anche una risposta al tema – delicatissimo dopo la lunga stagione degli accordi separati – dell’esigibilità delle intese aziendali.
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Secondo quanto concordato, infatti, gli accordi aziendali hanno effetto vincolante per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori e per le associazioni firmatarie dell’intesa interconfederale (cioè Cgil, Cisl, Uil e Confindustria) che operano all’interno delle singole fabbriche, quando siano approvati dalla maggioranza dei componenti delle Rsu eletti secondo le regole attualmente in vigore. Una norma chiara che attende di essere messa in pratica attraverso la buona volontà di tutte le parti in campo.
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Solo accettando questa cornice di nuove regole si possono infatti superare, con equilibrio, gli elementi di conflittualità che caratterizzano negativamente la situazione attuale. È necessario però che anche il governo faccia la propria parte. Finora, sull’intera vicenda Fiat, Berlusconi e il suo esecutivo sono stati totalmente assenti.
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Quando sono intervenuti, lo hanno fatto unicamente per soffiare sul fuoco delle divisioni interne al sindacato. Un comportamento irresponsabile che non può essere tollerato più a lungo. I venti miliardi di investimenti previsti per Fabbrica Italia devono tradursi in realtà da subito. La disastrosa situazione di crisi in cui versa il paese non può più sopportare rinvii. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=12BLT1">Europa</a>Cesare DAMIANO: Ci auguriamo disarmo tra Fiat e Fiom2011-07-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590119Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
"La recente sentenza del tribunale di Torino che riguarda il contratto firmato il 29 dicembre scorso per la Fiat di Pomigliano dovrebbe indurre le parti in causa ad uscire da una logica di conflitto. Il giudice riconosce che la newco non è un ramo d'azienda ma, al tempo stesso, consente alla Fiom di costituire la propria rappresentanza sindacale aziendale anche se non è firmataria di quell'accordo. Si tratta di una sentenza giudicata da alcuni commentatori 'salomonica', che consente però di rimettere in moto la via contrattuale e di abbandonare quella giudiziaria".
<p> Lo dichiara in una nota Cesare Damiano, capogruppo PD in Commissione Lavoro.
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"Ci auguriamo - prosegue - che avvenga una sorta di "disarmo bilaterale" tra Fiat e Fiom che porti alla rinuncia, da parte di quest'ultima, alla promozione di ricorsi individuali dei lavoratori contro la sentenza e che consigli alla Fiat di rompere qualsiasi indugio circa gli investimenti. Tornare ad un clima di normale confronto contrattuale significherebbe dare la certezza, ormai non più differibile per il bene del Paese e dei lavoratori, dell'effettuazione dell'investimento di 20 mld di euro di Fabbrica Italia che riguarda non solo Pomigliano ma l'insieme degli stabilimenti dell'auto, compreso Mirafiori.
<p>Il recente accordo tra Cgil,Cisl e Uil e Confindustria sulle regole di rappresentanza e di rappresentatività, dimostra di essere un efficace punto di riferimento per uscire da una trincea di paralizzante contrapposizione tra le ragioni dei lavoratori e quelle dell'impresa. La sentenza, in fondo, suggerisce di superare la contesa in corso affidandosi a queste nuove regole del gioco: Anche noi riteniamo che sia questa la strada migliore da seguire". <br />
<br/>fonte: <a href="http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2011/07_luglio/17/fiat_damiano_pd_ci_auguriamo_disarmo_tra_azienda_e_fiom,30614395.html">TMNews</a>VALTER VELTRONI: Al Lingotto2011-01-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557210Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
"Berlusconi faccia un passo indietro e si dimetta nell'interessa dell'Italia". Così Valter Veltroni ha aperto la convention del movimento democratico al Lingotto di Torino. Quelle dette da Berlusconi "sono parole agghiaccianti". "Abbiamo visto un uomo di Governo che minaccia i giudici e la cosa più grave è che lo fa davanti al tricolore.
Quel tricolore per il quale molti magistrati hanno dato la vita".
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Se il Pd vuole "tornare a conquistare il cuore degli italiani", dovrà avere il coraggio di abbandonare strategie che si sono rivelate fallimentari. "Tre sono le condizioni" affinchè il partito democratico possa essere "protagonista del futuro", ha detto l'ex segretario del Pd. <br />
"La prima è liberarsi dalla tentazione di un populismo di sinistra", ha detto, "il populismo di Berlusconi si batte con il riformismo". Poi, "dobbiamo affrancarci dall'illusione frontista, dalla coazione a ripetere, a costruire schieramenti eterogenei solo contro gli avversari e poi non capaci di reggere la prova del governo. Non si vince senza una credibile coalizione". <br />
Terzo, "bisogna avere il coraggio dell'innovazione. Il motto dei democratici deve essere non difendere ma cambiare. Il Pd deve orientare il cambiamento".
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Il Pd deve "proporre agli italiani una visione del futuro, un progetto coraggioso di cambiamento ed una proposta di Governo autorevole". Solo così il Partito Democratico "può tornare a crescere a riconquistare le menti e i cuori degli italiani, fino a rendere realistico l'obiettivo di diventare il primo partito del Paese, il promotore ed il protagonista di quel ciclo riformatore solido e duraturo che l'Italia non ha mai conosciuto nella sua storia".
<p>"Usciamo insieme da questa paralisi pericolosa, le stesse persone più avvedute del centrodestra non vedono l'ora che finisca. Saranno giorni difficili perchè Berlusconi non ha alcuna idea di cosa significhi il senso dello Stato. Penso che in questa delicata fase della vita parlamentare, le forze di opposizioni dovrebbero trovare più stabili forme di coordinamento e di consultazione che, nel rispetto dell'autonomia di ciascuno e senza prefigurare alcunchè, consentano di evitare forzature o violazioni nel ruolo del Parlamento. E mostrino tutta intera la forza delle opposizioni".
<p> MIRAFIORI
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Ai lavoratori che hanno detto sì ai referendum di Pomigliano e Mirafiori, un "sì contrastato e sofferto", deve andare "il rispetto, l'ammirazione, la gratitudine di tutti gli italiani. Così come occorre comprendere le ragioni del no e con esse dialogare". "Il successo dell'operazione Fiat-Chrysler è di importanza strategica per il futuro del Paese. E per questo, abbiamo espresso un convinto consenso ai pur difficili e dolorosi accordi di Pomigliano e su Mirafiori". Veltroni riconosce che sono accordi che chiedono un supplemento di impegno, di fatica e di disciplina, a lavoratori che già vivono condizioni di lavoro pesanti, in cambio di retribuzioni certamente inadeguate ma senza gli accordi non ci sarebbe stato l'investimento: Napoli, Torino, l'Italia avrebbero visto ridimensionata una presenza industriale che deve invece essere conservata e rilanciata".
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"Con gli accordi Fiat ora è chiamata a confermare ed estendere il suo radicamento in Italia. Ed è chiamata a mostrare la sua forza inventando prodotti competitivi sui mercati. Con gli accordi, per i sindacati, la cui unità non dobbiamo mai smettere di cercare e promuovere, per le imprese e per la politica, si è aperta una fase nuova, una stagione paragonabile a quella in cui si affermò una nuova legislazione del lavoro, ormai decine di anni fa".
<p>In Italia è necessario stabilire "nuove relazioni industriali" e "ridefinire, in questo contesto, le regole della rappresentanza, per fare non meno, ma più contrattazione collettiva, in un contesto sicuro di diritti e doveri per ciascuna organizzazione". "La via maestra è quella dell'accordo interconfederale, eventualmente tradotto poi in norma di legge. Ma sono 13 anni che se ne parla. Ha quindi ragione Pietro Ichino, quando propone, in carenza di accordo, di approvare una legge, che attribuisca alla coalizione sindacale maggoritaria il potere di negoziare con efficacia per tutti e al sindacato minoritario, anche se rifiuta di firmare, non il potere di veto, ma il diritto alla rappresentanza in azienda".
<p>"In Italia può vincere un'alleanza di centrosinistra, è molto più difficile che possa farlo un'intesa solo di sinistra. Il Pd ha il compito di riprendere il suo cammino, recuperando la direzione di marcia che gli aveva consentito di guadagnare un consenso mai raggiunto nella storia dai riformisti italiani".<br />
"Il partito deve essere ambizioso perchè consapevole che se i sondaggi oggi gli attribuiscono il 24%, altre rilevazioni dicono che siamo il partito con il più alto elettorato potenziale: oltre il 42%", ambizioso e convinto di poter parlare a tutti gli italiani forte delle sue idee e con un solo linguaggio, senza una suddivisione di compiti tra riformisti di centro e riformisti di sinistra destinati a ritrovarsi esclusivamente in un'alleanza di Governo".<br />
"Come tutte le forze riformiste può trovare alleanza anche con chi ha posizioni diverse", ha detto. Ma nessuno, neppure Nichi Vendola, può arrogarsi l'esclusiva del riformismo.<br />
"Penso che nessuno debba essere più radicale nel cercare il cambiamento dei riformisti", ha sottolineato, "lo dico al mio amico Nichi Vendola, la cui sfida va seguita non con ostilità e paura ma con rispetto e interesse. Lo dico come si fa tra chi vuole sinceramente andare verso un incontro. Ma ad una condizione: che si costruisca questo incontro per rispondere davvero a un bisogno di stabilità e cambiamento. Ogni riedizione dell'unione sarebbe un suicidio politico".
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Veltroni ha bacchettato Vendola anche per avere definito l'accordo Fiat "una delle pagine più nere della democrazia italiana" e per avere paragonato "con una scivolata retorica" Carlo Giuliani a Giovanni Falcone. "Le nostre diversità devono coniugarsi ad una sincere intenzione, non cercare di sottrarre consenso l'uno all'altro, ma estendere quello sociale e politico di un nuovo centro sinistra possibile, che non ripeta gli errori del '94, come quelli della caduta di Prodi e quelli dell'Unione.
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<br/>fonte: <a href="http://www.liberazione.it/news-file/Al-Lingotto-il-veltroni-pensiero---LIBERAZIONE-IT.htm">Liberazione</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: «Innovazione Fiat? Vuole solo sfruttare di più gli operai» - INTERVISTA2011-01-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549555Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
Sergio Cofferati ha espresso una critica severa al patto di Mirafiori dopo aver bocciato all'epoca l'accordo di Pomigliano.
<p> <b>Cofferati, in quale veste esprime la sua opposizione al piano Fiat?</b>
<p> «Sono nettamente contrario in tutte le vesti possibili: come iscritto alla Cgil, come iscritto al pd, come parlamentare europeo. È giusto quando si hanno opinioni divergenti da quelle dei gruppi dirigenti del partito e dell'organizzazione non nasconderle ma esplicitarle».
<p> <b>Lei afferma che la Fiom non può firmare nemmeno "tecnicamente" il patto di Mirafiori. Perchè?</b>
<p> «Il problema non si pone, la questione della firma è surreale. La Fiom non può firmare, glielo vieta lo statuto della Cgil. La delibera numero 4 attuativa dello statuto Cgil vieta all'organizzazione di presentare piattaforme o firmare accordi nei quali siano contenute lesioni ai diritti contrattuali o di legge come è nei casi di Pomigliano e Mirafiori».
<p> <b>Marchionne dice che se vincono i no, la Fiat non investe. Come se ne esce?</b>
<p> «La situazione è molto difficile, i problemi sono gravi e rilevantissimi. La questione oggi è politica: Marchionne ha un atteggiamento inaccettabile. Nega il confronto e la dialettica sui luoghi di lavoro, e devo dire che non è molto rispettoso di quelle organizzazioni che hanno firmato quando mette in dubbio che non siano maggioritarie in fabbrica. Il caso Fiat è politico perchè è lo spartiacque tra lavoratori e impresa, nella cultura del lavoro e nei diritti».
<p> <b>Ma Marchionne affascina anche i suoi colleghi del pd, c'è chi suggerisce di votare sì.</b>
<p> «Vuol dire che la sinistra è cambiata molto, in profondità. Sono sorpreso da certe dichiarazioni, da chi vede una "parte buona" in questo accordo. Ma dove? Agli operai di Mirafiori si promettono 30 euro lordi al mese perchè aumenta il loro sfruttamento. Si impone agli operai di lavorare di più, anche il sabato notte, con lo straordinario obbligatorio e il modesto aumento, una miseria, deriva dalle regole dei turni, non c'è altro. La Fiat punta solo ad aumentare lo sfruttamento. La politica, le istituzioni dovrebbero chiedere conto alla Fiat del piano industriale, ma Marchionne non vuole dare i dettagli. Le sue affermazioni sono gravissime e non vengono contestate.<br />
Marchionne non si permetterebbe questo comportamento arrogante negli Stati Uniti».
<p> <b>Cosa c'è di diverso negli Usa?</b>
<p> «L'atteggiamento delle istituzioni. Marchionne non si è permesso di dire a Obama "non ti dico cosa voglio fare della Chrysler", ha avuto aiuti sulla base di ipotesi discusse e condivise con l'amministrazione Usa».
<p> <b>In Italia, invece?</b>
<p> «In Italia Marchionne dice: faccio quello che voglio. Le istituzioni devono farsi carico delle conseguenze delle scelte Fiat. Tocca alle istituzioni occuparsi di Termini Imerese dopo che la Fiat ha incassato tutti gli incentivi possibili, dopo aver chiesto soldi, rottamazione, cassa integrazione. Quando una fabbrica non serve più la Fiat se ne libera, scarica le conseguenze sulla comunità, dà uno schiaffo alle istituzioni».
<p> <b>Ma la Fiat chiede una nuova organizzazione del lavoro per investire e recuperare competitività.</b>
<p> «La Fiat ha un modello di competizione che passa dalla sistematica, esclusiva riduzione dei costi. Non ci sono ricerca, innovazione, conoscenza sui prodotti e sui modelli organizzativi del lavoro. Chi nel pd e nel sindacato aveva sostenuto che l'accordo di Pomigliano andava firmato perchè era un'eccezione dovrebbe leggersi il documento di Mirafiori e riflettere. E dovrebbe confrontare la strategia Fiat con il documento di Lisbona 2000 e col piano europeo di sviluppo 2020: il modello Marchionne va contro le politiche europee sostenute dalla sinistra italiana. Il pd non può avere due teste: se stiamo con l'Europa non possiamo stare con Marchionne».
<p> <b>E gli industriali italiani cosa fanno?</b>
<p> «Il silenzio di Confindustria è fragoroso, sta accettando la distruzione dell'accordo 1993, un modello efficace di relazioni industriali. Le imprese pagheranno un prezzo alto dalle scelte della Fiat».
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<b>Cosa direbbe a un operaio di Mirafiori che si appresta a votare?</b>
<p> «Gli spiegherei perchè la Fiom è contraria, perchè l'accordo è sbagliato. L'operaio deve votare come meglio crede ma deve sapere che la Cgil è contraria. Le grandi organizzazioni sono autorevoli e rispettate quando difendono le regole e le loro posizioni sono trasparenti e credibili».
<p> <b>Cosa sarà della Fiat?</b>
<p> «Mi pare stia diventando un polmone della Chrysler, la Fiat è sempre più marginale. In Europa il mercato è andato male, ma la Fiat perde 15 punti in più degli altri. I numeri sono impietosi»<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WHF5G">l'Unita' - Gianola Rinaldo</a>Massimo DONADI: Fiom sbaglia. L'accordo di Pomigliano è in linea con gli standard europei.2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549312Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
"La vicenda aperta dagli accordi Fiat è assai complessa e nessuna delle parti in causa ha solo torti o ragioni. Non c'è dubbio che le vicende di Mirafiori e Pomigliano abbiano dimostrato l'importanza delle proposte di Italia dei Valori in materia di nuove regole per la rappresentanza sindacale. Ma da qui a sposare indistintamente le ragioni della Fiom ne passa. Per questa ragione, credo che prima di pensare a mettere addirittura in campo forme di resistenza comune e duratura sarà opportuno attendere l'esecutivo fissato per il prossimo 14 gennaio per un più approfondito confronto interno". <br />
Lo dichiara in una nota Massimo Donadi, capogruppo di IDV alla Camera.
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"A mio parere, infatti, gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, nell'ottica di un recupero di efficienza e di competitività dell'azienda, richiedono ai lavoratori sacrifici significativi ma sono oggettivamente in linea con gli standard dei principali stabilimenti europei", mentre "quel che è certo è che l'azienda, in ogni caso, ora dovrà metterci del suo, perchè l'organizzazione del lavoro incide solo in parte minoritaria sulla competitività dell'impresa: servono investimenti, e ancor più, una chiara politica industriale e finanziaria".
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"Quanto all'esclusione della Fiom dalla rappresentanza sindacale appare sicuramente incostituzionale ma ancor di piu' una scelta miope, in quanto rischierà di vanificare il contenuto degli accordi, dando vita ad una permamente conflittualità interna all'azienda. <br />
Ma anche dalle parti della Fiom, delle riflessioni andranno aperte perchè non è pensabile che un sindacato, così largamente rappresentativo dei metalmeccanici, si arrocchi pregiudizialmente sul fronte del no, rifiutando addirittura di partecipare al tavolo delle trattative e di prendere atto che la globalizzazione dell'impresa e del lavoro non può vedere lavoratori ed imprese come nemici su fronti contrapposti ma richiede necessariamente nuove e straordinarie capacità di confronto", conclude il presidente dei deputati di Idv.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?view=article&catid=36&id=10459&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=68">TM News</a>Nichi VENDOLA: Fiat «Qui c'è la tragedia del nostro Paese» 2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549309Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/> <br />
«In quella fabbrica siete bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. lo sono contro l'arroganza di chi vi vuole rassegnati»
<p>Cari amici di Pomigliano, mi addolora vedervi "usati" così, e su quel quotidiano padronale. Tuttavia la vostra lettera è un documento drammatico: dice di una resa culturale e sociale che dovrebbe scuotere tutta la politica italiana.
<p>In questa vostra curiosa e paradossale polemica contro la sinistra e contro la Fiom — rei di non subire il contratto-capestro della Fiat e le sue conseguenze generali sulle relazioni industriali in Italia — voi però non riuscite a rappresentare la strategia di Marchionne come una profezia del moderno. Non potete farlo perché comunque siete ingabbiati in quella fabbrica di cui parlate con cognizione di causa, in quel recinto produttivo in cui diventa problematico ammalarsi, godere della pausa mensa, rivendicare un reddito non inchiodato a quei maledetti 1200 euro.
<p>In quella fabbrica in cui siete solo bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. In cui il contratto sarà un negozio privato tra voi, piccoli e soli, e un padrone multinazionale (uno a cui piacciono le imprese americane e gli operai cinesi).
<p>In quella fabbrica la lotta e lo sciopero, strumenti sovrani della civiltà e della democrazia, vengono oggi messi al bando. E voi la raccontate per quello che è: dolore e fatica, perdita di diritti e di reddito. Solo che pensate di non avere alternativa. Non c'era via di fuga. Ma è tutta qui la tragedia del nostro Paese. In un potere che rischia di riprodursi, nonostante le sue molteplici indecenze, per assenza di alternativa.
<p>Io non sono contro di voi. Sono contro l'arroganza di chi vi vuole piegati e rassegnati.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WENSR">l'Unità - Nichi Vendola</a>Antonio DI PIETRO: «Noi vi difendiamo Marchionne no»2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549308Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: IdV) <br/><br/><br />
Agli operai: «Le rivendicazioni scritte nella lettera sono fatti che la politica deve risolvere. Non lo fa certo l'Ad Fiat: vuole smantellare i diritti e portare l'azienda all'estero»
<p>La lettera aperta di alcuni operai di Pomigliano, pubblicata dal quotidiano Il Giornale, parla delle loro condizioni di lavoro su cui vengono caricate la responsabilità del governo, per le mancate scelte di politica industriale, e della Fiat a causa delle gravi difficoltà finanziarie e di prodotto in cui versa.
<p> La Fiat da due anni perde una quota di mercato doppia rispetto alla media europea.
<p>Le questioni concrete, e non ideologiche, su cui la politica deve dare risposte sono sui ritmi di lavoro elevati, sugli stipendi da 1200 euro al mese, sull'aumento dell'orario lavorativo, ben oltre quello degli operai tedeschi e francesi, e sulla reale e costante riduzione del potere d'acquisto e dei diritti fondamentali.
<p> L'Italia dei Valori ha presentato una proposta di legge volta a regolare la reale rappresentanza dei sindacati nelle aziende, consegnando il potere di decidere ai lavoratori e non alle burocrazie sindacali; il nostro compito principale è quello di ridare la parola, i diritti e la libertà di decisione ai diretti interessati, cioè agli operaie agli impiegati, così come prevede la Costituzione repubblicana, violata in questi giorni da accordi capestro.
<p>Comprendiamo e rispettiamo il voto degli operai della Fiat di Pomigliano che sono stati sottoposti ad un vero è proprio ricatto. Proprio quel voto, infatti, ha indotto alcuni sindacati, tranne la Fiom, a siglare un'intesa che noi dell'Italia dei Valori continuiamo a ritenere sbagliata e ricattatoria.
<p>Vogliamo ribadire che non lasceremo soli gli operai della Fiat in Italia, a partire da quelli di Termini Imerese ai quali è stata annunciata la chiusura della fabbrica.<br />
Continueremo a lottare affinché Marchionne non possa smantellare pezzo dopo pezzo i diritti dei lavoratori al fine di collocare la Fiat fuori dal nostro Paese». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WENSE">l'Unita' - Antonio Di Pietro</a>Giuseppe GIULIETTI: Da Pomigliano a Mirafiori, l’offensiva autoritaria del regime del ricatto2010-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549317Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
No, quello che è successo alla Fiat non è solo una questione aziendale, non sono affari loro. Inutile affannarsi, come pure stanno tentando di fare alcuni esponenti del centro sinistra e del Pd, a distinguere tra la parte buona e quella cattiva dell’intesa; quando si mettono tra parentesi i diritti fondamentali non possono esserci luci, non ci sono giustificazioni possibili.
<p>
Quella intesa sbatte fuori dall’azienda il sindacato più rappresentativo, nega il diritto alla contrattazione per chi non ci sta, lede persino il diritto all’uguaglianza tra i cittadini lavoratori.
<p>
Provate ad immaginare cosa sarebbe mai accaduto se la Cgil o la Fiom avessero deciso, loro che pure tra le tute blu sono maggioritari, di siglare una simile intesa, magari lasciando fuori dalla porta gli altri sindacati. <br />
Le urla sarebbero arrivate sino al cielo, il ministro Sacconi avrebbe minacciato un decreto di urgenza per stroncare il patto scellerato, alcuni editorialisti ci avrebbero fatto una lezione sulla democrazia liberale e sull’antico vizio "comunista ed operaista" di voler mettere il bavaglio alle minoranze e di non voler rispettare il principio della democrazia rappresentativa.
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Non contenti di aver siglato un simile accordo ora si annuncia anche un referendum che sarà dominato dal ricatto di Marchionne: "O mangiate questa minestra, o me ne andrò, vi sbatterò fuori, vi rimanderò a casa".
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Quelli che voteranno no, come è già accaduto a Pomigliano, dovranno essere considerati gli unici veri cavalieri del lavoro, perchè in queste condizioni il loro voto sarà davvero un gesto liberale e di libertà.
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Se dovesse passare una simile impostazione, nel metodo e nel merito, non potrebbe che produrre un ulteriore contagio. Dalla Fiat questo morbo si estenderebbe alle altre aziende, poi toccherà al contratto nazionale, infine si punterà diritti dritti sulla devastazione dello statuto dei lavoratori e, di conseguenza, proprio su quelle parti della Costituzione che, da tempo immemorabile, sono nel mirino della destra berlusconiana.
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"Marchionne non è certo di destra", già ci sembra di sentire la voce di alcuni presunti modernizzatori, in realtà rottamatori della legalità repubblicana. Ci interessa poco sapere per chi abbia votato il capo della Fiat, quello che è certo e che vuole "sovvertire" la democrazia in fabbrica, e questo sarà usato come un grimaldello dentro e fuori le aziende.
<p>Quelli che pensano di poter gestire il processo che rischia di mettersi in azione scopriranno tardi, molto tardi, di essere stati usati non come utili idioti, bensì come inutili idioti, neppure la soddisfazione di essere associati tra i protagonisti, al massimo dipendenti da e di un disegno concepito altrove, di segno oligarchico e autoritario.
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Quell’accordo si sposa bene con la controriforma delle università, con la privatizzazione strisciante della formazione, con la devastazione del patrimonio culturale nazionale e punta, come hanno detto la Gelmini e soci, "a liberare l’Italia dai residui del 68”. Peccato che tra quei residui ci fosse e ci sono ancora il pensiero critico, la creatività, i diritti delle persone, il principio di libertà contro il dogmatismo, la mobilità sociale e la redistribuzione del reddito e delle opportunità contrapposte al conservatorismo, alla tutela del privilegio e dei conflitti di interesse.
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Altro che lotta tra il vecchio e il nuovo, qui è in atto un tentativo di restaurare la vecchia Italia, di abrogare conquiste fondamentali, di restringere l’area dei diritti e delle libertà.
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Per queste ragioni non sono affari loro, per queste ragioni, anche chi non si riconosce nelle posizioni della Fiom, dovrà comunque partecipare alle iniziative che saranno promosse e dovrà farlo non solo per solidarizzare con gli operai e gli impiegati di Torino, ma anche per solidarizzare con se stesso, perchè prima o poi quell’intesa farà scuola e sbaraccherà le relazioni sindacali e industriali, rendendo i forti più forti e coloro che posseggono solo la propria forza lavoro ancora più deboli, sottoposti al ricatto permanente: "O obbedite o delocalizzo, me ne vado".
<p>Prima o poi piangeranno anche quelli che oggi si voltano dall’altra parte, fingono di non vedere, o addirittura lodano "l’amico e compagno Marchionne".
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Se ne accorgeranno anche quei giornalisti, così sensibili al loro contratto di lavoro, e così insensibili alle ragioni dei meccanici della Fiom, ai quali, salvo le consuete eccezioni, riservano disprezzo e disgustosi editoriali intrisi di paternalismo padronale, per usare una antica ma quanto mai utile espressione.
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Ci auguriamo davvero che la Cgil decida di proclamare lo sciopero generale, per quanto ci riguarda, come articolo 21, saremo dalla parte della Fiom e lo saremo perchè questo tipo di intese colpisce anche la libertà di espressione e la libera circolazione delle opinioni. Non si può accettare e bisogna indignarsi con la stessa forza e con la stessa passione civile che abbiamo usato per contrastare la legge bavaglio.
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Questa è una legge bavaglio, anche se gli imbavagliatori e gli imbavagliandi non hanno il tesserino dell’ordine dei giornalisti, proprio per questo bisognerà impegnarsi ancora di più affinchè le loro ragioni non siano soffocate o rese incomprensibili, esattamente come già sta accadendo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://temi.repubblica.it/micromega-online/da-pomigliano-a-mirafiori-loffensiva-autoritaria-del-regime-del-ricatto/?printpage=undefined">micromega-online</a>Franco MARINI: Fiat: Avrei firmato l'accordo, ma non a esclusione Fiom2010-12-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549031Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Franco Marini (Pd), ex presidente del Senato, in un passato più lontano leader della Cisl, approva con riserva l'accordo separato raggiunto senza l'ok della Fiom per lo stabilimento Fiat Mirafiori. Risponde "sì", senza esitazioni, alla domanda se lui, da sindacalista, lo avrebbe firmato. "Sì, perché - spiega - si parla da troppo tempo di avvicinare la contrattazione al posto di lavoro, solo così si recupera salario e produttività. Si è perso troppo tempo".<br />
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La riserva arriva sulla seconda domanda: giusto escludere la Fiom dalla rappresentanza? "Chi è presente in fabbrica con una sua consistenza - risponde l'esponente democratico - ha diritto a non essere escluso, questo vale anche per l'accordo fatto alla Fiat". <br/>fonte: <a href="http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2010/12_dicembre/28/fiat_marini_avrei_firmato_l_accordo_ma_no_a_esclusione_fiom,27641719.html">notizie.virgilio.it</a>Nichi VENDOLA: Fiat: Reagire alla sfida lanciata con l'accordo Fiat su Mirafiori con grande radicalita'2010-12-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549030Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
Lo ha affermato il presidente di Sel e governatore della Puglia, Nichi Vendola, al Tg3.
<p> "Marchionne -ha dichiarato Vendola- propone un regresso, una sfida con il torcicollo, un ritorno al passato che andava bene quando il lavoro era merce povera e grezza, quando il lavoratori erano soli, senza le tutele del contratto collettivo, di fronte a un'impresa internazionale che li poteva spremere. La qualita' della vita e del lavoro non sono argomenti per poeti e filosofi".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Fiat-Vendola-reagire-a-sfida-di-Marchionne-con-grande-radicalita_311466668574.html">www.adnkronos.com</a>SERGIO CHIAMPARINO: Fiat: Invito a votare sì al referendum su Mirafiori2010-12-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549029Alla data della dichiarazione: Sindaco Comune Torino (TO) (Partito: PD) <br/><br/><br />
Un vero e proprio appello arriva invece da Sergio Chiamparino, sindaco di Torino: ”Invito a votare sì al referendum su Mirafiori – dice – perché lo scenario alternativo sarebbe di grande criticità per la città e per il Piemonte”.
<p> Il sindaco di Torino ha partecipato alla riunione delle segreterie piemontese e torinese convocata per approfondire l’accordo su Mirafiori, siglato da Fim, Uilm, Ugl e Fismic, e non dalla Fiom.
<p>”Mi auguro, sollecito e auspico che i sindacati recuperino il tema della garanzia di rappresentanze per tutti, come ha detto Bonanni, e avviino un tavolo confederale”.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.blitzquotidiano.it/economia/fiat-pomigliano-accordo-mirafiori-pd-696299/">www.blitzquotidiano.it</a>Giuseppe FIORONI: Fiat: si all'accordo di Pomigliano2010-12-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549028Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/>L’ ex popolare Beppe Fioroni sostiene che ”un partito riformatore deve avere il coraggio di guardare avanti”.
“Quell’accordo – sostiene Fioroni – è frutto del lavoro di imprese e sindacati e spetta alla politica avere il coraggio di affrontare le nuove sfide, indicare le nuove frontiere dei diritti dei lavoratori”<br/>fonte: <a href="http://www.blitzquotidiano.it/economia/fiat-pomigliano-accordo-mirafiori-pd-696299/">www.blitzquotidiano.it</a>Piero FASSINO: Fiat: Se fossi un operario di Pomigliano firmerei l'accordo, è il male minore.2010-12-28T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549027Alla data della dichiarazione: Deputato<br/><br/><br />
"E’ vero, per i lavoratori di Pomigliano le condizioni sono onerose, ma quando si tarda ad affrontare i problemi, si rischia sempre di pagare un prezzo. E il sindacato ha fatto finta di non vedere la bassa produttività e l’inefficienza".
Piero Fassino, ultimo segretario dei Ds, torinese, da sempre e notoriamente più che attento al mondo Fiat, anche in queste ore molto in sintonia con Sergio Marchionne – lo ha detto ieri al Corriere della Sera – ha scelto la linea anti Fiom, fino all’appello pro firma, al “ci ripensi” per evitare in extremis l’accordo separato e la spaccatura che potrebbe certificare un isolamento, quella che qualcuno ha già ribattezzato la marcia dei cinquemila. Perché dice Fassino “quando non si vede il contesto, i problemi reali, si rischia la sconfitta del sindacato”. “E’ già successo”, ricorda in questo colloquio con il Foglio in cui mette a confronto il 1980 con il 2010, la marcia dei quarantamila, con la resistenza dei metalmeccanici della Fiom, quel 10 per cento di iscritti Cgil che a suo dire difetta di realismo.
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“Anche negli anni Ottanta la sinistra era di fronte a una ristrutturazione ineludibile, a una crisi di produttività e di mercato senza affrontare la quale la Fiat sarebbe finita stritolata. Quella ristrutturazione le consentì di superare la crisi e di riprendersi. Oggi la situazione è analoga: il caso Pomigliano non è solo il caso di uno stabilimento, ma è parte di una ristrutturazione più generale in cui è in gioco la sfida di tenere in piedi il polo automobilistico Fiat e Chrysler”. Fassino a quell’annus horribilis del sindacato, ai 35 giorni di sciopero che precedettero la marcia silenziosa dei colletti bianchi, ha dedicato la sua tesi di laurea in Scienze politiche, discussa nel ’98 quando era ministro e che ora, annuncia, diventerà un libro, pubblicato in occasione del trentennale di quegli eventi.
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“Nell’Ottanta come oggi i metalmeccanici si rifiutavano di vedere il contesto: serviva una ristrutturazione e loro la interpretavano come un atto politico, come un assalto al sindacato e al suo ruolo. Oggi mi pare si faccia lo stesso errore: ho letto alcune interviste del leader della Fiom, Maurizio Landini, in cui si sostiene che la Fiat vuole dare una mano al ministro Maurizio Sacconi nello smantellamento dei diritti dei lavoratori, e non una parola sui problemi reali della fabbrica”. Le differenze tra la Fiat di Cesare Romiti e la Pomigliano di Sergio Marchionne ci sono, ovviamente. Piero Fassino le vede nella diversa forza del sindacato, “era una potenza nelle dinamiche sociali e politiche. Ed era forte anche il Pci, che tentò, nelle posizioni di Chiaromonte, del partito torinese di non negare le esigenze della ristrutturazione. Non ce la facemmo perché il muro contro muro era troppo forte”. L’idea del Fassino di oggi è che serva realismo, meglio “la capacità di fare i conti con la realtà”, lo stesso peraltro invocato dalla Cgil della Campania che ieri ha invitato i lavoratori a firmare l’accordo. Un vecchio sindacalista degli anni torinesi dal nome evocativo Aventino Pace insegnava a noi giovani una massima, “se i problemi non li vedi tu, li vede il padrone e li risolve senza di te”. Quello che vede “è invece il rischio di essere velleitari, mentre viviamo nel tempo in cui i contratti si rinegoziano. Guardate la Germania dove in qualche caso il sindacato ha proposto addirittura riduzioni salariali…”.
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L’ex segretario dei Ds, che tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta a Torino, era il responsabile delle fabbriche e dei sindacati del Pci non condivide la tesi del “ricatto di Marchionne” o “dell’arretramento dei diritti” sostenuta da Fausto Bertinotti (anche lui protagonista della stagione pansindacalista torinese, ma senza revisionismi) di Sinistra e libertà che nella vicenda Pomigliano e nella riduzione delle pause di lavoro, nei turni di otto ore, nel modello giapponese sul quale si è soffermato Luciano Gallino su Repubblica, ritrovano spazio politico. Dice Fassino: “Ho imparato da Bruno Trentin che i diritti non li hai perché sono scritti, ma perché sei capace di esercitarli. Li eserciti se sei capace di avere il tuo punto di vista sui problemi della fabbrica. I diritti li tutela chi si fa carico dei problemi e costruisce delle soluzioni”. Fassino si fa carico anche del punto di visto di Marchionne, dei tempi cambiati, della “polmonatura” cioè il numero di auto “sul piazzale”, già prodotte, di riserva da immettere nel mercato rapidamente in caso di necessità che oggi si è ridotta rispetto a trent’anni fa. Osservazioni che tuttavia non significano dare ragione al Giulio Tremonti di qualche mese fa, quello che dichiarava finita la stagione del conflitto tra capitale e lavoro: “Quelle sono solo battute, il conflitto c’è sempre, ma naturalmente cambiano le modalità con cui si esprime e devono cambiare le forme con cui lo si gestisce” dice Fassino. Realpolitik sindacale ancora una volta, quella che gli fa giurare che “se fossi un operaio di Pomigliano firmerei l’accordo, è il male minore”.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilfoglio.it/soloqui/5423">www.ilfoglio.it</a>Pietro ICHINO: «Basta con i veti delle minoranze nelle fabbriche» - INTERVISTA2010-12-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549013Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Sergio Marchionne - dice subito Pietro Ichino, ordinario di diritto del lavoro alla Statale di Milano e senatore del Pd, uno dei massimi esperti del diritto del lavoro e delle relazioni industriali - ha ragione quando chiede che il contratto aziendale sia una cosa seria. Per questo occorre una regola che sancisca il potere della coalizione sindacale maggioritaria di stipulare un accordo con efficacia davvero vincolante per l’impresa e per tutti i dipendenti; compresa la clausola di tregua (ovvero l’impegno a non scioperare contro l’accordo stesso, ndr)».
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<b>È la sintesi, contestuale a quanto sta accadendo in questi giorni dopo l’accordo raggiunto su Mirafiori da Fiat e sindacati, Fiom esclusa, di un suo disegno di legge.</b>
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«Sì: il disegno di legge numero 1872, che ho presentato l’anno scorso, con altri 54 senatori. Ma il progetto risale al mio libro del 2005 A che cosa serve il sindacato, dove quello che sta accadendo in questi giorni è previsto con una certa previsione e spiegato».
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<b>La Fiom, intanto, è rimasta fuori e si prepara ad affrontare il 2011 in una posizione di isolamento, con tutti i rischi che questo può comportare.</b>
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«Quel progetto servirebbe a far sì che la Fiom rimanga dentro il “sistema costituzionale” delle relazioni industriali, anche se non ha firmato l’accordo. Conviene anche alla Fiat che essa abbia i propri rappresentanti sindacali in azienda e non diventi un “super-Cobas”.
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<b>E come si ottiene questo risultato?</b>
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«Occorre una regola che, come è previsto nello stesso disegno di legge numero 1872, attribuisca anche al sindacato minoritario il diritto alla rappresentanza, in proporzione ai consensi ricevuti in un’elezione triennale. Quello che non va riconosciuto al sindacato minoritario è il potere di veto di cui esso dispone nel nostro sistema attuale di relazioni industriali, che proprio per questo è obsoleto e inconcludente».
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<b>L’accordo di Mirafiori, come già quello di Pomigliano, è accusato di violare i diritti fondamentali dei lavoratori…</b>
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«La Fiom ha torto, e con essa hanno torto Sergio Cofferati e Luciano Gallino (<a href="http://www.openpolis.it/dichiarazione/548997"><b>Repubblica del 24 dicembre</b></a>, ndr), quando confondono le regole contenute nel Contratto collettivo nazionale con i “diritti fondamentali dei lavoratori”. La Cgil fece già questo errore nei primi anni ‘50 e subì una durissima sconfitta, proprio nelle elezioni della Commissione interna della Fiat, nel 1955; sembra che oggi se ne sia del tutto dimenticata. Fiom, Cofferati e Gallino sbagliano, sul piano tecnico-giuridico, anche quando denunciano l’illegalità, addirittura l’incostituzionalità, dell’accordo di Mirafiori nella parte in cui esso nega alla Fiom il diritto di costituire una sua rappresentanza sindacale riconosciuta in seno all’azienda».
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<b>Entriamo nel dettaglio.</b>
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«L’accordo applica alla lettera quanto è previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dal referendum del 1995 (ha diritto a costituire la Rsa solo il sindacato che ha firmato almeno un contratto collettivo applicato nell’azienda). E la Corte costituzionale ha più volte dichiarato la piena compatibilità di questa norma, anche così modificata, con il principio di libertà sindacale sancito dall’articolo 39 della Carta».
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<b>Relazioni industriali più «americane», con meno pluralismo sindacale in azienda?</b>
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«È così: l’articolo 19 dello Statuto, come è stato modificato dal referendum del 1995, è più vicino alla cultura delle relazioni industriali statunitense che a quella italiana, fortemente legata al principio del pluralismo sindacale. Se fino a ieri l’opinione pubblica non se n’era accorta è solo perché, di fatto, si è continuato ad applicare la norma sulle rappresentanze unitarie contenuta nel protocollo Ciampi del 1993; e nessuna grande multinazionale è venuta a chiedere una stretta applicazione della norma del 1995, con la medesima ruvida fermezza con cui lo ha fatto Marchionne».
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<b>A questo punto, come se ne esce?</b>
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«Resto convinto che sia possibile e utile per tutti, a cominciare da Confindustria e dalla Fiat, riscrivere questa norma in modo da conciliare la nostra tradizione di pluralismo sindacale con l’esigenza di togliere il potere di veto alle minoranze e di aprire il sistema agli investimenti stranieri e ai piani industriali innovativi».
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<b>La Cgil ha comunque sempre opposto un muro.</b>
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«A chi aveva avvertito la necessità di una profonda riforma del diritto sindacale italiano la Cgil finora ha sempre risposto difendendo recisamente lo status quo: “Non si deve toccare nulla, per non mettersi su di un piano inclinato: altrimenti, si sa dove si incomincia, ma non si sa dove si va a finire”».
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<b>E così si è arrivati allo strappo.</b>
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«Anche il contratto collettivo nazionale non lo si doveva toccare: infatti quello dei metalmeccanici è rimasto sostanzialmente uguale a se stesso dal 1972. Ora tutti vedono a che cosa ha portato quella difesa a oltranza dell’intangibilità del contratto collettivo nazionale».
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<b>Adesso che cosa accadrà nella parte restante del nostro tessuto produttivo?</b>
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«Come prevedevo nel mio libro di cinque anni fa, il contratto collettivo nazionale conserverà un suo ruolo insostituibile, ma solo come “rete di sicurezza”, cioè come disciplina applicabile dove manchi un contratto aziendale, stipulato da una coalizione sindacale maggioritaria. Questo è quello che propongo nel mio disegno di legge; ma mi sembra che le cose si stiano muovendo da sole in questa direzione».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WCAKO">Il Giornale - Pierluigi Bonora</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: «Diritti negati a chi non sigla il contratto» - INTERVISTA 2010-12-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548997Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
L'ex leader della Cgil: stravolto tutto il sistema delle relazioni sindacali.
<p>«Chi pensava che il caso di Pomigliano fosse un´eccezione e che le violazioni dei diritti che quell´accordo produceva fossero dettate dalla necessità, oggi è servito. Diventa chiaro il tentativo di stravolgere tutto il sistema contrattuale e delle relazioni sindacali. La Fiat, con la sua fabbrica simbolo, si pone come punto di riferimento negativo, con un accordo autolesionista per chi l´ha firmato».
<p> Sergio Cofferati, ex leader Cgil, ex sindaco di Bologna e oggi parlamentare europeo Pd, non usa mezzi termini per bocciare l´accordo per il rilancio di Mirafiori tra Fiat e i sindacati Fim, Uilm, Ugl e Fismic, cui manca la firma della Fiom.
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<b>Presentando l´accordo, Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat, ha parlato di "salto di qualità" che permetterà di far partire gli investimenti. Questo rilancio non è una buona notizia per i lavoratori?</b>
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«Altro che innovazione, qui si torna indietro di decenni, siamo di fronte a una regressione bella e buona. Si cancella un accordo che ha fatto storia come quello del ´93».
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<b>Anche il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha parlato di «intesa positiva», migliore rispetto a quella di Pomigliano...</b>
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«Gli investimenti sono sempre apprezzabili ma qui avvengono a discapito dei diritti dei lavoratori. Ci sono due passi indietro, nella direzione sbagliata, un secco peggioramento rispetto a Pomigliano».
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<b>Perché?</b>
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«Prima di tutto perché a Mirafiori non si applicherà mai più il contratto nazionale e questa è la fine del contratto. <br />
In secondo luogo per la negazione di qualsiasi diritto sindacale a chi non firma il contratto. Con un colpo solo si cancella il contratto e si negano diritti fondamentali sanciti dalle leggi che il contratto richiama».
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<b>Quindi anche lei, come Antonio Di Pietro, pensa che questo accordo sia anticostituzionale?</b>
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«I profili di incostituzionalità è probabile siano più di uno».
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<b>Siamo di fronte a un "precedente" che può fare scuola?</b>
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«Si tratta di un inedito gravissimo nel panorama delle relazioni industriali, perché si punta a cancellare qualsiasi forma di rappresentanza sindacale per chi non condivide le risoluzioni dell´azienda. Gli effetti che questo può produrre sono evidenti a tutti».
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<b>Pensa che la Fiom abbia fatto bene a non sottoscrivere l´accordo, anche se questo la isola?</b>
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«La contrarietà della Fiom è del tutto condivisibile».
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<b>E gli altri sindacati?</b>
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«Trovo incomprensibile che si possa arrivare a una cancellazione di diritti individuali e collettivi di questa natura con il consenso di sigle sindacali. Questi accordi sono autolesionisti per chi li firma».
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<b>Adesso che succederà?</b>
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«È auspicabile che ci sia una forte iniziativa politica di contrasto a quanto è successo a Torino». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WBBRT">la Repubblica - Eleonora Capelli</a>Pietro ICHINO: Non buttiamo l'innovazione «buona» per paura di quella «cattiva»2010-12-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548594Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Caro Direttore, a Torino Marchionne pone apertamente sul tavolo la richiesta che anche nello stabilimento di Mirafiori, come in quello di Pomigliano, il lavoro sia regolato soltanto da un contratto aziendale e non dal contratto collettivo nazionale. Non solo i sindacalisti, ma anche i funzionari di Confindustria, quando non gli danno dell’arrogante, gli danno almeno dell’eccentrico: perché mai non dovrebbe valere anche per la Fiat lo stesso contratto nazionale che vale per tutte le altre aziende metalmeccaniche che operano in Italia?
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Marchionne potrebbe risponderci che, sì, in Italia per questo aspetto è lui l’eccentrico, ma nel mondo gli eccentrici siamo noi. E almeno in questo avrebbe ragione. In tutti gli altri numerosi Paesi in cui la Fiat opera, dagli U.S.A. al Brasile, dalla Polonia alla Serbia, è consentito assoggettare le condizioni di lavoro in azienda al solo contratto aziendale e quindi adattarle punto per punto alle esigenze specifiche del singolo piano industriale.
<p> Anche in Germania, Paese nel quale il sistema delle relazioni industriali è sempre stato imperniato sulla contrattazione collettiva nazionale di settore, oggi è consentito e largamente praticato che la singola impresa contratti le condizioni di lavoro in casa propria; e in tal caso è soltanto il contratto aziendale ad applicarsi, non quello nazionale.
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Cinque anni prima che si aprissero le vertenze di Pomigliano e di Mirafiori ho scritto un libro per mostrare come nell’ottobre 2000, quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, proprio questo nostro sistema di relazioni industriali imperniato sul principio della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale abbia contribuito in modo decisivo a impedire che che quello stesso stabilimento si candidasse per l’insediamento della produzione della Micra coupé da parte della Nissan (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005). Questo non perché la Nissan intendesse pagare retribuzioni inferiori ai minimi previsti dal nostro contratto nazionale dei metalmeccanici: al contrario, il suo piano industriale prevedeva livelli di produttività che avrebbero consentito retribuzioni molto più alte, come già a Sunderland nel nord-Inghilterra. Il problema era che quel piano prevedeva un’organizzazione del lavoro - la c.d. lean production - incompatibile con il sistema di inquadramento professionale previsto dal nostro contratto nazionale; e un sistema di determinazione delle retribuzioni, basato sulla performance review individuale (pur con l’assistenza del sindacalista di fiducia del lavoratore) anch’esso incompatibile con la struttura della retribuzione stabilita dal nostro contratto nazionale. Così stando le cose, o Cgil Cisl e Uil erano tutte e tre d’accordo per la deroga (e non lo erano), oppure la deroga non si poteva pattuire. E infatti la trattativa non venne neppure aperta.
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Il punto è che in Italia oggi quasi tutti considerano la “deroga” al contratto collettivo nazionale come sinonimo di “peggioramento delle condizioni di lavoro”, “rincorsa al ribasso”, “concorrenza tra poveri”, “dumping sociale”. Ma le cose non stanno così: la deroga al contratto collettivo nazionale può anche consistere in una modifica della disciplina dei tempi di lavoro che consente all’impresa di sfruttare meglio gli impianti e ai lavoratori di guadagnare di più; oppure in una diversa struttura della retribuzione funzionale a un aumento di produttività di cui saranno i lavoratori per primi a beneficiare; e gli esempi di scostamenti dalla disciplina nazionale potenzialmente vantaggiosi anche per i lavoratori potrebbero moltiplicarsi all’infinito.
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Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell’innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona; a meno che il vero scopo sia quello di proteggere dalle più dinamiche imprese straniere le imprese nazionali nel loro sonnacchioso tessuto produttivo (questo potrebbe spiegare la tiepida e perplessa accoglienza delle proposte di Marchionne da parte dell’apparato di Confindustria). Se non è questo che vogliamo, abbiamo tutti bisogno di un sindacato “intelligenza collettiva dei lavoratori” che sia capace di valutare il piano industriale innovativo e l’affidabilità di chi lo propone; e che, se la valutazione è positiva, sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con l’imprenditore su quel piano, negoziandone le modalità di attuazione a 360 gradi.
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Dovremmo per questo mandare il contratto collettivo nazionale in soffitta? Niente affatto: esso ben può – come in Germania – conservare la funzione di benchmark e di disciplina applicabile per default, laddove manchi una disciplina collettiva negoziata da una coalizione maggioritaria a un livello più prossimo al luogo di lavoro. E chissà che in questo modo, oltre agli investimenti di Marchionne, non riusciamo ad attirare anche quelli di molte altre multinazionali, che finora la vischiosità del nostro sistema di relazioni industriali ha contribuito a tenere alla larga dall’Italia.<br />
<br/>fonte: <a href="http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=VVLZChttp://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=VVLZC">Corriere della Sera - Pietro Ichino</a>Paolo FERRERO: «La Fiat continua con ricatti mafiosi. Bisogna nazionalizzare, come diceva Cossiga»2010-12-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548567<br />
La Fiat continua a praticare ricatti mafiosi nei confronti dei lavoratori". E' quanto afferma da Parigi, dov'è in corso il congresso della Sinistra Europea, Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc/Federazione della sinistra.
<p> "Dopo Pomigliano Mirafiori, con una logica molto semplice: ricattare minacciando la chiusura di posti di lavoro per ottenere la demolizione del Contratto Nazionale di lavoro - afferma il segretario comunista - E' inaccettabile che alla ditta più assistita del mondo, che usa l'Italia come mercato domestico importando automobili prodotte all'estero, venga permesso di continuare con questi ricatti".
<p>"Sacconi, invece di invitare all'accordo, cioè ad accettare il ricatto di Marchionne deve fare una cosa sola - conclude Ferrero - nazionalizzare la Fiat, visto che i cittadini italiani, come giustamente sosteneva Cossiga, se la sono già pagata più volte con le loro tasse".<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?view=article&catid=36&id=9875&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=68">controlacrisi.org</a>Luigi de MAGISTRIS: Un nuovo 1968? Speriamo di sì…2010-12-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548569Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: ALDE) <br/><br/><br />
Università e lavoro. Atenei e fabbriche. Rivive il 1968? Si, rivive nelle coscienze di oggi, quelle vigili e vive dei giovani che dimostrano consapevolezza dei loro diritti e che sanno capire quando essi sono minacciati. E che soprattutto non si arrendono, non cedono, non indietreggiano ma scelgono di combattere.
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E’ un 1968 in versione aggiornata, caratterizzato da nuovi strumenti di comunicazione come la Rete, per mezzo della quale ci si parla e ci si scambia informazioni, per mezzo della quale ci si convoca alla mobilitazione.
<p>Il mondo dell’istruzione scende in piazza per protestare, i ricercatori e gli studenti salgono sui tetti delle facoltà universitarie ed occupano luoghi simbolo della storia e della cultura nazionale, Colosseo compreso, con un impatto mediatico strabiliante che rimbalza sui blog e sui siti.
<p>I rettori e gli insegnanti affiancano questo movimento di opposizione saldando insieme, in un unico e comune sforzo di ribellione, generazioni diverse che rivestono ruoli diversi.
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A macchia d’olio, la protesta si estende come un virus salvifico in tutto il Paese, riconsegnando la speranza che la società civile non sia morta sotto i colpi del bromuro di regime, della tv commerciale, del modello produci-consuma-crepa, del dominio dell’apparire/avere sull’essenza/essere, della dittatura del benessere privato sull’interesse pubblico, del liberismo senza regole che concepisce lo Stato sociale come una zavorra.
<p>Insomma il berlusconismo non ha vinto totalmente, come è dimostrato da queste settimane di mobilitazione contro la riforma dell’istruzione firmata Gelmini.
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Una riforma che è distillato puro del berlusconismo, che rappresenta una negazione della democrazia, che risponde ad un piano preciso neo-autoritario messo a punto da questo esecutivo. Un piano che ha due terreni di intervento principali: l’istruzione e il lavoro. Piegare questi due pilastri della democrazia significa controllare la democrazia stessa.
<p>Le scuole e le università ridotte a serbatoi di giovani cervelli spenti e le fabbriche a spazi di contenimento di automi meccanici, centrando così l’obiettivo: rendere le coscienze controllabili e manovrabili.
<p>Riforma Gelmini e piano Marchionne-Confindustria-parte dei sindacati sono speculari perché servono lo stesso fine del governo.
Un piano tanto pericoloso quanto vecchio, a cui risponde per fortuna la protesta sociale e la disobbedienza civile, che l’esecutivo cerca di criminalizzare e soprattutto di provocare, magari per mezzo della militarizzazione degli spazi del dissenso come accaduto a Roma: il Palazzo blindato durante l’approvazione del ddl Gelmini, un dispiegamento di forze dell’ordine dislocate per tutta la città, ridotta a paesaggio spettrale. Roma città fantasma da golpe.
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La tecnica è antica, nemmeno troppo raffinata. E’ andata in scena a Genova col G8 del 2001 ed è stata riproposta a L’Aquila nel post terremoto. Il piano è invece chiarissimo. Si tenta di affondare la formazione pubblica per salvaguardare quella privata, quindi trasformare un diritto di tutti in privilegio di pochi; rendere gli atenei degli incubatori di servizievoli esecutori senza capacità critiche, esponendoli ai cda delle grandi aziende affinchè vi attingano gli odierni precari di cui hanno bisogno e che poi destinano ad un futuro di schiavitù; depotenziare la ricerca tirando la cinghia degli investimenti, quando in piena crisi una democrazia moderna stornerebbe tutte le risorse in essa senza tentennamenti, perché unico terreno su cui costruire lo sviluppo stabile che arricchisce un paese intero.
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Parallelamente, come nel ‘68, alle proteste degli studenti si accompagnano le manifestazioni dei lavoratori in difesa dell’occupazione e dei diritti, che si chiamano contratto nazionale, tempo indeterminato, concertazione, unità sindacale, referendum, salario proporzionato, sicurezza e salute. Ispirato da Tremonti, infatti, il ministro Sacconi sta attuando una contrazione della sfera dei diritti dell’occupazione, sterilizzando lo Statuto e svuotando la Costituzione. In ultimo con il collegato al lavoro, in cui spicca la restrizione dei tempi per ricorrere contro il licenziamento, in primis con la ‘partita Fiat’ su Pomigliano, giocata in realtà sulla pelle di tutti i lavoratori.
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Pomigliano come modello del lavoro che sarà, o meglio del lavoro come vorrebbero che fosse, Pomigliano come modello da esportare su scala nazionale. Abrogare il contratto nazionale aprendo la strada alla giungla del contratto aziendale, con il lavoratore solo davanti al datore di impiego, quindi debole e ricattabile, disponibile anche a cedere sul fronte del diritto (pause, orari, malattia, sciopero).
<p>Smantellando anche ogni difesa sindacale per mezzo della ingiusta pratica degli accordi separati che isolano quella rappresentanza dei lavoratori che invece resiste e vorrebbe fosse affidato a loro, con il referendum, l’ultima parola.
E’ dunque un nuovo 1968? Speriamo di si. Se non lo fosse, ce ne sarebbe comunque bisogno, e allora dovremmo augurarcelo. Soltanto ritrovando l’unità tra sapere e lavoro, come diritti di tutti, soltanto con un asse fra fabbriche e atenei sarà possibile respingere questo tentativo distruttivo della democrazia.
<p>E’ un dovere di noi tutti lottare per questo. Come in una bella canzone di De Andrè, infatti, "anche se voi vi crede assolti, siete lo stesso coinvolti".<br />
<br/>fonte: <a href="http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-nuovo-1968-speriamo-di-si/?printpage=undefined">micromega-online </a>Paolo NEROZZI: «Una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro»2010-11-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548090Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La lotta al «collegato» e allo «statuto dei lavori» che cancellano sempre più i diritti.
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Le elezioni devono essere davvero vicine: i parlamentari si affollano a una discussione su «rappresentanza e democrazia nei luoghi di lavoro» organizzato dal Forum Diritti lavoro e dall'Unione esindacale di base(Usb).
<p>Ma il problema è «semplicemente» la chiave per capire cosa sta accadendo intorno all'architrave della coesione sociale: il diritto del lavoro. Senza una legge che regoli la rappresentatività di ogni sindacato (se non c'è, è «il padrone» a scegliersi l'interlocutore «più disponibile», vedi Marchionne a Pomigliano).
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Il problema immediato sembra secondario: il rinnovo delle Rsu nel pubblico impiego. Brunetta non rispetta nemmeno la scadenza di legge: 30 novembre. Ma a chi conosce le antipatie (padronali, politiche, sindacali) per il semplice fatto che nel pubblico impiego è possibile «certificare la rappresentatività» delle diverse organizzazioni, viene in mente un solo pensiero: «se non si vota ora nel pubblico, probabilmente non lo si farà più dappertutto». Se lo dicono all'unisono <b>Paolo Nerozzi</b> (ex Cgil, ora parlamentare Pd), Paolo Leonardi (Usb) e Piero Bernocchi (Cobas), deve essere davvero preoccupante.
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Il problema è: com'è cambiata la legislazione sul lavoro negli ultimi 20 anni? Allora un segretario della Cgil (Bruno Trentin) si arrabbiava perché veniva bloccata la contrattazione aziendale a favore di quella nazionale (più «addomesticabile»); ora è saltato anche il livello nazionale («nuovo modello contrattuale», con accordo separato).
<p> Contemporaneamente una legge (40/1996) ha ammesso il ricorso in Cassazione non solo per le «violazioni di legge», ma anche di «contratto o accordo». Sembra «democratico», ma è il contrario; la prima è un atto pubblico, gli altri due privati. Nel frattempo il ricorso al giudice per un dipendente torna ad essere a pagamento («dissuasione»). Poi è arrivato il «collegato lavoro», che riduce a 60 giorni il tempo per fare causa al datore di lavoro (tra due imprese è invece 10 anni, prorogabile).
<p> Infine lo «statuto dei lavori» appena presentato; «il contratto tra le parti può andare oltre la legge», ossia assumere un valore maggiore pur essendo un atto «tra privati». E a chi ricorri quando non vai d'accordo? All'«arbitro», altro «soggetto privato», pur se «bilaterale» (impresa-sindacato). Non c'è nessuna validazione democratica, nessun voto previsto. E ancora. Per dichiarare uno sciopero (proposta Pd nel trasporto pubblico), si vorrebbe introdurre il «referendum preventivo».
<p>Inevitabile l'equazione: per eleggere un governo (il «contratto») non serve un voto certificato, per fare una manifestazione occorre «la maggioranza degli italiani».
<p>È la «de-emancipazione», come nel 1848, quando 5 milioni di francesi poveri persero il diritto di voto.
<p> E' il «cesarismo» legislativo in atto, un «problema che riguarda tutti e contro cui bisogna sollevare un fronte più largo possibile».
<p>E' in gioco la democrazia. Niente di più, nulla di meno.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?view=article&catid=39&id=9552&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=68">il manifesto</a>